Ricordando Gabriella Mondardini di Pietro Clemente, Franco Lai e altri
Questo blog vuole ricordare così Gabriella Mondardini, prematuramente scomparsa. Una collega, un’amica di tanti anni.
In comune l’amore per l’Isola Rossa e il mondo dei pescatori.
I suoi colleghi, più vicini a lei, la ricorderanno domani.
Non possiamo essere presenti, ma con i ricordi di Pietro Clemente e di Franco Lai vogliamo ricordarla ai nostri visitatori. (A.T.)
Una iniziativa in ricordo di Gabriella Mondardini.
Gabriella Mondardini (1941-2014) è stata ordinaria di Antropologia culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari ed è scomparsa l’anno scorso ad appena 73 anni.
Parteciperanno all’incontro del 16 marzo 2016 Sala Eleonora d’Arborea Università Centrale di Sassari.
Alberto Merler (Università di Sassari)
Domenico Branca (Università di Barcellona)
Fabio Pruneri (Università di Sassari)
Franco Lai (Università di Sassari)
Luciano Caimi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia)
Pietro Clemente (Università di Firenze)
Silvia Pigliaru (Dottore di Ricerca, Università di Sassari)
Ricordi incrociati di Pietro Clemente e Franco Lai.
Gabriella Mondardini era nata a Sarsina, nell’attuale proviPietro Clemente, Franco Lai Per Gabriella Mondardinincia di Forlì-Cesena, nel 1941. Si trasferisce a Porto Torres con il marito Vittorio Morelli all’inizio degli anni Settanta e si laurea nella nuova Facoltà di Magistero con Gavino Musio. Dalla prima metà degli anni Settanta si forma nell’Università di Sassari un forte gruppo di studiosi di scienze sociali, il cui animatore è Marcello Lelli, prematuramente scomparso nel 1989. Gabriella prende parte a questo gruppo che poi, con la nascita dei nuovi dipartimenti, darà luogo al Dipartimento di Economia Istituzioni e Società, il quale concentrerà al proprio interno le scienze sociali dell’Ateneo di Sassari, con lo stesso Lelli, Alberto Merler, Gianfranco Sias, Piero Borelli, Maria Antonietta Mazzette, Antonio Fadda e altri. Gabriella ha come interlocutori privilegiati, da una parte, sociologi come Marcello Lelli, Mario A. Toscano e Alberto Merler, dall’altra antropologi come Cesare Pitto, all’epoca in servizio a Sassari, mentre, già a metà degli anni Settanta inizia la sua collaborazione con Giulio Angioni e con il gruppo di antropologi dell’Università di Cagliari. Restano per me scritte nel granito le parole che Alberto Mario Cirese pronunciò sulla scalinata della Facoltà di lettere dell’Università di Roma nel 1994 per celebrare il rito pubblico collettivo della morte di Italo Signorini : “La morte lacera e stronca; agli studi cui s’affidò oggi ci affidiamo per riallacciare il filo” . Ricordare i colleghi, la loro ricerca, i loro studi, è dare senso ad essi, prolungare le vite. Così cerchiamo di fare per Cirese come egli ci invitò a fare per Signorini, così vogliamo fare per Gabriella Mondardini. Una studiosa appassionata ed affabile, animata da un sorriso tenace e da una vivacità di relazione romagnola che la rendevano vistosamente riconoscibile in mezzo ai colleghi sardi. Che pure, mi pareva, manteneva una sua timidezza verso la nostra comunità scientifica litigata e complicata, che pure frequentava nei convegni e negli incontri. Forse si percepiva un po’ alla periferia, per storia, per non esplicite appartenenze di scuola. Spesso negli studi e tra gli studiosi le ‘appartenenze’ sono state più pesanti e negative di quelle che gli antropologi attribuiscono alle pratiche dell’identità. Gabriella non mi era facile ‘classificarla’ in queste appartenenze, e questo acuiva la mia curiosità classificatoria. Favoriva infine il fatto che valutassi quel che scriveva di volta in volta opera per opera. Ma la ho incontrata poco, più nella pagina che nella parola, nel mio lavoro. Il mio dolore è più forte quando sono colpito dalla notizia *Abbiamo voluto con questo testo fare un lavoro comune di memoria, ognuno con il suo stile, ma nella stessa direzione. Abbiamo intrecciato i ricordi, narrativo e meditativo, così come si intrecciano giunchi ed erbe per costruire ‘testi’ tessuti. I percorsi sono resi riconoscibili dai formati della scrittura, ma sarà gradito che si legga l’insieme come un unico lavoro di memoria in cui le differenze e gli scarti si percepiscono e si compongono in un disegno di insieme.
