La supposta origine fenicia di Bosa di Massimo Pittau
Bosa [localmente (B)Osa; (nel Medioevo anche Vosa)] (cittadina della provincia di Oristano, sulla costa occidentale della Sardegna).
La notevole importanza di questa città nell’epoca classica è dimostrata dal fatto che essa è citata in alcune opere e precisamente in queste: Plinio il Vecchio, Naturalis Historia (III, 85), Claudio Tolomeo, Geographia (III, 3, 7), Itinerarium Antonini (83, 8), Anonimo Ravennate, Cosmographia (26, 10, 10), Guidone, Geographica (64, 22, 4).
Nella periferia orientale dell’odierna Bosa esiste il rudere di un nuraghe, che è carico di grande valenza dimostrativa, per due differenti motivi: I) Il fatto che su di esso risulti costruita la chiesetta di Santu Lò, Lói «Sant’Eligio» è una delle prove più evidenti e tangibili della destinazione religiosa dei nuraghi. All’atto della evangelizzazione della Sardegna infatti i missionari cristiani hanno proceduto a costruire una chiesa nel medesimo sito in cui in precedenza c’era un tempio pagano, appunto il nuraghe; proprio come i missionari cristiani hanno fatto in numerose altre località della Sardegna e anche in tutto il mondo mediterraneo (SN §§ 34, 35). II) L’esistenza di quel nuraghe, assieme con altri tre situati nell’agro di Bosa, chiamati rispettivamente Albaganes, Furru e Zarra, costituiscono una prova sicura e chiara che Bosa, contrariamente a quanto si è pensato e detto finora, non è stata fondata dai Fenici, bensì è di origine sardiana o protosarda o nuragica. I nuraghi infatti sono senza alcun dubbio costruzioni nuragiche e nient’affatto costruzioni fenicie. Oltre a ciò è pressoché assurdo ritenere che i Nuragici, già molto prima dei Fenici, non avessero manifestato attenzione e provato interesse alla foce del fiume Temo, alla sua fertile vallata e all’intera conca in cui è situata l’odierna cittadina di Bosa.
È quasi incredibile che ciò che finora aveva spinto gli studiosi a ritenere Bosa una fondazione fenicia fosse la sola circostanza che nel sito dell’antica Bosa (Bosa Vetus, che era attorno alla odierna chiesa episcopale di San Pietro), sarebbe stata rinvenuta una iscrizione fenicia scalfita in un masso di pietra. Senonché quella iscrizione – ammesso che fosse autentica – non dimostra affatto che Bosa non esistesse già prima del sec. VIII a. C., nel quale per la prima volta sono sbarcati i Fenici in Sardegna (cfr. Ferruccio Barreca in StSN § 52). In particolare sembra che quella iscrizione riportasse il solo vocabolo bšn, che sarebbe da interpretare «Bosano», con una indicazione che puzza di falso in misura massima. È infatti grandemente inverosimile che delle centinaia di vocaboli della lingua fenicia si sia conservato nel sito della città – per semplice caso – solamente quello che significava «Bosano». Del resto non è senza significato la circostanza che il masso con l’iscrizione sia scomparso alla fine dell’Ottocento quasi subito dopo il suo rinvenimento: è la sorte che tocca molto di frequente ai “falsi archeologici ed epigrafici”, dato che i falsari hanno grande cura a che non intervengano gli specialisti per esaminare i reperti.
Infine, dato ma non concesso che quella iscrizione fosse autentica, essa sarebbe il solo ed unico reperto di matrice fenicia rivenuto nel sito di Bosa, non confortato da nessun altro, epigrafico od archeologico. Un solo ed unico reperto “fenicio” rivenuto a Bosa non è assolutamente in grado di dimostrare che Bosa sia di “origine fenicia”. Già gli antichi Greci dicevano che “Una rondine non fa primavera”!
D’altra parte quell’unico masso con la supposta scritta fenicia poteva essere arrivato a Bosa per puro caso, ad esempio come facente parte della zavorra di una nave fenicia arrivata per motivi di commercio nel suo porto-estuario.
