I Chiaramonti, nobili e tre castelli catalani Claramunt, Claramonte a cura di Eleonora Ortu
Da tempo andiamo alla ricerca dell’origine dell’antroponimo e del toponimo Chiaramonti. Per ora ci accontentiamo degli strumenti che la storiografia ci mette a disposizione. Il lavoro del Masdeu ci pare serio e convincente sia pure scritto per fini elogiativi. La trascrizione da un testo quasi intrascrivibile di un sito internet è dovuto a Eleonora Ortu che ha fatto quanto ha volenterosamente potuto fare. Gli studiosi probabilmente potranno procurarsi il testo cartaceo. Per quanto ci riguarda è la prima volta che scopriamo che al cognome Claramunt (in Catalano o Claramonte, in italiano Chiaramonti, in Francese Clermont veniamo a sapere che in Catalogna esistevano ben tre castelli intestati Chiaramonti, da ultimo, ma forse non ultimo abbiamo il castello di Claramonte, Chiaramonti nella regione storico-culturale dell’Anglona nella Sardegna centro settentrionale.
Qualcuno ha dato un improbabile spiegazione della Rocca o Castello, il noto storico medievista Francesco Cesare Casula (Dizionario Storico Sardo, 2003) parla di un matrimonio tra Costanza di Chiaramonti e Brancaleone Doria di Uta, castellano di Chiaramonti, il quale per onorare la consorte avrebbe dato il suo nobile nome al Castello. Le ricerche diranno o non diranno, noi riteniamo che come tanti nomi di Castelli l’origine del nome derivi da un antroponimo e non da un toponimo, visto che nel tempo i Chiaramonti si diffusero a dismisura in Europa come narra il Masdeu. Anche questo è un tassello che potrebbe concorrere alla ricerca. Già dal 1970 mentre m’accingevo a pubblicare un profilo monografico su Chiaramonti feci quest’ipotesi antroponomastica. (Angelino Tedde)
Ganfrancesco Masdeu, Origine catalana del regnante Pontefice nato Chiaramonti, Stamperia di Luigi Perego Salvioni, Roma 1804, pp. 30
Dedica
ALL’EMINENTISSIMO MAGNATE DON ANTONIO DESPUIG PER NAZIONE SPAGNUOLO PER ORIGINE CATALANO. BARCELLONESE PER CASA. MAIORCHINO PALMENSE PER FAMIGLIA DE’ CONTI DI MONTENEGRO PER SANGUE. GRANDE DI SPAGNA PER ANTENATI INSIGNI PRECLARISSIMO PRINCIPE IN ROMA UDITORE ROTALE IN ORIOLA VALENZA E SIVIGLIA VESCOVO ED ARCIVESCOVO NELL’ORD. EQUESTRE DI CARLO III CAVALIERE PRIMARIO DELLA CORTE DI CARLO IV SUPREMO CONSIGLIERE NELLA S.R.C. CARDINALE AMPLISSIMO IN LETTERE E SCIENZE PIENAMENTE ERUDITO AMICO DE’ LETTERATI MECENATE DEGLI STUDIOSI CONSOLATORE DE’ POVERI BENEMERITO DI MOLTI LA SUA OPERETTA GENEALOGICA A GLORIA DI PIO VII A DECORO DI CATALOGNA A COMPIACENZA DE’ BARCELLONESI.
GIANFRANCO MASDEU
DEDICA DI BUON GRADO
ORDINE DELL’OPUSCOLO
1 Oggetto e motivo di questa scrittura p. 7
2 origine favolosa de’ Chiaramonti p.8
3 documenti sicuri della loro genealogia p. 11
SECOLO X
4 Chiaramonti nobilissimi in Catalogna p. 14
SECOLO XI
5 Nobiltà loro Magnatizia p. 16
6 Riflessioni in conferma della suddetta nobiltà p. 19
SECOLO XII
7 Chiaramonti passati in Francia p. 22
8 Vi passarono, quando vi entrò la lingua catalana p. 24
SECOLO XIII
10 Continuazione delle memorie p. 29
11 Ingrandimenti de’ Chiaramonti in Francia p. 32
12 Trasmigrazione de’ medesimi in Italia p. 34
SECOLO XIV
13 Avventure della famiglia in Sicilia p. 35
14 Avvenimenti della stessa in Francia p. 36
15 Successi della medesima in Catalogna p. 37
SECOLO XV
16 Altre memorie della stessa Casa p. 38
17 Stabilimento de’ Chiaramonti in Cesena p. 40
18 Le loro armi, relative all’origine catalana p. 41
19 Conclusione p. 44
ORIGINE CATALANA DE I CHIARAMONTI DI CESENA
1 Le studiose investigazioni sulle origini genealogiche degli uomini illustri sono state reputate in ogni tempo, ed in ogni popolo, non degne solamente de’ Curiosi, ma de’ Letterati ancora, e de’ Sapienti. I Romani, i Greci, i Fenici, gli Egiziani, ed anch’esso l’antico Popolo santo, tutti han lasciato alla posterità luminosissime pruove di questa lor seria occupazione, la quale, a fronte di esempj si rispettabili, inutilmente vorrebbe farsi passare per puerile ò per vana. Sarebbe forse riprensibile quell’Uomo grande, il quale impiegasse la penna ad illustrare genealogicamente la sua propria Casa: egli affonderebbe in qualche maniera le gelose leggi della modestia; e nell’atti di voler accrescere la grandezza sua, ne diminuirebbe presso a molti con cotesto tratti di ambizione lo splendore ed il fregio. Ma che si occupi al contrario in cotali ricerche che non vi ha interesse di famiglia, principalmente dove si tratti d’investigar l’origine d’un uomo illustre, il quale le sue gloria non curi; dovrebbe ciò non riprendersi, ma più tosto approvarsi delle persone saggie. Queste sono appunto le circostanze, che caratterizzano il mio disegno. L’Immortale Pio Settimo non rivolse mai uno sguardo alla celebrità de’ suoi Antenati, né a quella della Persona sua. Egli, malgrado l’alta sua dignità, è l’oggetto dell’ammirazione comune per quella modestia sua singolare, di cui è solito a dare continue ripruove, nell’aspetto, nelle parole, in tutte le maniere sue, quasichè non si ricordi Egli mai dell’alto luogo, in cui siede. Di questo incomparabile discendente de’ Chiaramonti Cesenati, io mi accingo a rintracciar la genealogia. Non farò a lui cosa grata, temendo anzi di offenderne la virtù: ma spero di farla gratissima a tutti, di lui ammirator, e generalmente ancora a tutto il mondo cristiano, che le vere storie ed origini de’ Romani Pontefici ama di veder richiamate.2 Lungi da me tutte le romanzesche sorgenti delle grandi famiglie europee, la colta nazione Francese a cui si attribuiscono tanti immaginarj Guerrieri, creduti Padri de’ Principi dell’Italia, de’ Baroni della Germania, de’ Grandi della Spagna, e di tutti gli altri Magnati della maggior parte d’Europa; si affatica essa medesima dietro ai sui Labourèur e Menestrièr a separare con critiche riflessioni le vere genealogie dalle romanzesche (1). Si lagnino pur di me tutti i figli e nepoti della bizzarra Cavalleria, che non siero stati ancora ben disingannati dal beneficentissimo Cervàntes: io non curo è dubbiosi avanzi della loro incerta antichità; non lo fo contro de’ loro alberi, né de’ loro scudi. Questo sistema di verità mi obbliga a disprezzare non solo la favola de’ dodici pari, ma molto più quella di certi Baroni precursori loro, andati in numero di nove fin da secolo ottavo dell’era cristiana con uno ò più Claromonti (quando questi ancora non eran nati) a conquistare il Principato di Catalogna, e dar vita e nobiltà a tutte le antiche famiglie barcellonesi. Il poeta messer Giacomo Febrèr contemporaneo del Petrarca, e più di quella medesima
1 L’erudito Genealogico Menestrièr, il dotto Arcivescovo di Parigi Pietro di Marca, e più altri celebri Francesi, con tanto disprezzo guardarono le pompose favole nazionali, che neppure abbassar si vollero a confutarle.
