Categoria : memoria e storia

I. L’esposizione in Sardegna di Cristina Sotgia

 bambinoIl problema dell’infanzia abbandonata assume rilevanza in Sardegna nei primi anni dell’Ottocento e stimola una più vasta presa di coscienza che investe soprattutto le amministrazioni civiche.

Infatti, le autorità comunali sono coinvolte direttamente nel sostenere le spese per il mantenimento degli esposti, secondo quanto sanciva una disposizione ministeriale del 6 giugno 1807[i].

Viene spontaneo domandarsi quali istituzioni provvedessero all’assistenza dei trovatelli nell’isola prima di questa data.

Un apporto significativo per poter dare una risposta esauriente in merito ci è dato dalla consultazione della tesi di laurea svolta dalla dott. Carmelana Nuvoli sul tema “L’infanzia abbandonata ad Alghero dal Settecento al Novecento”. Nel suo lavoro l’autrice sottolinea come nel Settecento il fenomeno delle esposizioni non rappresenti per l’isola un problema preoccupante, dato il numero relativamente limitato degli esposti.

Nell’affrontare il tema dell’assistenza evidenzia le varietà di modi in cui si prestava il primo soccorso ai trovatelli nei villaggi sardi[ii].

Tuttavia il dato più significativo che emerge è l’assoluta mancanza in Sardegna di luoghi specifici di accoglienza dei fanciulli esposti: di fatto l’unica istituzione in grado di dare una risposta, seppure marginale a questa esigenza, era l’ospedale. Questo organismo, occorre sottolinearlo, nel XVIII secolo non aveva le funzioni che riveste attualmente, ma era semplicemente un luogo di raccolta e ricovero per i malati, i poveri e i bambini abbandonati.

L’amministrazione di quest’organo, “sorto per pubbliche oblazioni”, veniva posta fin dalla sua origine sotto la direzione dei Magistrati civici ed affidati alla tutela morale dei vescovi ed alla superiore vigilanza dei papi[iii].

In seguito i vescovi, col consenso del Magistrato civico, riuscivano ad intromettersi nelle amministrazioni degli ospedali, imponendo alla direzione i religiosi, ed alla pulizia interna e servizio d’infermeria i secolari; e poiché questi ultimi trascuravano spesso gli ammalati e “non erano animati da verace spirito di carità”, furono sostituiti anche in questo ramo di servizio dai religiosi.

Ciò avveniva nel 1636, quando alla direzione ed all’amministrazione degli ospedali erano preposti i religiosi dell’Ordine di S. Giovanni di Dio, detto anche dei Padri Ospedalieri. Quest’ordine doveva istituzionalmente attendere con carità e diligenza alla salute dei poveri[iv].

Tuttavia l’opera di questi religiosi, preoccupati più dell’accrescimento della prosperità del convento (la cui amministrazione era da essi tenuta insieme a quella dell’ospedale) che del perseguimento del benessere dei malati, conduceva gli ospedali loro affidati sull’orlo del fallimento.

Per queste ragioni gli ospedali dell’isola registravano uno sviluppo limitato, mentre quelli già esistenti rischiavano la completa decadenza. Le ripetute rimostranze inoltrate dai Magistrati civici al re Carlo Emanuele III conducevano ad una nuova regolamentazione, emanata con Regio Regolamento del 13 febbraio 1768, destinata a porre rimedio ai danni (amministrativi e finanziari) causati dagli Ospedalieri[v]. La disposizione regia stabiliva l’istituzione, in ogni ospedale dell’isola[vi], di una Congregazione avente compiti di sovrintendenza e direzione.

Una delle principali funzioni attribuite al nuovo organo era costituita dal controllo in materia di assistenza e mantenimento dei fanciulli abbandonati. Tuttavia anche quest’ultima soluzione non si rivelava la più adeguata a risolvere i molteplici problemi amministrativi degli ospedali, dovuti, come già detto, a croniche difficoltà di natura finanziaria. Queste, almeno in parte, erano provocate dalla costante crescita degli oneri per il mantenimento degli esposti, che proprio dai primi anni dell’Ottocento cominciavano a diventare numericamente più rilevanti[vii].

Si arrivava così alla citata disposizione ministeriale del 6 giugno 1807, che trasferiva l’incarico di provvedere al mantenimento dei trovatelli alle amministrazioni comunali, le quali si trovavano in questo modo investite di funzioni nuove ed impegnative sia da un punto di vista finanziario che organizzativo.

Le amministrazioni delle due principali città sarde, Cagliari e Sassari, sono le prime a promuovere l’impegnativa organizzazione del servizio di raccolta e di collocamento a balia dei fanciulli abbandonati.

A Sassari, in particolare, viene ripristinata una figura istituzionale, il “Padre d’Orfani”, da considerare storica per la Sardegna per esservi stata importata dalla Spagna subito dopo la conquista catalano-aragonese[viii]. Il Padre d’Orfani veniva eletto ogni anno e retribuito con una gratifica annuale. Le sue funzioni specifiche sono quelle di controllo sul servizio degli esposti[ix].

Un’altra figura caratteristica della sola città di Sassari è la “didotta”, una donna a cui era assegnato il compito primario di accogliere i trovatelli al momento del ritrovamento.

La “didotta” abitava una casa appositamente presa in affitto dall’amministrazione comunale per consentirle di espletare la funzione per la quale era stata assunta. In cambio riceveva un compenso mensile, che risultava senz’altro inferiore a quelli corrisposti alle balie[x].

A Cagliari, invece, il governo degli esposti restava ancora per qualche anno dopo il 1807 affidato alla direzione dell’ospedale, mentre l’amministrazione civica provvedeva al governo dell’opera[xi].

In realtà solo dopo qualche tempo le amministrazioni municipali maggiori riusciranno ad organizzare il servizio degli esposti in maniera soddisfacente. Ne consegue un sensibile aumento delle spese, dovuto soprattutto alla crescita del numero degli esposti[xii].

Anche per questo le municipalità delle grandi città sarde sollecitano una riforma che coinvolga anche le casse comunali delle comunità minori nel sostenere l’onere del mantenimento degli esposti.

Finalmente due provvedimenti significativi contribuiscono a risolvere nell’isola alcuni dei più antichi ed emergenti problemi in materia di assistenza.

Con la legge del 20 novembre 1859 si supera definitivamente lo spinoso e cronico problema della direzione amministrativa degli ospedali, affidando le competenze delle opere pie a corpi morali, consigli, direzioni ecc., sotto la tutela diretta delle Deputazioni provinciali[xiii].

Mentre nel successivo Decreto Regio 16 marzo 1866 si stabilisce che il sostentamento dei trovatelli fosse per un terzo a carico della Provincia e per altri due terzi ripartito tra i Comuni della provincia in ragione della loro popolazione[xiv].

In questo modo viene data immediata risposta alle istanze di riforma in materia di finanziamento del servizio esposti inoltrate dalle municipalità.

1) Le fonti della ricerca.

Per giungere ad una conoscenza del fenomeno dell’esposizione a Sassari e nel suo circondario, comprensivo di ventitrè Comuni (vedi tabella n. 1), abbiamo preso in considerazione le variazioni quantitative del fenomeno sul territorio ed insieme le caratteristiche qualitative più rilevanti per il periodo che intercorre dall’unificazione italiana alla vigilia della Grande Guerra.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare nell’introduzione le finalità prevalenti della ricerca, indirizzate allo studio delle cause che hanno contribuito a determinare nel periodo immediatamente successivo alla “crisi di fine secolo” (cioè ai primi del Novecento) la significativa ascesa del numero degli abbandoni, registrata in particolare per la città di Sassari[xv].

Tutta la documentazione relativa ai bambini abbandonati, nel periodo considerato, è conservata presso l’Archivio Storico della Provincia di Sassari.

L’insieme delle notizie esaminate nei documenti, riguardanti le esposizioni nei ventitrè Comuni del circondario sassarese, sono apparse estremamente lacunose e frammentarie, soprattutto se paragonate alle informazioni raccolte negli incartamenti concernenti il solo Comune di Sassari.

Tuttavia abbiamo ugualmente raccolto analiticamente tutti i dati che è stato possibile reperire dai carteggi intestati alle singole amministrazioni civiche, sparsi (non in ordine cronologico) nelle diverse cartelle dell’Archivio provinciale, ritenendoli estremamente indicativi, soprattutto dal punto di vista qualitativo, della realtà sociale delle piccole comunità territoriali del Sassarese.

Le fonti documentarie inerenti il Comune di Sassari si presentano, invece, più ordinate da un punto di vista dell’archiviazione e più complete nelle registrazioni degli esposti.

Utilizzando congiuntamente le notizie desumibili dai vari registri[xvi] è stato possibile ricostruire per gli anni dal 1866 al 1914, (con la sola eccezione degli anni 1875-1885, per i quali risultano mancanti i documenti), la situazione degli abbandoni nel territorio Sassarese.

L’analisi così avviata ci consente di collegare alcuni degli aspetti più significativi delle vicende dei fanciulli abbandonati e in particolare il loro stato di salute e la mortalità.

Ha anche consentito di individuare alcuni momenti significativi del periodo di baliatico, come l’affidamento e la cessazione.

Queste vicende appaiono di particolare interesse per un territorio come quello della provincia di Sassari, dove era generalizzata la pratica dell’affidamento del trovatello ad una balia esterna da parte delle amministrazioni civiche “… in assenza di un brefotrofio o di altro stabilimento congenere …”[xvii].

