Ricordando Jacques Le Goff : la sua lettura delle università europee
Nel trigesimo della scomparsa di Jacques le Goff (2 maggio 2014), grazie a Gian Paolo Brizzi, pubblichiamo questa introduzione di Le Goff alla grande opera della Storia delle Università europee a cura di Gian Paolo Brizzi e di Jacques Verger, per ricordare ai visitatori di Accademia Sarda le idee del grande storico sull’Europa e sulle università europee.
Ringraziamo prof. Brizzi per l’opportunità che ci ha dato.
I capoversi sono della nostra redazione per rendere più agevole la lettura del contributo del grande storico francese.
Nascita dell’Europa
L’Europa che si sta costruendo cerca le sue radici nel passato e spesso torna al Medioevo. Qualunque sia l’importanza della sua eredità storica è infatti nel Medioevo che l’Europa è nata economicamente, politicamente e culturalmente. Nel Medioevo sono apparse le istituzioni, le figure e i sistemi di valori che ancora oggi sono le basi della società europea. Conoscere meglio queste radici è un imperativo per gli europei di oggi e di domani ed è tanto più vero nel campo del sapere e della cultura. Se è bene infatti che la nuova Europa abbia cominciato ad esistere come Europa economica – la qual cosa assicura fondamenta materiali solide – è tuttavia necessario che l’edificio politico che si sta costruendo abbia un altro pilastro in grado di equilibrare gli interessi economici con attività culturali, tra le quali l’insegnamento occupa un posto privilegiato. La formazione scientifica e intellettuale, infatti, sin dal Medioevo modella le società. Questo è oggi – e lo sarà domani – più vero che mai. Un’istituzione ha oggi un ruolo essenziale in questa formazione: l’università. Esiste infatti un’Europa dell’insegnamento superiore, composta da tutte le università dei diversi stati europei, nate da una stessa matrice, l’università medievale, che aspirano a diventare, all’interno di una rete dove si moltiplicano i contatti e gli scambi, uno dei luoghi essenziali, uno dei grandi centri della nuova Europa. A questo proposito sono stati predisposti dei progetti eccellenti come il progetto Erasmus, ai quali sarebbe bene devolvere più mezzi e che dovrebbero suscitare l’adesione appassionata delle università dei diversi paesi europei.
Questa grande opera di un’Europa universitaria, senza la quale la nuova Europa non si realizzerebbe veramente, deve essere illuminata dalla storia. Saluto dunque con piacere questa storia delle università europee diretta da due storici di prim ‘ordine, grandi specialisti in questo campo, appartenenti ai due paesi europei, l’Italia e la Francia, dove sono nate le due università europee più antiche: Bologna e Parigi.
La storia delle università europee
In modo pertinente gli autori hanno progettato questa storia nei limiti cronologici dei primi due grandi periodi delle università: il Medioevo, a partire dalla fine del XII secolo, e i tempi moderni, dal Rinascimento alla fine del XVII secolo. Le università hanno poi conosciuto nel XIX e nel XX secolo delle ristrutturazioni fondamentali legate alla crescita di potere della borghesia e allo sviluppo delle scienze e, nel XX secolo, alla trasformazione in università di massa: questi cambiamenti, però, fanno parte di un altro capitolo storico.
