“Chiaramonti: per il presepio di zia Mattea il re mago è il giornalista” di Angelino Tedde
Chiaramonti, dicembre. Zia Mattea è in paese una istituzione. Senza di lei il suo paese sarebbe insignificante. Il fatto è che zia Mattea è un’artista; una di quelle artiste che è raro incontrare in questo mondo così mistificato: Zia Mattea è un’artista nel cuore è nella aspirazioni e di questo è fermamente convinta come è certa di essere ormai alle soglie dei suoi ottanta anni e al suo terzo felicissimo matrimonio. Come tutti gli artisti è un po’ vanitosa è aspira all’immortalità sulla carta stampata. Ogni mattina corre a comprare la ((Nuova Sardegna) e chiede al primo paesano che incontra col giornale in mano di guardare se qualche noto giornalista fra i tanti presunti che le si presentano, si è ricordato di lei, anzi non di lei, ma del suo immortale e ormai proverbiale presepio, causa di tutte le sue preoccupazioni, oggetto di tutte le sue cure, tormento delle sue notti insonni. Ho detto “chiede” perché zia Mattea non sa leggere e né scrivere. Tuttavia, in quanto al presepio, ha la certezza che non ce ne sia un altro al mondo simile a questo che lei inizia a comporre al primo di novembre a che scompone all’inizio della quaresima.
Esso si presenta su un tavolo, sotto un enorme capannone ad arco a tutta sesto, rutilante di luci variopinte che si accendono e si spengono ad intermittenza. Gli elettricisti del paese, gente di poca fede, nell’osservare quell’enorme intrico di fili, sostengono che solo per un miracolo,l’ illuminatissimo presepio non si trasforma in una vampata, tale da mettere in serio pericolo l’artista e la sua abitazione.
Zia Mattea li ignora e, col più grande entusiasmo di questo mondo, vive pericolosamente la sua stagione di celebrità. Osservando più attentamente l’artistico manufatto, si riesce a distinguere con difficoltà una microscopica capanna, dotata di campanile, dentro cui stanno a stento un po’ preoccupati Gesù Bambino la Madonna e San Giuseppe e, del tutto affogati nella paglia, un indolentissimo asinello ed un pallidissimo bue. Accanto alla capanna troneggia graziosamente una gigantesca Bianca neve dal cui viso traspare l’ansiosa ricerca dei sette nani che zia Mattea si riserva di reperire non appena la sua pensione glielo consentirà. Oltre Biancaneve fa capolino tra il muschio un bel topo Gigio, meravigliatissimo di trovarsi tra quei microscopici greggi e pastori. Sopra un balzo giganteggia statuario un caw boy del Far West, insidiato da un Indiano. Ancora qualche pecorella in compagnia di qualche gallina e subito dopo due bianchissimi colombelle da bomboniera nunziale che si dissetano ad una fonte di porcellana. Sullo sfondo domina un enorme cervo giallo. Mentre una serie infinita di palle colorate e cangianti danno al tutto una luminosità psichedelica. Sopra un tavolo, non molto distante dal capannone centrale stanno in ansiosa attesa i Santi tre re magi, destinati a giungere a destinazione per volontà di zia Mattea, soltanto alla fine di gennaio. La camera del presepio è poi istoriata dalla rara bravura artigianale di zia Mattea, confermata da una coppa argentea di una mostra artigianale: cestini, corbule di varie dimensione, tappetti. Non è assente l’albero di Natale, collocato alla sinistra del complesso del presepio, anch’esso rutilante di luce. I compaesani hanno una religiosa attenzione per il presepio di zia Mattea, a cominciare dal parroco che tutti gli anni visita ritualmente il presepio, lo benedice e dà la sua offerta nel bel salvadanaio d’argento che, in sintonia con un pianoforte carillon, non stona fra Biancaneve e Babbo Natale. Dopo Natale però zia Mattea attende invano alla porta. Attende il suo re mago, il giornalista che narri al mondo, a tutti quelli che sanno leggere e scrivere che sulla terra un presepio artistico come il suo non esiste perché è fatto col cuore.
Articolo aparso sulla Nuova Sardegna, anni sessanta.