“Il Rifugio Gesù Bambino per le bimbe abbandonate (1903-1970)” di Angelino Tedde e di Lucia Tortu
Sassari, come molte città italiane ed europee, presentava agli inizi dell’età giolittiana una forte situazione di povertà e di degrado materiale e morale nell’area del disagio minorile.
Folte schiere di ragazzi abbandonati, di entrambi i sessi, scalzi, appena ricoperti di cenci, denutriti, si aggiravano nel centro storico della città le cui mura erano state abbattute definitivamente solo da qualche decennio.
All’accoglienza di molti bimbi, pensava il cav. Carlo Rugiu, seguace di F. Ozanam, nel suo Ospizio dell’Immacolata Concezione e di San Vincenzo de Paoli, più comunemente noto come “ l’Ospizio dei Cappuccini”.
All’accoglienza delle bimbe orfane, pensava già dal 1832 l’Orfanotrofio delle Figlie di Maria, tuttavia, le due “ agenzie “ di raccolta dell’infanzia non erano sufficienti a rispondere ai bisogni della città, per cui la Figlia della Carità, suor Agostina Raitieri, che come “ suora dei poveri “ percorreva in lungo e in largo la città insieme alle Dame della Carità pensava di porvi rimedio.
Un giorno segnalò, sia alle Dame che alle consorelle, il caso di due “ bimbe pericolanti “ da ritirare dalla strada prima che fosse troppo tardi per i rischi morali e materiali ai quali avrebbero potuto andare incontro.
Si mossero immediatamente Suor Ragatzo, superiora dell’Ospizio Cappuccini, il cav. Carlo Rugiu, presidente della stessa istituzione e naturalmente i “Signori della casa Missione”, (così, francesemente, venivano chiamati i Preti della Missione), a turno direttori delle Dame della Carità, per ricoverare le due bimbe in un provvisorio locale dello stesso colle dei Cappuccini.
Si era nel 1903, da quell’anno, tutte le presidenti delle Dame della città, da donna Raimonda Usai a donna Momina Dettori Manno, operarono per dare a queste prime assistite e ad altre numerosissime, per oltre settant’anni, un “ Rifugio “ che le accogliesse, le nutrisse, le curasse e desse loro un’educazione morale e religiosa, scolastica e di avviamento al lavoro non inferiore a quella che potevano avere le bambine di normali famiglie. Sia pure con tutti i limiti del caritatismo vicenziano di fine Ottocento e primi Novecento, contrassegnato dalla precarietà della struttura di accoglienza e dalla mancanza di una iniziale programmazione educativa, con operatrici, spesso preparate sommariamente, la struttura assistenziale decollò rispondendo ai bisogni della città e della provincia nel settore dell’infanzia.
Le Figlie della Carità che si alternarono al Rifugio, furono oltre settanta; le bimbe delle quali è stato possibile rintracciare le generalità e che soggiornarono nell’istituto dal 1903 al 1936 furono circa 414, ma si calcola che nel corso di quasi settant’anni furono non meno di mille le bimbe, che nel “ Rifugio “ trascorsero un periodo più o meno lungo e che ricevendo cure ed educazione dalle suore e dalle Dame, fecero dell’Opera, un’istituzione al servizio delle “bimbe abbandonate “, per Sassari, la sua provincia, l’intera Sardegna e talvolta per l’estero.
Eretta in ente morale nel 1920, dotata di un consiglio di amministrazione costituito dalle più aristocratiche signore della città, presieduto da donne attive ed energiche, gestita da generose Figlie della Carità, ben vista e finanziata da privati e talvolta sovvenzionata da vari enti pubblici, la struttura sia pure con le varie trasformazioni dovute ai mutamenti storici, si avvia nei prossimi anni a celebrare un secolo di attività al servizio delle bimbe e delle giovinette degli strati più disagiati della società di Sassari e della sua provincia.
La rapida sintesi storica , pur con tutti i limiti del metodo annalistico seguito, registra le vicende storiche di questo “Rifugio”, istituito da cattolici, religiosi e laici, per rispondere ai bisogni generati dal disagio delle “bimbe abbandonate” nella prima metà di questo secolo e che, fino ai nostri giorni (1997), continua in modo diverso, ma proficuo ad essere “un’agenzia educativa” sia per le nuove generazioni con l’asilo infantile sia per le ragazze provenienti da disagi familiari con le tre unità di Casa-Famiglia sia col semiconvitto per gli scolari delle scuole elementari di genitori la cui attività lavorativa tiene impegnati per quasi l’intera giornata. Presiede l’opera pia la prof.ssa Marisa Solinas.
Origine e sviluppo istituzionale
Con la fondazione dell’Orfanotrofio Figlie di Maria Vittorio Pilo Boyl, marchese di Putifigari, fin dal 1832 aveva dato a Sassari un’istituzione per le orfane e successivamente un educandato anche per ragazze agiate e un asilo infantile al centro storico, nei pressi della Chiesa di di sant’ Apollinare, strutture gestite dalle Figlie della Carità arrivate in Sardegna, a Sassari e a Cagliari, nel 1856.[1]
Un seguace di Federico Ozanam, Carlo Rugiu, era riuscito a fondare già a metà dell’Ottocento l’Ospizio San Vincenzo de’ Paoli sul colle dei Cappuccini per trovatelli e orfani ed era a capo di ogni iniziativa che potesse alleggerire le sofferenze degli strati sociali più emarginati della città turritana, contribuendo nel 1859 all’istituzione della Dame della Carità a Sassari e attraverso le Conferenze dei Signori e delle Dame ad alleviare con visite a domicilio le sofferenze dei piccoli in abbandono e delle famiglie più disagiate.[2] Le iniziative non sembravano mai sufficienti tante erano le miserie che attanagliavano la città.
A dar man forte all’attività delle Dame e delle Figlie della Carità erano giunti a Sassari nel 1879 anche i Preti della Missione sotto la cui direzione non solo spirituale fu possibile creare tra l’Otto e il Novecento una serie di strutture per i neonati, i piccoli dai tre ai sei anni, e infine i ragazzi dai sei anni in su che si aggiravano a frotte per la città. Non vi erano soltanto i bambini bisognosi di attenzione e di cura, ma anche le bambine che si aggiravano mezzo nude, scalze e denutrite per i vicoli del centro storico. Si avvertiva l’ esigenza di dare a anche ad esse una casa, un letto, dei pasti regolari e un’educazione scolastica e di avviamento al lavoro come le “privilegiate” orfane Figlie di Maria dell’ Orfanotrofio.[3]
Nel novembre del ‘900con l’arrivo a Sassari dell’attivo prete della missione Giovanni Battista Manzella, direttore delle Dame della Carità, furono promosse una serie di iniziative sociali come risposta ai bisogni urgenti degli emarginati, tra cui quella di recuperare le bambine dai pericoli della strada e averne cura soprattutto se erano senza genitori o parenti che potessero occuparsene.