Ma la storia dei primi secoli delle università è così illuminante che certi aspetti essenziali sono rimasti validi ancor oggi e a volte c’è addirittura un ritorno a delle situazioni, a dei problemi, a delle aspirazioni e a delle soluzioni che hanno caratterizzato i primi tempi. La collana che ho l’onore di presentare è stata concepita in modo da descrivere e spiegare tutti gli aspetti della storia delle università ed essere così una storia totale delle università che permetta di considerare le università di oggi come delle entità globali, all’interno di un sistema che, senza essere né uniforme né omogeneo, rappresenta una rete di organismi e di società simili. Questa storia sarà per il XXI secolo e per un periodo cronologicamente più lungo ciò che sono stati per il XX secolo i tre volumi del classico di Rashdall, The Universities of Europe in the Middle Ages, pubblicato a Oxford nel 1895 e aggiornato da Powicke e Emden nel 1936. Brizzi e Verger presentano nei primi volumi un’accurata ricostruzione d’insieme della storia delle università seguendone le vicende dal Medioevo, che le ha viste nascere, svilupparsi e radicarsi, lungo il XVI secolo, durante cui sono state segnate dai grandi avvenimenti dell’umanesimo, della frattura tra cattolici e protestanti, dell’evoluzione degli stati verso l’assolutismo, fino al XVII e al XVIII secolo, quando la grande rivoluzione scientifica e il grande movimento dei Lumi hanno rappresentato una sfida che non sempre esse sono riuscite a raccogliere. L’espansione europea nel Nuovo Mondo è stata poi l’occasione di un nuovo trapianto universitario legato ai classici problemi dell ‘acculturazione.
Durante questi diversi periodi nelle università e al di fuori di esse, non è cambiato solo il paesaggio intellettuale ma sono cambiati anche i rapporti tra le università, la società e i poteri politici.
Gli altri volumi di questa collana saranno proprio dedicati alla storia interna ed esterna delle università di fronte a questo mondo europeo in continua mutazione: nomadismo e sedentarismo dei docenti e degli studenti, articolazione delle strutture internazionali e delle cristallizzazioni nazionali, problemi della vita materiale, strumenti e metodi di lavoro (soffermandosi in particolare sui grandi problemi dell’evoluzione del libro e dei rapporti tra il latino e le lingue volgari e sullo sviluppo dell’attrezzatura scientifica e tecnica e dei metodi sperimentali) e infine i rapporti delle università con il territorio locale e nazionale saranno oggetto di un’attenta analisi. A questo proposito vale la pena ricordare che le università sono nate come delle corporazioni all’interno del grande sviluppo urbano proprio nel momento in cui si stavano consolidando gli stati moderni, in Inghilterra, in Francia, in Spagna e quando la monarchia pontificia stava rafforzandosi. Sotto altre forme alcuni di questi problemi sussistono o si risvegliano oggigiorno. Si pensi per esempio ai rapporti delle università con le città dove risiedono: alcune sono restate delle «università-città» o lo sono diventate come «Louvain-la-Neuve» (la nuova Lovanio), altre sono diventate delle grandi metropoli dove l’università cerca a volte con difficoltà il suo posto, altre, infine, hanno visto affermarsi il modello americano del «campus-ghetto» il cui successo è stato peraltro limitato in Europa. Oppure si pensi ai rapporti delle università con i poteri pubblici e, in un mondo nel quale l’influenza delle imprese aumenta, con il potere finanziario privato: in entrambi i casi vi è la necessità di mantenere un’indipendenza che i poteri politici e religiosi non hanno sempre rispettato nel passato; non vanno poi trascurati i rapporti con le università private, poco numerose in Europa, a eccezione delle università confessionali, che devono avere il loro posto nella rete universitaria globale sotto la doppia condizione del rispetto dell’indipendenza religiosa da un lato e della libertà di pensiero dall’altro. Per concludere vorrei rallegrarmi del fatto che la bella impresa di Gian Paolo Brizzi e Jacques Verger ci permette di capire meglio i dati e la posta in gioco dell’Europa universitaria da costruire e su quali punti essenziali questa Europa universitaria di oggi e di domani debba in parte continuare, in parte resuscitare, in parte modernizzare e correggere il modello dell’università medievale, che è stata una