Sardegna da scoprire: i capitelli della chiesa di Santa Chiara in Cossoine di Tiziana Sotgiu Gassi
La parrocchia di Santa Chiara in Cossoine (Sassari) rappresenta un interessante modello di confluenza di elementi stilistici diversi, interpretati attraverso un linguaggio popolaresco. Nelle strutture architettoniche e nelle decorazioni si realizza un ibridismo composto di motivi bizantini, romanici, gotico-catalani, rinascimentali e manieristi. Al suo interno e in un breve arco cronologico, si evidenziano caratteri distintivi e ben definiti di picapedrers, alcuni più legati al repertorio formale tardo-gotico, altri più trasgressivi.
Rappresentativi di queste produzioni sono i capitelli delle paraste dell’aula e delle cappelle laterali, in pietra lavorata a vista e riccamente figurati.
Partendo dall’entrata, a destra, si trova il capitello da parasta “Musico e danzatori”. La composizione è armoniosamente equilibrata e simmetrica, al centro è collocato il suonatore di liuto con un ballerino alla sinistra e una ballerina alla destra, distinti tra loro dalla foggia degli abiti. I due danzatori, dai capelli lunghi, tengono le mani ai fianchi. La decorazione prosegue con una rosetta per parte, quattro grandi petali a punte ripiegate contengono una rosetta più piccola a cinque petali.
Nel capitello successivo sono rappresentate due aquile in posizione frontale i cui artigli reggono uno scudo a testa di cavallo (o italiano), in cui è scolpito il trigramma cristologico ihs (Iesus Hominum Salvator), un trattino orizzontale sormonta l’astina della h formando una croce.
Nel primo capitello (a sinistra) è raffigurato un vaso centrale classicheggiante da cui spunta, in posizione frontale, la testa di un genio con braccia fitomorfe. La decorazione, di ascendenza toscana, trova il suo interlocutore più diretto nei capitelli da parasta della chiesa della Santissima Annunziata ad Arezzo di Bartolomeo della Gatta e di Antonio da Sangallo il Vecchio. Molto verosimilmente tra gli scalpellini sardi giravano delle guide pratiche che derivavano dai manuali dei grandi maestri come il Libro Grande di Giuliano da Sangallo. Nel capitello successivo due serafini con tunica reggono uno scudo di tipo italiano, all’interno sono scolpiti gli stemmi stilizzati delle famiglie nobiliari dei Montañas-de Flors. Nella parte alta sono inserite tre montagnole (la centrale sovrasta le due laterali), nella parte sottostante una rosetta frontale a otto petali.
Nella cappella della Purissima e Immacolata (a sinistra partendo dall’abside) è scolpita la scena, purtroppo danneggiata, dell’”Annunciazione”. L’arcangelo alato con i capelli lunghi, vestito di tunica, è inginocchiato in posizione frontale, colto nel momento in cui dà la notizia alla Vergine. Nella mano sinistra regge un cartiglio a forma di P, l’altro braccio, leggermente piegato, ha l’indice alzato nel gesto della benedizione o nel cenno di prendere la parola. Il messaggero è separato dalla Vergine da alcuni oggetti che rievocano il luogo dell’avvenimento: un vaso a due anse, un volto barbuto su una nuvoletta e un’arcata. La Madonna, con i capelli lunghi e la tunica, è inginocchiata, porta le braccia al petto accettando umilmente l’evento. A destra della scena, in posizione ieratica, si trova un profeta con lunga barba, che simboleggia la testimonianza della chiesa. I frati degli ordini mendicanti sono l’esempio, attraverso la loro vita, dell’adesione alla fede. Solo con la guida della Chiesa e dei patriarchi, gli uomini possono accrescere la loro fede per arrivare alla salvezza. Questo capitello, databile ai primi decenni del Seicento, è coevo a quello del “Musico e danzatori” ed entrambi sono contemporanei della struttura muraria in cui sono inseriti, ma se si confronta l’esecuzione, si riscontra che essi testimoniano la presenza di due diverse manifestazioni artistiche di picapedrers che crearono le decorazioni. Il capitello del “Musico e danzatori” segue la tradizione tardogotica attraverso una realizzazione simmetrica ed elementi grafici bidimensionali, mentre, l’”Annunciazione” rappresenta uno spazio più articolato rispetto alla tradizione tardo-gotica, dove l’esecutore si accosta alla scultura rinascimentale italiana. Egli, autore colto e non più picapedrer, realizza un ornato tardo manieristico, è interessato a creare i riferimenti iconografici e narrativi della storia attraverso la plasticità, utilizzando piani scalati e la disposizione di uno spazio; abbandona il fantastico e il simbolico per occuparsi di un avvenimento “reale”, che colloca in una spazialità anch’essa reale. Si tratta di una vera e propria mescolanza di espressioni e di linguaggi, una simbiosi di vecchio e nuovo che prende il nome di Plateresco.