Carlo Rugiu, ormai settantatreenne, per quanto impegnato e conosciuto in città come padre dei trovatelli, faceva del suo meglio anche presso gli amministratori progressisti antigovernativi per avere sussidi dal momento che era stato anche consigliere civico; i cattolici, o meglio “i clericali” impegnati come i Dalziani, i Daddi, i Zirolia, i Filia, i Pittalis avevano un’attenzione particolare per questi indigenti, ma chi in modo più fattivo e pratico aveva a che fare coi “poveri” erano le Dame e le Figlie della Carità che in di G.B. Manzella trovarono uno strenuo sostenitore della loro opera e soprattutto un uomo pratico che pretendeva che esse passassero dalle parole ai fatti. Fu proprio lui a segnalare alle Dame il caso di una bambina quasi completamente nuda che stava sul limitare di una casa del centro storico.Le Dame vi si recarono e di bambine quasi nude ne trovarono tre, d’altra parte anche “la suora dei poveri”, la Figlia della Carità che aveva per “ufficio” la visita ai poveri era a conoscenza di casi simili.[4]
Suor Agostina Raitieri, Figlia della Carità, incaricata di coadiuvare le Dame nelle visite a domicilio ai poveri, incontrava spesso, per le vie della città, molte bambine “pericolanti”. Espose il caso a Suor Ragatzo, superiora dell’Ospizio San Vincenzo de’ Paoli, la quale in accordo con l’allora presidente delle Dame di Carità Raimonda Usai, stabilirono di interessare della grave situazione Carlo Rugiu che pensò alla fondazione di un istituto che, sull’ esempio di quanto aveva già fatto per i trovatelli e per altri genere di disagio infantile, provvedesse ad accogliere le “bambine abbandonate”.
L’idea cominciò a concretizzarsi nel 1903, quando sulle pendici del colle dei Cappuccini non lontano dall’ospizio San Vincenzo venne individuato un primo locale di proprietà del Comune, utilizzato all’epoca dalla Compagnia Barracellare per il ricovero degli animali sequestrati
Questo locale, poco più di una stalla, come la grotta di Betlemme, ispirò il nome che venne poi dato all’istituto: “Rifugio Gesù Bambino per le bimbe abbandonate”. Il Comune concesse il modesto locale che per essere reso abitabile dovette essere ristrutturato con le offerte delle Dame della Conferenza cittadina.
Con un primo intervento fu ricavato un dormitorio nel quale furono sistemati dei letti, donati dall’Ospizio San Vincenzo e separando con delle tende il dormitorio dalla superficie rimanente fu ricavato un laboratorio ed un refettorio. Fu scavata anche una cisterna nel prato prospiciente dalla quale si poté attingere l’acqua garantendo così l’approvvigionamento idrico.
Nel 1905, la struttura venne inaugurata e donna Raimonda Usai, già presidente della Conferenza cittadina delle Dame, ne assunse la presidenza fino alla sua prematura morte, avvenuta nello stesso anno. Da quel momento l’incarico fu assunto dalla nobildonna Momina Dettori Manno.[5]
Nel 1906, si formò il primo Consiglio Direttivo composto da sedici membri: due di diritto, nella persona dell’Arcivescovo e del Superiore della Missione, che in quell’anno erano rispettivamente Mons. Emilio Parodi e padre Landi, suor Agostina Raitieri, meritatamente divenuta superiora di questo modesto ricovero e dodici consigliere nominate dall’assemblea cittadina delle Dame della Carità: Agnese Queirolo ved. Pizzo, Giuditta Sassu, Lucia Riccio, Antonietta Santinelli, Peppina di Sant’Elia, Antonina Martinez, Giovanna Diaz, Cristina Cugia, Elisa Segni Pettazzi e Candida Dettori e la signora Gavina Pintus, tutte signore dell’alta aristocrazia sassarese e sarda i cui consorti occupavano nelle istituzioni posti di notevole prestigio.[6]
La stessa assemblea provvide a nominare sia la segretaria che la tesoriera: le prime ad assumere tali incarichi furono rispettivamente le signorine Eugenia Solinas Serra e Nicolina Madau.[7]
Le lettere di richiesta di aiuti finanziari da parte di Momina Dettori, alle persone più influenti e prestigiose della società sassarese, sarda e nazionale furono innumerevoli e proficue.[8] Con le loro elargizioni il “Rifugio” poté nel tempo consolidarsi.
Tutte le iniziative intraprese da Momina Dettori per procurare finanziamenti venivano largamente pubblicizzate dalla “Nuova Sardegna” e dagli altri giornali cattolici, quali “L’Armonia Sarda” e più tardi “La Libertà”: i cittadini che contribuivano con lasciti, legati e donazioni all’Opera Pia si moltiplicarono[9], tanto che si deliberò di organizzare una festa annuale di beneficenza, in occasione della Pasqua, esponendo al pubblico l’inventario delle donazioni. Anche gli ortolani, i pescivendoli e i macellai del Mercato decisero di donare gratuitamente generi alimentari.[10]
Nel 1909 vennero nominate due nuove consigliere: le signore Antonina Martinez e Antonietta Bertea e tre patronesse Emma Orso, la contessa Tiretta e la contessa Chaurand di Saint’Eustache e qualche anno dopo la marchesa Maria Cavalletti e Lucia Riccio.[11]
Nel frattempo continuava a farsi pressante la necessità di trasformare l’istituto in ente morale al fine di poter disporre liberamente dei sempre più numerosi lasciti. Nello stesso periodo, oltre all’installazione del telefono, furono assunti un ragioniere e una cassiera, e alle consigliere maritate per poter partecipare attivamente all’amministrazione dell’istituto si richiese l’autorizzazione maritale ai sensi dell’ art.12 della legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza del 17 luglio 1890.
Nel 1913 diverse ditte di Sassari e del continente inviarono le materie prime necessarie ai laboratori dell’ istituto per esecuzione di manufatti.[12]
Venne richiesto da Momina Dettori all’on. Cavasola, Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, l’invio dal vivaio di Cagliari di viti americane una prima cinquantina di piantine di mandorle innestate, in modo da poterle piantare nella campagnetta del Rifugio e poter quindi disporre in futuro di ulteriori entrate finanziarie provenienti dall’utilizzo del mandorleto. Nello stesso anno entrò tra le patronesse Maria Grazia Delitala.[13]
Nel 1917 il consiglio di amministrazione votò unanimemente perché l’Istituto divenisse ente morale, con la clausola che le finalità dello stesso non dovessero mutare e che le ricoverate continuassero ad essere educate moralmente e religiosamente.
Iniziò così l’iter burocratico per l’acquisizione dello status di ente morale, fu quindi presentato all’Arcivescovo la bozza dello statuto pregandolo di apporvi eventuali variazioni che avesse ritenute opportune.