creazione di importanza capitale del Medioevo e uno dei maggiori contributi alla costruzione dell’Europa. Il punto più importante mi sembra il carattere internazionale dell’università medievale: suo grande merito consiste nell’aver affermato il diritto per i suoi dottori di insegnare in tutte le università del mondo cristiano (jus ubique docendi) e di aver per così dire obbligato maestri e studenti a passare da una università all’altra, essere cioè itineranti, realizzando l’ideale dell’universalità del sapere che è il fondamento dell’istituzione universitaria. Le barriere nazionali tra i diversi stati europei per i diplomi e le carriere devono scomparire e deve ritornare il tempo felice del XIII secolo dove gli inglesi Alexandre de Hales e Ruggero Bacone, il tedesco Alberto Magno, gli italiani Bonaventura e Tommaso d’Aquino studiavano e insegnavano a Parigi. Questo presuppone delle soluzioni diverse da quelle del Medioevo per l’uso delle lingue. L’uso di una lingua unica è impossibile: il latino è diventato una lingua morta e nessuna lingua reale o artificiale può essere il veicolo linguistico dell’insegnamento universitario europeo. Solo lo sviluppo della conoscenza e della pratica di più lingue, che andrebbero studiate seriamente dalla scuola media, o addirittura dalle elementari, può fornire una risposta adeguata. L’Europa della cultura deve essere un’Europa plurilinguistica capace di opporsi al mono-linguismo dell’inglese che, forte del peso economico degli Stati Uniti, che non esiste però nel mondo del sapere e della cultura, sembra adatto solo all’Europa degli affari. Le università europee devono essere, cosa che sono state nei fatti sin dai loro inizi, dei centri che uniscono ricerca e insegnamento, anche se questi termini non hanno -soprattutto il primo – dei veri equivalenti nel Medioevo. Lo sviluppo delle scienze e della tecnica e la forza dello spirito di investigazione hanno favorito oggigiorno il moltiplicarsi degli organismi di ricerca, e questo è un segno di progresso. Ma le università non dovrebbero limitarsi a diffondere ciò che è stato elaborato e scoperto altrove: devono essere dei centri di ricerca capaci di sviluppare insegnamento e ricerca e devono mantenere, anche a fianco delle grandes écoles e degli istituti specializzati, un insegnamento aperto a tutti, seppur di alto livello.
Le università di Bologna e di Parigi
Le università medievali, pur se organizzate secondo due diversi modelli giuridici, quello di Bologna, diretto dagli studenti, e quello di Parigi, amministrato dai docenti, hanno dovuto gran parte della loro potenza ed efficacia alla fondamentale collaborazione tra maestri e studenti (universitas magistrorum et scolarium). Una università è e deve essere una unità armoniosa, equilibrata, organizzata tra insegnanti e studenti, nel rispetto della funzione docente e della dignità umana degli uni e degli altri. E, sicuramente, dato che siamo finalmente lontani da quel Medioevo qualificato da George Duby come Medioevo «maschio» e misogino, bisogna che nelle due componenti professori-studenti le donne abbiano il posto che si meritano. Altri progressi sono necessari all’Europa universitaria: sin dalle origini, universitari arditi e originali rivendicarono la libertà di pensare e di insegnare, scontrandosi purtroppo con l’intolleranza della Chiesa e di quegli stati che accettavano volentieri di esserne il braccio secolare. Il vescovo di Parigi Stefano Tempier pubblicò nel 1270 e nel 1277 un vero e proprio Syllabus di idee condannate il cui insegnamento divenne vietato e Luigi il Santo esiliò il maestro secolare Guglielmo di Saint Amour colpevole di aver attaccato gli Ordini Mendicanti, strumenti del papato.
Il futuro delle università europee
L’Europa universitaria, con la grande liberazione dell’Est, è ora quasi indipendente. Essa deve diventarlo sempre di più. Il Medioevo aveva riconosciuto, sul piano giuridico, l’autonomia delle università. Molti stati la proclamano oggi ma l’assenza di risorse proprie limita spesso il suo esercizio. Bisogna trovare delle formule che assicurino allo stesso tempo il finanziamento delle università e una vera autonomia. Ma prima di tutto la libertà di pensiero deve essere integralmente assicurata, salvo nei casi di insegnamenti contrari ai diritti dell’uomo, che devono essere giudicati e sanzionati all’interno delle strutture universitarie.