di morte di una persona con la quale non ho concluso un dialogo, non ho definito un rapporto che si presentava aperto al futuro. Come se il destino si mettesse di traverso all’occasione di farlo. Il suo primo volume è Norme e controllo sociale (Sassari, 1980), un volume introduttivo allo studio dell’antropologia giuridica. Gabriella, nel corso della sua carriera, ha sviluppato e mantenuto alcuni interessi precisi: le comunità di pescatori delle coste italiane e mediterranee, la cura per le fonti orali e le storie di vita e, dalla seconda metà degli anni Novanta, l’antropologia della salute. Tuttavia, l’interesse per il lavoro e le tecnologie del mare è quello che caratterizza nel tempo la sua produzione con volumi, articoli, relazioni a convegni, documentazione museale. Tra i suoi volumi sul lavoro del mare ricordiamo Villaggi di pescatori in Sardegna (Sassari, 1981), Spazio e tempo nella cultura dei pescatori (Pisa, 1988), Il mare, le barche, i pescatori (Sassari, 1990), Gente di mare in Sardegna (Nuoro, 1997). Si tratta di un interesse che contraddistingue la produzione scientifica di Gabriella. Non solo ha documentato luoghi, saperi, organizzazione del lavoro e tecnologie artigiane ma ha anche seguito il passaggio delle comunità costiere nel tempo, dal lavoro della pesca allo sviluppo turistico. Anche una volta andata in pensione ha continuato a raccogliere testimonianze dei lavoratori del mare, dei maestri d’ascia e partecipava attivamente alle attività dell’Associazione della Vela Latina di Porto Torres. Così sul lavoro del mare e sul ruolo delle donne nelle culture marinare pubblica Compagne di viaggio. Le donne dei paesi di mare si raccontano (Sassari, 2012). Era il 4 di giugno di quest’anno. Sassari era tiepida e accogliente, sul palazzo del Comune avevo fotografato alcuni drappi con i quali la città festeggiava l’entrata della festa dei Candelieri nella lista dell’Unesco (Intangible Cultural Heritage) , insieme ad altre feste caratterizzate dalla presenza di grandi “macchine a spalla”. Anche nell’aula dove ero per una lezione nel Dottorato, ospite di Franco Lai, c’era una luce di quelle che annunciano l’estate. Veniva presentato un mio libro, una raccolta di saggi sul metodo delle fonti orali e delle storie di vita, messi insieme da alcuni allievi col titolo Le parole degli altri (2013). Mentre la presentazione era in corso ho visto Gabriella tra il pubblico. Sapevo che non stava proprio bene Gabriella ma reagiva con tenacia e faceva una vita attiva. Un poco mi stupì vederla . Alla fine dell’incontro la salutai e la abbracciai, mi sembrava stesse bene fosse luminosa e cordiale come la ricordavo, forse di più, un po’ dimagrita ma sempre vitale. Mi parlò di suoi progetti e mi diede in dono il libro Compagne di viaggio. Le donne dei paesi di mare si raccontano; lo sfogliai con curiosità sull’aereo nel ritorno a Siena. Cerco le tracce, nell’ultimo incontro, di qualche dialogo ch’io posso ancora compiere con lei . E ora capisco che è da lì, da quel dono, che devo riprendere il dialogo, riannodare il filo. Quel libro è pieno di tracce. Fin dall’editore, Edes, Edizioni Democratiche Sarde, non ne avevo notizia da anni, era una editrice di sinistra degli anni ’70, la connettevo con la storia di una amico Virgilio Lai, morto da vari anni. Una sorpresa. Ma la cosa più significativa è la grande sintonia tra questo libro e i temi di quello mio che veniva presentato, la rilevanza delle storie di vita che si incontrano, del venire cambiati nel viaggio che si fa con e nelle storie degli altri . Dell’idea stessa di essere compagni di viaggio, antropologi e partners delle indagini e dei racconti. “Avrei voluto titolare questo libro “parole ricevute” (p.12) scrive Gabriella Mondardini, ed io avevo appena presentato un libro titolato Le parole degli altri. Era come se mi avesse detto dandomi quel libro : guarda come siamo vicini nel metodo, non sarà il caso di notarlo, di intensificare il dialogo? Vicini in un mondo in cui mi sono sempre sentito molto solitario nella nostra comunità di ricerche. Mi ha anche colpito l’uso attento di Paul Thompson uno dei principali protagonisti della storia orale britannica, autore di
una monografia su un villaggio di pescatori, il più vicino, ma mai citato, all’antropologia di terreno. E il dialogo nel testo con Adriana Cavarero, una filosofa della politica, che ha scritto sui temi dell’identità legata alla narrazione e viene da una riflessione legata al femminismo. Sarà forse leggendo questa sua compagna di strada che cercherò di continuare quel dialogo interrotto. Le storie di vita e le testimonianze orali costituiscono un filo conduttore sempre presente nella ricerca di Gabriella. Anche nelle ricerche di antropologia della salute le fonti orali costituiscono una dimensione importante del suo lavoro, come, ad esempio, in Narrazioni sulla scena del parto (Sassari, 1999) e in Antropologia della salute in Mozambico, Sassari, 2002). Il suo iniziale interesse per le problematiche del potere ha trovato, in un periodo più recente, nello studio della salute e del corpo, delle istituzioni e della loro