Antonio Loriga: “La collegiata di Osilo (1727-1892)” recensione di Angelino Tedde
La collegiata di Osilo.Arcidiocesi di Sassari. II.Dalle origini (1727) alla conclusione (1892). Storia e documentazione, Carlo Delfino editore, Sassari 2016. pp. 616
Con questo ultimo lavoro mons. Antonio Loriga, già Rettore dell’Istituto di Scienze Religiose di Sassari, aggregato alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, ha completato una parte notevole delle vicende storiche del borgo e del suo territorio. Soltanto cinque anni fa ha pubblicato il I volume
“I. Dalle origini alla pievania” (Sassari, 2011 pp. 412). E non ci fermiamo a richiamare gli altri più brevi lavori che ha portato a termine precedentemente. Quest’ultimo ponderoso volume è arricchito, come del resto il precedente, da un’interessante appendice documentaria e da una suggestiva appendice iconografica, un’edizione curata vicina alla collana della Rubbettino nella cui tipografia è stato stampato per conto dell’editore Carlo Delfino.
Questi lavori fanno venire l’invidia agli studiosi di quei centri di origine tardomedievale come potrebbe considerarsi Chiaramonti, il mio paese amatissimo, già castello anch’esso, poi borgo e ora in agonia come il suo centro storico e le sue vestigia, che, purtroppo, a tutt’oggi non sono stati oggetto di un grosso studio generale come questo di Osilo e del suo territorio, quantunque bisogna dare merito alla scuola dello storico archeologo medievista Marco Milanese che ha fatto la ricognizione dei villaggi abbandonati del territorio.
La bibliografia del nostro autore è ampia anche se non manca qualche neo, (chi neo non ha, bello non è, dice il proverbio), che, per evitarlo, avrebbe dovuto, a mio modesto avviso, attenuare i giudizi “sardisti” sulla cornice storica dell’Isola, scegliendo la via mediana, in medio stat virtus di altri noti storici.
Dei dominatori occorre mettere in luce indubbiamente i grossi limiti della loro egemonia, ma riconoscere anche i meriti, ad esempio della politica culturale dei re spagnoli con la fondazione delle due università e di ben 15 collegidi studio e formazionee e quella degli stessi re sabaudi che promossero l’ammodernamento delle istituzioni e la grande e profonda opera del Bogino, di Carlo Felice e di Carlo Alberto. Al primo va il merito dell’istituzione della scuola normale <elementare> e del Codice civile e criminale, al secondo, oltre all’abolizione del feudalesimo, va il merito della concessione dello Statuto, della riforma della scuola feliciana che diventa decisamente elementare (1841) e alla promozione degli asili aportiani (1848).
Rilevata questa patina sardistica, sia pure spinta dall’amor patrio, per cui i dominatori non fecero che sfruttare la Sardegna, veniamo ai grandi meriti che questo lavoro, estremamente analitico e da certosino ha.
La ricerca è dedotta dai numerosi verbali che in 165 anni i segretari canonicali della collegiata hanno steso e quanto da essi si può dedurre.
Lavoro gravoso e caparbio che ha messo a dura prova la tempra del nostro storico, del resto già collaudata col precedente lavoro su Osilo.
Le collegiate canonicali vennero regolarmente istituite dove vi era la residenza del vescovo delle diocesi, quasi un ausilio spirituale e pastorale ai presuli, ma furono istituite anche là dove sussistevano le peculiari basi per farle funzionare secondo consuetudine e canoni oppure sussistettero dove già esisteva una cattedra vescovile ormai estinta, ma continuavano ad esservi le condizioni per la loro sussistenza e funzionamento.
Il collegium ebbe come consuetudine e regola di pregare, salmodiando, con precisi riti, secondo l’intero ciclo liturgico, badando alle festività delle tre persone della SS. Trinità, della Vergine Maria e dei santi ormai agli onori degli altari, ma anche per i vivi e per i defunti; di coltivare il canto sacro e di svolgere attività pastorali e catechistiche, ma anche svolgere ruoli al servizio dei fedeli come quello del canonico penitenziere e quello teologale, addirittura, a volte, del canonico scolastico o grammaticale come avvenne a Osilo e a Tempio. Possiamo affermare che ovunque ci fu una collegiata questa incrementò i graduati universitari e l’elevazione non solo spirituale, ma culturale della sede. Nelle tesi di laurea delle mie laureate sono presenti i titoli accademici dei teologi graduati all’Università di Sassari, compresi quelli di questi canonici.
Non manca nemmeno l’assistenza ai fedeli nella somministrazione dei sacramenti, particolarmente della confessione.
