“In tutto quel cielo terso che sa di leggerezza e di libertà” di Sarah Savioli
Diventano sempre più frequenti i giorni nei quali vorrei vivere in un faro su un’isoletta sperduta, lontana da tutto.
Non è un discorso di insofferenza, di depressione o di umore molle e stanchezza. No.
Forse è per l’illusorio pensiero che certi luoghi isolati siano avvolti da una bolla che respinge i problemi e le difficoltà. Il fatto che alla fine non si è mai smesso di cercare un posto nel quale sentirsi protetti da pesi che si teme di non riuscire a portare.
Forse invece per una sorta di born out per le cattiverie di questo genere umano disastrato, ma anche per le delusioni sulle piccole cose che alla fine contano davvero. O perché per quanto tu sia solido e ti difenda senza paura dalle invadenze e dalle aggressioni, non hai nessuna armatura per le assenze, siano queste per superficialità o per semplici egoismi infantili che ti fanno male sempre come la prima volta.
O forse non è una questione di luoghi, né alla fine causa degli altri.
E’ una cosa tua e solo tua.
Quei posti sperduti che sogni, che siano fari, isole deserte, eremi sui monti, alla fine hanno in comune tanto spazio libero e tanta aria tutta intorno.
E tu in certi momenti vorresti solo essere capace di sfilarti la pelle che ti sta addosso così stretta e perderti e disperderti in tutto quello spazio e in tutto quel cielo terso che sa di leggerezza e di libertà.