Nell’altro capitello sono raffigurati due serafini alati con veste che mostrano il velo su cui è impresso il volto di Cristo. A sinistra si nasconde un serpente attorcigliato, mentre a destra è scolpito un frate francescano riconoscibile dalla chierica, il saio con cappuccio e il cingolo a tre nodi. Egli è rappresentato in atteggiamento da predica con il braccio destro piegato e l’indice alzato, come se volesse ammonire. Nell’altra mano tiene il libro sacro. Tra i due capitelli è stata creata una rispondenza narrativa: il peccato, rappresentato dal serpente, è lavato attraverso l’accettazione della Madonna che prepara e anticipa il riscatto; il Volto Santo simboleggia la salvezza con il sacrificio di Cristo, che rende attendibile e “storicizza” la predicazione del fraticello.
I capitelli della Capilla Mayor (Cappella della Madonna del Rosario) rappresentano uno splendido esempio di interpretazione, in ambito locale, dell’arte rinascimentale e manierista in cui ricorrono motivi di ascendenza toscana.
Il capitello di sinistra è decorato da una testa angelica, rappresentata con il volto frontale, i capelli fluenti e le ali spiegate; agli spigoli, sono collocate teste a mandorla di uomini barbuti. Prosegue un ornamento floreale e geometrico arricchito dal motivo a “perla” o a “pallina”. L’impiego di questo tipo di decorazione, utilizzato dagli scalpellini gotici del periodo rinascimentale, era già diffuso con il romanico ma diventa più consueto nell’architettura gotica tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento proprio per la ricerca di maggiore enfasi spaziale e di semplificazione dei motivi ornamentali. Suddetto modulo decorativo fu adottato in Sardegna all’epoca di Filippo II a testimoniare il grande influsso dell’arte spagnola nell’Isola.
Il capitello di destra accoglie un mascherone con temi fitomorfi e geometrici, l’ornato prosegue con elementi floreali, geometrici e a perla. I soggetti decorativi descritti, in particolare i mascheroni, sono presi e utilizzati reinterpretando il motivo classico dal repertorio manieristico, attraverso una maggiore sensibilità volumetrica; essi s’inseriscono nel processo d’innovazione delle forme che coinvolge la Sardegna in questo periodo.
Nei capitelli della cappella di San Giuseppe (a destra partendo dall’abside), a differenza dei precedenti, sono rappresentati i simboli araldici delle famiglie feudatarie dei Castelvì-Cardona e degli Aragonesi, che si succedettero ai Montañans e ai de Flors.
Il capitello di destra è decorato da due putti reggi-scudo che tengono una ghirlanda di alloro con gigli nella parte sottostante, all’interno è contenuto uno stemma sannitico partito con i pali d’Aragona nella banda sinistra, nella destra è collocata un’aquila bicipite, imperiale e coronata con corpo frontale e il capo rivolto, insegna reale di Spagna. A destra dello scudo è scolpito un drago alato con le fauci aperte e la lingua di fuori, si tratta di un motivo decorativo passato per tramite gotico-aragonese, che rievoca antiche forme bizantine. Termina la decorazione, un cane ringhiante con la testa rivolta in direzione del soggetto scolpito nel peduccio accanto, è un essere animalesco dalle orecchie caprine, avvolto nel mantello. Nel capitello di sinistra sono riprodotti due putti che sorreggono uno stemma sagomato, ornato da una corona a catena e due gigli che spuntano nella parte sottostante. All’interno è effigiato uno scudo sannitico partito, nella banda di sinistra ritroviamo i pali d’Aragona che rappresentano l’araldica dei Cardona, nella banda di destra una torre aperta e finestrata, simbolo dei Castelvì. A destra del capitello è raffigurato un uomo in tunica con le mani ai fianchi; a sinistra chiude la decorazione, un leone che accenna un balzo.
I capitelli della cappella di Santa Chiara, infine, sono entrambi adornati con il motivo a tralcio spinoso ondulato, decorazione che riprende le cornici dell’esterno, per questo motivo l’ambiente sembrerebbe contemporaneo del prospetto.