Età, si rimatori che prosatori, trasportati dallo di que’ Secoli animator di novelle, abbracciarono con plauso questo Romanzetto, che uno fu di quei molti, i quali, dilettando insieme e nocendo, una grande confusione disseminarono sopra tutte le storie del medio evo. È mirabile l’argomento, sù di cui appoggiano questi scrittori con somma tranquillità la favolosa lor pretensione. Aveano (essi dicono) quei valori Claromonti nelle lor armi un Giglio sopra un monte d’argento, perch’erano francesi. Potrei rispondere a ciò con ragionamento lunghissimo, se tutte le storie volessi svolgere della vera origine degli stemmi: ma l’argomento, da cui non so’ discostarmi, non altro richiede da me, chè le sole riflessioni più necessarie sulle determinate armi, delle quali si parla. Si osservi in primo luogo, che non sono i gigli, né mai sono stati, un’Insegna nazionale della Francia, ma bensì della sola Casa reale: dunque non competevano ai supposti Eroi pel solo titolo, che si accenna, di esser nati francesi. Si rifletta poi, che non entrò nella Real Famiglia il titolo Clermont (come più sotto dovrà dirsi) fino al scolo tredicesimo: dunque non potevano essi, cinquecent’anni prima vantare questa
Relazione co’ Sovrani della Gallie, né alzare le armi loro per questo motivo. Si rivolga finalmente lo sguardo ad un altro notabile anacronismo, con cui si suppongono entrati in Catalogna i gigli di Francia, prima che in Francia fossero nati. Stabiliscono per articolo sicuro di Storia tutti gli Scrittori di senno, sì di quella nazione, chè delle altre, che s’introdusse per la prima volta l’uso di cotali gigli (in principio uno solo, e più tardi fino a tre) nel secolo cristiano decimoterzo a tempo di Filippo Secondo, denominato Augusto; anzi credono di più, che la prima intenzione non fosse di rappresentare i fiori del giglio, ma più tosto i merli ò le cime della corona reale, delle quali facesse uso, a guisa d’insegna, il suddetto Re, appunto perché non essendo legittimo, pur fosse tenuto per tale. Or come dopo ciò si potrà credere che prima degli anni ottocento dell’era Cristina fossero già penetrati in Catalogna i reali gigli di Francia, non conosciuti in quella Corte fin dopo al mille e dugento? Son troppo dispregevoli cotali favole.
3 Né sol da queste bisogna discostarsi, ma dà racconti ancora d’alcun moderni Scrittori, ò poco critici, ò mal informati; tra i quali sicuramente non ultimo luogo è dovuto a Luigi Moreri, autore del gran Dizionario Storico, di cui sovente si duole la Verità con gran fondamento e ragione. Egli non conosce più antichi Chiaramonti de’ Francesi, e toglie a quelli di Spagna con incredibile franchezza non meno di cinquecent’anni di esistenza, facendoli discendere dal Conte Manfredi di Clermont Ammiraglio di Sicilia verso gli ultimi anni del Secolo decimoquarto. Il fatto certo si è, che la Cronologia e la Storia (i due sicuri lumi, co’ quali rintracciar si debbono le verità fra le dense nebbie degli andati tempi) mi pongono davanti agli occhi la chiarissima famiglia, di cui vado in traccia, nata nel Principato di Catalogna nel secolo decimo, e forse anche prima; passata in Francia sul cadere dell’undecimo, ò verso i primi anni de dodicesimo; e trasmigrante in Italia dopo la metà del decimoterzo: anzi mi dimostrano ancora, che denominata fù, secondo il diverso gusto de’ tempi e delle nascenti lingue, dapprincipio Claromonte in latino, quindi Claramùnt in catalano, dipoi Clermont in francese, ed ultimamente Chiaramonti in italiano favella. Io seguirò i passi della famiglia, prendendone per ordine cronologico le più sicure notizie dalle medesime nazioni, alle quali si andò trasferendo con successivo domicilio. In Italia me ne porgeranno i documenti i Fazzelli, i Bonfigli, ed i Zàzzera, autori italiani accreditati, che di coteste materie scrissero appostatamente. Per riguardo alla Francia mi prevarrò di Edmondo Martène, e de’ già dianzi lodati Laboureùr, e Menestrier; anzi dell’Imhoff ancora, e de’ Bollandisti, perché de’ libri e manoscritti francesi ricavavano la più pura verità. I miei fondamenti poi per la Catalogna saranno i più rispettabili archivj di Barcellona; quelli degli Ordini Equestri, di cui furon degnissimi individui non pochi Chiaramonti; quelli delle nobilissime Case de’ Duchi di Cardona, e de’ Marchesi di Gironella, colle quale furono essi imparentati; e quello principalmente, che coll’antico nome e conosciuto di Archivio della Corona Aragonese; tesoro si copioso, e stimabile, ché il Francese De Marca, e molti altri coltissimi Stranieri, trattenutisi ad esaminarlo, han confessato sinceramente, non esservene altro in tutta Europa, che fosse con quello paragonarsi.