Il primo schema di Statuto, datato 3 marzo 1917, era composto da 16 articoli nei quali si illustrava lo scopo sociale: ricovero e assistenza alle bambine orfane, illegittime, o figlie di genitori la cui condotta o infermità rendesse necessario allontanarle dai medesimi; mezzi finanziari disponibili e organi amministrativi. In seguito si deliberò di spedire lo schema alle gerarchie competenti. Il Prefetto respinse lo schema presentato perchè privo di dati essenziali quali l’elenco degli azionisti, i titoli in base ai quali fosse costituito l’asse patrimoniale, il prospetto completo che illustrasse la consistenza di detto patrimonio nonché la mancanza del parere della Congregazione di Carità e del Regio Commissario del Comune.[14]
Con La seduta del 18 dicembre dello stesso anno si deliberò di provvedere alle correzioni e integrazioni dello schema di statuto così come richieste dal Prefetto e di chiedere allo stesso di sottoporre lo statuto alla Commissione di Beneficenza mentre si provvedeva a preparare la documentazione completa per l’inoltro della pratica al Ministero degli Interni.
Nel novembre del 1919, l’assemblea delle socie promotrici dell’opera approvò all’unanimità lo Statuto Organico definitivo dai cui articoli scompariva ogni rappresentanza religiosa, tanto quella dell’Arcivescovo quanto quella del superiore della Casa Missione che avevano caldeggiato e favorito il sorgere dell’Opera Pia. Il Regio Commissario del Comune di Sassari si impegnò a concedere annualmente un sussidio di 500 lire a favore dell’istituto.
Il Prefetto diede parere favorevole per la trasformazione dell’Istituto in ente morale con ulteriori modifiche: nello scopo sociale si doveva includere che si dovevano accogliere le bambine gratuitamente tenendo conto delle risorse disponibili al mantenimento, all’istruzione e all’educazione delle bambine povere del Comune di Sassari; si dovesse dare la precedenza alle orfane e alle figlie degli invalidi di guerra; non dovessero accogliersi bambine non vaccinate, “deficienti” e quelle non dotate di sana costituzione fisica.
Si dovevano spiegare i motivi delle dimissioni: quando le orfane non avevano più bisogno di fruire della beneficenza pubblica, quando venivano tenute al Rifugio gratuitamente, per indisciplina, oppure se licenziate dal lavoro.Inoltre si doveva impartire l’istruzione professionale che meglio si confacesse alle loro attitudini secondo la Legge del 10 maggio 1917.
Il primo luglio del 1920 con Regio Decreto il Ministero dell’Interno autorizzò la trasformazione del Rifugio in ente morale.[15]
Era compito dell’Amministrazione pensare ai salari delle ricoverate addette alle aziende private. Tali quote erano depositate mensilmente nelle Casse Postali di risparmio che sotto forma di libretti individuali venivano consegnati alle aventi diritto quando queste abbandonavano l’istituto.
Con l’erezione dell’istituto in ente morale si poterono acquisire con regolari atti notarili donazioni di immobili e di rendite a disposizione della comunale Congregazione di Carità e da quella data tutti i lasciti e le donazioni avrebbero potuto essere intestati direttamente al Rifugio.In quello stesso scorcio di tempo la presidente chiese ed ottenne dal sig. Gervaso Costa di Sassari il prestito di quattro arnie per poter praticare l’apicoltura occupando produttivamente alcune ospiti in età lavorativa, così da contribuire in qualche modo alle spese crescenti determinate dal numero sempre più alto di bambine dovuto alle conseguenze della guerra in atto.[16]
Si diede inizio anche all’allevamento di maiali e di pecore, fatto che permise l’abbattimento di notevoli spese per il sostentamento inoltre si poté contare sulle entrate derivate dalla vendita di parte degli animali allevati o di prodotti da essi ricavati.[17]
Nel ‘21, la stessa presidente, per dotare l’istituto della corrente elettrica, chiese al Comune un sussidio dal fondo di beneficenza costituito dalle tasse sugli spettacoli pubblici. Tre anni dopo Elena Tabacco vedova Canu lasciò un legato di 8.000 lire in cartelle fondiarie.
In questo stesso anno vennero nominate consigliere la signora Peppina Sussarellu e la giovane nobildonna Maria Passinu.
Nel ‘26 il Rifugio accettò il lascito del signor Vittorio Quesada Martinez ,“ l’Aliderru e la Messa” in località la Nurra e una casa a Sassari nel Corso.[18]
Il ‘26 fu un anno disastroso a causa della crisi economica che investì l’Italia intera col crollo delle Rendite sulle quali si basava la sopravvivenza economica dell’istituto costringendolo ad aumentare l’indebitamento nei confronti dei diversi fornitori. Le rilevanti uscite non potevano essere colmate dalle entrate: il fornitore della farina e della pasta vantava un credito di 27.000 lire. Le spese aumentarono a dismisura e le richieste di sussidi al Presidente della Reale Commissione per l’Amministrazione Provinciale di Sassari non fu inferiore alle 4.000 lire, un altro sussidio di ben 80.000 lire fu chiesto all’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia. Per l’interessamento del deputato Antonello Caprino fu concesso al Rifugio un sussidio di 50.000 lire.[19]
L’ anno successivo l’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia impose all’istituto la revisione degli statuti e dei regolamenti si dovettero perciò modificare gli ordinamenti igienico-sanitari, disciplinari, educativi e didattici, nonché i servizi interni.
Tutto ciò servì ad assicurare un razionale servizio igienico-sanitario a scopo profilattico, curativo, a disciplinare la formazione delle tabelle dietetiche, a coordinare l’indirizzo pedagogico dell’istituto e a dare maggiore impulso all’educazione fisica.[20]
Affinché il Rifugio venisse riconosciuto idoneo a tali funzioni, doveva inoltrare domanda alla Giunta Esecutiva dell’Opera allegando insieme alla copia dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, anche le planimetrie dei locali, la descrizione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività e un elenco dei ricoverati..
Nello stesso anno, per migliorare lo sviluppo della produzione agraria furono rinnovati i contratti d’affitto dei fondi rustici di proprietà dell’istituto. Nel ‘29 la Congregazione di Carità di Sassari trasferì all’istituto il legato Manca Addis con relativi interessi; per il lascito disposto da Adolfo Cocco, consistente nella nuda proprietà della casa del valore di Lire 30.000, si decise di venderla su una base d’asta di 100.000 lire.[21]
Tra i tanti lasciti si ricordano quelli dell’on. Filippo Garavetti, il quale legò 52.200 lire a favore di diversi Istituti fra i quali il Rifugio, di Lodovico Satta Fara che nel 1933 istituì suo erede il Rifugio con lascito di 400.000 lire costituito dalla casa sita in via Carmine 17; alcuni anni dopo, il Rifugio, dimostrò la sua gratitudine costruendo un monumento funerario in sua memoria.[22]
Nel ‘34, la vita dell’Istituto fu turbata dalla morte della sua presidente donna momina Dettori Manno Ledà, (nata il 30 marzo 1845) che avvenne il 18 maggio, a sostituirla nell’importante e vitale incarico fu la figlia Ignazia.
