“Geografia pre-referendaria Luca Tentoni – 05.11.2016” di Mente Politica
A un mese dal referendum costituzionale, i sondaggi continuano a non delineare un vincitore netto (cioè oltre il 55% delle preferenze espresse). Al momento dello scrutinio sarà ovviamente fondamentale il dato sulla scelta prevalente (“sì” o “no”) ma subito dopo, in sede di analisi, si cercherà di capire quanti voti si saranno spostati fra i vari “fronti”, in quali regioni, in quali direzioni, oltre a quantificare la “fedeltà” degli elettori di ciascun partito. Oggi, ovviamente, abbiamo solo due tipi di indicazioni: quella dei sondaggi (che però sono solo fotografie del momento e “scontano” la presenza di molti indecisi) e delle precedenti elezioni nazionali. Nel primo caso, le rilevazioni condotte nei giorni scorsi da Demos&Pi, Scenaripolitici-Winpoll, Ixé ed EMG collocano il “sì” intorno al 47,2-48,1% e il “no” fra il 51,9 e il 52,8% tra quanti si esprimono. Si tratta di un margine troppo ristretto, suscettibile di variazioni: Demopolis, infatti, stima il “sì” al 49,5%, ma ammette che l’oscillazione possibile è fra il 46 e il 53%, mentre per il “no” è fra il 47 e il 54%. Nel secondo caso, invece, abbiamo dati certi, dai quali possiamo trarre indicazioni non per l’esito del voto, ma per avere una misura – sia pure un po’ approssimativa – della forza delle coalizioni in lizza. Abbiamo scelto di concentrarci sui risultati delle europee 2014, per tre ragioni: 1) è stata un’elezione percepita come nazionale, peraltro la più recente; 2) l’attuale Presidente del Consiglio era già in carica e aveva ottenuto proprio in quella occasione il suo risultato più ampio, personalizzando anche allora la contesa; 3) differentemente rispetto alle politiche del 2013, il gruppo degli alleati centristi di Renzi (compreso Alfano e gli ex Pdl/FI) era già formato ed aveva presentato proprie liste. Possiamo partire dunque dai dati del 2014 per cercare di capire dove la coalizione Pd-centristi (quella del “sì” alla revisione costituzionale) ha potenzialmente il maggior seguito e dove invece appare più forte quella del “no”. Ovviamente – lo ripetiamo per evitare equivoci – i rapporti di forza fra i due fronti possono non essere gli stessi del 2014, ma – come ci insegnano alcuni precedenti, le aree di maggior forza dei due schieramenti di solito restano le stesse, con minime variazioni. Quello del 2016 è il terzo referendum (stavolta costituzionale e non abrogativo) sul quale un leader punta il suo futuro politico. Fu così il 12-13 maggio 1974 per il leader democristiano Fanfani, che guidò il fronte del “sì” antidivorzista (Dc-Msi) e per Craxi, che il 9-10 giugno 1985 minacciò di dimettersi da presidente del Consiglio se il suo “fronte del no” a difesa del taglio dei punti di “scala mobile” fosse stato sconfitto. Fanfani perse, Craxi vinse: i precedenti, per Renzi, sono dunque pari. Per completezza d’informazione va ricordato che il fronte antidivorzista partiva dal 47,33% dei voti conquistato da Dc e Msi per la Camera nel 1972 (che sarebbe diventato 44,81% alle politiche 1976) ma si fermò, al referendum del ’74, al 40,74%; la “coalizione del no” a guida craxiana poteva contare invece sul 58,62% dei voti delle politiche 1983 (59,89% nel 1987) tuttavia vinse col 54,32% (1985; aggiungiamo che, l’anno precedente, alle europee, i partiti del “no” avevano avuto il 57,26%). Ai “blocchi di partenza”, stavolta, assumendo come base il dato del 2014, lo schieramento favorevole alla revisione costituzionale parte dal 47,3% (circa 12,9 milioni di voti, circoscrizione estero compresa) mentre il “no” ha alle spalle il 52,7% (14,3 milioni di voti). Ovviamente, abbiamo ben presente che gli elettori “di frontiera” fra i due schieramenti (quello di Forza Italia, per esempio) possono