Le fonti utilizzate sono costituite essenzialmente da quattro serie di documenti (limitatamente al periodo intercorso tra il 1866 ed il 1915).

Dallo “Stato annuale di spesa per il mantenimento degli esposti” rileviamo il nome e cognome del trovatello, il numero con il quale è inserito nel “Registro generale esposti”, la data di nascita e/o di esposizione ritrovamento, le generalità della balia a cui è affidato, il baliatico mensile corrisposto per il suo allevamento, la data del suo eventuale decesso e altre osservazioni e notizie che lo riguardano per tutta la durata del baliatico, annotate dall’amministrazione comunale.

Nel “Processo verbale d’esposizione e consegna infante” il primo dato visibile è il nome assegnato al bambino dall’Ufficiale di stato civile del Comune interessato, seguito dalla data e ora del ritrovamento, le modalità di esposizione, gli eventuali segni di riconoscimento e l’apparente stato di salute del trovatello, il nome dei genitori – se noto – ed infine l’indicazione delle generalità e del domicilio della nutrice a cui viene affidato per l’allattamento.

Nel prospetto “Statistica dei fanciulli esposti – dal 1878 al 1884” sono invece riportati i soli dati quantitativi concernenti il numero delle esposizioni e dei decessi, limitati ai soli anni 1878/1884.

Questi ultimi dati apparentemente “scarni” si sono invece rivelati utili a colmare alcune lacune riscontrate proprio in quegli anni.

Dalla numerosa corrispondenza intercorsa tra le diverse amministrazioni comunali e la Deputazione provinciale in materia di trovatelli è possibile entrare in merito alle problematiche, prevalentemente di natura finanziaria, che affliggevano le casse e i bilanci municipali.

Un’ultima significativa fonte è il “regolamento pei fanciulli esposti nella provincia di Sassari” del 1887. La sua lettura ci consente, infatti, una maggiore comprensione dei dati rilevati nei vari documenti esaminati nei quali frequentemente sono citati gli articoli del regolamento stesso.

Sulla base della documentazione descritta abbiamo predisposto il nostro lavoro, partendo dalla compilazione di schede, intestate a ciascun Comune appartenente al Circondario di Sassari, nelle quali elencare, in ordine cronologico tutti gli avvenimenti che ci sono apparsi più significativi per il nostro studio.

A tal fine abbiamo raggruppato in ordine decrescente le località che presentavano un numero maggiore di trovatelli, quelle che registravano una certa saltuarietà, e quelle infine che non ne avevano mai avuti.

In questo modo abbiamo tentato di ricostruire un quadro quanto più completo e sintetico dell’intera situazione degli abbandoni nelle comunità rurali del territorio sassarese.

L’analisi e l’elaborazione concernenti, invece, la città di Sassari le abbiamo svolte in maniera differente adeguandoci in questo caso alla molteplicità delle fonti documentarie, che ci hanno indotto a procedere ad una rilevazione quantitativa dei dati, tralasciando l’elemento qualitativo laddove non è stato possibile soffermarsi per obiettive difficoltà di elaborazione e di interpretazione di dati tra loro congruenti.

In proposito suggeriamo di rimandare a successivi lavori lo sviluppo e l’approfondimento di ulteriori dati contenuti soprattutto nei “Processi verbali d’esposizione” e negli “Stati annuali mantenimento esposti” del Comune di Sassari.

2) Le cause dell’abbandono.

L’evolversi del fenomeno degli abbandoni e le ragioni che possono aiutare a comprendere le sue fluttuazioni nel tempo appaiono molteplici e talvolta sfuggenti perché sono da addebitare, oltre che a generiche motivazioni economiche e sociali, anche a motivi che non trovano riscontro negli atti ufficiali e quindi non documentabili[xviii].

Dobbiamo considerare, in particolare, l’esistenza nella pratica dell’abbandono di due modelli differenti, prodotti da contesti e logiche diverse, ma che insieme riflettono e riassumono tutte le ragioni sociali, economiche e culturali che influenzano il fenomeno delle esposizioni.

Il primo di questi modelli era adottato generalmente dalle famiglie urbane che, impossibilitate a provvedere ai loro figli, li abbandonavano, magari temporaneamente, sia a causa delle crisi congiunturali che colpivano la città, sia per la variazione delle caratteristiche del lavoro femminile, che determinava una conseguente modifica dei metodi di allevamento dei figli[xix].

L’altra forma di abbandono riguardava prevalentemente la maternità illegittima e si rivelava meno sensibile alle congiunture economiche e demografiche, risultando dipendente piuttosto dall’evoluzione degli atteggiamenti verso le pratiche sessuali pre-matrimoniali.

Il sistema di controllo sulle relazioni tra i sessi e sulla riproduzione, infatti, sembrava essersi allentato nel corso dell’Ottocento.

Ciò comportava la concentrazione sulla donna di responsabilità prima condivise in modo più ampio: il figlio naturale rimaneva ora a carico della madre, che sempre più di frequente partoriva nell’ambiente anonimo dell’ospedale o presso una levatrice ricorrendo quindi all’esposizione[xx].

Nel tentativo di porre un freno all’abbandono dei legittimi e degli illegittimi (e di limitare quindi i contributi per l’infanzia abbandonata) intervennero le Deputazioni provinciali, chiamate insieme ai Comuni ad integrare le insufficienti entrate patrimoniali dei brefotrofi attraverso stanziamenti adeguati.

Furono proprio le Deputazioni provinciali ad iniziare l’opera di abolizione delle ruote in Italia, tenendo conto che per tutti gli ultimi quarant’anni dell’Ottocento la carenza legislativa in materia di assistenza agli esposti contribuiva ad incoraggiare le decisioni prese autonomamente in sede periferica e ad accentuare le diversità fra provincia e provincia[xxi].

Ed era l’emergere dei problemi amministrativi e finanziari nelle istituzioni di accoglimento per l’infanzia abbandonata (determinati dall’esplosione del fenomeno) che contribuiva a sollevare, in ambito nazionale, un ampio dibattito sulle cause dell’esposizione e sulla necessità di abolire la ruota, ritenuta, da più parti l’indiretta responsabile dell’abbandono dei bambini, soprattutto legittimi[xxii].

La discussione coinvolgeva, oltre che gli “addetti ai lavori” (commissioni prefettizie, direttori di brefotrofi) anche studiosi di problemi sociali e si era fatta sempre più animata la netta contrapposizione verificatasi tra i sostenitori della ruota e coloro che ne volevano invece l’abolizione.

I fautori della soppressione sostenevano, tra l’altro, che la ruota, destinata in origine ai soli figli naturali, aveva finito per diventare un abuso da parte dei genitori legittimi ed era dunque un’istituzione che aveva fatto il suo tempo…

Coloro che si opponevano alla sua chiusura si appellavano soprattutto alla necessità di consentire alle madri naturali tutte le facilitazioni opportune per affidare il proprio figlio alla pubblica assistenza, al fine di evitare, per la società, il pericolo di un aumento dei reati di procurato aborto o di infanticidio[xxiii].

L’acceso dibattito si concludeva con la decisione di chiusura della ruota, che veniva compiuta nei brefotrofi delle grandi città, tra il 1870 ed il 1880, mentre per il resto del paese ciò avveniva più lentamente nel tempo[xxiv]. L’effetto più immediato della chiusura del torno fu una diminuzione del numero degli esposti in ingresso nei brefotrofi. La stessa misura non portò a quelle conseguenze tanto paventate dai fautori del torno, quali l’aumento degli infanticidi, di procurati aborti e di esposizioni in luogo pubblico.

Nell’ultimo ventennio del secolo il dibattito sugli esposti si allargava sulla pressante esigenza di una completa ristrutturazione dell’assistenza ai fanciulli abbandonati. Da più parti, infatti, si sentiva la necessità di limitare il più possibile il numero dei bambini all’interno dei brefotrofi. E per fare ciò si suggerivano alcune soluzioni: i bambini di famiglie povere, sia legittimi che illegittimi, sarebbero stati sussidiati a domicilio, gli uni mediante opere pie apposite, gli altri con i fondi stanziati nei bilanci comunali e provinciali a favore degli esposti e con le entrate patrimoniali dei brefotrofi stessi.

I veri abbandonati, cioè i figli di ignoti, sarebbero stati prontamente collocati a baliatico esterno e l’ospizio avrebbe dovuto vigilare, tramite Comitati di vigilanza, sulla loro educazione e vita[xxv].

Numerosi furono anche gli articoli, pubblicati soprattutto dalla “Rivista della Beneficenza pubblica e delle istituzioni di previdenza”, dal 1873 al 1914[xxvi], che sollevavano il problema delle esposizioni nel tentativo di combatterne le cause.

La rivista, sotto la direzione di Giuseppe Scotti (fino al 1899) avviava la sua battaglia contro i pregiudizi e le ipocrisie che circondavano, nella maggior parte dei casi, le ragazze madri, individuando nella mentalità corrente uno dei più temibili ostacoli alla realizzazione di riforme profonde e veramente umane nel campo dell’infanzia abbandonata[xxvii].

Ciò che più si richiedeva, per combattere il fenomeno degli abbandoni, era cominciare l’assistenza all’infanzia con la protezione delle madri. Infatti, più che brefotrofi erano necessarie case di maternità, ossia luoghi in cui le ragazze madri potessero partorire e vivere nei primi mesi dopo il parto, in attesa di reinserirsi nella società con un lavoro; e perchè le donne potessero procurare dignitosamente di che vivere a sè ed al proprio bambino bisognava istituire una rete organizzata di presepi e di asili che accogliessero i bambini durante le ore lavorative.

