La fine del Carbone Sulcis di Paolo Amat di San Filippo
E’ ormai segnata la sorte dell’estrazione del Carbone Sulcis. La comunità Europea, dopo molti tentennamenti ha deciso che le sovvenzioni fino ad oggi concesse dal governo e/o dalla Regione Sarda sono da considerarsi aiuti di Stato ed in contrasto con le norme europee sulla concorrenza industriale. E’ ormai arcinoto che il Carbone Sulcis era stato utilizzato ben prima che nascesse il Regime Fascista, comunque Carbonia, la città del Carbone Sulcis, venne inaugurata il 28 Ottobre 1939 nell’ambito della politica autarchica conseguente alle sanzioni poste in essere dalla Società delle Nazioni, su pressione dell’Inghilterra per ritorsione alla occupazione italiana dell’Etiopia. L’ordine di servizio fu usare esclusivamente il carbone sardo. In verità il Regime, se da una parte propagandava il vantaggio dell’utilizzo del carbone Sulcis, in pratica preferiva utilizzare il carbone delle miniere dell’Arsa, in Dalmazia, perché più conveniente. Comunque l’estrazione del Carbone Sulcis fu alquanto travagliata, le miniere passarono, nel corso di quasi un secolo, dall’ACAI alla Carbosarda, e infine alla Carbosulcis.
Il tema del rilancio del Carbone Sulcis fu ripreso dalla stampa isolana nel 1948, che evidenziando la potenzialità del giacimento, le elevate caratteristiche dei moderni macchinari utilizzati per l’estrazione del macerale. e l’ormai grande esperienza acquisita dalle maestranze, caldeggiava la rimessa in produzione della miniera. All’uopo la miniera doveva venir assegnata alla Regione Sarda che avrebbe dovuto farla gestire da una qualche cordata di imprenditori italiani o stranieri, in base ad un’asta pubblica. Questo concetto di asta, però era nuovo; infatti non si trattava, come si è abituati a pensare quando per esempio si va a comprare all’incanto, un quadro, un tappeto, un pezzo d’antiquariato, o altro, che l’oggetto venga assegnato a che abbia offerto di più, ma nel caso della miniera di Carbonia, questa avrebbe dovuto essere assegnata a quel concorrente che si fosse accontentato di percepire, dalla Regione, la somma minore.
Dopo che l’ENEL, che nel lontano 1965 si era accollata la gestione della miniera di Nuraxi Figus, nel secondo semestre del 1972 aveva rinunziato, nel 1980 fu creata la Carbosulcis, grazie ai cospicui finanziamenti da parte dello Stato.
Nel 1975 la “Commissione Interparlamentare per lo Studio del Rilancio dell’Attività Carbonifera Sarda”, nominata dal governo, aveva provveduto a prelevare, dal cantiere di Seruci, 12 campioni di carbone, si presuppone significativi, che furono fatti analizzare da due laboratori specializzati e di chiara fama, quali la Stazione Sperimentale per i Combustibili di San Donato Milanese e il Laboratorio Chimico Servizio Ricerche, Studi ed Esperienze, dell’Associazione Nazionale per il Controllo della Combustione di Roma.
I risultati analitici dei due laboratori, pur con piccole discrepanze, dovute prevalentemente alla grande eterogeneità del macerale, pur estratto dallo stesso letto, sono abbastanza coerenti tra loro.
Li riportiamo succintamente come “range” dei tenori riscontrati:
Umidità % 5,9-8,7; Ceneri % 5,3-42,6, Sostanze volatili % 29,5-44,7; Carbonio fisso % 18,1-42,1;
Zolfo % 5,2-8,2; Potere Calorifico Superiore (Kcal/Kg) 3.460-6.460; Potere Calorifico Inferiore (Kcal/Kg)3.260-6.160.