Il dr. Pitzorno, medico delle orfane, nel ‘37 mise a disposizione del Rifugio 2.000 lire, sotto forma di Cartelle consolidate al 5% i cui interessi dovevano servire ogni anno per l’acquisto di libri e altro materiale scolastico per la bambina che si fosse distinta nello studio; la segretaria dello stesso Rifugio, Eugenia Solinas con testamento olografo del 1939, confermando quanto aveva dichiarato già nel 1919, lasciò al Rifugio il suo pianoforte completo di accessori e spartiti musicali, importanti per l’educazione e l’istruzione musicale delle ragazze.
Nel ‘43 Luigi Tagliavacche lasciò una casa e due oliveti.
L’ anno seguente venne nominata la quarta Presidente Amelia Spada alla quale fu affiancata come vicepresidente Maria Diaz.
Maria Grazia Piga nel ‘45 lasciò la nuda proprietà dell’oliveto denominato “Cudina Biodda”e la somma di 5.000 lire.
Non mancarono alle volte le contestazioni degli eredi legittimi, come nel caso della signorina Elena Lucci che consegnò nelle mani della superiora suor Rosa Torricella un cofanetto d’oro, tre libretti di risparmio 1.065.819 lire, cinque Buoni del Tesoro novennali dell’importo complessivo 110.000 lire. Gli eredi pretesero la restituzione dei predetti beni e accordarono all’istituto solamente la somma di 357.786 lire.[23]
Nel ‘56 morì la presidente donna Amelia Spada alla quale successe Franca Orrù che rimase in carica fino al 1971, quando per gravi motivi di salute si dimise. Nel 1964 la Congregazione delle Figlie della Carità ha donato all’istituto tutto il fabbricato con annesso un terreno in agro di Castelsardo, regione Lu Bagnu, che era stato acquistato dalla superiora suor Bava perché potesse servire ad ospitare le bambine del Rifugio durante il periodo estivo.
La Casa del Rifugio
Il primo locale nel quale si diede inizio all’opera per le bambine fu quello adibito a ricovero degli animali sequestrati. In breve tempo per il crescente numero di bambine si rese necessario il trasferimento in un caseggiato vicino successivamente ampliato. L’immobile già proprietà di alcuni Padri Cappuccini, che lo avevano ceduto all’arcivescovo Emilio Parodi per il Rifugio, fu acquisito definitivamente dall’istituto. Le fondatrici del “Rifugio” chiesero al Comune la concessione di un terreno incolto circostante perché fosse coltivato dalle ricoverate. Per maggiore sicurezza, grazie ad alcuni finanziamenti, fu costruito un muro di cinta.Successivamente per il numero sempre crescente delle bambine ricoverate, la presidente chiese ed ottenne dal Sindaco di poter costruire sul terreno che il Comune aveva ceduto al nascente istituto. Per l’ampliamento venne utilizzato il sussidio annuale che lo stesso Comune elargiva all’istituto; venne inoltre istituita una Fiera di Beneficenza nell’ottobre del 1905 per autofinanziare le maggiori spese.[24]
L’anno successivo il Consiglio di Amministrazione perfezionò con 30.000 lire l’acquisto dell’immobile per il quale erano stato dato un acconto di 5.000 all’Arcivescovo Parodi che come si è detto l’aveva avuto da alcuni Padri Cappuccini. Non disponendo dell’intera somma fu deciso che le Signore fondatrici si quotassero con 1.000 ciascuna, per la rimanente somma occorrente si contrasse un mutuo.
Dopo l’acquisto del suddetto caseggiato sorse il problema della sua ristrutturazione per il quale l’ing. Proto Mura di Sassari si offrì di fornire il materiale necessario e si reperì la somma mancante per l’esecuzione dei lavori con un nuovo mutuo di Lire 20.000.[25]
Nel 1906, il giorno della Traslazione delle Reliquie di San Vincenzo de’ Paoli a Parigi, ci fu il primo trasferimento delle bambine nei nuovi locali, i quali però contenevano ancora il mobilio dei Padri Cappuccini, precedenti proprietari, rinviando il trasloco definitivo ad altro momento.
In seguito sorsero nuove esigenze che resero necessaria una nuova ristrutturazione come costruire una cucina, demolire dei muri per ricavarne un dormitorio più ampio, costruire una scala per l’accesso al piano superiore, predisporre una porta per consentire l’accesso dal cortile al terreno circostante, aprire due finestre, dotare la Cappella appena costruita dei paramenti sacri. Inoltre il dr. Pitzorno, che si occupava della salute delle bambine, suggerì una serie di modifiche necessarie, tra le quali dotare i locali di servizi igienici più idonei, creare una stanza da bagno per la pulizia periodica delle bambine, una lavanderia e annettere un tratto di terreno circostante per fare in modo che le ricoverate potessero avere uno spazio dove muoversi.[26]
Tutti questi lavori di ristrutturazione erano stati, come in precedenza, finanziati da benefattori ai quali dal 1907 si aggiunse il Comitato in memoria al “Re Buono Umberto I”, che con la somma di 3.000 lire consentì la realizzazione del dormitorio.
Per la nascente istituzione del Brefotrofio si ampliarono i locali e nel frattempo le bambine vennero trasferite nella casetta appartenente all’ospizio di San Vincenzo, dove nacque il Rifugio.
Il progetto di ampliamento, predisposto dall’Ingegner Manunta, approvato dalla Commissione Edilizia nel 1909, triplicò la superficie già esistente permettendo di ospitare fino a 150 bambine; il lavoro consistette nell’elevazione di due bracci perpendicolari al corpo centrale al raddoppiamento del braccio già esistente a Nord-Ovest, nonché alla costruzione dei muri di cinta e delle altre facciate sino al livello del primo piano.[27]
Per consentire tali lavori suor Raitieri e la presidente vollero comprare dal Comune che accettò, al prezzo di 1.472 lire, un’area di terreno sul colle dei Cappuccini a monte del Rifugio.
La costruzione dei nuovi locali comportava grandi spese, per cui non mancavano le richieste di sussidi al Comune e elargizioni da parte di privati.
La necessità primaria era quella dell’acqua potabile, per cui fu costruita una cisterna e le relative tubature per inviarla direttamente all’istituto spendendo 3.000 lire.
Negli anni seguenti si ebbe la concessione di un padiglione Docker comprendente una camera di isolamento con sei letti da utilizzare in caso di malattie infettive.