Se la società voleva veramente eliminare la piaga dell’esposizione doveva (sosteneva Scotti) promuovere con ogni mezzo la responsabilizzazione delle madri naturali nei confronti della propria prole, bandendo quel malinteso senso dell’onore in nome del quale si continuavano a compiere tante crudeltà[xxviii].

Evidentemente, queste proposte, suggerite da uomini considerati tra i più sensibili e aperti del tempo, non bastarono a cambiare la situazione. Ciò che effettivamente mancava era un’autentica volontà politica che si impegnasse ad ottenere quegli interventi ritenuti indispensabili per affrontare il problema dell’infanzia abbandonata[xxix].

Per Sassari ed il suo territorio, probabilmente, le cause che più fanno emergere il problema dei trovatelli non si discostano di molto da quelle del resto del paese. L’unico elemento di diversità è riscontrabile nella assoluta mancanza di brefotrofi.

In realtà anche qui le motivazioni prevalenti sono da ricercare nei due fattori concomitanti: la cultura e la morale (prevalente all’epoca) da un lato, e le motivazioni di natura strettamente economica dall’altro.

Il primo fattore tende a concretizzarsi nell’abbandono di neonati, frutto di unioni illegittime, da parte di ragazze nubili per le quali un figlio costituiva una vergogna (o un grosso ostacolo ad un eventuale matrimonio) alla quale bisognava in qualche modo rimediare. Inoltre, in tutte le classi sociali era diffusissima la mentalità, vincolata a rigidi schemi morali, che non ammetteva la procreazione fuori del matrimonio, e anzi condannava quelle donne che “disonorate” volessero allevare i propri bambini illegittimi. Così, sovente, una ragazza madre poteva reinserirsi nella società solo a prezzo di emarginare il figlio[xxx].

Frutto di estrema indigenza appare l’abbandono del figlio nel caso della donna che resta sola a sostenere la famiglia per l’assenza del marito o del compagno, perchè militare, o per momentaneo, o definitivo abbandono. Tale situazione è sicuramente assimilabile al fattore economico.

Un’altra causa che determinava lo stato di abbandono per il fanciullo (sebbene meno frequente nel Sassarese) era la detenzione in carcere di uno o di entrambi i genitori.

Se il fanciullo era orfano di padre e la madre era carcerata erano le stesse autorità che provvedevano ad iscrivere il bambino nel “Registro generale degli esposti”.

3) Le modalità dell’esposizione.

Una comparazione tra il numero degli esposti rilevati nei 23 comuni del Circondario e quelli registrati nella sola città di Sassari ci consente di evidenziare una significativa preminenza, nell’entità delle esposizioni, dell’area urbana su quella rurale.

E tuttavia questa appare l’unica differenza degna di nota riscontrabile tra le due realtà, per molti altri versi omogenee.

Se leggiamo con attenzione i contenuti dei “Processi verbali d’esposizione” delle due zone (cittadina e rurale) notiamo che le modalità di abbandono dei fanciulli sono praticamente analoghe[xxxi].

Il sistema usualmente praticato consiste nel “depositare” il piccolo (generalmente neonato) in luoghi quali una pubblica via o sulla porta di casa (talvolta sul davanzale, se la finestra è al piano terra) di persone ritenute, probabilmente, “degne” o idonee ad allevarlo.

Anche in merito agli indumenti che il bambino indossava al momento dell’abbandono, rileviamo una descrizione minuziosa e attenta ad ogni particolare[xxxii].

In proposito è indicativo il fatto che nel corso degli anni il tipo di vestiario dei trovatelli rimanga pressochè invariato.

Infatti nella maggior parte dei casi (sia in città che nelle località del Circondario) i bambini venivano abbandonati con vesti misere, con vecchi panni di mussola o di cotone, una o due cuffie, ma raramente erano lasciati completamente nudi[xxxiii].

In una sola vicenda, accaduta nel Comune di Portotorres, è descritto il ritrovamento di una bambina abbandonata in circostanze tali da renderle difficile la sopravvivenza. Nel “Processo verbale d’esposizione” del 15 giugno 1890 relativo alla spuria Antonia Catania si dice: “… di aver rinvenuto e raccolto alle ore sei antimeridiane del giorno 15 corrente, una proietta che al momento in cui fu raccolta presentava apparentemente poco buono stato di salute essendo stata coperta, affatto nuda, di terra e di immondezze nel punto ove venne coperta, con il chiaro intendimento di sopprimere la sua esistenza[xxxiv].

Per tutti gli altri casi, di cui si è avuta visione, il ritrovamento del trovatello veniva generalmente descritto in questo modo: “… testimonia di aver rinvenuto e raccolto…un proietto in apparente buona salute e sana costituzione…entro un cestino senza coperchio involto a cenci con una fascia di tela nuova…”[xxxv]. Oppure ancora: “…ravvolto entro una fascia usata e due stracci, uno di lana l’altro di tela con in testa tre cuffie…”[xxxvi]. Particolarmente circostanziata appare la descrizione contenuta nel “Processo verbale d’esposizione” del 1867, redatto dal Comune di Nulvi, riguardante il ritrovamento dell’infante Giuseppina Ortensia.

La piccola era stata raccolta, dal proprietario di un molino situato in località “Badu Peideru”, nel territorio di Nulvi.

Così l’Ufficiale di Stato civile descriveva il fatto: “…Verso le nove di notte, nell’atto che andava a letto per riposarsi…parregli sentire raspare alla porta del detto suo molino ed averne fatto menzione al figlio Antonio, questi la dischiuse (la porta) credendo essere rumore prodotto da una cagna. Verso le ore undici o mezzanotte sentì piangere un bimbo. Andato fuori vi trovò una bimba apparentemente nata nel giorno, adagiata in una piccola culla di Rovero, con un piccol pagliericcio di tela di cannavaccio imbottito di paglia di granone…La fece riavere dall’interizzimento dal freddo per mezzo dell’allattamento della di lui moglie e con l’avvicinarla al fuoco per riscaldarla…La detta bimba era fasciata di un pannolino bianco di tela di cotone ed altro pannolino di sagia bianca orlata di rosso, indossando una camiciola di mussolina ornata di un colletto a maglia..con una gran fascia di picchè fiorato sotto della quale trovò un mezzo foglio di carta color azzurrino che ravvisò essere scritto a caratteri maiuscoli…Alla testa poi portava una cuffia di mussolina bianca guarnita di una piccola ronda ed una cuffia di cotone dello stesso colore…La qual bimba con tutti gli arredi suindicati consegnò al figlio Antonio onde presentarla a questo ufficio comunale, per mezzo di Maria Rosa Dettori, che momentaneamente l’allattava…”.

A Osilo, nel 1913, il Sindaco descrive il ritrovamento della piccola Maria Prunas: “…età apparente due giorni, alle ore 4 antimeridiane del predetto giorno…(era stata raccolta) messa sopra un muro a secco dove il signor Migheli Giovanni ha l’ovile, regione “Belvagalze”, territorio di Osilo… Nel cestino che conteneva la bambina vi era un biglietto nel quale era scritto “domandare d’imporre al bimbo il nome di Maria”.

In questo caso la richiesta anonima veniva esaudita dall’ufficio di Stato civile, che assegnava all’esposta il nome di Maria e il cognome Prunas[xxxvii].

Al Comune di Perfugas, nel “Processo verbale d’esposizione” dell’infante Nigella Adelasia, nell’anno 1896 si testimoniava di “…aver rinvenuto e raccolto una proietta…alle ore 24…vestita di panni di tela di cotone in cattivo stato, senza alcun segno particolare di riconoscimento”.

Nello stesso Comune, nell’anno 1900, veniva ritrovata l’esposta Angelina Galbano. Si dichiarava che la bambina era stata ritrovata alle ore 2 dello stesso giorno di consegna all’ufficio di stato civile e che “…al momento in cui fu raccolta presentava buona salute e sana costituzione,…era vestita di cenci…senza alcun scritto nè segno di riconoscimento…”[xxxviii].

L’Ufficiale di Stato civile del Comune di Ploaghe così redigeva il “Processo verbale” del 1900 dell’infante Aurelia Spirito: “…che presentava buona salute e sana costituzione…era sprovvista di indumenti con uno scritto in cui era detto che era nata il 28 corrente e senza essere battezzata, e ritirato lo scritto dall’Arma dei carabinieri di Ploaghe…” affinchè avviassero le indagini atte ad individuare i responsabili dell’abbandono[xxxix].

Degno di nota ci appare il rapporto, inviato dal Comune di Portotorres alla Provincia, nell’anno 1867, in merito al ritrovamento di un fanciullo esposto. “…Nella mattina del 31 gennaio 1867 veniva presentato a questo ufficio di stato civile da certa Baingia Sanna, moglie di Giuseppe Manca, domicialiati in questo Comune, un fanciullo vivo asserendo di averlo avuto alla sua porta di casa esposto verso le ore tre di mattina del giorno 29 cadente mese, essendole alla detta ora bussata la porta per levarsi dal letto, come infatti immantinenti fu ritirato.

La stessa Sanna ha asserito di averlo avuto fasciato ed accompagnato dai seguenti oggetti: – teli cinque di mussolina cruda; teli due cotone bianco; sei camicie di mussolina bianca; sei cuffie compresa una di lana; due camicie e quattro fasce “Picchè”, un tutto nuovo.