4 Or in Catalogna di Spagna (per cominciare dalla sorgente della famiglia) son tre i Castelli conosciuti col nome latino Claromonte, e catalano Claramùnt. Il primo è situato sù in alta montagna nella Contea Pallariense, poco più in sù di Talàrn, a gradi 17 e minuti 29 di longitudine, e gradi 42 e minuti 5 di latitudine; e ne hanno adesso il dominio feudale i Signori Conti di Lalèin. Il secondo è posto nel correggiamento di Villafranca sotto ad Igualàda all’occidente del fiume Noja, a gradi 19 e 13 di longitudine, e gradi 41 e 32 di latitudine; e ne sono padroni i celebri Duchi di Medina-Celi, come Signori di Cardòna. Il terzo è nella medesima situazione del secondo, diviso l’uno dall’altro da piccoli monti, da’ quali scende limpidissimo un ruscello ad accrescere le acque dell’anzidetto Fiume; e questo Castello è de’ Signori Marchesi di Gironella, Cavalieri Barcellonesi della primaria Nobiltà, che conservano ancora il cognome catalano Claramùnt, proveniente dal latino Claromonte, con cui nel medio evo si sottoscrivevano. Io tengo per certo che uno solo di questi Castelli fosse l’origine della casata, a quel tal Cavaliere attribuita, che secolo nono, ò poco più tardi, lo conquistò colle armi, discacciandone i Maomettani; e che gli altri due Castelli successivamente da altri due signori della medesima Casa, come più volte accadeva, lo stesso nome prendessero. Debbo poi credere in conseguenza, che l’accennato Conquistatore fosse dell’odierna famiglia di suddetti Marchesi di Gironella, più tosto che delle altre; non solo perché essa il cognome ne ritiene che nelle altre è mancato; ma ancora perché possiede l’antico Archivio domestico, dove conserva in autentiche Memorie fin dalla metà del secolo undecimo cristiano la serie de’ suoi Antenati Claromonti (2). E vuolsi sù di queste osservare, che essendo fin d’allora la famiglia non solamente nobile, ma chiarissima ancora, magnatizia; non invano se ne potrà prendere il principio del Conquistatore, che dissi, del secolo decimo ò nono, chiamato da alcuni Dalmazio.
(2) così mi venne assicurato dall’erudito Cavaliere Don Giuseppe Vega Sentmanàt, parente de’ Signori Chiaramonti Marchesi di Giranella, in lettere scrittemi da Barcellona ne’ primi mesi del 1804.
SECOLO XI
5 Di fatti io posso produrre della magnatizia Nobiltà del Secolo undecimo un Documento il più luminoso ed il più sicuro, che possa mai desiderarsi. Vuolsi sapere, che dagl’anni 1035 fino ai 1076 regnò in Catalogna il quindicesimo Conte di Barcellona Raimondo, denominato il Vecchio, figlio di Berengario, uno de’ Sovrani più sapienti della sua età; giacché Sovrano era, e monarca assoluto ed indipendente, benché altro titolo non avesse che quel di Conte; titolo che dura anche à giorni nostri, non punto alterato né accresciuto, e di cui si gloriava tanto il Gran Re-Imperatore Carlo Quinto, che non arrossi di affermare in Brusselles in pubblica udienza nel 1519, che più si compiaceva d’intitolarsi Conte di Barcellona che Imperatore de’ Romani.
Ora il Conte Raimondo, quando ancora non aveano gli altri Europei, né Italiani, né Francesi, né Inglesi, né Tedeschi, verun Codice provinciale, né municipale, compilò egli il suo per gli anni mille sessantotto, facendolo ratificare nel suo Palazzo in Congresso pubblico (secondo le nazionali Costituzioni dell’antica Spagna) de’ Principi Magnati della sua Corte in numero venti, uno de’ quali fu Bernardo figlio di Amato della Casa Barcellonese di Claromonte. Han parlato di questo rispettabilissimo codice (che gode della pubblica luce, e di eruditi commentarj) molti scrittori di tutte le nazioni; alcuni de’ quali per altro, lasciandosi facilmente trasportare dall’autorità del Cardinal Baronio, hanno asserito con patente falsità, che il congresso in cui approvato venne, fosse un concilio di Vescovi, a cui assistesse pure un Legato Pontificio (3). Ma siasi ciò come si voglia, il fatto innegabile si è, che le prime parole della Legislazione catalana dell’anno 1068 son queste, né più nè meno, tradotte dalla lingua latina all’italiano:
“queste son le leggi pratiche della Curia, le quali il Signor Conte di Barcellona Raimondo il Vecchio, e la lui moglie Almode, ordinarono, che si osservassero perfettamente nella loro patria, coll’approvazione ed acclamazione de’ MAGNATI del paese loro, di Ponzio cioè Visconte di Giròna, di Raimondo Visconte di Cardòna, di Ubaldo Visconte di Bas, di Gondebaldo Besòra, di Mirone figlio di Guilaberto, di Alamanno Cervellò, di
(3) ho trattato di ciò più lungamente nelle mie Storie Critica Tom. XII. Num. LV. Pag 71 72
BERNARDO CLARAMONTE FIGLIO DI AMATO, di Raimondo Moncàda, di Amato figlio di Enea, di Guglielmo Querale figlio di Bernardo, di Arnaldo Sanmartì figlio di Mirone, di Hugòne Cervèra figlio di Dalmazio, di Guglielmo il Depìfero, di Goffredo figlio di Gastòne, di Rinaldo figlio di Guglielmo, di Gilaberto figlio di Guitardo, di Umberto degli Acùti, di Guglielmo figlio di Marco, di Bonfilio figlio di Marco, e di Guglielmo Giudice figlio di Borrello” (4)
(4) ecco il testo latino del Secolo undecimo: haec sunt usualia decurialibus usibus, quos costitueront tenere in eorum patria omni tempore dominus Raymundus Barchinonensis Vetus Comes & Almodis ejus Conjux, Assessione & Exclamatione illorum terra MAGNATUM, Videlicet Poatii Vicecomitis Gerundae, Raymundu Vicecomitis Cardone, Uzalardi Vicecomitis Bassium, Gondebaldi de Bessora, Mironis Guilaberti, Alamnni de Cervilione, BERNARDI AMATI CLARIMONTIS, Raymundi Montiscthani, Amari Aenaes, Guillelmi Bernardi de Queralt, Arnaldi Mironis Sanctimartini, Hugonis Dalmatii de Cervària, Guillelmi Dapiferi, Gaufredi di Bastonis, Renaldi Guillelmi, Gilaberti Guitardi, Umberti de Acutis, Guillelmi Marchi, Bonifilii Marchi, & Guillelmi Borrelli Judicis.