Prescindendo e tralasciando tutto ciò, circa l’origine o l’“etimologia” del toponimo Bosa, è necessario fare una premessa di carattere metodologico generale. Per un toponimo che sia “opaco”, del quale cioè si conosca solamente la forma fonetica, mentre si ignori il contenuto semantico, cioè il suo “significato” originario, un tentativo di trovarne e indicarne l’origine o l’“etimologia” e precisamente di trovarne appunto il “significato”, avrebbe un valore scientifico solamente a due condizioni: I) che si connettesse il toponimo a un appellativo comune di cui si conosca effettivamente il “significato”; II) che questo “significato” corrisponda, più o meno bene, alle condizioni geomorfiche o botaniche od antropiche del sito indicato dal toponimo.
Queste due condizioni si restringono e si impongono sempre più, a seconda che si restringa il numero dei fonemi (cioè consonanti e vocali) che costituiscono la «forma fonetica» del toponimo esaminato e studiato. Ed infatti queste due condizioni sono fortemente stringenti e necessarie per un toponimo come Bosa, che è costituito solamente di due sole sillabe o di quattro soli fonemi.
Ebbene, ciò premesso, dico di essere riuscito a trovare e sono in grado di presentare un appellativo che da un lato corrisponde perfettamente alla «forma fonetica» del toponimo Bosa, dall’altro corrisponde egregiamente alla situazione geomorfica del sito indicato dal toponimo stesso. Nell’antico piemontese esisteva l’appellativo bosa, il quale significava «catino di rame» ed è tuttora documentato nella toponimia del Piemonte e che il Dizionario Etimologico Italiano (pg. 570³) presenta come relitto del sostrato linguistico “mediterraneo”, che praticamente vuol dire “preindoeuropeo”, cioè precedente all’arrivo delle popolazioni indoeuropee nel bacino del Mediterraneo. La connessione “fonetica” tra l’appellativo piemontese bosa «catino» e il toponimo sardo è perfetta ed è pure molto stringente la loro connessione “semantica” o di significato. Considerato infatti che in molti altri domini linguistici avviene spesso che il nome di un recipiente venga adoperato, per metafora, per indicare fossi o avvallamenti o cavità, il significato di «catino» dell’appellativo piemontese può essere egregiamente attribuito alla grande vallata, nel cui fondo si trovava e si trova la città di Bosa, col significato di «conca». Pertanto è molto probabile che in origine Bosa indicasse appunto la grande «conca», caratterizzata da forti ed evidenti margini esterni, che si impongono chiaramente sia a chi vi arrivi dal mare, sia a chi vi scenda dall’altipiano della Planargia. Dunque è molto probabile e verosimile che Bosa significhi «conca», in analogia, ad esempio, con la famosa «Conca d’Oro» di Palermo. Il carattere “mediterraneo” dell’appellativo e toponimo Bosa è pure dimostrato dalla sua vasta diffusione attorno al bacino del Mediterraneo: Bosa infatti esiste, oltre che in Piemonte, nell’Africa settentrionale (due, Numidia e Zeugitana) (Pellegrini, TopIt 47) e forse anche Boxa nell’antica Lidia, in Asia Minore.
Possono essere connessi col toponimo Bosa i seguenti altri sempre della Sardegna: Bosa Manna, Bosaredda (= «grande e piccola conca» contrapposti), Bosove (villaggio medievale ora scomparso) (tutti nell’agro di Sassari); Istrada ‘e bosa/Bosa «strada della conca oppure di Bosa» (?) (Abbasanta); Bosoche (Orune); Bosói (Orani); Bosotha (Bitti, Onanì).
Oltre che l’etnico Bosanu esiste anche l’altro Bosincu, Busincu, che trova riscontro negli altri Lurisincu, Nuchisincu, Ossincu, Padrincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Luras, Nuchis, Ossi, Padria, Sorso, Thiesi) e tutti sono caratterizzati da un suffisso che in Sardegna è arrivato dalla Corsica e che molto probabilmente deriva dal suffisso lat. –in(i)cus.
Nella sua qualifica di capoluogo di diocesi e poi come porto aperto al mondo catalano e spagnolo, Bosa risulta citata numerose volte negli antichi documenti sardi, ad iniziare dalla Carta di revoca tributaria a favore di Montecassino dell’anno 1170 (CREST XXIV 12) e dal Condaghe di Silki come Uosa (passim).