Di più asserito di tenere addosso un piccol scritto dicente di dargli nome Edoardo e lo scrivente, quale Ufficiale di stato civile gli ha imposto nome Edoardo e cognome Olivo, indi lo consegnò alla stessa Baingia Sanna…avendo la medesima richiesta di volerlo allevare per conto proprio e a sue spese come famiglia non avente propri figli…”.

Nella stessa cittadina turritana, l’anno 1892, si redigeva il “Processo verbale d’esposizione” dell’infante Giovanni Battista Biagio Diospiro. Il suo ritrovamento avveniva alle ore 10,20 pomeridiane e si dichiarava di averlo raccolto “…premunito di due cuffie, di due pezze, una di mussola e l’altra di cotone, di una fascia ed avvolto in un panno di tela, senza alcun segno particolare di riconoscimento…”.

Nell’anno 1899, il Comune turritano trasmetteva alla Provincia la seguente certificazione sulla nascita dell’infante Gavino Genovesi. In essa è dichiarato: “…Certa Pilo Antonia Luigia trovandosi qua di passaggio nel 23 ottobre 1899 dava alla luce un figlio al quale, non essendo la Pilo maritata, veniva imposto da quest’ufficio di stato civile il nome di Genovesi Gavino, come Ella potrà rilevare dalla qui acclusa copia. La detta Pilo dopo pochi giorni dal parto morì, non lasciando in questo Comune che una sorella poverissima e certo non in grado di poter pensare all’allevamento del detto bambino, motivo per cui l’amministrazione vorrebbe, fin dal primo novembre del citato anno 1899 pagare per abiti, seppur una volta tanto, e corrispondere ad una balia, certa Martini Rosa, la mercede mensile di lire 10…”[xl].

Nel “Processo verbale” del 15 novembre 1904, redatto dal Comune di Sennori per l’infante Delasos Eugenia, di giorni dodici, successivamente deceduta, si dichiarava che l’esposta “…era vestita e provveduta dei seguenti indumenti: 2 cuffie, una di piquet e l’altra di mussola con pizzo di filo; 2 pezzuola di tela; uno straccio di mussola logoro; una fascia di piquet; un pezzo di pelle di pecora; un cuscino di fieno…”[xli].

L’Ufficiale di stato civile del Comune di Tissi, nell’anno 1911, nel “Processo verbale d’esposizione” dell’infante Prosdini Maria, scrive: “…proietta di apparente età di cinque giorni. Bigliettino uso bollo collocato entro la fascia e contenente il seguente scritto: “non mancare di denunziarla e battezzarla e non mancare di metterci il nome Maria, assolutamente non mancare di fare tutto questo. Nata il 3 novembre 1911”. La bimba era stata ritrovata alle ore 12,15 da certa Capitta Lai Gavina sul davanzale della finestra della sua casa, nella via Santa Rughezza, a Tissi[xlii].

Dalle vicende sopra descritte, tratte dalla lettura di alcuni “Processi verbali d’esposizione” presi a campione sulla base di dati ritenuti più significativi per la nostra analisi, alcune considerazioni si rendono necessarie.

Come già si ha avuto modo di sostenere, le modalità d’esposizione, rilevate dai dati esaminati appaiono, anche a distanza di 20-30 anni, abbastanza simili. Infatti si riscontrano caratteristiche ricorrenti sia nella scelta del luogo ove abbandonare il bambino, sia nel tipo di indumenti che lo accompagnano.

Tra i diversi casi esaminati, due risultano particolari, soprattutto per i luoghi scelti per l’abbandono e per il “ricco” corredo di cui disponevano i neonati al momento del ritrovamento.

Parliamo delle esposizioni avvenute nel 1867 in due località (Nulvi e Portotorres), riguardanti i fanciullì Giuseppina Ortensia e Edoardo Olivo.

I due Comuni risultano estremamente distanti da un punto di vista geografico, ma sono accomunati da una caratteristica che li avvicina sensibilmente.

Le decisioni dei due abbandoni non appaiono, alla luce dei fatti, scaturite da motivazioni strettamente economiche, ma più plausibilmente da ragioni legate al concetto di “onorabilità”.

Così come, dalla specifica scelta del luogo ove lasciare il neonato, emerge il desiderio (e la speranza) di vederlo accolto presso quella particolare famiglia che si sapeva abitare la casa, alla porta della quale si era bussato nella notte per segnalare la presenza del neonato.

Tutto questo, sebbene le disposizioni di legge stabilissero che chiunque trovasse un fanciullo abbandonato dovesse obbligatoriamente consegnarlo all’ufficio di stato civile del comune interessato: ma è necessario considerare che non era raro il caso in cui la stessa persona, o famiglia, che ritrovava l’esposto si offrisse di allevarlo col consenso del sindaco.

Il bambino esposto in un luogo pubblico o sulla porta di una casa veniva raccolto e nel più breve tempo possibile consegnato da colui che lo aveva “trovato” all’ufficio di stato civile competente, accompagnato da tutti gli indumenti o altri segni particolari che avesse indosso (una medaglia, l’immagine di un santo, un biglietto in cui si avvertiva che era già stato battezzato oppure no, o in cui si chiedeva di imporgli un certo nome).

Gli incaricati comunali, da parte loro, annotavano scrupolosamente nel “Processo verbale di consegna e d’esposizione infante” tutti questi elementi di riconoscimento, ritenendo che indicassero la volontà, da parte della madre, di rintracciare un giorno il proprio figlio.

La stessa legislazione, agli articoli 506 e 513 del Codice penale, contribuiva a far sì che chiunque ritrovasse un bambino abbandonato lo consegnasse immediatamente all’ufficiale di stato civile, in quanto erano previste pene severe a carico di coloro che abbandonavano bambini o mancavano di presentarli al Sindaco, nel caso fossero stati trovati in luogo pubblico[xliii].

4) Il fenomeno in cifre nei Comuni del Sassarese

La nostra analisi parte dall’esame delle schede (già citate nel precedente par. 1) relative ai ventitrè Comuni del Circondario sassarese.

I Comuni sono stati ripartiti in tre gruppi, sulla base del numero degli esposti registrati negli anni sotto osservazione. (Vedi la tabella N. 2).

Nel primo gruppo sono inserite le municipalità (soltanto 4) che segnano il numero più elevato di esposizioni.

Del secondo gruppo, composto da un più elevato numero di Comuni, la caratteristica prevalente è quella della saltuarietà e del limitato numero delle esposizioni, in un arco di tempo sufficientemente lungo.

Dell’ultimo gruppo fanno parte i tre soli Comuni che registrano una completa mancanza di esposizioni, in relazione al periodo esaminato.

La prima delle località osservate è Sorso, che nell’arco di 47 anni di osservazione (dal 1867 al 1914) registra 42 esposti e si colloca al primo posto tra tutti i Comuni – escluso Sassari – per entità di esposizioni.

Sorso è seguito, a breve distanza, da Ittiri, con 30 trovatelli per un periodo di 37 anni (dal 1872 al 1909), e da Sennori con 15 esposizioni in 39 anni (dal 1870 al 1909).

Il primo gruppo è chiuso dal Comune di Codrongianus, con 10 esposizioni in 44 anni di osservazione (dal 1867 al 1911).

Nel secondo gruppo sono compresi ben 16 Comuni, che presentano un numero di trovatelli che oscilla da un massimo di 8 bambini ad un minimo di 1, per periodi di tempo esaminati che vanno per i vari Comuni da 48 a soli 5 anni[xliv].

Infine le comunità di Cargeghe, Sedini e Usini, del terzo ed ultimo gruppo, sono accomunate da un’analoga mancanza di trovatelli, per tutto il periodo preso in esame (dal 1866 al 1915).

Da quanto fin qui descritto emerge chiaramente una situazione locale del tutto particolare, che ci induce a qualche riflessione.

Il fenomeno delle esposizioni appare circoscritto a poche comunità del territorio sassarese (appena 4 o 5), lasciando il restante numero di Comuni, ben 18, a svolgere un ruolo di semplici “comparse”.

E’ da sottolineare che Sorso, prima fra tutte le località esaminate per numero di esposizioni, ha una popolazione che passa dai 4.305 abitanti del 1861 ai 6.763 abitanti nel 1901[xlv], risultando tra le comunità più popolose intorno a Sassari. Un discorso analogo va fatto per Ittiri, che registra 4.263 abitanti nel 1861, per raggiungere la 6.985 unità nel 1901.

E’ opportuno, a questo punto, mettere in evidenza il dato generale di continua e pressoché generalizzata crescita della popolazione di tutti i Comuni della provincia di Sassari[xlvi].

La crescita degli abitanti comune praticamente a tutta la provincia di Sassari, (dal 1861 al 1901), non può tuttavia costituire un elemento valido per giustificare il conseguente aumento delle esposizioni, giacchè quest’ultimo dato interessa un numero estremamente circoscritto dei paesi considerati.

Analizzeremo ora in dettaglio le peculiarità dei singoli Comuni (laddove se ne riscontrano) partendo da quelli che segnano la totale mancanza di esposizioni.

Cargeghe, località a soli 14 Km da Sassari, è la comunità più piccola delle tre comprese nell’ultimo gruppo.

Le sue comunicazioni con la Deputazione provinciale risultano sporadiche e diradate nel tempo. Dal 1866 al 1886 vi è un’unica nota riguardante l’elenco delle somme dovute in concorso dal Comune per le spese di mantenimento degli esposti della provincia, secondo quanto disposto dal citato Decreto Regio 16 marzo 1866, che stabiliva la ripartizione degli oneri per il sostentamento dei trovatelli tra i Comuni della provincia nella misura di due terzi in ragione della loro popolazione e di un terzo a carico della Provincia[xlvii].