La collegiata attenta alle esigenze della comunità ecclesiale non è assorbita soltanto dal canto liturgico delle ore, ma anche dalla collaborazione stretta col presule, se si tratta di collegiata istituita nella cattedrale vescovile o dalla collaborazione col parroco, arciprete in questo caso, quando la stessa collegiata non è addirittura parrocchiale come mi pare fosse alle origini questa di Osilo e come lo divenne decisamente più tardi. L’ancien règime del resto, basato sui tre ordini sociali, nobiltà, clero e popolo imponeva alla prima classe l’obbligo di difendere la patria e di coadiuvare il re, al clero imponeva la preghiera pro rege et pro populo e l’insegnamento non solo della dottrina cristiana, specie dopo il Concilio di Trento; al popolo s’imponeva il lavoro nelle sue varie forme: coltivazione della terra, allevamento degli animali e artigianato, quasi tre ordini di lavoratori che dovevano fornire gli alimenti non solo per la nobiltà e il re, ma anche per il clero con le decime e ovviamente per lo stesso popolo. D’altra parte, quale schiuma del popolo, operava la borghesia che coi suoi servizi, utili a tutti e tre gli ordini, andava crescendo vorticosamente fino a giungere con la rivoluzione francese a soppiantarli tutti e a diventare la protagonista, a volte fautrice di progresso e altre di sfruttamento, degli strati più deboli della popolazione.
Il buon funzionamento delle tre classi sociali garantiva l’equilibrio e, in un certo senso, la pace dei regni. Una piramide sociale ben congegnata fino al suo abbattimento.
Ma torniamo alle collegiate che sorgevano anche in centri lontani o vicini alle sedi vescovili, quando qualche fondatore che aveva a disposizione dei fondi, otteneva l’autorizzazione dalle autorità civili e religiose. Basti fare riferimento, nella Sardegna settentrionale, alla collegiata di Tempio richiesta dal Comune e dal Clero e concessa da Gregorio XVI nel 1621 con l’apposita Bolla.
La collegiata, un collegio di canonici di vario titolo, come ben spiega il nostro autore, può funzionare se esistono i fondi necessari per stipendiarne i suoi componenti. Questi fondi potevano essere costituiti sia da terre e da bestiame, spesso dati in affitto (censo), sia da immobili, sia da rendite finanziarie provenienti da lasciti di vario genere, sia da attività redditizie come potevano essere ad esempio la gestione delle neviere e dei mulini e di altre attività economiche date in appalto o gestite direttamente.
Garantite le rendite, la collegiata poteva essere istituita, ad esempio con 8 canonici cosiddetti di massa, altri di patronato e altri semplici beneficiati. La distribuzione delle rendite, effettuate mensilmente, variava a seconda del titolo canonicale. Ne consegue quindi che per poter funzionare regolarmente, tutto il patrimonio, vale a dire la “massa”, doveva essere amministrata con molta oculatezza. Naturalmente era precipuo compito della collegiata una sana amministrazione e si sa che in tal caso i pareri potevano essere diversi e le discussioni a volte concordi a volte discordi non potevano mancare.
Chi non sente profondamente il contesto storico potrebbe anche scandalizzarsi nel vedere questi canonici di massa, di patronato e beneficiati a volte discutere con un certo accanimento, ma chi s’inserisce nell’epoca riesce a capire questa commistione tra pratiche liturgiche da una parte e la discussione per l’esazione delle decime, dei censi, e di altri tributi necessari per l’espletamento armonioso delle funzioni della collegiata, che per un certo tempo, si dovette occupare della gestione diretta della comunità parrocchiale e successivamente deputare ad un canonico arciprete la funzione di parroco coadiuvato dai viceparroci. La storia che l’autore ricostruisce va dalla contrastata istituzione della collegiata osilese (1727), non sicuramente benvista dalla collegiata della cattedrale di Sassari, fino all’accettazione pacifica della sua esistenza.
L’istituzione, per fortuna finita bene, fu un’autentica avventura, soprattutto per l’ondeggiamento di qualche presule turritano, ma anche per gl’iniziali timori di Casa Savoia, appena insediatasi in Sardegna e in profonda discordia con la Santa Sede come le lunghe vacanze dei vescovi dimostrano.
Una volta in funzione, la collegiata osilese visse con alti e bassi, a seconda delle vicende sette ottocentesche della dominazione sabauda, del periodo costituzionale subalpino e del Regno d’Italia, la sua vita lunga oltre un secolo e mezzo (1727-1892).