6 Giacche tanto è luminoso e convincente il Documento, che ho riportato sull’antica nobiltà magnatizia de’ Barcellonesi Chiaramonti, mi si permetta di fare sù di esso alcune poche riflessioni, al nostro proposito opportune. Si osservi in primo luogo, che ricchissima essendo allora la citta di Barcellona, ed avendo la Catalogna, di cui essa era Capitale, un gran numero di Citta e Castelli, e più di cinquecento miglia di circonferenza, dovea necessariamente avere quella vasta Provincia non poche centinaja di famiglie doviziose e cospicue: onde essendone state chiamate al Palatino Congresso non più di venti, vuolsì tenere per cosa certa, che fossero queste in tutto quel Principato le più rinomate e distinte. Si osservi in secondo luogo, che deve forse ristringersi il numero
Non rechi meraviglia ò leggitori, che autorizzata fosse la nuova Legislazione non solo dal Conte, ma ancora dalla Contessa; imperocchè il Gran Codice Visigoto della nazione Spagnola il più antico e perfetto di tutti i Codici nazionali d’Europa, pubblicato in Francofort dal Lindembrogio nel 1613, Comandava, che le mogli de’ Sovrani vere Sovrane fossero, ed avessero luogo ed autorità ne’ supremi Consigli, e nelle Reali Segreterie, e né nazionali Comizj ò Parlamenti, che chiamavansi Corti. delle venti case magnatizie, a diciotto sole; imperocchè il Giudice Guglielmo, nominato in ultimo luogo, v’intervenne forse, non per i gradi della sua nobiltà, ma per l’impiego che avea; ed il Dapifero del Conte era della famiglia poc’anzi accennata de’ Signori Moncada, e se ne tace in questa (come in più altre Scritture) la Casata, perché già sapevasi da tutti, chi egli fosse, a cagione di essere a que’ tempi ereditaria de’ discendenti loro quell’onorifica Dignità.
Si osservi in terzo luogo, che nel testo citato di sole otto persone si dice il cognome, non accennandosi delle altre il solo nome del padre secondo il più antico uso, che fu pur de’ greci, e de’ Romani: la qual circostanza per le case di quelle tali Persone è onorevole assai; perché la nuova usanza de’ Casati si andava allora introducendo tra le più benemerite famiglie, le quali con personali prodezze, principalmente guerriere, degne si rendevano d’un particolare soprannome.
Si osservi in quarto luogo la differenza, con cui si nominano i Casati nel testo latino: tre di essi, secondo il più antico uso grammaticale, si fanno accordare co’ nomi, che son posti in genitivo, Montiscathani, Sanctimartini, Clarimontis; gli altri cinque, in istile di secoli più bassi, si pongono in ablativo collaPreposizione DE, De Besòra, De Cervària, De Queraldo, De Cervilione, De Acutis.
Questa riflessione, che parrà ad alcuni puerile, pur essa tale non è per riguardo alla famiglia, di cui ragiono: imperocchè i cognomi, nella prima maniera espressi, tra i quali v’è quello di Chiaramonti, dovettero nascere in tempi molto anteriori al mille, quando non altra lingua parlavasi, che la latina: ed i secondi s’introdussero posteriormente, allorché la nascente favella catalana, pervenendo la latinità, cominciato avea a trasformare i genitivi in altrettanti ablativi colla preposizione De: usanza, che pur ora dura in Catalogna, ove si sogliono distinguere con questa tal preposizione gli antichi cognomi delle più nobili famiglie.
Rilevasi da queste quattro riflessioni, che la Casa Chiaramonti nel secolo undecimo era una delle diciotto più illustri di Catalogna; una delle sole tre, che aveano un Casato antichissimo, anteriore di assai agli anni mille di Cristo.
SECOLO XII
7 Aveano per que’ tempi i rinomati Conti di Barcellona amplissime Signorie dentro di Francia. Goffredo, Mirone, Suniario, Seniofredo, Borrello, Raimondo, e Berenguèr, Signori successivamente di quella vasta Contea dagli anni 884 fino ai 1035, possederono un dopo l’altro nelle Gallie per eredità i dominj di Vallespir, Rossiglione, Conflent, e Narbona.
Raimondo Berengario I, che fu l’immediato Successore loro, ingrandì quelle sue possessioni gallicane, acquistando per compra le Contee di Razes, Coserans, Cominges, Carcassona e Mirepoix.
Il terzo Raimondo Berengario, nepote del primo, maggiormente ancora le ampliò, prendendo per consorte nel 1112 la Contessa Dolcia, che gli diede in dote tutti gli stati di Provenza con alcuni altri dell’Alvegna, e Gevaudàn (5).
Or tra i moltissimi Catalani, che ò per motivi personali, ò per servigio del loro Principe, si trasportavano allora di continuo a quelle provincie, vi passarono ancora alcuni Chiaramonti, de’ quali furon figli senza dubbio i primi
(5) Mi rimetto ai Tomi XIII. XIV. XV. Della mia Storia Critica di Spagna
Francesi Clermont: giacché indubitabile si è, che conosciuti furono i primi con quello stesso cognome latino, che aveano in Catalogna; e non in altra epoca nacquero, ché in quella del Dominio Barcellonese nella Francia; e non da altre contrade poterono uscire, ché da quelle delle suddette dominazioni.
Il primo di fatti, di cui si faccia menzione nelle antiche Scritture, e nelle più vere Storie, è un certo Sibaldo de Clermont, vissuto negli ultimi anni del Secolo undecimo, e primi del dodicesimo; progenitore della Casa di Clermont, domiciliata da principio nella provincia d’Alvegna, e del Delfinato, fino alle quali si stendevano gli anzidetti Dominj de’ Conti Barcellonesi. Di Sibaldo furon figli e nepoti nel duodecimo secolo un altro Sibaldo, ed un Guglielmo, che Signori si intitolarono di Clermont, illustre citta dell’Alvegna, rinomata pe’ suoi Concilj.
Da questo primo tronco trassero origine tutti gli altri Clermont della Francia, divisi poi successivamente in vari rami con altrettanti diversi soprannomi; de’ quali il più famoso o’ nostri giorni è quello di Tonnèrre, proveniente da una Contèa di questo medesimo nome, di cui coll’andar del tempo divennero padroni i successori ed eredi dell’anzidetto Sibaldo.
8 Ma io non debbo tacere in questo luogo un fatto memorabilissimo, che contribuì per avventura più di verun altro al concetto, che si acquistarono in Francia i Clermont, ed insieme con essi tutti gli altri Signori Barcellonesi.
Vuolsì adunque sapere, che verso gli anni mille, nel secolo della maggior barbarie d’Europa, era la Catalogna la meno incolta di tutte le provincie, ed in quella maniera, che permettevano quei tenebrosi tempi, dedicavasi fra le altre cose allo studio delle Leggi, e delle belle Lettere.