Nel 1892 l’amministrazione civica inviava alla Deputazione provinciale copia del “Registro generale esposti” (la cui tenuta era stabilita dall’art 3 del Regolamento sugli esposti) nel quale era contenuta dichiarazione del Sindaco “… di non avere in carico alcun trovatello”.

Le successive comunicazioni intercorse tra Comune e Provincia si riferivano esclusivamente a problemi di natura finanziaria.

Nel 1905 infatti si rileva un nuovo elenco di somme dovute dal Comune per concorso nelle spese degli esposti per gli anni 1901-1902-1903, a cui faceva seguito la quietanza del cassiere provinciale per l’avvenuto pagamento a saldo di quanto dovuto.

Con il 1906 si esaurisce la documentazione disponibile. L’ultima nota è della Prefettura di Sassari, con la quale si informava la Deputazione provinciale “… circa l’impossibilità del Comune di Cargeghe di estinguere il debito per spese esposti per mancanza di fondi…”[xlviii].

Usini presenta caratteristiche simili al precedente paese. Infatti è abbastanza vicino alla città capoluogo (appena 11 Km) e manca di un rapporto costante con l’amministrazione provinciale. Due sole note reperite nelle cartelle d’archivio ci danno la misura di quanto il problema esposizioni non coinvolgesse direttamente questa comunità. Difatto nel prospetto “Statistica dei fanciulli esposti”, che abbraccia il periodo 1878-1888, vi è contenuta la sola dicitura “Negativo”, intendendo chiaramente segnalare l’assoluta mancanza di trovatelli.

L’altra comunicazione, del 1904, è inviata dal Sindaco all’amministrazione provinciale e si riferisce al concorso delle spese per il mantenimento esposti per gli anni precedenti (il 1901-1902-1903), per la quota dei 2/3 di cui il Comune risulta debitore. In essa il Sindaco chiede, prima di provvedere al pagamento, di ricevere un conto dettagliato per ogni anno di riferimento.

Sedini è la località geograficamente più distante da Sassari rispetto a quelle esaminate in precedenza, ma non si discosta da esse per quanto concerne le notizie di cui disponiamo.

Dal 1878 al 1884 rileviamo il prospetto “Statistica dei fanciulli esposti”, che l’amministrazione civica era tenuta a trasmettere alla Deputazione provinciale. In essa, nella colonna destinata alle “Osservazioni” leggiamo la seguente dichiarazione del Sindaco: “… da vent’anni non è esistito nessun esposto[xlix].

E’ del 1892 l’ultima dichiarazione del Sindaco in materia di esposizioni: “… non esistendo in questo Comune trovatelli non è quindi ancora impiantato il “Registro generale esposti”, di cui all’art. 3 del Regolamento esposti 25 novembre 1886[l].

La situazione appare completamente capovolta se esaminiamo i dati raccolti inerenti le amministrazioni di Sorso, Ittiri e Sennori in quanto queste risultano sufficientemente fornite di informazioni attinenti i trovatelli da consentire una più esauriente elaborazione dei dati.

A Sorso, nel 1866, anno di partenza della nostra analisi, non risulta alcuna esposizione.

Nel decennio successivo (dal 1867 al 1877) i bambini a carico del Comune sono quattro: due trovatelli e due gemelle riconosciute dalla madre. Queste ultime sono affidate alle cure di una balia per disposizione dell’amministrazione civica perché “… la madre è condannata e potrà ritirarle solo nel 1878”. Le mercedi pagate alle rispettive nutrici variano da £.10 a £.15, a discrezione dell’amministrazione che valuta le diverse situazioni personali di balia e fanciullo ad essa affidato.

Dei due bambini esposti, il primo, registrato col nome di Francesco Giuseppe Batelli, ritrovato il 12 aprile 1867 e assegnato alla balia Maria Virdis di Sorso, con un sussidio mensile di £. 15, è riservato un “destino” diverso da quello che usualmente ricade sulla generalità dei fanciulli affidati a balia esterna nel nostro territorio.

Il problema che viene sottoposto alla Deputazione provinciale da parte del Comune riguarda la mancata disponibilità o impossibilità della famiglia che alleva il Batelli ad avviarlo al lavoro al compimento degli otto anni d’età e la conseguente richiesta di un parere favorevole per collocare l’esposto, al raggiungimento dei dieci anni di età, presso “l’Asilo infantile di Sassari” dove si riteneva potesse essere sufficientemente educato.

La Deputazione provinciale emetteva parere favorevole a quanto proposto dall’amministrazione civica, stabilendo, inoltre, il pagamento di un sussidio mensile di lire 5, da corrispondere all’Istituto che lo accoglieva per la durata di cinque anni, cioè fino al compimento dei quindici anni del fanciullo.

Per gli anni ‘80 dell’Ottocento i bambini risultanti a carico del Comune di Sorso sono 11, di cui 8 esposti, 1 orfana di madre, con padre molto povero, e due gemelle, affidate a nutrice benché riconosciute dalla madre, perché è attestata dall’amministrazione la sua povertà.

Anche in questo decennio i sussidi mensili corrisposti alle balie oscillano dalle lire 10 alle lire 15.

Di tutti i bambini mantenuti dal Comune per gli anni Settanta e Ottanta del secolo solo due risultano deceduti ed entrambi nello stesso anno della nascita.

Negli ultimi anni del XIX secolo e nei successivi quattordici anni del Novecento l’amministrazione civica mantiene il maggior numero dei trovatelli (ben 32).

A questo dato se ne aggiunge un altro, di segno negativo: nello stesso periodo si registrano 13 decessi tra gli stessi bambini assistiti.

Una nota positiva si segnala per il “destino” di tre trovatelli di Sorso. Nel 1892, Davide De Ferro, nato nel 1885, tenuto a balia da M. Antonia Mura di Sorso, è “ritirato” dalla stessa nutrice (cioè non è più a carico dell’amministrazione comunale) che rinuncia così a percepire il sussidio mensile.

Per gli anni 1904 e 1906 si leggono le richieste di concessione del premio di allevamento, inviate da Giovanna Maria Obino e Giovanna Maria Fadda, entrambe di Sorso e rispettivamente nutrici di Peppino Gabrilucci (nato nel 1884) e Maria Argentini (nata nel 1887). Dai documenti allegati alle domande i fanciulli risultavano perfettamente inseriti nelle famiglie che li avevano allevati e avviati ad un mestiere[li].

Anche Ittiri segna una crescita più significativa delle esposizioni verso la fine del secolo.

Negli anni tra il 1872 ed il 1883 sono registrati solo 5 bambini a carico del Comune; di questi, 3 sono trovatelli e due legittimi: una è indigente e l’altra orfana. Per la stessa epoca è indicato un solo decesso di un esposto di un anno di età.

Meno precisi ed attendibili appaiono i dati riguardanti il periodo che si riferisce agli anni Novanta. Qui sono registrati almeno 10 esposti, e probabilmente 3 “indigenti”, se consideriamo i cognomi delle bambine affidate a balia, (Baingia Pinna, M. Rita Mura, Baingia Maria Simon).

I primi anni del nuovo secolo segnano una carenza di notizie sugli esposti, dovuta supponiamo a smarrimento dei documenti o ad una errata archiviazione che non ne consente il ritrovamento[lii].

La documentazione riguardante il Comune di Sennori appare più dettagliata.

Negli anni Settanta le esposizioni risultano limitate a soli quattro bambini, due dei quali deceduti nello stesso anno di nascita (il 1872). Per i successivi anni Ottanta e Novanta, e fino al 1909, si segnalano 11 abbandoni e 4 decessi (questi ultimi avvenuti nel 1886, nel 1889, nel 1892 e 1904).

Tra i fanciulli assistiti dal Comune nel 1895 vi è inserita l’esposta Maria Mareschi, nata il 2 luglio 1890 e assegnata alla balia Maddalena Tola, maritata Paschinu, di Sennori. L’amministrazione comunale inoltra al Presidente della provincia, al fine di riceverne parere e consenso, la richiesta della citata balia, la quale “… manifesta il desiderio di ritirarsi la spuria… dichiarando di riconoscerla come propria figlia”.

Nel 1904 la Deputazione provinciale delibera la concessione del “premio-balia” di lire 180 a favore di Vittoria Marongiu e Vittoria Fara, entrambe nutrici rispettivamente di Mauro Bellu e Sebastiano Tanti (nati nel 1882), allevati ed educati dalle predette balie secondo il disposto dell’art. 3 del Regolamento esposti provinciale[liii].

Nella descrizione dei dati relativi al folto gruppo dei Comuni che segnano entità irrilevanti di esposizione evidenzieremo tra essi quelli che presentano le situazioni più significative ai fini della nostra indagine.

E’ da premettere (e il tema sarà sviluppato più avanti) che al momento della redazione del “Processo verbale d’esposizione” accadeva, abbastanza di frequente, che la persona che aveva materialmente “raccolto” il trovatello si offrisse spontaneamente di allevarlo.

Un caso simile accadeva a Bulzi, località a 58 Km da Sassari, che registra un solo esposto, per 11 anni di osservazione, nel 1903. Il trovatello Antonio Codinas era stato “raccolto” dal signor Giov. Antonio Mulargia il 31 dicembre 1903. Questi, durante la sua testimonianza sul ritrovamento davanti al Sindaco, manifestava l’intenzione di allevare il neonato. Ciò che appare curioso nella vicenda è che il Mulargia non aveva moglie: infatti nessuna indicazione in tal senso si rileva dal predetto “Processo verbale d’esposizione” redatto dall’amministrazione civica. Quest’ultima, comunque, decideva per l’affidamento dell’esposto al richiedente stabilendo anche la scelta di una balia per l’allattamento del bambino.