strutturazione spaziale un nuovo inquadramento che ha avuto come esito, oltre che i lavori già citati, anche Radici e strade. Pratiche spaziali e dimensioni del potere (Roma, 2009) e l’attività didattica degli ultimi anni. Il primo incontro di carta con Gabriella era stato con il numero de La ricerca folklorica n.21 (1990) dedicato a La cultura del mare, costruito con tanti autori (tra questi Paul Thompson e Franco La Cecla) alla ricerca di solidarietà nel mondo della ricerca, al di fuori delle reti accademiche. Un volume importante, forse su un tema su cui di nuovo sarebbe utile fare il punto. Era il tema della sua vita, il tema delle più lunghe compagnie e dei più forti apprendimenti di mondi altri. Il mondo del mare dominato dal lavoro maschile sul piano del riconoscimento, fu indagato da Gabriella senza mai rinunciale a un percorso in compagnia delle donne: contro il verso del pelo, si potrebbe dire. E forse era questa la chiave delle sue scritture, della sua passione, dell’originalità del campo e del mondo che metteva in scena. Di recente le avevo segnalato una iniziativa fiorentina: la presentazione del libro Donne di mare (2103) di Marilena Macrina Maffei. Altre compagne di storie di ricerca antropologica. Punti di ripartenza di dialoghi, di messe a punto, per ‘continuare a pensare’ (lo diceva De Martino citando Croce) Gabriella e il suo lavoro , per riannodare il filo (come scriveva Cirese). La partecipazione di Gabriella alla vita associativa dei demo-etno-antropologi italiani la porta a condividere attivamente la nascita dell’Associazione Nazionale Universitaria Antropologi Culturali. Così, quando partecipò a Firenze alla riunione di fondazione dell’ANUAC, era, come tutti, assolutamente convinta della necessità sia culturale che politica di avere in Italia una nuova associazione degli studiosi universitari specificamente contraddistinta dalla pratica antropologica. Cerco ora di risalire il percorso, controcorrente, di colmare le lacune, di ritrovare altre vie traversate da Gabriella. Anche se troppo tardi. Riprendo dalla mia libreria il suo Radici e strade del 2009, e vedo come Gabriella cerchi di aggiornare gli studi, di far dialogare, forse soprattutto gli studenti, con i fermenti dell’antropologia critica, seguendo percorsi degli autori che più ho amato, con i quali più mi sono intrattenuto a pensare, come Clifford Geertz, James Clifford, ma anche Pierre Bourdieu, Foucault, De Certeau e tanti altri, come se costruisse un laboratorio per pensare il tema centrale del libro : il nesso tra lo spazio e il potere. Anche il titolo è preso da Clifford Geertz , che cita in esergo, pieno di allusività riflessiva: “Forse è troppo presto per sostituire le radici con le strade”; e si riferisce anche a un libro di Clifford che si intitola per l’appunto Strade. Quando Gabriella va in pensione da professore ordinario, appare ben contenta di una scelta che le permette di dedicarsi alla famiglia e di curare comunque i propri interessi di ricerca e di collaborazione con enti e associazioni del territorio. Ma ha continuato a rendersi disponibile anche per le iniziative universitarie; così con la cortesia che la distingueva anche nei rapporti con i più giovani aveva accettato di presentare nella primavera di quest’anno il volume sulle migrazioni curato da due ricercatori cagliaritani, Antonio Pusceddu e Francesco Bachis, un volume nel quale sono raccolti i risultati di una ricerca (finanziata dalla Regione Sardegna con la L.R. 7 del 2007) coordinata nella sua fase iniziale proprio da Giulio Angioni e da lei stessa. Mi viene da cercare nella mia posta elettronica qualcosa sui miei dialoghi con Gabriella. Ma qui, spazio nuovo per me, come anche Facebook, del lavoro di lutto, trovo soprattutto piccoli scambi legati al terribile evento della morte della figlia. Comunanze di dolore. Come quella che oggi si rinnova con suo marito Vittorio Morelli, che oggi sta tenendo aperta su Facebook la memoria di Gabriella e che ci ha mostrato lì le foto delle sue nozze, 51 anni dopo, a nemmeno un mese di distanza dalla sua morte, avvenuta durante le vacanze estive, in montagna. L’ultima volta che abbiamo avuto modo di incontrarci è stato il 3 e il 4 giugno di quest’anno, nel Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università di Sassari dove, sempre attenta ai rapporti con i colleghi, aveva seguito alcuni incontri con Pietro Clemente, Antonio Deias e altri. Non potevamo sapere che non l’avremo più rivista. Per il Natale 2012 Gabriella mi aveva mandato i suoi auguri usando l’espressione: buon vento, bonu entu . Un’espressione legata alla sue ricerche di mare che usava anche per segnalare il legame che c’era tra la sua antropologia e la sua vita. Così mettiamo anche noi in mare la nostra vela. Continuiamo a pensare a Gabriella come a una risorsa dei nostri studi, come a una donna il cui viaggio continua attraverso le compagne che scelse, e anche attraverso di noi che vogliamo esserle ancora compagni di viaggio portando sulla barca i suoi temi, le sue curiosità, le sue passioni di ricerca, per riallacciare il filo. E auguriamoci ‘buon vento’.