Nel ‘13 l’imprenditore Sotgia anticipò 30.000 lire necessarie per la costruzione di un nuovo braccio.Il bisogno di sussidi si fece impellente quando nel ‘14 il vento scoperchiò il solaio di un camerone e asportò gran parte del tetto, che fu riparato grazie ad un sussidio della Congregazione della Carità. Nel ‘16 si rese necessario un’altro camerone da utilizzare come infermeria e isolamento nei casi di malattie infettive.Con 2.500 lire si costruì il ballatoio, che si protendeva quanto la casa dove furono collocati i lavandini e i servizi igienici. Nel ‘17 si delimitarono i confini del terreno concesso dal Comune. l’ anno seguente il Comune elargì la somma necessaria per realizzare un forno per il pane, si completarono gli infissi di alcuni locali utilizzando il legname proveniente dall’abbattimento delle capanne costruite a suo tempo per i prigionieri nell’isola dell’Asinara.[28]
Con l’istituzione di una scuola professionale, sempre nel 1918, per insegnare alle bambine un mestiere, si rese necessario realizzare nuovi locali per collocarvi i diversi attrezzi per i lavori di tessitura, di maglieria e di cucito.
Nello stesso anno fu realizzato un asilo per bambine gracili e malaticce con finanziamenti da parte della Croce Rossa Italiana nell’ambito di una iniziativa per il rinnovamento igienico della Sardegna così da allontanare le cause che favorivano la tubercolosi.
A seguito della guerra del 1915-18 le orfane erano aumentate a dismisura tanto da rendere indispensabile la disponibilità di un maggior numero di locali; nel ‘21 si dovette realizzare un reparto speciale dove ricoverare le bambine tracomatose.Per incentivare l’opera, il consiglio direttivo, deliberò di destinare parte del terreno disponibile alla coltivazione di ortaggi, impiantando un mandorleto, producendo miele con l’utilizzo di alveari italo-americani avuti in donazione e allevando animali da cortile, tutti lavori che erano eseguibili dalle ricoverate.
Nel ‘25 si adattò un camerone per il ricovero delle bambine con meno di tre anni per ognuna delle quali si doveva versare 7.000 lire per poter essere ammesse.
Secondo un rilievo del medico provinciale del 1927 dovevano eseguirsi dei lavori di ristrutturazione dei locali edificando una parete tra il dormitorio e i servizi igienici.Anche in questo caso si dovette ricorrere alla richiesta di nuovi sussidi.[29]
Nel ‘28 per mettere in comunicazione il corpo centrale dell’istitituto con il reparto destinato alle bambine affette da tubercolosi furono necessari lavori per 250.000 lire.Tre anni dopo si completarono le mura di recinzione con un costo di 23.500 lire; nel 1933 iniziarono i lavori per la costruzione della lavanderia con annesso asciugatoio.
Nell’anno seguente utilizzando 61.769 lire, provenienti dall’eredità di Ludovico Satta Fara, si costruì una nuova ala di fabbricato per il ricovero di 150 bambine.
Nel ‘44 a causa del numero sempre crescente delle bambine ospitate si chiese di liberare i locali dell’istituto occupati dagli uffici e magazzini dell’ex Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.) , per destinarli a dormitori.
Agli inizi degli anni Cinquanta vennero ristrutturati i locali adibiti a dormitori e ad aule scolastiche.
Le bambine abbandonate
Il Rifugio Gesù Bambino nacque con l’intento di ricoverare ed educare le bambine abbandonate, al quale si affiancò negli successivi il Brefotrofio.
I primi ricoveri si registrarono nel luglio del 1903 e furono due bambine orfane di madre dell’età di sei e nove anni.
Con il passare del tempo il numero dei ricoveri aumentava sempre più e con diverse origini familiari; alcune bambine erano illegittime, altre erano figlie di carcerati e durante la guerra si accolsero le figlie dei richiamati.
L’Istituto era definito “cosmopolita” in quanto oltre ad accogliere bambine di tutte le provincie della Sardegna, accolse anche bambine provenienti dall’estero: nel ‘10 si trovavano ospiti nell’istituto anche tre francesi ed un’ americana.
Per poter affrontare le spese di mantenimento delle ricoverate, quando i genitori non potevano pagare la retta, le Dame versavano dieci lire mensili ciascuna mentre il Comune contribuiva per le ricoverate orfane o illegittime.
Per poter essere ammesse all’istituto le bambine dovevano avere il certificato di nascita, l’attestato di vaccinazione e un certificato medico che ne attestasse la buona salute.
In istituto le orfane avevano assistenza materiale, morale e tutela legale, non era raro infatti che i parenti le reclamassero dopo un certo periodo e spesso i motivi che spingevano i parenti a riprendersi le assistite non era certo nell’interesse della stessa, ma per avviarla ad un lavoro precocemente con profitto dei genitori; a tale proposito, il Consiglio di Amministrazione deliberò che le ragazze sarebbero rimaste in istituto fino al compimento del ventunesimo anno allorché sarebbero state in grado di decidere liberamente sul loro futuro.
Solo nel caso che i parenti avessero accettato di rimborsare le spese sostenute per tutto il tempo di permanenza, essi avrebbero potuto riprenderla.
Si era creato nell’11, con l’adesione delle consigliere del Rifugio, e come presidente onoraria la marchesa Cavalletti, il Comitato per la Protezione della Giovane, per offrire protezione materiale e morale a quelle ragazze che dimesse dal Rifugio non avessero trovato una dignitosa sistemazione.
Per molte orfane c’era la possibilità di essere adottate da famiglie che fossero risultate idonee per moralità e condizioni economiche.
Quelle che rimanevano al Rifugio dovevano seguire il programma governativo dell’istruzione scolastica che prevedeva l’asilo infantile da zero a tre anni e le prime tre classi della scuola elementare con frequenza in istituto e gli esami presso le scuole comunali.
Il contenuto dell’ insegnamento comprendeva il programma della scuola ménagére: ricamo, cucito, rattoppi, pulizie, stiratura e impagliatura dei cestini. Tutto ciò creava un introito per l’istituto; nel periodo di maggior crisi economica si cercava di ovviare a molte spese grazie anche al lavoro delle assistite che si confezionavano le proprie scarpe con il corame donato, le più grandicelle confezionavano il pane nell’istituto e alcune, accompagnate dalle suore, andavano al mercato per ritirare verdure e pesci invenduti alla chiusura del Mercato.
Già prima del ‘21, quando fu istituita la scuola professionale, alcune ragazze eseguivano lavori su commissione: ricami, lavori di tessitura e di cucito; al compimento dei sedici anni venivano mandate a servizio presso famiglie conosciute, altre,(ma allo stato attuale degli studi non si può quantificare) seguirono l’esempio delle Figlie della Carità entrando nel seminario di San Salvario a Torino.