Dagli incartamenti consultati si possono rilevare tutti i compensi mensili, relativi al baliatico dell’infante, corrisposti alle tre nutrici (Giovanna Maria Corda, Andreuccia Farre e Annarosa Mannu) che si sono alternate nell’alimentare il trovatello fino al 1906, data in cui si verificava il passaggio direttamente al Mulargia del beneficio del sussidio stesso[liv].

In merito ai cambiamenti di nutrici che talvolta si verificavano per i fanciulli esposti va fatta una precisazione.

Nella generalità dei casi esaminati (ad eccezione di malattia contagiosa diagnosticata all’esposto) si trattava di una sostituzione richiesta dalla balia stessa a causa di sua malattia, per sopravvenuta gravidanza, o in caso di sua emigrazione all’estero per motivi di lavoro[lv].

Un altro elemento che si rivela diffuso nelle comunità, toccate solo marginalmente dal problema dell’esposizione, è la frequenza con la quale si legge la dichiarazione, redatta dal Sindaco del Comune interessato, nel prospetto “Statistica dei fanciulli esposti – dal 1878 al 1884”. E’ scritto di pugno del Sindaco: “… Non si hanno esposti rimasti sotto alimenti per conto del municipio, … e se ve ne fossero l’allevamento di questi … è adottato presso una particolare famiglia[lvi].

Ancora più significativa appare la successiva annotazione riportata dal Sindaco di Chiaramonti: “… L’allevamento si fa presso famiglie particolari. Non esiste in questo Comune la ruota, ufficio di consegna, brefotrofio, nè altro stabilimento congenere. Non si adotta l’allattamento artificiale. L’età per l’alimentazione è fissata dalla Provincia”.

Per il periodo preso in esame lo stesso Comune di Chiaramonti segna solo due bambini a carico dell’amministrazione[lvii].

Nel 1879 si delibera l’assegnazione a balia della piccola Salvatorica Canu (di cui non si conosce l’età), figlia naturale di Pietruccia Canu “… che trovasi espiando la pena di 20 anni nell’ergastolo di Torino[lviii].

Nel 1888 viene inoltrata al Sindaco (che ne da parere favorevole) richiesta di affidamento dell’esposta Viola Fortunata (ritrovata il 21 marzo 1884 e da quel momento in consegna alla balia Greca Casu) da parte dei coniugi Salvatore Malta e Antonia Mè (senza prole) “… con esonero ai medesimi di mercede fino a che la bambina ad essi consegnata non otrepassi l’età di anni dodici[lix].

Anche l’amministrazione comunale di Muros, nel compilare il già citato prospetto di “Statistica dei fanciulli esposti (1878-1884)” precisa che in loco “… non esiste ruota, ufficio di consegna, brefotrofio o altro congenere”, e segnala una esposizione nel 1884 “conclusasi” col decesso del bambino dopo soli 18 giorni dal suo ritrovamento e affidamento a baliatico[lx].

Degno di nota si rivela il “Processo verbale d’esposizione” (il 14 ottobre 1888) dell’infante Maria Gavina Zibibo, nel quale è descritto quanto segue: “… è comparso il signor Mannoni Antonio Giovanni il quale dichiara… di aver rinvenuto e raccolto alle ore una e minuti trenta di mattina del giorno d’avantieri (il 12) un proietto che al momento in cui fu raccolto presentava apparente buona salute e sana costituzione, ravvolto entro una fascia usata e a due stracci, uno di lana e l’altro di tela, con in testa tre cuffie e con sé avente un biglietto dicente: “nel battesimo si metta Verina”. Sempre durante la redazione del “Processo verbale” seguiva la dichiarazione del Sindaco che sosteneva di poter scoprire la madre della proietta, e ne faceva in proposito relazione al Comandante la stazione dei Carabinieri di Ossi (dalla quale Muros dipende) per le opportune indagini e perché avessero effetto le disposizioni del codice penale relative ai reati di esposizione[lxi]. Intanto la proietta veniva affidata provvisoriamente alla balia Maria Angela Usai, maritata Pulina.

Nell’anno successivo, risultando infruttuose le indagini dei Carabinieri richieste dal Sindaco di Muros, l’esposta Maria Gavina Zibibo veniva regolarmente iscritta nell’apposito “Registro generale degli esposti”.

L’amministrazione civica inviava inoltre richiesta alla Deputazione provinciale affinché fosse disposta la “visita trimestrale di controllo” prescritta dall’art. 11 del citato Regolamento provinciale[lxii], per la bambina e la sua nutrice, Maria Angela Usai.

Tale disposizione veniva regolarmente eseguita dalla Commissione di Vigilanza provinciale per tutti gli anni che seguirono fino al 1892. In questo stesso anno si registrava l’atto di morte della piccola esposta, avvenuta nell’abitazione della stessa balia alla quale era stata affidata fin dall’inizio. Non risultava invece alcuna indicazione sulla causa del decesso[lxiii].

Un altro elemento degno di nota che accomuna le diverse località territoriali del Sassarese è la scelta dei nomi da assegnare ai trovatelli ad opera dell’ufficio di stato civile interessato[lxiv].

Alcuni dei nomi assegnati appaiono perlomeno curiosi, oltre che privi di buon gusto e sensibilità.

Tralasciando una lunga elencazione, indicheremo a titolo esemplificativo i nomi che più ci sono apparsi “fuori della norma” e quelli che più frequentemente venivano utilizzati specificamente per i trovatelli.

Il nome che per primo richiama l’attenzione è certamente quello assegnato, nel Comune di Sorso, ad un esposto registrato il 27 dicembre 1890 con il nome “Di San Giuliano delle Bande Nere Giovanni”.

Seguono: “Argenti M.Salvatora, Persa Salvatorica e Argentini Maria” di Codrongianus; “Zibibo Maria Gavina e Ortensia Giuseppina” di Muros; “Bennato Gaetano, Ricco Giovanni e Pasqua Natalia” di Martis.

Troviamo ancora tra gli esposti di Laerru i nomi: “Primavera Cesare Augusto, Campanella M.Margherita, Settembrino Cristoforo”.

Tra quelli di Portotorres e Tissi i nomi: “Olivo Edoardo, Candida Dolliva e Mantenuto Raffaele”.

Infine si rileva un uso frequente di nomi ripetitivi o sinonimi di fiori, come ad esempio: “Rosa Vittoria e Fiorile Gaetano a Ossi; Giglio Maria, Fiore Maria, Fiore Agostino, ad Osilo; Viola Peppina, Viola Giovanna Maria, entrambe di Martis; Viola Maria di Codrongianus e infine, Viola Fortunata di Chiaramonti”[lxv].

E’ interessante sottolineare come anche la città capoluogo non risulti esente dalla “tentazione” di assegnare ai fanciulli abbandonati dei nomi che li avrebbero, in futuro, resi “identificabili” come trovatelli, e quindi in qualche modo destinarli ad una forma (neppure tanto sottile) di emarginazione sociale.

Infatti è sufficiente la visione di due soli “Stati annuali degli spuri mantenuti dal municipio di Sassari”, per gli anni 1868 e 1872, per avere conferma di quanto appena sostenuto.

Nel 1868, l’amministrazione comunale ha in carico ben 90 bambini.

Indicheremo solo alcuni dei nomi ritenuti particolari o curiosi: “Antonio Bonaventura, Caterina Ribes, Vincenzo Prugnetti, Emilio Volpetti, Giacomo Topi, Rosa Topo, Chiara Burro, Remigio Faveto, Graziano Assunto, Lodovico Petrolio, Emanuele Medaglia, Maria Miserina, Gavino Fieno, Natalino Foresta”[lxvi].

E’ sufficiente saltare qualche anno, esaminando i nominativi degli esposti inseriti nello “Stato annuale” del 1872, per ammettere che le modalità di scelta dei nomi da parte dell’amministrazione cittadina non appaiono affatto cambiate. Ci troviamo di fronte a nomi quali: “Elena Favetto, Natalino Zappa, Maria Spinetta, Sebastiano Cravatta, Benedetto Ribelle, Martino Vinetto, Candida Tesorina, Agnese Furbini, Amedeo Filetto, Massimino Pioggia, Angelica Tulipano”[lxvii].

Le considerazioni che si possono trarre dall’analisi particolareggiata che abbiamo riservato alle comunità del territorio sassarese sono da un lato l’esiguità delle esposizioni in tutte le località; (con la sola eccezione dei tre Comuni di Sorso, Ittiri e Sennori) dall’altro la dispersione degli abbandoni nei Comuni del Sassarese. Non vi è, dunque, un legame tra dislocazione geografica e numero delle esposizioni.

Di fatto gli esposti sono sparsi, in numero peraltro limitato, fra tutte le località più o meno vicine a Sassari. Non è da trascurare, tuttavia, la tradizionale attrazione suscitata dall’area urbana nei confronti delle comunità rurali e limitrofe.

Queste, circoscritte e “soffocate” in un ambito territoriale socialmente e culturalmente angusto, vedevano nell’evasione verso la città la sola possibile soluzione ai tanti problemi di natura ideologico-culturale e/o economica che almeno in apparenza la sola città mostrava di poter risolvere[lxviii].

Si può quindi ipotizzare che la città potesse apparire per gli abitanti dei villaggi un luogo privilegiato per l’esposizione, perlomeno dal punto di vista della sua realizzazione se non da quello della sua origine.