Per questi suoi principj d’un qualunque buon gusto, seppe ridurre a sistema il generale corrompimento della Latinità; e date avendo una qualche forma grammaticale alla sua novella lingua catalana, la fece servire al verso, ed alla rima volgare, di cui avea ricevute dagli Arabi le prime idee.
Entrata fin d’allora la nuova favella in Mirepoix, e negli altri paesi vicini, che diconsi adesso di Linguadocca, e soggetti erano a Barcellona; fu detta dapprincipio dà Paesani La Lingua dell’Oc per l’impressione che lor fece la novella parola Oc, ossia Hoc, che in catalano significava Si; e diramandosi dipoj verso Settentrione, fu denominata Lemosina, dal nome Lemovicum, che aveano già dianzi quelle contrade, chiamate dà modernicdi Limogè. Ma quando acquistò più grido la lingua Catalana, e con essa pur la poesia, fu nell’anno che dianzi accennai del 1112, nel quale i Berengorj di Barcellona (chiamati dal Tiraboschi i Berlinghieri per occultarne l’origine) contornati d’una corona numerosissima di Cavalieri e Poeti catalani, fissarono in Provenza la lor, dimora; e con sì lodevole generosità protessero e fomentarono la patria lingua e poesia, denominata fin da que’ giorni provenzale; ché invaghitasene tutta la Francia cominciò a poetare in quella volgar favella, la quale ridotta dipoi all’odierno gusto fu chiamata francese.
E mi si permetta di aggiungere in questo racconto, che non è Francesi solamente, ma gli Italiani ancora, debitori sono alla Catalogna della Lingua e della poesia loro. L’una, e l’altra fu introdotta in Napoli dal Principe Carlo d’Anjou, il quale essendo stato educato per ordine di suo fratello San Luigi nella Corte provenzale de’ Berengarj, ed essendosi per matrimonio imparentato col loro, trasportò seco al suo nuovo Regno napolitano nel tredicesimo secolo molti Poeti di Provenza, e di Catalogna, tra i quali si distinse il Barcellonese Guglielmo Visconte di Berga, le cui poesie si conservano inedita e oziose, al pari di molte altre ugualmente dimenticate,nella Biblioteca Vaticana di Roma.
Ma prima assai, che nel Regno di Napoli fu trapiantata in Sicilia la suddetta lingua e poesia da Federico Primo Imperatore, il quale gustata avendola in Torino in un’Accademia datagli nel 1162 da Berengario Secondo, cominciò a studiarla con ogni premura, e diede della sua applicazione il primo Saggio co’ dieci seguenti versetti, che traduco dall’originale catalano all’odierna lingua dell’Italia.
Amo il Cavalier Francese,
E la Donna Catalana;
L’Artefice Genovese,
E la Corte Castigliana,
Il Canto Provenzalese,
E la Danza Trevisana:
Amo tra i volti l’Inglese,
Tra i Garzon quel di Toscana,
Tra i Corpi L’Aragonese,
e tra le Amiche Giuliana. (6)
(6) Plasml Cavaller Francès, e la Dona Catalana. Intorno a tutto ciò, che ho accennato in questo articolo sulla lingua e poesia Catalana, madre della Francese, e dell’Italiana, potran consultarsi dalle studiose Persone, il Bastèro, il Campmany, il Dryden, il Notredame, il Riquièr, il Bòuche, il Pitton, il Millot, il Du Cànge, il Varchi. Il Bembo, il Fontanini, il Quadrio, il Crescimbeni, e molti altri.
Or per tornare al mio discorso, un’epoca memorabile, in cui per secoli quattro, dal nono fino alla maggior parte del tredicesimo, dominarono i Conti Barcellonesi nelle Province Meridionali della Francia; e vi trasportarono dalla Catalogna successivamente Lingua e Poesia, Cultura e Buon-gusto, Poeti e Cantori, Sovrani e Cavalieri; presenta quest’epoca senza dubbio un’opportunità la miglior di tutte per rintracciare la vera origine de’ Signori Claramonti di Francia, essendo nati principalmente (come già dissi) in quella stessa epoca, in quelle stesse Province, e con quel medesimo cognome, che più antico era in Catalogna.
9 Risonavano pe quel tempo le grandi azioni ed illustri di quella cospicua Casa, di cui non debbo tacere i seguenti nomi, giacchè si conservano ancora per buona sorte in autentiche pergamene del dodicesimo secolo.
- DEUSDEDIT. Era egli un’intimo Amico del Principe Don Raimondo Folchio Visconte di Cardona, il quale ai 27 di Luglio del 1150 nell’importante suo testamento, che tuttora originale si conserva, glie ne affidò amichevolmente l’esecuzione.
- GUGLIELMO. Nel mese di Decembre del 1175 assistette alla formale convenzione fatta per iscritto da Don Alfonso Conte di Barcellona Re d’Aragona col Cavaliere Don Pietro di Menova intorno all’uso, che dovea farsi, d’una nuova Fortezza edificata da questo secondo nella Valle di Mosset.
III. BERNARDO. Fu ricchissimo Signore, ed egualmente pio: nel giorno 24 di Luglio del 1184 diede in dono un suo Castello, chiamato di Ballestar, al santo spedale di Gerusalemme.
- GUGLIELMO. Sia egli diverso, o’ non sia, dal nominato nel numero II; è certo, che dettò il suo testamento ai 25 di Febbrajo del 1190, chiamando pe esecutori i due fratelli Arnaldo, e Guglielmo, della chiarissima Casa di Montaliu, che ancora esiste; e sopravvissuto poi alcuni anni, fece nel 1192 una gratuita donazione d’alcuni de’ suoi beni al Conte-RE suo Sovrano.
- VI. SAVRINA ED ERMESINDA. La prima di queste due sorelle, col consenso della secondi, ai 18 di Luglio del 1193 cedette a Bernardo Montaliu amico della Casa, a titolo di generosa donazione, il suo Castello di Vespella.
VII. RAIMONDO. Fu Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni, che ora chiamasi di Malta; e vi fu promosso ancora al supremo Magistero, secondo l’autentica Memoria, che in Barcellona se ne conserva, con data de i 26 d’ottobre del 1194.
VIII. ARNALDO. Ascese pur egli a tutti i gradi di onore nell’ordine equestre de’ Templarj, avendone avuta nel 1194 la Commenda Aragonese di Monzon, e nel 1199 il magistrale comando in tutta la Spagna, e Provincia.
SECOLO XIII
10 Non fu meno fecondo il secolo tredicesimo di memorabili Personaggi della stessa Casa Magnatizia, la di cui seria cronologia io non farò ché accennare per rendere a sì chiari uomini colla maggior concisione possibile una piccola parte almeno dell’onore che è lor dovuto.