Nel ‘13, un certo Vincentelli, avendo impiantato una fabbrica di spazzole a Sassari, trattandosi di un lavoro adeguato alle bambine sotto i dodici anni, propose di inviarle in fabbrica, ma le suore e le amministratrici ritenendo ciò sconveniente deliberarono di far svolgere il lavoro all’interno dell’istituto sotto la guida di una suora. Il lavoro venne eseguito con tale bravura che il direttore di fabbrica ne fu soddisfatto, perl’istituto si produssero utili proventi.[30]
Alcune delle ricoverate, colpite da malattie infettive, a quei tempi molto diffuse, mettevano in pericolo la salute delle altre, per ovviare a questo inconveniente, oltre alle terapie indicate dal dr. Pitzorno, si procedette a costruire dei padiglioni con relativa infermeria dove tenere in isolamento le ammalate.[31]
Nel ‘18 fu istituito un asilo per bambine deboli e malaticce, annesso al Rifugio, dove venivano curate con un attenzione particolare e nutrite con cibi adeguati e supportate con ricostituenti.
Le ricoverate a rischio di tubercolosi venivano curate negli appositi padiglioni, mentre quelle affette da tbc, per evitare che contagiassero le sane, venivano trasferite nei due padiglioni siti a Rizzeddu e adibiti ad ospitare e curare queste ammalate.
Le affette da tracoma vivevano in un reparto costruito appositamente con un sussidio di 15.000 lire offerto dal “Faro d’Italia” istituzione sorta a Roma per la prevenzione della cecità.[32]
Le ammalate di tricofizia dovevano recarsi a Roma per sottopporsi a cure specialistiche e anch’esse dovevano rimanere isolate in cameroni appositamente costruiti, mentre per quelle affette da scrofola (malattia di natura tubercolare, che colpiva sopratutto l’infanzia), la cura più appropriata furono i bagni di mare.
Nel corso dei decenni si può notare quanto varie e disparate fossero le origini familiari delle ricoverate: le prime due accolte nel luglio del 1903 erano due orfane di madre: C. Russu e M. Sassu di Sassari; nell’anno seguente ne furono ricoverate sei, quattro di Sassari, di età compresa tra i quattro e gli otto anni, una di Oschiri di otto anni, una di Padria di sette anni tranne un’ illegittima di Sassari, le altre erano orfane di uno o di entrambi i genitori.
Nel 1907 ne venne accolta una di nove anni, C. Sillani, e le tre sorelle Mura, mentre la ragazza di tredici anni, per la cattiva condotta, venne mandata in una casa di correzione, l’altra prese servizio presso una famiglia.
L’anno seguente ne furono ammesse tredici tre delle quali provenienti dalla Corsica, una da Lione della tenera età di un anno, di padre ignoto ed una proveniente da Buenos Aires rimasta orfana a sei anni.[33]
Nel ‘12, per le scarse entrate dell’istituto si deliberò di ridurre il numero delle ricoverate, un anno dopo si discusse sulla possibilità di accettare in istituto le “fanaline” delle province sarde, (le figlie dei custodi dei fari), perché impossibilitate ad avere un’istruzione.
Nel ‘14 M. A. Masia, una delle prime accolte, iniziò l’apostolato all’orfanotrofio tra le Figlie della Carità: le ricoverate erano ottantacinque ed essendo i tempi non molto floridi si deliberò di accettare solo le richieste delle bimbe più disagiate.
L’anno successivo M. I. Bonomo venne adottata e sostituita da G. Sotgiu di Bosa, suor Bava propose di ricevere solo bambine al di sotto dei sei anni così da ottenere il sussidio del Ministero della Pubblica Istruzione per quelle che frequentavano l’asilo.
Nel ‘16, su proposta della patronessa donna Elisa Segni Pettazzi, si discusse sulla eventualità di accettare una bambina di due anni e mezzo della Nurra, orfana di madre e con il padre richiamato alle armi: venne accolta nell’anno seguente. Nello stesso anno C. Mara dimostrò grandi capacità negli studi per cui la presidente volle che continuasse gli studi per conseguire il diploma di maestra e aiutare il Rifugio.
Nel ‘19, a causa del grande numero delle orfane di guerra si dovette far fronte ad un alto numero di ricoveri, sostenuti finanziariamente dalla Mobilitazione Provinciale Civile e dal Comitato Provinciale.
Nel ‘22 vennero ricoverate sette orfane di guerra senza alcun sussidio per cui la presidente chiese al Comitato per l’Assistenza delle Orfane di Guerra un sussidio di 600 lire. L’anno successivo le bambine accolte furono quattro delle quali tre orfane di guerra per cui il Comitato pagava per il loro ricovero la somma di 90 lire mensili.
Nel ‘25 arrivò da Roma un sussidio di lire 1.000 per le orfane di guerra dalla Fondazione Nazionale Industriale Pro Orfani di Guerra, le bambine ricoverate erano in quell’anno cento, la retta delle ricoverate aumentò da 140 a 150 lire giornaliere.
Nel ‘31 la Federazione per la Protezione della Maternità e l’Infanzia invitò l’amministrazione a deliberare per la diminuzione della retta giornaliera da 150 a 135 lire, il resto sarebbe stato coperto dalla stessa Federazione in rapporto al costo della vita e alle condizioni locali.
L’ anno successivo quattro ragazze vennero dimesse perché avevano raggiunto l’età di quattordici anni, le bambine ricoverate erano 150.[34]
Nel ‘34 venne adottata P. Masia.il suo posto venne occupato da una nuova bambina M. Usai. L’anno successivo una venne adottata da coniugi di Ozieri.
Nel ‘44 tra le domande di ammissione risulta quella di una bambina sfollata dall’isola di Rodi e di un’altra abbandonata dalla madre mentre il padre era ricoverato in sanatorio.
Nel ‘45 la retta per il ricovero aumentò, ma per sopperire alle crescenti spese in quegli anni drammatici di guerra si pensò di accogliezre anche educande a pagamento.
Nel ‘47 vennero ricoverati dei bambini per conto della Provincia perché provenienti dal Brefotrofio della città, per questi fu istituito un apposito reparto. [35]
Le suore educatrici
Come già esposto in precedenza, alla fondazione del Rifugio avevano contribuito i Padri della Missione, tra i quali anche il padre G.B. Manzella. Essi dirigevano il lavoro delle Figlie della Carità, le quali seguendo l’esempio di Ferrante Aporti avevano istituito centri per l’educazione infantile ispirati ai principi di carità e di protezione, ma anche di educazione morale intellettuale e religiosa.
Al Rifugio l’educazione delle bambine era affidato alle Figlie della Carità.
Nel 1906, le suore erano tre, nel 1907 venne eletta prima superiora suor Raitieri, la quale si occupava della direzione interna ed esterna dell’istituto; un’altra suora impartiva le lezioni nella scuola regolare costituita da tre diverse sezioni era coadiuvata da un’insegnante diplomata; la terza suora, invece dirigeva il laboratorio, aiutata da un’insegnante qualificata.