Sulla base di tali considerazioni, sebbene non suffragate da prove concrete, si potrebbe almeno in parte giustificare l’enorme divario riscontrato sulle entità delle esposizioni tra l’area rurale e quella cittadina.

Quest’ultima, risultata prevalente nei valori registrati in tutto l’arco di tempo esaminato, avrebbe rappresentato per l’altra zona un naturale e sicuro bacino di ricezione e di assorbimento degli esposti provenienti dal territorio circostante.

Infine, si impone un’ultima considerazione in merito alla riscontrata prevalenza tra i Comuni e la Deputazione provinciale di un tipo di corrispondenza di natura prevalentemente contabile nella gestione del servizio per gli esposti.

Intendiamo riferirci in particolare alla presenza, tra la documentazione inerente la materia, da un numero rilevante di dati esclusivamente finanziari e di bilancio, in netto contrasto con l’esiguità e la lacunosità dei documenti più strettamente legati al trovatello e al suo destino sociale.

Possiamo tentare di supporre che per le amministrazioni civiche del Sassarese il problema che maggiormente incombeva non era quello del numero degli abbandoni (che sappiamo essere poco rilevante), quanto la contabilità e l’amministrazione dei fondi di bilancio che risultavano sempre insufficienti a fronteggiare qualsiasi spesa che risultasse supplementare.

Le tabelle N. 3 e N. 4 riguardano i fanciulli esposti nella sola città di Sassari. Risulta che il flusso dei trovatelli si mantiene sostanzialmente stabile dal 1866 fino agli anni Ottanta dell’Ottocento (benché si registri una leggera variazione in crescita nei soli anni 1873-74, di cui non è facile cogliere le ragioni).

E’ interessante sottolineare come, nel nostro caso, l’aumento delle esposizioni si manifesti con un certo ritardo rispetto all’Italia e all’Europa[lxix], dove invece le esposizioni sono più numerose a partire dalla metà del Settecento, fino a raggiungere una punta massima nell’Ottocento, sebbene con notevoli differenze in ambito locale e regionale[lxx].

Quest’ultimo dato appare strettamente connesso alla concomitante crescita demografica europea e, sebbene non sia possibile parlare con certezza di un nesso di causa ed effetto tra i due dati riscontrati[lxxi], ciò che si rivela degno di nota è che la stessa correlazione (tra aumento della popolazione e contemporaneo incremento delle esposizioni) è rilevabile più avanti nel tempo anche per la Sardegna e specificamente per la provincia di Sassari[lxxii].

Infatti, sulla scorta dei dati numerici riportati nella tabella già citata, possiamo rilevare una linea ascendente del numero dei trovatelli a partire dagli ultimi anni dell’ottocento, per proseguire pressoché ininterrottamente fino al 1914.

In maniera analoga possiamo mettere in rilievo la crescita costante della popolazione (tabella 5) in ciascun Comune della provincia di Sassari dalla metà dell’Ottocento fino al 1901[lxxiii].

Ci sembra tuttavia opportuno segnalare come l’aumento del numero delle esposizioni che si registra soprattutto a Sassari nel primo decennio del Novecento si verifichi nel periodo immediatamente successivo alla crisi dell’economia sarda di fine secolo[lxxiv].

Sull’incremento degli abbandoni, a livello nazionale ed europeo, è possibile azzardare delle spiegazioni che possono apparire, almeno in parte plausibili[lxxv].

Fra tutte, una in particolare ci appare incontrovertibile: l’istituzione in ambito nazionale ed internazionale di una molteplicità di brefotrofi e torni, nati sull’onda di spinte umanitarie ed emotive dovute alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sullo spinoso problema dell’assistenza all’infanzia abbandonata. Ciò conduceva a conseguenze i cui effetti si sarebbero fatti sentire solo al momento dell’esplosione del fenomeno delle esposizioni. In realtà le misure adottate consentivano alle fasce più deboli ed emarginate della società di ricorrere come ultima risorsa alla “carità pubblica”, e quindi all’abbandono dei propri figli, anche se legittimi[lxxvi].

Un’ipotesi analoga non può essere avanzata per la provincia di Sassari, dove non esistevano nè uffici di consegna, nè ruota, nè brefotrofi, all’infuori di quello di Orosei, nel quale però l’amministrazione provinciale di Sassari non aveva ingerenza alcuna[lxxvii].

Dalla lettura dei vari “Processi verbali d’esposizione” risulta che la gran maggioranza dei bambini veniva abbandonata subito dopo la nascita – o al più tardi dopo pochi giorni – e con cadenza pressoché identica in tutti i mesi dell’anno, benché alcune differenze fra i mesi si presentino ugualmente[lxxviii].

Non ci è possibile fare una ricostruzione statistica con una qualche regolarità per i Comuni del Circondario perché gli esposti, come già detto, sono in numero estremamente limitato.

Anche in merito al tasso di mascolinità, per i dati che ci è consentito di verificare, si registra una generale parità nella propensione ad esporre un maschio od una femmina[lxxix].

Un altro dato estremamente difficile da elaborare è la presunta provenienza geografica dei fanciulli esposti, consegnati negli uffici di stato civile del Comune in cui sono stati abbandonati[lxxx].

Non disponiamo di elementi concreti per poter ragionevolmente sostenere che la maggioranza degli esposti provenisse dalla stessa area urbana in cui erano ritrovati, in considerazione del numero più elevato di essi registrato a Sassari rispetto a quello dei Comuni del Circondario, risultato addirittura ininfluente.

Su questo punto si possono quindi fare solo poche affermazioni attendibili. Sappiamo che in epoche più antiche la gran maggioranza dei bambini accolti nelle grandi città della Sardegna provenivano dai paesi limitrofi[lxxxi]. In realtà così accadeva anche in altre località italiane, come ad esempio a Firenze e a Prato, dove circa i due terzi dei trovatelli proveniva dal contado. Di origine campagnola erano anche i bambini accolti (nei sec. XVII e XVIII) da brefotrofi di piccola e media capacità (per esempio: Perugia, Todi, Trento)[lxxxii].

E’ probabile che anche nell’Ottocento e nei primi anni del nuovo secolo (vista anche la crescita costante delle popolazioni della provincia) le comunità rurali ricorressero all’abbandono dei bambini conducendoli nella città capoluogo, considerata centro di raccolta privilegiato per l’esposizione.

Ciò contribuirebbe a spiegare l’enorme divario esistente tra le esposizioni in città (sicuramente degne di rilievo) e quelle praticate nel territorio circostante, certamente irrilevanti.

[i] C. Nuvoli, L’infanzia abbandonata ad Alghero dal Settecento al Novecento, tesi di laurea discussa col prof. F. Manconi, anno accademico 1987/88, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Sassari.

[ii] Ibidem, pp. 118-119.

            Citiamo le modalità più curiose e significative. Una pratica era quella che coinvolgeva un certo numero di comuni, i quali stabilivano che l’esposto dovesse sostare da una casa all’altra fino al suo trasferimento in ospedale. In questo modo si realizzava una equa ripartizione delle spese tra tutti i cittadini. I paesi interessati a questo sistema erano: Tissi, Ittiri, Nuragugume, Bolotana, Busachi, Sardara, San Gavino, Guspini, Pabilonis, Villasor. Altri comuni, come Tempio e Luras, assegnavano le spese da sostenere per gli esposti al marchese e al barone locali. Ancora diversamente si agiva a Villanova dove il trovatello andava a carico di colui che lo aveva ritrovato davanti alla sua casa. In altri Comuni ancora il mantenimento dei trovatelli era assicurato dalla carità pubblica, mentre a Girasol, Mamoiada, Pattada, Osilo e Tresnuraghes le spese erano a carico della amministrazione civica.

[iii] G. Pinna, Sulla Pubblica Sanità in Sardegna dalle sue origini fino al 1850, Sassari-Cagliari, 1898, pp. 182-192.

[iv] Ibidem, …

[v] G. Pinna, op. cit., pp. 82-94.

[vi] Ibidem, …

[vii] C. Nuvoli, op. cit. p. 122.

[viii] Ibidem, … p. 102.

“Su Babu de Orfanes” era un magistrato laico che aveva compiti amministrativi, di controllo e di tutela nel governo degli esposti. Figura istituita dal sovrano spagnolo nel 1337, veniva importata in Sardegna subito dopo la conquista catalano-aragonese nel 1400. A Sassari nasceva nel 1572.

[ix] Nel 1872 era di £. 120 annuali. Archivio Storico della Provincia di Sassari (d’ora in poi A.S.P.SS), Cat. 8 – Fasc. 4-1/7.

[x] Fino agli anni Settanta dell’Ottocento il suo compenso mensile era di £. 5, successivamente sarebbe arrivato a £. 10. A.S.P.SS, Cat. 8 – Fasc. 4-1/7 – Dal 1866 al 1903.

[xi] C. Nuvoli, op. cit. p. 120.

[xii] Ibidem, … p. 123. Come si preciserà più avanti la maggior parte degli esposti proveniva dai paesi limitrofi alle grandi città sarde.

[xiii] G. Pinna, op. cit. p. 182.

[xiv] C. Nuvoli, op. cit. p. 124.

[xv] L’analisi riguardante il periodo intercorrente tra l’unificazione nazionale e la vigilia della Grande Guerra ci è parsa determinante ai fini di una valutazione degli eventi verificatisi in quell’epoca e delle conseguenze che inevitabilmente gli stessi hanno provocato, soprattutto in merito alle esposizioni, che registravano a Sassari una costante crescita che si protraeva nel tempo, anche negli anni successivi alla guerra mondiale.

