La fede laica e l’intolleranza fanatica verso chiunque non appartenga alla sua schiera di Ange de Clermont
Fino a dieci anni sono vissuto nel mio borgo agro-pastorale si può dire nella strada come tanti miei coetanei, i miei genitori non erano religiosi, a parte una grossa immagine appesa al muro che raffigurava San Salvatore da Orta nell’urna. Ricordo solo un giorno in cui dopo Pasqua venne il vicario per benedire la casa e mio padre lo accolse gentilmente permettendogli di benedire la casa e facendosi un segno di croce. Nessuna frequenza della chiesa, nessuna istruzione scolastica né catechistica. Altri ragazzi, invece, frequentavano il vicario e la chiesa e alcuni facevano i chierichetti. Credo che l’unica inculturazione religiosa la ebbi quando, grazie ad una mia zia giovanissima, frequentai l’asilo anche se di quanto appresi lì ricordo soltanto i teatrini che facevano le suore in una scatola-palco in cui si agitavamo i personaggi. La Prima Comunione la feci nella chiesa dell’allora ospedale civile storico verso i dieci anni senza che né mio padre né mia madre ne sapessero nulla. Altri compagni, non so se più fortunati di me, frequentarono la chiesa e fecero bella mostra di sé come chierichetti. Io rimanevo estasiato quando a Pasqua c’erano le processioni di Gesù Risorto e quando giorni prima, a Gesù morto, suonavo le “mattracas” in giro per il paese che lasciai, quando rimasto orfano, abbandonai il paese. Dovettero pensarci le suore ad insegnarmi a servire la Messa al grande storico della Chiesa monsignor Damiano Filia che veniva in collegio tutte le mattine oppure nelle feste ai Preti della Missione confratelli delle suore Figlie della Carità. La nostra suora, una giovane bergamasca di polso, ci faceva studiare il catechismo e molti brani della Genesi a memoria. In tal modo e a quell’età mentre vivevo il mio undicesimo anno posso dire di esser diventato cattolico. Nel tempo precedente ero un piccolo laico che badava e prendere meno susse possibili da mia madre per le monellerie che combinavo e a provare nella mia coscienza i primi rimorsi per le parolacce che magari vivendo con i miei compagni sentivo e qualche volta ripetevo.
Da giovane, ho accennato in un precedente articolo, agl’insulti e alle minacce che piovevano per le strade o alle chicchiere che quando, a 13 e a 14 anni, mentre completavo l’istruzione elementare la mattina e la sera frequentavo una bottega di falegnameria. Nei vari seminari in cui sono stato ho semplicemente fatto gli studi classici e sette volumi di filosofia aristotelico tomistica nel corso dei tre anni ricevendo ovviamente una buona formazione religiosa sia attraverso un rigoroso stile di vita sia attraverso gli esercizi spirituali annuali che in genere duravano otto giorni. In seminario per gli studi eravamo seguiti dai professori delle varie discipline e dal rettore mentre per la parte spirituale vi era un direttore spirituale dal quale potevano recarci periodicamente a nostro piacere, mentre il vicerettore ci seguiva molto nella preparazioni di commediole e altre attività culturali e ginniche che si facevano.
La giornata nel corso dell’anno era contrassegnata dai momenti di preghiera, di studio e di ricreazione, nelle vacanze del mese di luglio si tornava i famiglia o dai parenti e in agosto con tutti i compagni si tornava in seminario e si andava al mare o in montagna.
Grazie a questa formazione sono diventato cattolico. Una formazione classica intinta di molto razionalismo con cui conobbi e mi accostai alla fede. Non certo attravesro un processo di creduloneria e di bigottismo.
Stranamente molti compagnia d’infanzia che fino ai 15 anni hanno frequentato la chiesa facendo i chierichetti, spesso per motivi banali o contese col vicario o graduali visite ai bordelli cittadini durante uno scampolo di studi, sono diventati “laici” assumendo un atteggiamento ostile alla chiesa e cacciando il buon Dio dalla loro coscienza e fin qui non c’è da meravigliarsi, ma la cosa peggiore è che costoro che hanno trascorso dalla fanciullezza e per tutta l’adolescenza alla tavola dei parroci sono diventati anticlericali, spesso agnostici, a volte atei militanti e dissacratori del sacro distribuendo epiteti senza ritegno nei confronti del Papa e della gerarchia ecclesiastica. Politicamente si sono iscritti al qualche partito socialista e ivi hanno militato, alcuni anche con un certo profitto.
Questo totale mutamento d’ideali speso li ha resi fanatici e dissacranti nei confronti dei credenti non badando né al rispetto della persona né a quello delle idee degli altri, anzi hanno praticato l’autoritarismo più di stampo fascista che comunista. Il loro libertinaggio di espressione li ha portati alla mancanza di rispetto e all’odio fanatico al punto che appena hanno potuto hanno messo alla berlina credenti e praticanti, suore e preti. Un vero e proprio fanatismo laico irriguardoso e irrispettoso. La manifestazione del libero pensiero nella nostra società a volte passa anche sui dettami della costituzione poiché quando tu ritieni inferiore a te una persona perché è credente si vede che sei fuori di ogni rispetto della persona. La cosa peggiore è poi lo stile di vita giovanile praticato da questi sedicenti laici spesso a caccia di donne, giovani o anziane non importa, ma certamente si è trattato di una giovinezza immorale.
Divenuti adulti e messo su famiglia, inseriti in qualche funzione socialmente visibile, questi voltagabbana son diventati moralisti, si son vestiti in doppio petto e hanno iniziato a guardare il popolo come vil gentame e a collocarsi su un piedistallo che davvero non gli è dovuto.
Infine, hanno iniziato a pontificare e dare del cialtrone a uno, del bigotto all’altro, dell’ignorante ad altri ancora. Io tutti costoro, vista la libertà di espressioni, li giudico dei laici fanatici, fondamentalisti, aspiranti al notabilato nelle piazze, nelle vie, nei crocicchi. Uomini incapaci di riflettere primo sulla comune sorte livellatrice di tutti gli uomini alla fine della vita, secondo sull’essere assai miserabili e manchevoli come tutto il genere umano, terzo sul guardare ai difetti altrui senza sapere che gli altri vedono i loro difetti.
L’ideale sarebbe che ogni scegliesse pure il proprio ideale, lo praticasse, ma nel rispetto degl’ideali altrui ben sapendo che tutti gli uomini debbono essere non solo fratelli, uguali e liberi, ma anche consapevoli di questi principi. Le idee però a volte vanno per un verso e gli uomini per l’altro verso. Da tutto ciò le guerre tra i popoli, tra le famiglie e le fazioni cittadine o paesane. Aliud est dicere aliud est facere che tradotto in italiano significa che tra il dire e il fare c’è di mezzo non solo il mare, ma l’oceano.