- SAURINA. Questa ricchissima Signora, poc’anzi nominata, in difesa delle sue possessioni e giurisdizioni sostenne una lite formale contra la rispettabile famiglia de’ Signori di Cordòna, co’ quali i Chiaramonti erano imparentati.
- GUGLIELMO. Si distinse colle armi e col denaro nelle famose guerre del Conte RE D. Giacomo I contra i Maomettani di Majorca.
Nel 1228 contribuì per la metà della spesa alla formazione d’una scelta Compagnia di trenta Cavalieri, ed altrettanti scudieri: e nel 1230 guerreggiò in persona con sì mirabile e fortunato coraggio; ché degno fu creduto d’aver una distinta parte nella distribuzione delle terre colle quali premiò il gratissimo Conquistatore i più fedeli e valorosi Guerrieri.
- BERNARDO. Si rese celebre per gli anni 1237 e 38 nelle guerre di Valenza sotto alle bandiere dello stesso Monarca. Colle grandi e pericolose azioni, alle quali egli s’espose intrepidamente per discacciarne gli Infedeli, contribuì per gran maniera alla memorabile conquista di quel delizioso regno.
- HUGONE. Essendo egli Religioso dell’Ordine della Mercede, che era a que’ tempi militare ed equestre, fu compagno dell’anzidetto Bernardo nella medesima guerra e conquiste, e se ne conserva di fatti l’antico Ritratto nella Citta di Barcellona, non con abito da Frate ma da Guerriero, in un grosso mattone invernicato.
- VI. GIACOMO E PIETRO. Questi due
fratelli ebbero pure una gran parte nelle stesse glorie Valenziane, essendo stati ambedue sì arditi ed intraprendenti, che li premiò il Sovrano Barcellonese nel nuovo Regno conquistato con ricchissime possessioni e tenute.
- GUGLIELMO. Si acquistò gran nome per gli anni 1277 nelle vittoriose scorrerie del Conte-Re Don Pietro, il quale ve lo invitò a bella posta per l’alto concetto, che di Lui avea.
- PIETRO. Nel 1286 concorse con vero zelo e coraggio alla difficile conquista di Maòne, e di tutta l’isola di Minòrica; e non fu di certo inferiore a veruno de’ molti Cavalieri, che vi contribuirono, e giovarono.
- GUGLIELMA. Voglio chiudere le memorie catalane del Secolo Tredicesimo col chiarissimo nome di questa Vedova, la quale, come Erede di Don Guglielmo Claromonte suo marito, era Signora del Marchesato di Tamarit, che giace sulle coste di Catalogna, presso alle bocche del fiumicello Gaja, otto miglia in circa più in sù del porto di Tarragona. Avendo fatto ricorso questa Signora contra i Negozianti Barcellonesi, perché vedendosi protetti graziosamente dal loro amatissimo Sovrano, vollero esimersi di pagare i dazj marittimi di transito; si chiare ragioni addusse di questo suo Diritto,
e nell’antica consuetudine si ben fondata; che’ il giustissimo Principe, fattosene giudice egli medesimo, decretò, dopo udite le parti, con data de i 19 d’agosto del 1243, che tutte le merci del negozio di Barcellona, le quali passassero sopra bastimenti da remo per le acque di Tamarit, dovessero pagare ai Signori Chiaramonti l’antica gabella: ove principalmente è da osservarsi, che una sentenza tale, appunto perché data da quello stesso Conte-Re, il quale conceduta avea poc’anzi al Commercio Barcellonese una perpetua e generale franchigia per tutti i suoi Stati e Dominj senza la più minima riserva, pruova in gran maniera, quanto indubitabili fossero ed antichi gli onorifici Diritti di quella nobilissima famiglia.
11 Concorse molto per que’ medesimi giorni ad ingrandirla nella Gallie lo stretto parentado, con cui si unirono le Corti di Francia, e di Spagna.
Luigi Ottavo ebbe per moglie la Regina Donna Bianca di Castiglia, che governò i regni di Francia con meravigliosa prudenza nella minor età del suo figlio; San Luigi Nono, ed il di lui fratello Carlo, si sposarono colle deu Signore catalane Margherita e Beatrice, la seconda delle quali seco portò in retaggio alla Real famigli di Parigi la Contèa di Provenza nel 1245.
Con questi splendidissimi matrimonj si sparse per tutta la Francia la Nobiltà spagnuola, e singolarmente la Barcellonese, e si collegò con molte Case di quel Regno, accrescendone lo splendore, e la ricchezza.
Salita con sì opportune vicende la famiglia Chiaramonti al più alto grado di riputazione, si diramò per molte provincie sino alle frontiere de’ Paesi Bassi; ed or da questo ramo, or da quello, diede personaggi chiarissimi, tra i quali son degni di particolar memoria il Conte Simone, ed il di Lui figlio Ridolfo, essendo stato il primo di essi Reggente della Francia, a tempo del viaggio di San Luigi in Africa, e riconquistata avendo il secondo la Guenna, benché ripresa poi dagli Inglesi, e lungamente da essi ritenuta.
Fu per questi medesimi tempi, che entrò nell’augusta Casa di Francia una delle Contee di Clermont, quella cioè del Beauvois, per la morte succeduta nel 1218 della Contessa Catterina, unica figlia ed erede del Conte Ridolfo Contestabile di Francia.
I coltissimi Maurini Martène e Durand pubblicarono su di ciò due preziosi manoscritti degli anni 1223 e 1258, dà quali si rileva, che posseduta fù successivamente quella Contèa nel secolo tredicesimo da Filippo
Fratello di Luigi Ottavo, da Giovanna figlia di Filippo morta senza successione, e da Roberto figlio di San Luigi Nono, che è quegli stesso che diede alla famiglia Reale il nuovo cognome di Borbòn insieme col Ducato di questo nome.
12 Filippo L’Audace, successore di San Luigi, non guardando di buon occhio un certo Arrigo Clermont, di quelli dell’Alvegna Discendenti immediati de’ Barcellonesi, gli diede motivo per gli anni 1271 a trasferirsi colla sua famiglia alla Città di Napoli, dove si occupò nelle guerre al servigio del Re Carlo d’Anjou.
Pochi anni durò egli in quella Corte a cagione de’ vicendevoli eccessi del Re Carlo, e di Arrigo, invaghitosi il primo della Sposa del secondo, e il secondo della figlia del primo.
Il fatto si è, che passata la terribile burrasca de’ famosi Vespri, dalla quale rimasero assorbiti in Sicilia tutti i Francesi nel 1282, Arrigo colla sua moglie, e con un suo figlio Simone, si trasferì in quell’Isola alla Corte del Re Don Pietro d’Aragona, che acquistati avea quei Dominj dalla sua moglie Costanza, figlia ereditiera del Re defunto Manfredo.
