Tiene banco l’emergenza sbarchi, ma a preoccupare è la nuova emigrazione italiana di Omar Bellicini
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Discutere di emigrazione italiana, negli anni del dibattito sulla sostenibilità dell’accoglienza, pare quasi una provocazione. Eppure è necessario, a fronte dei numeri. I dati non hanno remore etiche, interessi elettorali o dubbi programmatici: parlano la lingua asettica delle evidenze. E per la prima volta, da 20 anni a questa parte, i cittadini italiani residenti all’estero sono cresciuti più degli immigrati residenti in Italia. A rivelarlo è il “Dossier Statistico sull’Immigrazione 2015”, realizzato dal centro studi IDOS. Le anticipazioni dell’indagine, che verrà pubblicata integralmente in l’autunno, fotografano un aumento degli italiani residenti all’estero di 155mila unità, contro i 92mila nuovi residenti stranieri. Una sproporzione sensibile, che si riferisce al 2014: anno oggetto dell’analisi. Ma la tendenza sembra essere tracciata. Già nel 2012 un rapporto più circoscritto, pubblicato dalla Fondazione Migrantes, sotto l’egida della Conferenza Episcopale Italiana, segnalava che il numero delle partenze dall’Italia era ormai superiore a quello degli arrivi di lavoratori stranieri: con un +16,1% rispetto all’anno precedente.
A favorire le partenze la recessione economica e la conseguente disoccupazione. Così, un passo dopo l’altro, il numero degli italiani che vivono fuori dal territorio nazionale (4.637.000) si sta avvicinando a quello degli stranieri presenti in Italia (5.014.000). E non si tratta di un fenomeno transitorio: nel 2014 ben 89.000 nostri connazionali si sono cancellati dall’anagrafe del loro comune di residenza, per iscriversi a quella di un comune estero. Un indizio che manifesta la volontà di trasferirsi per un lungo periodo. Si tratta di una dispersione appena mitigata dalla concessione della cittadinanza italiana a 130mila giovani: per la maggior parte nati in Italia, da genitori stranieri. Ma quest’ultima tendenza è in calo e non si tratta di un fatto positivo visto l’impatto sull’invecchiamento della popolazione. Peraltro, l’età media di chi sceglie di partire è bassa, mentre la composizione socio-culturale risulta essere di fascia medio-alta: il che genera delle preoccupazioni sulla tenuta, nel lungo periodo, del sistema pensionistico. Una soluzione al problema potrebbe giungere dal nuovo afflusso di migranti, ma mancano politiche adeguate di integrazione e dei 170mila profughi che nel 2014 sono sbarcati nel nostro Paese, la stragrande maggioranza è diretta verso altri Stati europei, ritenuti più accoglienti. Anche perché la grancassa di quelle forze politiche che hanno deciso di agganciare i propri orizzonti elettorali alla diffidenza di certa parte della popolazione, nei confronti del diverso, è più attiva che mai. Perciò, oltre a svilupparsi un ambiente sociale sfavorevole all’attrazione di nuova forza lavoro, cresce la percezione di un’ondata migratoria verso l’Italia dai numeri insostenibili. Tutto questo nonostante il sistema Paese sia in grado di gestire senza sforzi -secondo i dati riportati dal Viminale- 140-150 mila richiedenti asilo, a fronte degli attuali 84.558. Meno della metà di quelli cui fa fronte la Germania. Un ventesimo di quelli accolti dal Libano. In questo modo, l’attenzione dell’opinione pubblica viene sviata dai problemi reali, e i fantasmi legati all’emigrazione -gli addii forzati, il progressivo svuotamento dei paesi- riappaiono senza destare clamore. È il cupo fondale di ogni rappresentazione sociale italiana, che riemerge da un passato che si credeva confinato nei meandri della memoria. È l’esempio del fallimento di un modello di convivenza, che si delinea in sordina. Certo, l’emigrazione non è solo questo: è anche opportunità di scambio, terreno di coltura per nuove esperienze, che possono risultare utili per il rilancio del Paese. A patto di saperle sfruttare. Di non voltare lo sguardo di fronte a un fenomeno di ritorno, dagli esiti decisivi. A condizione di adottare un nuovo approccio, nei confronti di richiedenti asilo e semplici immigrati. Purtroppo, permane il dubbio che il futuro non sia roseo, e che in molti casi il desiderio di andarsene e la ripulsa nei confronti degli stranieri siano prodotti della medesima matrice: l’egoistico disinteresse per tutto ciò che trascende da sé.