L’anima quaresimale di Chiaramonti di Ange de Clermont
Mi sono appena alzato dal letto. Apro la finestra e poi gli sportelloni che lascio mezzo aperti al centro per vedere il giorno.
Giù un verde da schianto, a tratti con ombre violacee, il cielo è livido, La tentazione è quella di rintanarmi a letto, poi ci ripenso e mi vesto come posso alla bella meglio, al lavandino mi spruzzo un pò d’acqua in faccia, scendo in cucina, mi sbatto le medicine sul muso, bevo come un assetato un quarto di latte e mi rifugio nello studio dopo aver acceso il riscaldamento. Ah, il mio adorato Mac, l’amico fedele della mia grama esistenza. La mia nobile consorte è andata a Sassari a visitare l’appartamento di cui sente costante e profonda nostalgia, ma io ormai sono tornato claramontano anche di residenza usque ad obitum.
Non so da che parte iniziare tra il tanto lavoro che debbo portare avanti, sono come una mucca tra tante balle di fieno a destra e a sinistra. Dove mi butto stamane? Sulla biografia di Armando Fumera, il miglior sindaco che abbia avuto Claramonte e il più grande industriale? Oppure nella lineare, ma lunga vita della nostra centenaria zia Lisedda che, mentre si avvia a compiere i suoi 102 anni, ha attraversato il secolo scorso? I documenti del primo e l’intervista alla figlia aspettano.
Oppure mi arrostisco sugli eventi del borgo paragonabile a Peyton Place per i suoi peccati passati e presenti?
Non lo so dove mi condurrà stamane questo cervello bizzarro.
Suona il campanello! Mi chiedo chi possa essere alle dieci del mattino. Vado ad aprire la porta e mi si presente una signora magrissima con abito viola e un cappello nero a falde larghe. Rimango stupito e mi chiedo se non si tratti della Strega di Benevento.
Mi chiede:-Posso entrare?-
-Entri pure, si accomodi!- E la faccio accomodare nello studiolo,
A stento riesco a farla sedere.
Le chiedo chi è e che cosa desidera. Risponde:
-Chi sono glielo dirò alla fine, quel che desidero glielo dirò subito.-
Comincia:
– La persona che mi manda mi ha detto di dirle qualcosa intorno a Claramonte e sulla condotta dei suoi abitanti discoli.-
Reagisco:- Gentile signora, a me poco importa se i claramontani sono discoli come usava dire nell’Ottocento, son fatti loro, risponde ognuno di loro per le proprie mancanze.-
Mi prende la parola:- Mi lasci dire. Non vede, siamo in Quaresima, ma che ce ne sia uno che voglia confessarsi. Lei deve sapere che prima di questo secolo, in queste settimane c’era la fila al confessionale del vicario, ma ora va a confessarsi soltanto qualche santicca.-
La blocco:- Signora, forse lei vuol parlare dei primi cinquant’anni del secolo scorso, perché dopo gli anni Cinquanta, le confessioni si sono rarefatte e gli uomini specialmente hanno abbandonato la pratica della fede.-
– Caro il mio vecchio professore, lo so bene, anzi se vuole le parlo anche degli anni Cinquanta del Trecento.-
Ribatto:- Ma lei allora fa la storica?-
Risponde piccata:- Storica o non storica, io so, io ho visto, io sento le nefandezze e l’abbandono della fede a Claramonte. Quest’anno, poi, anno satanico, essendo il 666 esimo dall’incastellamento, è un anno in cui i peccati toccano il massimo livello.-
M’inserisco con una certa fermezza:-Come fa a saperlo. Mica è il Signore? I peccati in genere sono nascosti, mica si fanno sotto i riflettori:-
-Per me è come se li facessero sotto i riflettori. Qui si compiono adulterii, latrocinii, talvolta veri e propri assassinii, empietà, disprezzo dei genitori, testimonianze false, relazioni animalesche.
Financo abusi di ogni genere, coltivazioni e assunzioni di droghe, ubriachezze… –
La blocco di nuovo:-Ascolti, signora, a me non interessano i peccati dei claramontani. Non sono mica il vicario. Del resto si peccava anche nel passato.-
-Si peccava anche nel passato, i Doria e i loro servi genovesi, corsi, gli abitanti di Orria Pitzinna e Manna, di Ostiano, di San Giuliano, di Santa Caterina non erano da meno, ma…ma… periodicamente si confessavano, facevano penitenza, per un pò cambiavano vita e in Quaresima vestivano i sacchi, si picchiavano a vicende con i flagelli sulle spalle, si mettevano la cenere in testa, digiunavano, portavano a spalle la croce e soprattutto invocavano i santi protettori di questa località che lei ben conosce, ché sta sempre elemosinando grazie per sé e per gli altri. Forse crede che non abbia saputo che ha ritrovato cinque decimi di vista all’occhio destro e che ora vede meglio, grazie a Santa Lucia?-
(M’inserisco con prudenza, se no questa mi getta la casa in terra, prima che arrivi la nobile consorte.)
-Lei ha ragione, ma anche ora mi dicono che fanno tutte le cerimonie della Passione e Morte di Cristo.-
Mi stoppa:- Lasci perdere, qui ora fanno solo teatro, non fanno nessuna penitenza, mangiano anche in Quaresima agnelli e porcetti, fanno sesso in eccesso e non fanno figli, sono dei fornicatori, ecco che cosa sono!-
Non so più da che parte uscirci. La donna che mi sembra più un attaccapanni vestito di viola è come un fiume che tracima. Non ce la faccio più.
Obietto: – Vada a raccontarle al parroco queste cose. Io non so chi e come pecca. Sono anch’io un peccatore, ma queste cose non le faccio. Al massimo sono distratto nelle preghiere e qualche graffio al mio prossimo lo faccio, ma niente più!-
-Ah, lei adesso è vecchio e anche volendo non può peccare, ma nella sua maturità e a sessant’anni suonati che cosa mi ha combinato?-
La stoppo ancora:- Senta come le chiedo di non interessarsi dei peccati altrui, la prego di non interessarsi dei peccati miei sui quali ho pianto e chiesto perdono.-
Riprende:-Adesso non faccia come le vecchie bagasce e non si pianga addosso. Continui a darsi il mea culpa e a pregare, con umiltà e contrizione.-
Faccio per alzarmi, ma lei con una manata simile ad un colpo di canna mi fa sedere. Nel frattempo suonano alla porta e le chiedo di lasciarmi aprire.
Mi risponde:- Non è nessuno, ma un’amica che mi attende. Ora la lascio, ma si ricordi quanto le ho detto.-
Si alza, con mio gran sollievo, le apro la porta, fuori è livido come il suo abito, prima d’andarsene, mi guarda e mi dice:
-Ange de Clermont, l’anima quaresimale di Claramonte ti saluta e, così dicendo, scompare come una nuvola viola dal ballatoio del mio ingresso.-
Per poco non svengo, l’anima di Claramonte in modo così ravvicinato non l’avevo mai vista, vado a bermi un bicchiere d’acqua perché sto per svenire. Mi tasto il viso, il petto. Meno male sono ancora vivo.
Dal belvedere sento ridere e ancora ridere. Esco, non c’è nessuno.
Guardo il cielo e vedo una nuvola viola e impertinente che mi manda sul viso uno spruzzo di pioggia.
Rientro in casa. Sono colpito come dal batacchio di una campana e stramazzo sulla poltrona.