“L’erba di Santa Giusta” di Mario Nieddu-
In piedi su una sedia zoppa rivoltava con abilità alcune forme di formaggio sopra su “cannittu”, finché cadde malamente. Mia madre aveva evitato di dare peso al gran dolore alla natica. Durante la giornata però, la sofferenza era divenuta continua e intensa. Di sera si fece controllare da un’amica vicina di casa, tia Vittoria, la quale notò un bel livido rosso e bluastro. Mia madre per alcuni giorni continuò il suo affaccendarsi tra i lavori di casa e la trasformazione del latte in formaggio e ricotta.
Dopo alcuni giorni dovette rivolgersi al medico di famiglia, il dolore con i movimenti aumentava, tanto da non poter più resistere. Quegli constatò un ematoma piuttosto esteso su uno spesso grumo di sangue nero rappreso. Consigliò l’assoluto riposo e le prescrisse una medicina e un unguento da spalmare sulla parte interessata. Per la medicina e l’unguento mia madre fu ubbidiente, ma non poteva concedersi il riposo. Una madre di famiglia con marito e tre figli non se lo può permettere. Sicché, la situazione precipitò, l’ematoma si estendeva e di pari passo la sofferenza. Dovette rassegnarsi a stare a letto. Quando l’amica le frizionava delicatamente l’unguento, mia madre avvertiva un dolore lancinante. Io spiavo il tutto nascosto dietro la porta della camera da letto dei miei genitori. Al centro del gluteo aveva un bozzo color mattone, grande quanto la mia palla in gomma.
Il dottore a quel punto decise di intervenire con iniezioni giornaliere. Non ci fu nulla da fare, la situazione era grave e mia madre si prese anche la febbre. Io ero impotente. Il medico una mattina, indeciso forse tra il ricovero o un altro tentativo terapeutico, prese tempo. Chiamò mio padre e gli disse : “ Facciamo come gli antichi, come dicono le nostre donne più anziane, proviamo con l’erba di Santa Giusta.”
C’è un Santuario dedicato a quella Santa, al quale si riconosce tuttora una concentrazione di magnetismo terrestre, ad alcuni chilometri da Nulvi, in territorio di Chiaramonti. In quel periodo però i festeggiamenti nel Santuario erano diretti quasi esclusivamente dai nulvesi, che vi si recavano al galoppo con cavalli di razza, anche se non mancavano le presenze di Chiaramonti e di Ploaghe, centri quasi equidistanti dal Santuario.
In quel tempo viveva in una casetta a ridosso della chiesa s’ ”Eremitanu”, credo con la sua famiglia. Una specie di guardiano-sacrista. In effetti viveva molti periodi di isolamento, forse era dovuto a questo il suo nome. Le vie di comunicazione erano desolate mulattiere, nonostante il sito non fosse molto lontano dai tre centri abitati…
Mio padre, ricevute le dovute raccomandazioni e indicazioni dalla sorella maggiore, zia Caterina, si mise in cammino. Pianificò un itinerario attraverso le campagne, tra valli e scarpate, con la speranza di non incontrare nessuno. La questione non era semplice, non bastava andare e prendere l’erba che s’ Eremitanu gli avrebbe consegnato senza problemi e senza fare domande. Bisognava osservare specifiche regole, se si voleva che l’erba di Santa Giusta attuasse il Miracolo. Occorreva recarvisi a piedi, in preghiera e in totale silenzio. Non avrebbe dovuto rivolgere la parola a chiunque avesse incontrato, né tantomeno rispondere al saluto o al richiamo di chicchessia. Anche inseguìto da qualche cane randagio, non doveva reagire…
E mio padre così fece. Sembrava però che la campagna si fosse animata per l’occasione, incontrò tanti di quegli amici e parenti, che lo salutavano e lo chiamavano per nome. Si imbatté anche in amico dell’infanzia con il quale non si vedevano da ragazzi. “ Ehi, ma tu sei Pietro ?! Come mai da queste parti?” Mio padre passò oltre e quello ci rimase male.
Arrivato finalmente al Santuario, S’Eremitanu tagliò l’erba cresciuta spontanea nel cortile dell’abside della Chiesa. Quegli sapeva esattamente quale erba consegnare e la quantità. Gli disse anche le modalità d’uso, ma mio padre lo informò con un cenno della testa e delle mani che le donne di casa conoscevano bene la “ricetta”.
Riposta con cura l’erba miracolosa dentro una tasca della bisaccia, mio padre rifece il cammino all’inverso, variando ancora l’itinerario. Incontrò ancora molti pastori, amici e parenti. Quelli, notato il suo silenzio ostinato, avevano capito tutto e nessuno gli rivolse la parola se non un cenno di saluto e di assenso con la mano e con la testa.
Arrivato a casa, zia Caterina poggiò l’erba su un pesta lardo, la tritò e fece una poltiglia. Ne mise un quarto sull’ematoma e lo coprì con un panno bianco. Le donne presenti si misero a pregare. Mia madre sembrava spacciata. Il febbrone continuava, il dolore era intenso e il medico si era arreso.
Fortunatamente prese sonno. Mio padre non era stanco per la camminata, l’avrebbe fatta cento volte se fosse servita a dare la salute a mia madre.
L’indomani mattina presto ritornò zia Caterina. Tolto il panno e la poltiglia notò che l’ematoma si era notevolmente ridimensionato. La febbre era sparita. Rifece tutta l’operazione.
Poi insieme a mia madre, rinfrancata e senza un intenso dolore, recitarono il rosario. Io, essendo troppo piccolo per andare con mio padre e i miei fratelli in campagna, avevo assistito a tutte le fasi della cura.
Nell’arco di una settimana il problema era quasi risolto, dopo un mese dimenticato. Il primo a meravigliarsi fu il medico.
Nessuno riconosce più quell’erba e s’Eremitanu è scomparso da tanti anni.
Io avevo 7/8 anni all’epoca dell’erba di Santa Giusta.
Nota della Redazione
Facendo i calcoli del tempo ricavato dal racconto l’eremitano era un certo Gallu e la moglie Serafina Soddu, cugina di mia madre Serafina Linda Piras-Soddu. L’eremitano tuttavia fornito di una piccola macchia della Santa andava in giro per i paesi dell’Angola a raccogliere offerte in denaro e in natura (cereali, legumi e altro) che secondo alcuni doveva poi dividere col parroco del paese. Quest’erba ( sa pigulosa) era una delle tante erbe officinali che un tempo, ma forse anche oggi, crescevano in Anglona. (A. T.)