Senza entrare nel merito, si deve accennare che l’Umidità può essere costituzionale e superficiale, che le Ceneri possono essere inerenti, interstiziali, e avventizie, che lo Zolfo può essere inorganico e organico, che la presenza delle Sostanze volatili compresa tra il 20 % e il 30 % qualifica il carbone come “magro”, mentre la presenza delle stesse oltre il 30 % lo qualifica come “a lunga fiamma”, e che non si deve in alcun modo confondere il Potere Calorifico Superiore con quello Inferiore. Purtroppo, forse per cercare di convincere qualcuno, fraudolentemente si è riportato, in relazioni pseudo-scientifiche, il valore del Potere Calorifico Superiore come se fosse quello Inferiore.
E’ da tenere presente che in un carbone fossile, la presenza di un’elevata percentuale di Sostanze Volatili, abbassa il Potere Calorifico Inferiore, che per un campione tipo, con umidità non superiore al 6 % e un tenore in Ceneri del 10 %, sul secco, dovrebbe essere, se costituito da Carbonio puro, di circa 8.080 (Kcal/Kg)-
Il Potere Calorifico Inferiore è quello che dà un’idea più vicina al reale delle caratteristiche termiche di un combustibile, anche se queste, durante la combustione vengono ulteriormente ridotte dalla presenza dell’Umidità e delle Ceneri.
Anche la presenza dello Zolfo influenza il Potere Calorifico Inferiore di un carbone fossile.
Ora prescindendo dalle considerazioni sul costo d’estrazione del Carbone Sulcis rispetto al prezzo del Carbone estero d’importazione, si deve tener presente che se il carbone sardo viene bruciato in qualsiasi modo, attribuendogli, ottimisticamente, un tenore in Ceneri del 25 % e in Zolfo del 6 %, bruciandone un milione di tonnellate, si dovrebbero abbancare 250.000 tonnellate di ceneri calde e smaltire ben 60.000 tonnellate di Zolfo, che produrrebbero 120.000 tonnellate di Anidride Solforosa che, se liberate in atmosfera a almeno 200°C, avrebbero un volume di 114.710.000 metri cubi.
Questa Anidride Solforosa, abbattuta come Solfato di Calcio, ammessa, cosa che non avviene nella realtà, una reazione esattamente stechiometrica con la Calce (Mole per Mole), darebbe luogo a 322.500 tonnellate di Gesso (Solfato di Calcio biidrato), che dovrebbero anch’esse venir in qualche modo smaltite.
Quindi, nel caso citato, bruciando un milione di tonnellate di Carbone Sulcis con le caratteristiche surriferite si dovrebbero smaltire 572.500 tonnellate di materiali di scarto, fra ceneri e gesso, e il più possibile vicino alla centrale termica che le ha prodotte, e ciò per non aggiungere ai costi quello del trasporto fino al luogo della discarica e per evitare di mandare in giro polveri nocive.
Taluno potrebbe obiettare che il Gesso prodotto potrebbe venir utilizzato, per esempio come additivo nel cemento, per la produzione di Cartongesso o di altri manufatti consimili, ma bisogna anche tener presente che la Fluorsid, che produce Acido Fluoridrico, Criolite sintetica, e Fluoruri, a partire dalla fluorite di Silius, ha il problema di smaltire grandi quantità di Anidrite, capomorto della sua lavorazione, che pure ha un più vasto campo di utilizzo rispetto al Gesso.
Nel caso della gassificazione con ossigeno a pressione, di una pari quantità di quel Carbone Sulcis, oltre alle già citate 250.000 tonnellate di ceneri, si avrebbe una certa quantità di composti solforati (SO2, H2S), a seconda delle condizioni operative, corrispondenti alle 60.000 tonnellate di Zolfo contenute nel macerale gassificato.