Infine, cambiati i tempi, appropriatosi il neonato Regno d’Italia di tutte le risorse economiche ecclesiastiche, con le leggi eversive; mutati i cardini della neonata società, (stato costituzionale, re che regna , ma non governa, clero letteralmente spogliato di ogni provento, governi liberal-massonici, inizio del secolarismo positivistico nella sua vana speranza di estinguere la Chiesa); morte graduale dei suoi componenti canonici e beneficiati, concluso il suo ciclo vitale, come della vita d’un uomo, si può ben dire che si estinse ben più tardi della soppressione decretata(1867) da parte del neonato, in modo maldestro, stato italiano, affetto sicuramente dal complesso di una probabile rivoluzione popolare restauratrice degli antichi ordini. Al posto di quella ci fu, nei tempi della sua decrepitezza, la rivoluzione fascista che spense la democrazia per oltre un ventennio.
Ogni organismo vivente e istituzione, però, nasce, cresce, deperisce e muore, così come afferma Polibio scrivendo le sue storie, la stessa affermazione possiamo dire noi della collegiata di Osilo, ringraziando l’autore per questa bell’avventura di ricostruzione di un “organismo istituzionale” che per oltre un secolo e mezzo ha dato agli osilesi, che all’epoca sono vissuti, non soltanto dei conforti spirituali, ma anche delle opportunità di lavoro e, perché no, di uomini illustri da conservare nell’album di famiglia.
Le basi della collegiata, per quanto difficoltose, data la numerosa presenza di clero-classe sociale privilegiata, fu indubbiamente favorita dai possidenti del borgo che seppero vedere in quell’istituzione una buona collocazione dei propri rampolli più o meno vocati alla vita ecclesiastica così come i possidenti tempiesi accolsero di buon grado non solo i padri Scolopi, ma anche un monastero di Cappuccine per indirizzarvi le proprie figlie: una dote monacale costava meno di una divisione del patrimonio. Potremmo considerare queste scelte, umane miserie, ma il fatto è che l’uomo è fatto di carne e la carne va alimentata e gli uomini come gli animali si nutrono dove ci sono alimenti. Non dico che la collegiata fu una greppia appetibile e per nessuno motivo vogliamo mortificare le cristiane aspirazioni alla salvezza dell’anima, ma diciamo che i tempi erano quelli che erano e che anche noi oggi facciamo le scelte necessarie per la vita oltre naturalmente il modesto tentativo di promuovere il bene comune con quello proprio. Del resto, collegiati o no, il clero coevo osilese ha prodotto uomini illuminati come i teologi Maurizio Serra e Antonio Manunta Crispo, intellettuali la cui mente batteva all’unisono non solo con le menti più avanzate degli stati italiani ed europei, ma bruciava di zelo per lo sviluppo intellettuale dei sardi, vista la consapevolezza che essi avevano dell’arretratezza dell’Isola. Parlare del canonico cagliaritano di origine osilese Antonio Manunta Crispo (1776-1867) non significa presentare un uomo illustre, ma parlare di un uomo che oltre ad avere una mente enciclopedica non badava a spese per dare gratuitamente, a quanti precettori potesse raggiungere, la <Metodica del maestro> tradotta dal tedesco dal grande lombardo operoso quale fu l’educatore e glottologo milanese Francesco Cherubini (1789-1851), suo amico ed estimatore. A questo si aggiunga la sua operosità di educatore in un collegio cagliaritano e il suo progetto scolastico per l’alfabetizzazione delle donne, purtroppo, non andato in porto, ma ciò nonostante si adoperò per l’ammodernamento dei telai e di attrezzi da lavoro per l’agricoltura. Maurizio Serra, altra icona osilese, che per incarico regio compose il primo Manuale della scuola normale elementare, dopo aver potuto consultare i manuali lombardi fornitigli dal Manunta, dando però al suo, per maestri e scolari sardi, originalità e adattamento al contesto locale. Anche di questi due teologi tratta il nostro autore.
La lettura analitica dei verbali, del resto commentati e contestualizzati,sarà stata sicuramente gravosa, ma alla fine proficua e capace di aprire squarci di carattere religioso, sociale ed economico delle vicende del borgo di Osilo e della società sarda sette-ottocentesca.
Antonio Loriga, con questo secondo e col primo volume, si colloca decisamente al primo posto tra gli storici di Osilo, e sicuramente tra i più acuti studiosi di storia locale ecclesiastica della diocesi di Sassari.
E la storia dei grandi accadimenti si scriverebbe invano senza questi lavori di base che a partire dal 1929 la nuova storia richiede.
Prima di chiudere questa recensione, tuttavia, non si può tacere il grande intuito socio-religioso del fondatore della collegiata canonico arciprete Antonio Francesco Serra di Itiri Canedu che, osteggiato nel suo paese di nascita, seppe generosamente e tenecemente prodigarsi per istituire la collegiata di Osilo, quasi il borgo fosse la sua patria.