Le università medievali sì sono organizzate in istituzioni separate: le facoltà. Esistevano facoltà specializzate come quelle di diritto civile e di diritto canonico e quelle di medicina e una facoltà di formazione di base, la facoltà delle arti, comprendente le tre «arti» del trivium che noi chiameremmo oggi «lettere» e le quattro «arti» del quadrivium, corrispondenti, mutatis mutandis, alle nostre «scienze». Al di sopra regnava la facoltà di teologia. La struttura delle facoltà esiste, più o meno, anche oggi e ciò è spiacevole. L’evoluzione della scienza, pur conservando dei necessari centri disciplinari, deve permettere all’interdisciplinarietà di sbocciare laddove ciò e giustificato e fecondo.
Gli universitari, sin dal Medioevo hanno oscillato tra la volontà di spirito critico esercitato nei confronti del pensiero umano e della sua diffusione e il fascino del servizio nella Chiesa o nelle istituzioni laiche che ha condotto spesso all’autocensura in cambio di una sicurezza materiale e di una partecipazione al potere.
L’universitario europeo
L’universitario europeo di domani deve essere completamente indipendente dai poteri e deve esercitare il suo ruolo di intellettuale a beneficio dell’insieme della società come difensore dei valori legati alla scienza e all’educazione senza farne uno strumento di potere personale. Sin dal XIII secolo l’università è emersa come un terzo potere: lo studium a fianco del potere religioso, il sacerdotium, e del potere politico, imperium. Questa perversione della funzione universitaria non dovrà ritrovarsi nella nuova Europa universitaria. Infatti la difesa di valori legati alla scienza e all’educazione non può sottostare a nessuna ambizione di potere individuale o collettivo di una casta. Lo status di universitario è una dignità, non un potere. È la dignità di un corpo che deve legittimamente manifestarsi attraverso una simbologia comunitaria come nel Medioevo, ma che deve anche sapere resistere alle tentazioni di costituirsi in casta. Il grande principio rivoluzionario delle università medievali è di ordine sociale, scientifico e intellettuale. Ha instaurato una via di ascensione e di promozione sociale che non riposa sulla nascita o sulla ricchezza, ma sul sapere, il lavoro e il merito. Ha introdotto, così come esisteva da tanto tempo in Cina, una selezione attraverso esami. Certamente le spese di sussistenza e il costo del materiale universitario (i libri erano molto cari) rendevano più facile l’accesso alle università per i figli dei nobili e per quelli dei ricchi borghesi. Ma molto presto un sistema di borse di studio a favore dei giovani dotati e volonterosi permise l’apertura delle università ai poveri. Questi borsisti vivevano in comunità, i collegi, che ebbero un ruolo sociale e intellettuale fondamentale. Uno di questi collegi, che si preparava a diventare la celebre Sorbona, fu fondato da un canonico di Parigi, Roberto di Sorbon, figlio di contadini. Anche se troppo limitata la presenza di figli di famiglie plebee e contadine aprì la strada sin dal Medioevo a ciò che resta da compiere nel mondo universitario europeo: l’accesso di tutte le persone capaci agli studi universitari. In mancanza di un cambiamento profondo della società, una più ampia diffusione di borse di studio e di altre forme di aiuto materiale (e in special modo quelle che permettono di studiare in università straniere) è necessaria per far sì che l’università partecipi al grande movimento, che sta trascinando l’Europa e che gli europei – con l’aiuto delle università – devono riuscire a compiere: la realizzazione della democrazia. Queste sono, mi pare, le principali vie di continuità ma anche di novità e di progresso, che la storia indica all’Università chiamata così a recitare un ruolo fondamentale nella costruzione dell’Europa di domani. L’eccellente opera diretta da Gian Paolo Brizzi e Jacques Verger ne sarà una guida indispensabile e illuminante.
Jacques Le Goff
(Traduzione di Nicola Morganti)