Il prodotto della gassificazione, una volta eliminati, comunque, i composti solforati, potrebbe avere la seguente composizione percentuale in volume:
Anidride Carbonica (CO2) 29,2 %; Ossido di Carbonio (CO) 18,5 %; Idrogeno (H2) 41,1 %; Metano
(CH4) 10,0 %; Idrocarburi vari 0,50 %; Azoto (N2) 0,7 %; Potere Calorifico Superiore 1.713 Kcal/Kg.; Potere Calorifico Inferiore 1.601 Kcal/Kg.
L’abbattimento dell’Anidride Solforosa dai gas della gassificazione potrebbe avvenire come già detto, trasformandola in Gesso: L’Idrogeno solforato potrebbe venir trasformato cataliticamente in Zolfo che troverebbe impiego, come tale in agricoltura, oppure nella produzione dell’Acido Solforico. Un processo di questo tipo viene realizzato dalla Saras di Sarroch che produce e commercializza lo zolfo che produce dall’idrogeno solforato risultante dai processi di Hydrocracking dei derivati del Petrolio greggio.
C’è però da dire che la Saras, ad onta dello statuto speciale della Regione Sarda, per vendere lo Zolfo prodotto, deve pagare un balzello all’Ente Zolfi Siciliano!
Per aumentare il Potere Calorifico del gas di gassificazione si dovrebbe eliminare l’Anidride Carbonica, con metodi chimici o fisici, trovandogli poi un impiego ecologicamente compatibile, insieme a quella proveniente, in seguito, dalla combustione del gas della gassificazione.
Nella gassificazione del carbone fossile si formano, a seconda delle condizioni adottate, svariati altri composti: ossigenati quali Fenoli e Cresoli, o azotati quali Anilina, Piridina, Chinolina, pregiate materie prime dell’industria dei coloranti e dei farmaci, ma che presuppongono, per la loro valorizzazione, impianti chimici attualmente inesistenti nell’Isola e addirittura inimmaginabili in Sardegna.
Tecnici del Centro Ricerche della Carbosulcis da anni stanno studiando “il carbone pulito”, ossia un metodo per smaltire l’Anidride Carbonica prodotta dalla combustione del Carbone Sulcis in una fantomatica megacentrale termica da costruire in zona.
Tra i metodi proposti c’è quello di comprimere l’Anidride Carbonica e iniettarla nel sottosuolo o in mare a grandi profondità, non tenendo conto di quanto carbone bisognerebbe bruciare per ottenere l’energia necessaria per comprimere l’Anidride Carbonica, che, essendo stata compressa , tenderebbe poi a ritornare allo stato gassoso, e se nel sottosuolo, agevolata anche dal gradiente geotermico.
Forse si pensa che nelle profondità marine la soluzione dell’anidride nell’acqua di mare sia più stabile. Cosa può succedere con tutta questa quantità di Acido Carbonico contenuta nell’acqua di mare?
Quali conseguenze possono derivarne nell’habitat marino?Cosa ne pensano gli ecologi marini?
L’unico metodo efficace ed ecologico di smaltimento della CO2 potrebbe essere quello della fotosintesi clorofilliana, magari con colture idroponiche in serra; sarebbe il caso di farci un pensierino.
Giorni fa si è appreso dalla stampa che la Carbosulcis avrebbe acquistato delle attrezzature costosissime che non sono mai entrate in funzione soprattutto perché la produzione è stata sempre solo esclusivamente propagandistico-scenografica, con ampia esibizione di operai in tuta ed elmetto in ogni occasione.
Mi viene in mente che nel libro del cinquantennio della Elettrica Sarda, pubblicato intorno agli anni ’50, la parte riguardante le miniere era stata stilata dal Professor Mario Carta, insigne docente e di fatto Fondatore del Corso di Laurea in Ingegneria Mineraria a Cagliari, e poi compianto Preside della Facoltà di Ingegneria, al tempo Ingegnere capo del Corpo delle Miniere. Citando la produzione delle miniere storicamente in esercizio a Carbonia afferma che la produzione per turno di un minatore sardo era di 370 Kg, rapportata a quella di un francese 600 Kg, e a quella di un americano 1.000 Kg..