[xvi] Si tratta dei “Processi verbali d’esposizione infanti”, degli “Stati annuali di mantenimento esposti”, della “Statistica dei fanciulli esposti”, dal 1878 al 1885”.

[xvii] Tali dichiarazioni sono frequenti e risultano riportate nelle “Statistiche dei fanciulli esposti”, da parte dei Sindaci di alcuni Comuni del circondario.

[xviii] In proposito si veda: G.Da Molin, op. cit., p. 518;

  1. Sandri, Gli esposti di San Gallo di Firenze nella prima metà del XV secolo, in Enfance…, pp. 999-1007;
  2. Robin e A. Walch, Les billets trouvés sur les enfants abandonnés à Paris, in Enfance…, pp. 983-987;
  3. Pagliano, in Enfance…, pp. 887-895.

[xix] V. Hunecke, op. cit., pp. 244-245.

[xx] M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., p. 134.

[xxi] Ibidem, pp. 76-77.

[xxii] Ibidem, p. 7.

[xxiii] Ibidem, p. 137.

[xxiv] G. Pomata, op. cit., p. 498.

[xxv] M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., p. 93.

[xxvi] Ibidem.

[xxvii] Ibidem, p. 94.

[xxviii] Ibidem.

[xxix] ibidem.

[xxx] G.Da: Molin, op. cit., p. 527.

[xxxi] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4-1/7; 1/25; 19/24; 8/17 e Fasc. 4-14 del Circondario di Sassari e Cat. 8, fasc. 4/18, dal 1866 al 1915, del Comune di Sassari. Vedi anche documento N. 26 in appendice.

[xxxii] Ibidem.

[xxxiii] Ibidem.

[xxxiv] A.S.P.SS., Cat. 8, fasc. 4-1/7, dal 1866 al 1903.

[xxxv] “Processo verbale d’esposizione” infante Settembrino Cristoforo, Comune di Laerru, anno 1895.

[xxxvi] “Processo verbale d’esposizione” infante Zibibo Maria Gavina, Comune di Muros, anno 1888.

[xxxvii] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4-1/25, dal 1903 al 1915.

[xxxviii] Ibidem, vedere anche documento N. 26 in appendice.

[xxxix] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4-1/7, dal 1866 al 1903.

[xl]Ibidem.

[xli] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4-1/25, dal 1903 al 1915.

[xlii] Ibidem.

[xliii] Vedere sull’argomento al Cap. II, par. 2 del presente lavoro.

[xliv] I Comuni compresi nel secondo gruppo sono: Osilo, Portotorres, Martis, Muros, Ploaghe, Uri, Tissi, Perfugas, Laerru, Castelsardo, Chiaramonti, Florinas, Bulzi, Putifigari, Ossi.

[xlv] F. Corridore, Storia documentata della popolazione di Sardegna, (1479-1901)”, Torino, 1973.

[xlvi] Ibidem.

[xlvii] Come stabiliva il Decreto Regio del 16 marzo 1866. Vedi anche documenti N. 20 e N. 25 in appendice.

[xlviii] A.S.P.SS, Cat. 8 – Fasc. 4-1/25, dal 1903 al 1915.

[xlix] A.S.P.SS, Cat. 8 – Fasc. 4-1/25, dal 1866 al 1891.

[l] Ibidem.

[li] A.S.P.SS., Cat. 8 – Fasc. 4-1/7, dal 1866 al 1903; dal 1866 al 1906 e Cat. 8 – Fasc. 4 -1/25, dal 1903 al 1915.

[lii] Ibidem.

[liii] Ibidem.

[liv] A.S.P.SS., Cat. 8 – Fasc. 4-1/25, dal 1903 al 1915.

[lv] Ibidem.

[lvi] A.S.P.SS., Cat. 8. Fasc. 4-1/7, dal 1866 al 1903; Fasc. 4-1/25, dal 1903 al 1915.

[lvii] Ibidem.

[lviii] Ibidem.

[lix] Ibidem.

[lx] Ibidem.

[lxi] A.S.P.SS., Cat. 8, fasc. 4-1/7, dal 1866 al 1903.

[lxii] Regolamento pei fanciulli esposti nella Provincia di Sassari, 1887, art. 11. Vedi anche documento N. 17 e 18 in appendice.

[lxiii] Probabilmente la certificazione di morte è andata smarrita. Vedi il documento N. 23 in appendice.

[lxiv] Vedi sul tema:

            M.G. Gorni e L. Pellegrini, Un problema di storia sociale. L’infanzia abbandonata in Italia nel secolo XIX, Firenze, 1974, pp. 141/143;

  1. Nuvoli, op. cit. pp. 170/177. C.A. Corsini, Il destino del trovatello, in “Enfance abandonnée et société en Europe – XIV – XV siécle”, 1987, pp. 114/119.
  2. Da Molin, Gli esposti a Napoli nel Seicento, in “Enfance…”, pp. 481/483.
  3. Codarin Miani, Gli esposti a Udine nel periodo 1656-1755, in “Enfance…”, pp. 481/483.

[lxv] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4-1/7; 4-1/25; 4-19/24; 4/14 e 4/8/17.

[lxvi] A.S.P.SS., Cat. 8, fasc. 4/18, dal 1866 al 1891.

[lxvii] Ibidem.

[lxviii] Sulla concentrazione delle esposizioni in area urbana vedere C. Nuvoli, op. cit., p. 119; F. Reggiani e E. Paradisi, L’esposizione infantile fra Seicento e Settecento, in Enfance …, p. 973

[lxix] In proposito vedere M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., pp. 38-50;

  1. Hunecke, I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, 1989, pp. 15-22 e pp. 72-80;
  2. Nuvoli, op cit., pp. 46-55;

C.A. Corsini, op. cit., pp. 83.90;

G.Da Molin, op. cit., pp. 535-538.

[lxx] C. Nuvoli, op. cit., pp. 123-136; G.Da Molin, op. cit., pp. 523-524.

[lxxi] M.W. Flinn, Il sistema demografico europeo, 1500-1820, Bologna, 1983, pp. 121-129; vedere anche la Rivista Le Scienze, n° 45, maggio 1972, p. 13; e V Hunecke, op. cit., pp. 23.36.

[lxxii] F. Corridore, op. cit., pp. 134-139; M. Brigaglia, La classe dirigente a Sassari da Giolitti a Mussolini, Cagliari, 1979, p. 11.

[lxxiii] Ibidem.

[lxxiv] M. Brigaglia. op. cit., p.13.

[lxxv] Sullo stesso tema vedere M.G. Giorni e L. Pellegrini, op. cit., pp.147-151;

  1. Hunecke, Intensità e fluttuazioni degli abbandoni dal XV al XIX secolo, in Enfance…, pp. 27-42;

G.Da Molin, Illegittimi ed esposti in Italia dal Seicento all’Ottocento, in La demografia storiche delle città italiane, Assisi, 1980, pp.512-518;

  1. Jeorger, L’abandon de la restauration à la première Guerre mondiale, in Enfance…, pp. 705-712.

[lxxvi] In proposito si veda anche: G. Pomata, Madri illegittime tra Ottocento e Novecento, in Quaderni storici n° 44, Ancona-Roma, 1980, pp. 497-499;

  1. Bongioanni, Fanciullezza abbandonata, Bari, 1964, pp. 7-9;

M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., p. 140;

  1. Hunecke, op. cit., pp. 244-250;
  2. Cavallo, Bambini abbandonati e bambini in “deposito” a Torino, in Enfance…, pp. 354-357;

G.Da Molin, Gli esposti a Napoli nel seicento, in Enfance…, pp. 485-489;

  1. Florenty, Abandon d’enfants à Nevers à la veille de la Révolution, in Enfance…, pp. 618-620;

A.M. Maccelli, Bambini abbandonati a Prato nel XIX secolo, in Enfance…, pp. 818-819;

G.Da Molin, op. cit., pp. 522-528.

[lxxvii] Lettera del Presidente della Deputazione provinciale di Sassari del 14 settembre 1909, A.S.P.SS., Cat. 8, fasc. 4, dal 1904 al 1915.

[lxxviii] Vedere sul tema: V. Hunecke, op. cit., pp. 127-129; Ibidem… in Enfance…, pp. 42-45;

  1. Bussini, Gli esposti all’ospedale di Todi, in Enfance, pp. 305-308;
  2. Langellotti e C.M. Travaglini, L’infanzia abbandonata nel Viterbese (sec. XVIII-XX), in Enfance…, pp. 765-767.

[lxxix] Sull’argomento si veda: C.A. Corsini, op. cit., pp. 83-90;

  1. Cavallo, op. cit., pp. 357-361;
  2. Grandi, L’abbandono degli illegittimi nel trentino dell’Ottocento, in Enfance, pp. 669-674;
  3. Pagliano, Il motivo dell’infante abbandonato in letteratura, in Enfance, pp. 879-887.

[lxxx] Sulla provenienza geografica degli esposti vedere anche: V. Hunecke, in Enfance…, pp. 49-55;

C.A. Corsini, op. cit., pp. 98-104;

  1. Bussini, op. cit., pp. 314-315;
  2. Reggiani e E. Paradisi, op. cit., pp. 972-977;
  3. Schiavoni, Gli infanti “esposti” del Santo Spirito in Saxia di Roma, in Enfance…, pp. 1023-1027.

[lxxxi] C. Nuvoli, op. cit., pp. 119-120.

[lxxxii] V. Hunecke, in Enfance…, p. 50.

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