Secondo le convenzioni del 1908 (stabilite tra la Direzione del Rifugio, la Visitatrice delle Figlie della Carità, Suor Anastasia Lequette e padre Giuseppe Damè, Visitatore della Provincia vincenziana), l’Amministrazione del Rifugio doveva annualmente corrispondere alla superiora 500 lire per ogni suora; doveva indicare le spese ordinarie e straordinarie che essa doveva effettuare.
Le suore vivevano in un locale attiguo a quello delle bambine Nel caso in cui l’Amministrazione avesse voluto sostituire una suora o richiederne altre doveva rivolgersi alla suora Visitatrice delle figlie della Carità.
Nel 1908 arrivò una quarta suora che era stata più volte richiesta, per accudire alle 43 bambine ricoverate . Nell’11 le suore erano sei: si dedicavano all’asilo e alla scuola ménagére da poco iniziata.
Nel ‘13 venne nominata una nuova superiora, Suor Buscarini, che venne presto sostituita da suor Bava. Fu richiesta una nuova suora, affinché si occupasse della cucina e della lavanderia.
Nel ‘17 a causa della grave crisi economica si chiese alla Visitatrice suor Rossignol, di lasciare la settima suora senza assegno per un anno sperando nel superamento della crisi; due anni dopo si chiese un’ottava suora, che fosse giovane e con il diploma di maestra, da retribuire nella stessa misura delle altre.
Nello stesso anno, la bambina M. Falchi, ospite del Rifugio, chiese a Sua Maestà il Re, un mezzo di trasporto per le piccole che si dovevano recare in città.
Nel ‘22, dopo l’istituzione dell’asilo infantile, si ebbe la necessità di una suora che coadiuvasse quella dell’asilo, nella conduzione dei 50 bambini.
Negli anni che seguirono, le suore occupate nell’istituto aumentarono di numero e avevano compiti diversi in base alle loro attitudini di educatrici e vigilatrici.
Suor Bava rimase in istituto fino al 1939, quando fu sostituita dalla giovane suor Angela Lacelli, che fu superiora negli anni della seconda guerra mondiale, esponendosi al pericolo dei bombardamenti, durante i viaggi nei diversi paesi vicini a Sassari, per rifornirsi di generi alimentari necessari a garantire i pasti per le numerose ricoverate.
In seguito le successe, per sette anni suor Angela Massari, la quale venne sostituita nel 1957 da suor Torricella, mentre tra il 1961 e il 1974, la superiora dell’Istituto fu suor Irene Mameli.[36]
La cronistoria sulle origini del Rifugio Gesù bambino per le bimbe abbandonate compilata da Vezzana Piga Pisanu, una segreteria e due superiore in modo molto più caloroso illustrano l’attività delle suore educatrici in cui c’è spazio per la memoria storica, ma su queste suore e su innumerovoli Figlie della Carità manca un catalogo e mancano studi che andrebbero svolti consultando sia l’ Archivio della Provincia Torinese sia quello più recente della Provincia di Cagliari.
Ad ogni buon conto dalla letteratura corrente nonché dalla memoria storica risulta che le prime Figlie della Carità che gestirono asili frequentavano le prime scuole di metodo aportiano e successivamente con corsi o scuole speciali quelle di Froebel, Montessori, Agazzi.
Allo stato attuale degli studi sia sull’istituto esaminato sia sulla formazione culturale delle educatrici non si può dire più di tanto. Queste breve profilo costituisce un primo assaggio sull’educazione impartita alle fanciulle di tempo in tempo inserite tra le “Figlie di Maria” e la stessa “Azione cattolica” così come alcune fotografie fanno rilevare.
Anche il discorso sulle Dame amministratrici è agli inizi, queste signore non hanno lasciato traccia di sè se non nelle opere. Proprio per questo motivo attraverso una serie di tesi di laurea si sta cercando di tracciare un primo inventario di queste educatrici e amministratrici ad un tempo. La storia è muta su queste donne, parla solo e troppo dei loro mariti dai quali ricevevano l’autorizzazione maritale per l’ espletamento del loro servizio a favore dei poveri. Credo che anche rintracciando queste autorizzazioni si potrà tracciare un breve profilo sulla loro volontaria carriera amministrativa e con ricerche mirate, utilizzando la memoria storica delle ex ricoverate, si possano tracciare non solo profili impressionistici ed essenziali, ma far risaltare la loro forte personalità di donne cattoliche impegnate, vere e proprie promotrici della rete assistenziale-educativa in Sardegna tra Otto e Novecento.[37]
A conclusione di questo breve saggio ci sembra doveroso ringraziare l’attuale presidente del Rifugio prof.ssa Marisa Solinas che ha aperto l’archivio permettendoci di consultare le carte. Un grazie anche alla superiora delle F.d.C. Suor Ernestina e alla segretaria sig.ra Vazzana per l’ aiuto prestato.
[1] Cfr. C. ARRU, La Beneficenza a Sassari: ( Carlo Rugiu 1827- 1912 ) in A. TEDDE ( a cura di ), Cattolici in Sardegna tra l’Ottocento e il Novecento, Il Torchietto,Ozieri 1993 p. 55; ID., L’attività. sociale delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari. La Casa Divina Provvidenza 1910-1967., Il Torchietto, Ozieri 1994, p. 59. Per l’elenco degli istituti sassaresi vedi anche presso l’ Archivio del Comune di Sassari il manoscritto di S. Pittalis, Gli istituti di beneficenza della città di Sassari al 1934 Busta Beneficenza colloc. provv.; inoltre E. COSTA, Sassari, Edizioni Gallizzi, Sassari 1972 vol. II tomo III pp.220-242.
[2]Cfr. Per una specifica conoscenza delle opere sociali della famiglia vincenziana in Sardegna si vedano le tesi di laurea sostenute presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari: A. CAU, La compagnia delle Dame di Carità di san Vincenzo de’ Paoli nella diocesi di Ales e Terralba dal 1900 al 1950, anno accademico 1988-89; M. VASA, Vita sociale e vita religiosa ad Aggius nel Novecento, anno accademico 1988-89; G. SEU, Le Dame della Carità a Sassari dal 1900 al 1960, anno accademico 1993-94; M. S. AMATO, “L’Istituto san Vincenzo a La Maddalena” (1903-1960), anno accademico 1993-94; G. FODDE, Gli ospiti della Casa Divina Provvidenza in Sassari 1910-1967, anno accademico 1995-96. A.TEDDE, Iniziative sociali di G.B. Manzella e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, Ozieri, il Torchietto, 1996. Cfr. F. MASCI, Gli scritti di G.B. Manzella sugli asili, in A. Tedde (a cura di), Iniziative sociali , cit., p. 121. Inoltre di F. ATZENI, Il movimento cattolico a Cagliari dal 1870 al 1915, FSA, Cagliari, 1984; H. GUILLEMIN, Quel piccolo Ozanam, La Locusta, Vicenza 1955
[3] Cfr. A. TEDDE, “La Carità“ (1923-1934) di G.B. Manzella, in P. Bellu et alii, Cattolici in Sardegna nel primo Novecento, Il Torchietto, Sassari 1989 pp. 51-102
[4] Cfr. A. SATEGNA, Il Signor Manzella Prete della Missione, E. Vicenziane Roma 1963, pp.172-175, ma anche E. COSTA, Sassari, cit. p.242-243. Vedi anche <Cronistoria del Rifugio Gesù Bambino per le bimbe abbandonate> in Archivio Rifugio Gesù Bambino per le bimbe abbandonate in Sassari ( d’ora in avanti ARGBSS) coll. provv.