SECOLO XIV
13 Domiciliati in Sicilia i novelli Chiaramonti, che così in Italia furono detti secondo il gusto dell’italiana favella, vi soggiornarono tranquillamente per un secolo; alla quale epoca appartengono due celebri Giovanni, nonno, e nepote; de’ quali il primo ebbe i governi di Palermo, e di Siracusa, e sostenne per terra e per mare onoratissime guerre, ed il secondo pe’ suoi fedeli servigi meritevole si rese dalla Contèa di Mòdica, di cui volle onorare il Re aragonese Don Federico. Ma sfortunati furono i Successori di questo novello Conte, il figlio cioè chiamato Manfredo Ammiraglio di Sicilia, ed i nepoti Simone ed Andrea figli di quest’ultimo; giacché dimenticatisi della nobiltà del lor sangue, dell’incorrotta fedeltà de’ loro Antenati, e de’ benefizj ricevuto dal loro Sovrano, suscitarono contra il Governo alcune sedizioni, in conseguenza delle quali morì Manfredo demente, Simone degradato, ed Andrea decapitato, essendo succeduta questa catastrofe sul cadere del Secolo quattordicesimo prima degli anni mille quattrocento. Non recò per altro verun danno questo sinistro rovescio di fortuna al rimanente della cospicua famiglia, essendosi anzi allora più che’ mai nobilmente ingrandita, dacché si sposò Costanza Chiaramonti figlia dello sfortunato Manfredo per gli anni 1390 col Re Ladislao d’Ungheria.
14 Fioriscono infatti nelle Gallie in quel medesimo secolo decimoquarto (per accennare solamente i più rinomati) un Guidone, Capitano Generale e Maresciallo di Francia, un Giovanni, ch’ebbe gli stessi impieghi militari, ed ottenne la Signoria di Chantillì; un altro Giovanni anteriore, stato Consigliere e Ciambellano del Re, al di cui servigio si distinse nell’assedio di Angoulème; un Cavaliere Goffredo, che si sposò con Beatrice de’ Conti di Savoja, un Arnaldo finalmente, che si segnalò nel Delfinato fra tutti i Parenti suoi per le amabili qualità del suo spirito. Il Delfino de’ Viennesi chiamato Umberto, questi stesso, che cedette la sua Signoria ai Primogeniti della Casa Reale, denominati per questo motivo Delfini, diede ereditariamente al suddetto Arnaldo, nel 1340 gli onori di Consigliere, la carica di Maggiordomo del suo palazzo, il titolo di Capitan Generale di quella Provincia, ed inoltre una Viscontèa intitolata pur essa di Clermont. I di lui figli Goffredo ed Ainardo seguirono ad ingrandire maggiormente l’antica lor Casa, acquistando con alleanze matrimoniali, il primo la Signoria di Montoisòn; ed il secondo gli stati di Surgerès e di Dampièrre.
15 In Catalogna similmente continuarono a conservare i Signori Chiaramonti il glorioso credito de’ nobilissimi Antenati, che per opre di coraggio e di fortezza principalmente si distinsero.
Io trovo di quest’epoca un valoroso Berenguèr, o’ come dicesi in Italia Berengario, il quale seguì con molta gloria nel 1309 i barcellonesi stendardi del Re Don Giacomo II nella romorosa guerra, ch’egli mosse ai Maomettani d’Almeria.
Trovo un Giovanni, a cui per gli anni 1330 fu affidato del Re Don Alfonso IV l’importante Fortezza di Penìscola nel Regno di Valenza, trovo un Domenico, al quale nel 1337 fu data da Don Pietro terzo la golosa sopraintendenza del Real Erario col titolo allora usato Maestro Raziale; ed a cui inoltre diresse lo stesso Re due diversi Diplomi, facendovi magnifici elogj all’antica nobiltà del di Lui legnaggio.
Un altro finalmente ne trovo, di cui è perito il nome, rimunerato verso la metà del Secolo decimoquarto pe’ suoi militari servigi con ricchissime possessioni nel Regno di Murzia.
SECOLO XV
16 Il secolo quindicesimo poi mi presenta frà molte altre memorie un Documento dell’anno 1456, che gratissimo particolarmente dovrebbe riuscire a chi di notizie divote in singolar maniera si diletti.
Si ebbe in Barcellona, nel suddetto anno un Congresso nazionale, di quelli che allora chiamavansi Corti, nel quale facendo le veci del Conte-Re Don Giovanni il di lui fratello Re di Navarra, sottoscrisse il seguente Decreto, che traduco letteralmente dal Catalano: “ con lode, consenso, ed approvazione delle seguenti Corti, anzi a richiesta e premura delle medesime, si decreta, si ordina, e si comanda con perpetua ed irrevocabile Costituzione, che verun mai nel Principato di Catalogna, Ecclesiastico o’ Laico, Secolare o’ Religioso, Mendicante o’ Non = Mendicante, di qualsivoglia classe, o’ egli sia, ardisca pubblicamente o’ segretamente, predicare o’ dommatizzare, affermare o’ accennare, che la Madre Vergine Maria nella sua santa concezione si stata macolata di peccato originale, né osi di confutare o’ riprovare la pia opinione contraria, o’ chiamarla falsa, o’ improbabile, o’ indivota: e sia noto a tutti, che i contravventori saranno tenuti issofatto per nemici del Signor Re, ed esiliati in perpetuo dal Principato di Catalogna, senz’alcuna speranza di grazia, o’ remissione, o’ perdono”.
Questo fu il piissimo Decreto de’ Catalani: sul quale vuoisi sapere al nostro proposito, che uno de i settanta Magnanti, che lo autorizzarono coi loro nomi, fu il nobilissimo Artaldo dei Claromonti; gloria pur essa piccola, di cui la cospicua Casa, che tanto adesso si distingue fra’ molte per la sua pietà e religione, potrà non meno vantarsi, che’ delle civili e militari.
Ma il secolo di cui favello, merita un luogo ancor più distinto nella storia genealogica de’ Chiaramonti, per essere stata la vera epoca delle loro più notabili diramazioni. Fu allora, quando più si sparsero per la Spagna in varie provincie di quei vastissimi dominj; allora quando si moltiplicarono per le Gallie co’ novelli soprannomi di Thourì, d’Anjou, e di Tonnerre; ed allora parimenti, quando più noti si resero in Italia colla lieta esaltazione d’Isabella Claromonte, di cui era padre il Conte Tristano, e Zio materno il Principe di Tarànto; fanciulla di grandi speranze, divenuta Sposa nel giorno 30 di Maggio del1445 del Real Infante Don Ferdinando Duca di Calabria, figlio ed erede del Re di Napoli Don Alfonso d’Aragona.