essere decisivi per la vittoria di un’opzione o dell’altra, ma qui ci interessa solo fotografare l’ultimo risultato disponibile e utilizzabile e provare a tracciare una possibile “geografia referendaria”. Il primo dato che spicca è che (essendo il Pd il maggior partito del “sì”) sono state le “regioni rosse” (Centro Italia più Emilia-Romagna ma senza il Lazio) a dare ai favorevoli alla riforma il maggior sostegno, col 56,45% dei voti. Nel resto del Paese, però, i partiti del “no” hanno ottenuto il 54,23% nel Nord (senza Emilia-Romagna) e il 55,84% da Roma in giù (Lazio-Sud-Isole). Al Nord la presenza leghista e al Sud la maggior forza del M5S (e, in parte, di FI) bilanciano il forte radicamento del Pd nell’Italia centrosettrionale. Passando in rassegna i dati disaggregati, i partiti del “no” sono stati più forti, nel 2014, in Veneto (56,9%); il fronte del “sì” è invece andato meglio in Trentino-Alto Adige (61,3%) e Friuli-Venezia Giulia (48,3%). Piemonte (45,5% “sì”), Lombardia (45,4% “sì”) e Liguria (46,2% “sì”) sono invece più in linea con la media del Nord. È facile pensare che la battaglia più dura per i fautori della revisione costituzionale sia, al Nord, in Veneto, anche se forse sarà decisivo per l’intera area geografica il comportamento elettorale del “granaio di voti” lombardo (dove avverrà il confronto fra il centrosinistra che amministra il comune di Milano e il centrodestra a guida leghista che governa in Regione). Nella “zona rossa” la coalizione del “sì” parte, in Emilia-Romagna, dal 56,6% delle europee, sfiorando il 60% nella Toscana renziana (59,9%) e mantenendosi in vantaggio sui gruppi politici del “no” anche in Umbria (53,6 contro 46,4) e Marche (50,6 a 49,4). Dal Lazio in giù, tuttavia, i rapporti di forza cambiano. La regione della Capitale ha dato, alle europee, solo il 44,6% dei voti al “fronte del sì”, contro il 55,4% dei partiti del “no”. Trattandosi di un altro “granaio di voti”, sarà interessante assistere al confronto fra il M5S che amministra Roma e il Pd che governa in Regione (considerando, inoltre, che nella Capitale la destra che fa capo a FdI ha una consistenza non marginale). Procedendo verso sud, passiamo per Abruzzo e Molise, che nel 2014 hanno dato ai partiti del “no” rispettivamente il 59,5% e il 61% dei voti. Una situazione analoga a quella del Lazio – per rapporti di forza fra schieramenti – era riscontrabile, alle europee, in Campania (“sì” al 43,5%) e Puglia (“sì” al 42,4%) mentre Basilicata (“sì” al 51,6%) e Calabria (“sì” al 49,8%) apparivano più favorevoli ai gruppi pro-revisione costituzionale. In Sicilia e Sardegna, invece, i partiti del “no” hanno ottenuto fra il 55,8% e il 56,4% (in media, il 56%). La partita referendaria, dunque, si giocherà in gran parte al Sud e nelle Isole, dove peraltro Forza Italia (che secondo i sondaggi ha l’elettorato più incerto fra i partiti dei due schieramenti: per Demos&Pi, Scenaripolitici-Winpoll e Ixé il “no” azzurro oscilla fra il 53 e il 66% di chi oggi voterebbe per il partito di Berlusconi, contro il 20-34% di chi opterebbe per il “sì”). Poichè i sondaggi attribuiscono a FI circa il 12% dei consensi, è chiaro che l’eventuale “dispersione” del voto degli elettori di questo partito fra il “sì”, il “no” e l’astensione può far pesare il piatto della bilancia a favore o contro il progetto di revisione costituzionale. Infine, non va sottovalutato il peso della circoscrizione Estero, che in una lotta serrata potrebbe giocare un ruolo importante: ricordiamo che i nostri connazionali che votano da altri paesi hanno già (soprattutto in Sudamerica) approvato la riforma costituzionale del 2006 del centrodestra (bocciata però in Italia) e hanno dato, alle politiche 2013 e – in misura minore – alle europee, la maggioranza ai partiti del “sì”.