Chi raccoglie i dolori del mondo! di Ange de Clermont
Il nostro immaginario è di cicli: ciclo della vita, ciclo del tempo, ciclo agrario, ciclo liturgico, ciclo dell’anno civile.
Nel corso di questi cicli memorie di umane tragedie se ne ricordano a centinaia: aerei superbi che s’inabissano nei mari, transatlantici giganteschi che affondano, treni a velocità sostenuta ch deragliano, autotreni che seminano stragi nelle autostrade. Fin qui incidenti dovuti a errori umani o a guasti meccanici. Centinaia di morti, di pianti e di lutti. Non parliamo delle numerose guerre che agitano le popolazioni specie dell’Africa con violenze sui bambini, sulle donne sugli anziani. Migliaia di morti. Morti anche nei momenti del divertimento più innocente come lo sciare, il nuotare, il deltaplanare, i lanciarsi dagli aerei.
Che dire poi delle morti da inquinamento atmosferico
o da materiali inquinanti?
Quando una cinquantina d’anni fa eravamo qualche miliardo sul nostro pur affascinante globo le morti erano inferiori, ma adesso che siamo circa sette miliardi le morti non si contano più. Ora madame morte non si stanca mai e ogni giorno svolge la sua attività nei modi più impensabili. Sembra pagata a cottimo, più morti fa e più incassa.
Che cosa incassa? Polvere e ombra.
Le lacrime degli uomini se dovessero essere convogliate in un solo alveo costituirebbero il fiume più grande del mondo e se i loro singhiozzi fossero convogliati nelle onde herziane oppure nel sistema binario digitale darebbero luogo a lamenti funebri infiniti.
Perché tutta questa umana tragedia? Chi raccoglie il fiume di dolore, di lacrime? Sono forse inutili? Hanno senso?
Non avrebbero senso se un giorno sul Monte Calvario un uomo-Dio, infinito in tutte le dimensioni, non avesse accolto su di sé l’umano patire da Abele in poi. I fiumi dell’umano soffrire si riversarono e tuttora si riversano su lui, appeso alla croce, dopo essere stato colpito per ben 5840 volte, secondo Brigida di Svezia ed aver versato secondo la stessa santa ben 30 mila gocce di sangue. Dalla cattura sul Monte degli Ulivi alla crudelissima crocifissione senza contare la fuga e la permanenza in Egitto, il cauto ritorno in un villaggio che certamente aveva sempre da dire sulla sua dubbia nascita dal Giuseppe, sulla intemeratezza della madre Maria, sulla vita grama, grazie a tutti coloro che una volta ordinata e ricevuta la prestazione d’opera si dimenticavano di pagare. Trent’anni di vita sobria e onesta, trent’anni di sorrisi e di accoglienza, ma agli inizi del trentunesimo anno il rischio della rupe da cui i suoi stessi compaesano volevano gettarlo. Si proclamò figlio di Dio e non vollero credergli come del resto oggi moltissimi non vogliono accoglierlo. Per credergli, forse, dovranno aspettare il giudizio universale dipinto da Michelangelo. Sarà troppo tardi?
Leggendo il Vangelo vado considerando questo evento che ha cambiato il mondo, quest’uomo-Dio al quale va ad associarsi tutta intera la nostra umana tragedia, quella che tutti ci riscatta per restituirci i doni che,ricevuti, abbiamo gettato nel fango con un atto di superbia, sospinti dall’angelo della luce che è diventato così operando l’angelo delle tenebre, che con le sue ali immense di orrido pipistrello si rallegra degl’immani dolori della stirpe umana, destinata al Cielo da cui lui è stato cacciato per sempre, per macerarsi per l’eternità in un oceano di odio verso il Creatore.
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