Sballo e crisi della famiglia I caduti della movida di Lucetta Scaraffia
I ragazzi che in queste calde notti di estate muoiono o si sentono male, quelli che affollano gli ospedali dei centri balneari in coma etilico — senza contare quanti stanno male in silenzio, senza farlo sapere agli altri, forse perché troppo deboli anche per farsi assistere — fanno davvero molta pena. Anche perché sono solo molto parzialmente responsabili di quello che fanno. Soprattutto quando, come nel caso della ragazzina morta Messina, hanno un’età giovanissima.
Piuttosto bisogna considerarli come caduti sul campo della crisi che sta attraversando la famiglia: sono lì perché non ci sono più genitori che si sentano investiti di un ruolo di responsabilità. Genitori che accettino il compito ingrato di educare i figli, di sopportare, senza deflettere, le loro ribellioni, le malinconie, le minacce. Che non considerino i figli come un oggetto simpatico e piacevole che hanno acquistato, che li deve gratificare con l’amore e l’allegria, ma che non richiede un minimo di fatica e sacrificio.
Ogni legame familiare è stato alleggerito — ma sarebbe meglio dire depauperato — della sua necessaria componente di dovere. Dal legame coniugale ci si aspetta amore e piacere sessuale, dai figli gratificazione. Se poi, nell’esperienza concreta, si vede che questo non è realizzato si rinuncia e si cerca una situazione più gratificante.
Mentre si discute di questioni teoriche — per i cattolici se ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, per i laici se allargare il matrimonio e la procreazione alle coppie omosessuali — la famiglia vera, quella concreta, sta attraversando una crisi così grave che i suoi membri più deboli possono morire per mancanza di protezione.
Questa è la situazione drammatica della quale bisogna occuparsi, laici e cattolici, andando alla radice del problema, cioè a cosa significa oggi, per la maggior parte delle persone, formare una famiglia. Senza cadere in ideologie, in teorie magari anche buone, ma che non hanno nulla a che fare con la dura realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi.
Non bastano i poliziotti in una situazione in cui per anni si è permesso, senza batter ciglio, a gestori e commercianti di arricchirsi proprio grazie allo sballo dei giovani. Non basta invocare una riforma della scuola che avverta i ragazzi, con opportuni corsi di aggiornamento, dei pericoli della droga o dell’alcool.
L’unico vero rimedio a questa situazione può essere solo una vera famiglia, quella famiglia che nessuno sa più cosa sia, che nessuno osa più costruire e tanto meno difendere. Le scuse sono sempre le stesse: tutti fanno così, non posso impedire a mio figlio di vivere come gli altri, la vita è cambiata, non sono più i tempi in cui i genitori intervenivano nella vita dei figli. Come si può pensare di risollevare un Paese abbattuto e fragile come l’Italia, lasciando che le nuove generazioni si abituino a considerare la vita come una continua movida?
Questo dei giovani che cadono ogni notte in una guerra non dichiarata, ma reale, è un tema che dovrebbe essere discusso dal Sinodo sulla famiglia, anche se non sembra direttamente attinente a questioni teologiche. È la vita stessa che bussa alla sua porta per chiedere di essere aiutata.
(© L’Osservatore Romano 13 agosto 2015)