[5] E. COSTA, Sassari, cit. pp. 242-243“ L’inaugurazione di questo benefico Ospizio che sorge sul colle dei Cappuccini, ebbe luogo il 21 novembre 1905. All festa simpatica intervennero il Sindaco, la Giunta, il Prefetto, ed altre autorità. Vennero raccolte L. 7546. La Presidente, Donna Raimonda Usai cooperò validamente per questa istituzione che ottenne il paluso di tutti i cittadini.
Nell’agosto 1906 la nuova Presidentessa Donna Mommina Dettori chiese al Municipio i medicinali gratuiti per 26 piccine ricoverate, ed il Municipio li accordò.
Il Rifugio delle bambine trovasi in una bella palazzina sempre sul colle dei Cappuccini.
Il servizio interno è svolto dalle suore sotto la sorveglianza di caritatevoli signore, che con vero amore curano le povere bambine abbandonate”
[6]ARGBSS, < Cronistoria…>, cit.
[7] ARGBSS, Verbale del Consiglio Direttivo del Rifugio Gesù Bambino del 28 aprile 1906, ( d’ora in avanti VCDR)
[8] Fra i più cospicui benefattori figurano prof. Giovanni Guglielmo dell’Università di Cagliari, la contessa Rosamond di Sant’Elia, la principessa Letizia Bonaparte Duchessa d’Aosta, il direttore del Banco di Napoli, prof. Pasquale Demurtas dell’Università di Genova.
[9]Un certo signor Ribeccu, nel 1907, istituì erede universale dei suoi beni il “Rifugio”, il dr. Adolfo Cocco Pisanu, nel 1909, donò la nuda proprietà di una casa i Sassari, la società “Conserve Alimentari” e il comandante del Corpo d’Armata di Roma su richiesta della presidente inviò 50 cappotti, altrettanti asciugamani e tela per tende, un certo Domenico Manca, nel 1912, lasciò un legato di 5.000 lire che venne devoluto temporaneamente alla Congregazione di Carità del Comune, poiché non essendo ancora il Rifugio eretto ente morale, non poteva accoglierne l’eredità, la consigliera Passino donò cento lire in memoria del marito; alcune signorine di Sassari, offrirono all’istituto il ricavato di una rappresentazione teatrale, la Scuola Normale inviò un pacco con indumenti intimi e manufatti confezionati dalle alunne, nel 1915, la consigliera Queirolo diede un’offerta di 50 lire, come sussidio straordinario della Conferenza delle Dame della Carità di Sassari; la signora Caterina Giordano, dispose che il suo credito bancario di 5.000 lire venisse, dopo la sua morte avvenuta in quell’anno, messo a disposizione della superiora del Rifugio o del Vescovo.ARGBSS, Lettere 1905-1906; VCDR, 1905-1916.
[10]L’istituto poté contare oltre che sui lasciti e donazioni di privati, anche su sussidi disposti da enti e istituzioni pubbliche, fra i quali la Deputazione Provinciale, la Giunta Comunale e il Ministero dell’Interno. La Regina Margherita ed Elena avevano disposto fin dai primi tempi di vita dell’istituto, dei sussidi annuali, la Regina Margherita fu nominata presidente onoraria del Rifugio. Vedi in proposito:E. BRUNO-N. ROGGERONE (a cura di), La donna nella Beneficenza in Italia , Botta Torino 1913, vol. IV p.171.
[11] ARGBSS, VCDR del 7.4.1908 ( d’ora in avanti V. C.A. 7.4.1908).
[12] Una ditta di Torino inviò il cotone necessario per la tessitura, un’altrà donò una macchina per la cucitura delle calze, un certo cav. Dau di Sassari offrì del corame per provvedere alle scarpe delle bambine.Altre diedero offerte in memoria dei propri congiunti passati all’ altra vita; alcune singorine di Sassari offrirono all’ istituto il ricavato di una rappresentazione teatrale, la Scuola Normale inviò un pacco-dono con indumenti intimi e altri manufatti confezionati dalle alunne. Vedi ARGBSS, Lettere 1905-1906; VCDR 1905-1916.
[13]ARGBSS, Lettere 1905-1927.
[14]ARGBSS, Statuto Organico VCDR del 18 dicembre 1917 Faldone 1906-1950
[15] Statuto Organico, approvato dal Ministro Giolitti e promulgato da Vittorio Emanuele,III in Roma con R.D. il luglio 1920. Esso si compone di 17 articoli con aggiunte agli artt. 1 e 2. Comprende un cospicuo elenco di beni immobili in fondi rustici e fabbricati, un elenco di beni mobili col relativo valore più l’elenco delle oltre duecento patronesse con le azioni sottoscritte.ARGBSS, VCDR del 1906-1920.
[16]ARGBSS, VCDR del 20.7. 1920.
[17]ARGBSS, VCDR. del 4. 1. 1921.
[18] ARGBSS, Donazioni e Lasciti (d’ora in avanti DL) 1921,1924.
[19] ARGBSS, VCDR 1926.
[20] ARGBSS, VCDR. 1927
[21]ARGBSS, VCDR. 1929.
[22]ARGBSS, VCDR 1920-1936.
[23]ARGBSS, DL atto del 10.4.1906.
[24]ARGBSS, DL atti del 21.7.1909.
[25]ARGBSS, VCDR 1906-1920
[26]ARGBSS, < Cronistoria > VCDR. 1906-1920.
[27]ARGBSS, Ivi
[28]Ivi.
[29] Ivi
[30] Ivi
[31] Ivi
[32] Ivi
[33]ARGBSS, Fald.Registro degli ingressi (d’ora in avanti RI) 1903-1936.
[34] Ivi
[35]Ivi
[36] I dati sugli arrivi e sulle partenze delle suore sono desunti dai quaderni di Comunità delle Figlie della Carità del Rifugio Gesù Bambino.
[37] Si vedano in proposito i quaderni “Nuova dwf donnawomanfemme” pubblicati tra il I977 e il 1978 e particolarmente “Nuova dwf” 2, 3, 4, 1977. Vedi anche T. DOVERI, Donne che operano:la Conferenza delle Signore della Carità e l’ Opera del Rifugio Gesù Bambino. in Insularità percorsi del femminile in Sardegna, Chiarella, Sassari 1996.