17 ed eccomi giunto col più cospicuo matrimonio alla precisa epoca de’ Signori Chiaramonti di Cesena, domiciliati appunto per que’ medesimi anni in quella Città della Romagna.
Il cortesissimo Signor Commendatore Don Gregorio, fratello di Sua Santità, cui ho consultato per lettere, mi assicura, non altra memoria conservarsi nella sua Casa paterna, che un Ritratto in tela, sotto al quale si legge in parole latine: Simone della famiglia francese de’ Claromonte diffusa per l’Italia: ne’ altro mi dice oltre di ciò, se non che furon due quelli che in Cesena si domiciliarono poco prima della metà del Secolo quindicesimo, fratelli o’ parenti di altri due morti in Sicilia senza figli, uno de’ quali fu condecorato in quell’Isola cogli onori di Capitan Generale.
Invano se ne ricercherebbero più specificate notizie, non avendole la famiglia, né la Città; la prima, perché non se ne prese cura, come in più altre Case succede; e la seconda, perché l’Archivio pubblico, un mezzo Secolo più tardi, fu divorato dalle fiamme.
Malgrado peraltro queste scarse memorie, io vedo insieme combinati in un medesimo tempo tre chiari articoli di Storia:Che la Sposa del Real Infante D’Aragona discendeva dai Claromonti del Delfinato figli de’ Barcellonesi: che coll’occasione di questo Sposalizio concorsero in Italia, e vi si fermarono, varj Parenti della medesima: che questa concorrenza, chiamata nell’antico Ritratto diffusione, diede motivo a’ medesimi, onde fissare in Cesena una Casa, la quale più fortunata delle altre, si è propagata fino a giorni nostri.
Gli eserciti della Real Corte Aragonese di Napoli, che difendevano allora la Santa Sede, e scorrevano vittoriosi, più che altrove, per le maremme della Marca, e della Romagna; diedero ai Chiaramonti la più opportuna occasione per quel felice domicilio, a tempo che essi, come guerrieri, e come parenti ancora della Real Sposa, doveano seguirne le bandiere.
La famiglia adunque del Regnante Pontefice ha due relazioni memorabilissime colla Città di Barcellona, quella di discendere da i Claromonti del Delfinato, che quella Capitale provengono; e quella di essersi una volta imparentati co’ Sovrani Aragonesi di Napoli figli degli antichissimi Conti di quella medesima Città.
18 Ma io voglio aggiungere ancora qualche riflessione su i diversi Stemmi della cospicua famiglia, di cui ragiono. La prima e più anticaInsegna della Casa fu una montagna indorata con un fiore a tre foglie sulla cima; il qual fiore non può confondersi col giglio reale di Francia, di cui dianzi parlai, si perché ha le frondi più diritte, e diversamente costrutta, e si ancora perché usato fu in Catalogna più di cent’anni prima, ed anche forse dugento.
I Chiaramonti delle Gallie, divisi in più rami, cangiarono col tempo questo antico Scudo con altri più moderni, chi prendendo sei fascie, chi tre capri, e chi due chiavi incrociate; delle quali tre Insegne fu la terza quella che passò in Italia, essendone stata l’origine, secondo la più probabile opinione, il premio, che con ciò volle darsi ad un Sibaldo Claromonte Gonfaloniere di Sua Santità pel singolare valore, con cui difese negli affari delle due Sicilie il partito del Papa, e della Francia.
Alle due chiavi pontificie furon sostituite dà Chiaramonti di Cesena tre teste di Mori, accennanti in generale il popolo de’ Maomettani, perché questi volgarmente si dicono Mori, e come Mori si dipingono, benché tali tutti non sieno ne’ per patria, ne’ per colore.
Ebbero essi delle buone ragioni politiche sì per lasciar le chiavi, che prendere suddette teste di Maomettani.
Sudditi essendo e Parenti de’ Sovrani d’Aragona,non conveniva, che portassero delle armi, date per memoria ed onore ad un’alleanza, che nemica fu degli Aragonesi: mèmori poi degli Antenati loro catalani, che si distinsero in Ispagna colle armi alla mano contro i figli di Maometto al servigio appunto di quegli incliti Conti di Barcellona, da’ quali discendevano per sangue i lor Sovrani di Napoli, non potevano scegliere Insegna più propria di quella che presero, onde rendere ad un medesimo tempo ed onore alla verità, ed omaggio a’ lor Principi, e gloria religiosa e militare alla propria lor famiglia: ed ecco un altro argomento, che mi porgono i Chiaramonti Cesenati di esser veri nepoti di quei Barcellonesi, de’ quali accennai poc’anzi le memorie più autentiche ed onorifiche (7).
(7) Sembra, che lo stemma delle tre teste di Mori fosse adottato ancora da quei Chiaramonti di Francia, che si diffusero (come dissi) per l’Italia in occasione del Real Matrimonio della loro Parente Donna Isabella; giacché nella serie de’ Vescovi Tusculani, che descritta si conserva in una Sala del Palazzo Vescovile di Frascati, contrassegnata è con quello scudo di armi la memoria dell’Eminentissimo Cardinal Francese Don Francesco Guglielmo De Claromonte, creato Vescovo di quella Chiesa, e Decano del Sacro Collegio, dal Sommo Pontefice Clemente Settimo nel 1523. Son debitore di questa opportuna riflessione ai coltissimi Signori della chiarissima Casa Piccòlomini.Né io passo più oltre, come pur potrei a tesser la loro Storia cronologica dal quindicesimo Secolo fino al nostro; perché non essendo questo il mio principal disegno, ne lascio volentieri la cura a chiunque altro Letterato, che voglia in ciò lodevolmente impiegarsi.
Mi contento d’aver provato, che la famiglia de’ Chiaramonti era già nobile in Catalogna fin dal Secolo decimo almeno: che nell’undicesimo Secolo aveva un luogo distinto in Barcellona fra le principale, e Magnatizie: che fin da’ primi anni del dodicesimo, penetrata per le province di Francia, vi ascese a’ più alti gradi di onore: che passò per desiderio di Goria a’ regno di Napoli e di Sicilia verso il fine del decimoterzo: che essendosi anche di più nobilitate per le sue matrimoniali alleanze co’ Reali Principi d’Ungheria, e co’ Sovrani D’Aragona, pervenne finalmente verso la metà del quindicesimo Secolo alla Città di Cesena; dove conservato avendo per tre secoli e mezzo il rispettabile credito de’ suoi Antenati, è stata ultimamente da Dio a più alto grado innalzata col supremo onore sacerdotale dell’ottimo PIO SETTIMO.