Cronaca e presentazione del libro di Carlo Patatu da parte di Andrea Corso, presidente Lions Club di Castelsardo
Sabato scorso, in un’aula consiliare affollata come accade di rado, è stato presentato ufficialmente l’ultimo libro pubblicato da Carlo Patatu, “Il paese che non c’è più”.Dopo i saluti di Antonio Portas, autore della presentazione e cerimoniere del Lions Club Castelsardo, che insieme al Comune di Chiaramonti ha sponsorizzato la manifestazione, sono seguiti i saluti del sindaco Marco Pischedda e dell’assessore alla Cultura Maria Antonietta Solinas.
Quindi hanno preso la parola, in veste di relatori, il presidente del Lions Club Andrea Corso, l’autrice della prefazione Luisella Budroni e il curatore della grafica Silverio Forteleoni.
Fra un intervento e l’altro, sono stati proiettati un paio di filmati, realizzati da Carlo Patatu negli anni Sessanta del Novecento, per testimoniare, anche con le immagini, com’era Chiaramonti in quegli anni.
A seguire, il dibattito, che ha registrato i contributi di Narduccio Dessole, Claudio Coda, Giovanni Soro, Angelino Tedde e Tore Patatu. Quindi le conclusioni dell’autore.
Riportiamo integralmente l’intervento del primo relatore Andrea Corso.
È un vero piacere essere stato coinvolto da Carlo nella presentazione di “Il paese che non c’è più” e per questo lo ringrazio, sia a nome mio personale che del Lions Club Castelsardo che rappresento.
Devo però anzitutto scusarmi con lui per avergli fatto il torto, prima di leggerlo, di dubitare che il suo libro potesse essere simile, e dunque un po’ noioso, ad altri di questo genere, fatto peraltro prontamente smentito non appena ne ho iniziato la lettura.
Spero anche che la fiducia da lui riposta in me, che per vocazione e formazione sono in prevalenza uomo di numeri, non venga delusa.
Vorrei in primo luogo richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo è un libro di ricordi ed emozioni e che fa vibrare sotto la superficie corde profonde.
Nel leggerlo ho avuto la sensazione di essere entrato in una macchina del tempo. Mi sono sentito proiettato all’indietro sino agli albori della memoria, ai miei primi ricordi che, purtroppo, sempre più sfumano col passare del tempo.
Tantissimi episodi che ho vissuto mi sono tornati alla mente, prova del fatto che gli uomini sono gli stessi sotto qualunque cielo.
Tra questi uno in particolare, legato alla televisione, è tuttora molto vivido : l’incontro del pugile Mario d’Agata sconfitto, il 1 aprile 1957, dal francese Halimi: è stata la prima volta che, grazie ai buoni auspici di mio padre che mi accompagnava ed in violazione della ferrea norma che vietava l’accesso dei minori nei bar, ho potuto vedere la televisione.
Nel rivivere quei ricordi di episodi incredibilmente somiglianti sia per i personaggi che per le circostanze, ho realizzato che non vi erano poi grandi differenze tra i piccoli paesi sardi come Chiaramonti, Castelsardo od altri simili. Ho anche avuto la certezza che chi ha vissuto quell’epoca ha assistito, forse inconsapevolmente, al passaggio dal “medioevo” all’era moderna, poiché sono convinto che la vita di quel periodo sia più “vicina” al medioevo che all’attualità. Carlo ha il merito di aver descritto questo passaggio con grande maestria, con rigore quasi scientifico stemperato da una sottile ironia di cui, peraltro, solo pochi sono dotati.
Il libro viene definito da Antonio Portas, già Presidente del Lions Club Castelsardo nella sua bella presentazione, enciclopedia, romanzo, testo storico: fatto che condivido.
A mio parere però è principalmente un testo storico. Appropriandomi della classificazione della storia proposta da Nietzscke, che la definisce tipologicamente monumentale, antiquaria, critica e che utilizza i termini utile e dannosa, direi che questo è un libro di storia antiquaria utile, perché ci parla degli aspetti minimi e ci fa sentire eredi di un passato meritevole di essere conservato, senza però ergerlo a totem immutabile.
Ma è anche un libro di storia monumentale utile, in quanto guarda al passato per ritrovarvi quegli insegnamenti e quei maestri che al presente purtroppo non paiono esistere.
Il contenuto del libro si intuisce già nella foto di copertina in cui è possibile vedere una tipica scampagnata. Insieme agli elementi tradizionali (personaggi, berretti e scarpe “vintage” ) sono però presenti elementi di modernità (la chitarra con tastiere di madreperla, occhiali da sole e Borsalino).
Credo che in questa foto sia racchiusa la trama del libro che è costituita dal dipanarsi delle vicende in un momento di potente ed inarrestabile cambiamento che si contrappone all’esistente che, pian piano, è costretto a cedere il passo.
Carlo vive questi ricordi con nostalgia e, forse, un po’ di rimpianto senza però sconfinare nel rammarico per l’età perduta. Questi sentimenti sono bilanciati dalla consapevolezza dell’ineluttabilità, quasi della necessità storica, del cambiamento avvenuto, reso possibile anzitutto dall’accesso di massa alla scuola, ed in secondo luogo dalla comparsa e dalla diffusione della televisione, che, soprattutto ai suoi inizi, fu un potente veicolo di conoscenza e cultura.
Non voglio però annoiarvi oltre con queste considerazioni, lasciando a voi il piacere di scoprire da soli ciò che questo bel libro racchiude.
Ritengo però necessario svolgere alcune brevi considerazioni finali:
- molto utile la sinossi iniziale contenuta nella prefazione, che ci aiuta a districarci nella lettura susseguente;
- il linguaggio è diretto, piano, privo di inutili fronzoli, di facile lettura, articolato su una impeccabile sintassi;
- la veste tipografica, opera dell’amico Silverio Forteleoni, è molto curata e gradevole.
La sapiente commistione delle immagini col testo contribuisce a rafforzare l’atmosfera di nostalgia che pervade il libro.
In conclusione posso affermare convintamente che “Il paese che non c’è più” è un libro che merita non solo di essere letto per la sua godibilità, ma anche di essere “consultato” per l’incredibile mole di notizie, quasi certamente destinate all’oblio senza questo libro, che Carlo ha regalato a Chiaramonti ed a noi tutti.