VI.Padova: gelosia retroattiva: Priscilla minaccia di andarsene, ma poi desiste di Ange de Clermont
Riprendo a trascrivere dal diario del “Viaggio di nozze di Priscilla e di Andrea”.
Il treno, diretto a Venezia, che da Firenze il 18 settembre del 1963 ci portò a Padova, si fermò alla stazione e noi scendemmo non senza notare subito la grassa attrice del film Amarcord. Era una donnona davvero pingue e il film non aveva esagerato. C’incamminammo sereni alla ricerca di un alberghetto e finalmente lo trovammo un pò lontano dalla Basilica del Santo. Ci sistemammo nella piccola, ma accogliente camera mansardata e dopo un pò uscimmo a mangiare qualcosa. Ci colpì subito l’offerta dei ristoranti. Si poteva mangiare con 500, 1000, duemila lire e su di lì. Non ricordo se mangiammo come primo piatto pasta oppure minestrone, fatto sta che ci riempimmo a sufficienza. Girammo per i portici e programmammo per l’indomani la visita alla basilica di Sant’Antonio, mentre il giorno successivo avremmo preso il treno per Venezia da cui saremmo tornati all’albegheto di Padova.
La stanchezza cominciava a farsi sentire e così prendemmo sonno forse verso le 22, pensando ancora alle belle chiese, piazze e monumenti di Firenze. La sposina era gioiosa e in forza e fin lì non si era mai alterata, anzi aveva manifestato la sua felicità. L’indomani mattina, 19 settembre, ci svegliammo a buonora, purtroppo dalla finestra notammo che stava piovendo e così ci trattenemmo a conversare di più a letto. Tra i tanti discorsi toccati ce ne fu uno spinoso.
Ad un tratto mi chiese:-Quando con i tuoi amici sei andato a trovare le scout svizzere attendate tra le dune della spiaggia col mare smeraldino e poi le avete potate a Sassari alla giostra, quanto hai speso?- Risposi senza pensarci due volte:-Circa tre mila lire!- Riprese Priscilla agitandosi non poco:-Tremila lire! Ma se tu mi dicesti che avevi speso duemila lire!- Ed io con leggerezza: – Mille lire in più, mille lire in meno non fa differenza!- Ravvivandosi e infuriandosi Priscilla, riprese: – Non lo sapevo che eri un bugiardo, un gran bugiardo perché a me avevi detto duemila lire!- Ed io:- Ma che differenza fa, mille lire in più mille lire in meno!- Lei:- Ho sposato un gran bugiardo, saltò con la sua camicia da notte rosa dal letto e iniziò così a leggermi la vita a colpi di bugiardo e di chi sa che cosa avete combinato al ritorno dalla giostra. Negli spazi di breve silenzio in cui riuscivo a difendermi: -Ti ho già detto che, tornate in spiaggia, la caposcout invitò le compagne a entrare in tenda e rapidamente chiusero le tende, vanificando eventuali discorsi o altro.-
La sposina s’infuriò di più e presa dalla gelosia retroattiva mi disse che non sarebbe venuta alla basilica del Santo con un bugiardo e che avrebbe preso il treno e se ne sarebbe tornata a Genova per prendersi la nave e lasciarmi in asso. Io che avevo certo sette anni più di lei, non potendola far tacere, tagliai corto e dissi:-Preparati che andiamo dal Santo!- Rispose stizzita: -Io con un bugiardo non ci vengo dal Santo, prendo il treno e ritorno a casa!- Tacqui e pensai tra me che i soldi per fortuna li tenevo ancora io in tasca e che certo non sarebbe potuta partire senza una lira. Ero pronto per recarmi dal Santo, aprii la porta e scesi le scale. Raggiunsi la strada, comprai un ombrello e così tra la pioggia feci la visita al Santo pensando che avevo sposato una ragazza tosta, ribelle, gelosa e forte come un macigno. Potete immaginare che cosa dissi al Santo se non che la calmasse e le facesse passare questo primo violento attacco di gelosia. Mi venne lo scrupolo di averla lasciata sola e ripresi la via del ritorno. Erano le 12 e quindi c’era tempo per convincerla a tornare insieme dal Santo per implorare grazie su questo fresco matrimonio. Bussai alla camera dell’albergo e venne ad aprirmi. Aveva gli occhi lucidi, l’abbracciai e con calma la convinsi a dimenticare quell’episodio insgnificante. Mica l’avevo tradita! Lei si rasserenò e mi rispose:- Meno male che ti sei portato via i soldi, se no, non mi avresti trovata di certo ancora qui!-
Così, la bambina quasi ventenne, col pupetto in viaggio, avendo smaltito l’attacco di gelosia, si rivesti col vestito premaman e tenendola affettuosamente a braccetto, dopo averle offerto un caffè e un pasticcino al primo bar, raggiunse con me la Basilica del Santo dove per prima cosa s’incantò ai piccioni che accettavano il cibo dai fedeli presenti in piazza. Acquistai un pò di becchime e i piccioni le volarono sulle spalle e nelle mani ed io con la mia macchina fotografica potei immortalarla con un sospiro di sollievo per quei brutti momenti che mi aveva fatto passare. I capelli inanellati scendevano sulle sue spalle e finalmente sorrideva piena di stupore, mentre nel mio cervello scorrevano le parole e le note della canzone napoletana della donna riccia, cantata da Modugno:
si vo’ ti sposi,
pero’ nun ti pigghiari
‘na donna riccia.
cu ricci e ricciteddi
issa t’incanta
pero’ dopo du’ misi poi ti pianta!
no, no, no
no, no, no
riccia… no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
la donna riccia nun la vogliu no
si prima ‘ole te vasa
poi ‘ole te lassa
nun ci capisci nenti,
e’ comu matassa.
te mbrigghia e poi te sbrigghia
c’e’ cu mpazzisci
pero’ si te carizza
tu t’addurmisci
no, no, no
no, no, no
riccia… no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
picchi’ da ogni ricciu
te caccia nu capricciu
la donna riccia nun la vogliu no
la donna riccia nun la vogliu no
la donna riccia nun la vogliu no
la donna riccia nun la vogliu no
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