IV. Il viaggio per Firenze e il “mi sembra di conoscerla” rivolto alla sposina a cura di Ange de Clermont
La sposina si svegliò verso le otto e dopo avermi schioccato un bacio,mi disse:
-Ora si che ho dormito e mangiato a sazietà! Lo sai che questo pupetto è sempre affamato anche se oggi di meno. Tesoro non ti ho fatto fare una bella figura ieri sera con i cugini, ma io, da zia, dopo il pranzo avevo un sonno perso. – Ed io
– Non preoccuparti cara, l’importante è che stia bene. Ora ci alziamo a poco a poco, facciamo colazione, paghiamo il conto dell’Hotel e da un taxi ci facciamo portare alla stazione Termini e prendiamo il primo rapido per Firenze, città d’arte!-
-Vedrai che Firenze mi piacerà e tu sarai contento!-
Ciò detto la sposina si alzò e occupò la toilette, mentre io che avevo già fatto la doccia guardai i conti dell’albergo e senza tanti problemi misi i soldi da parte nel portafoglio, per saldare il conto .
I soldi, nonostante gli extra del cinema e del vestitino premaman non previsto, sembravano sufficienti per stare tre giorni a Firenze e tre a Padova da cui avremmo fatto una capatina a Venezia.
Alla stazione Termini fummo fortunati: era in partenza un rapido per Firenze, facemmo i biglietti e salimmo sul treno abbastanza gremito. Sistemai il valigione e ci sedemmo. Priscilla volle sedersi accanto al finestrino, davanti ad un’attempata e rassicurante signora ed io a fianco a lei, di fronte ad un signore distinto. Il treno mandò un fischio e fischiò anche il capostazione addetto e il rapido cominciò a muoversi mostrandoci la solita squallida periferia di Roma, prima di perdersi nella campagna romana.
Non ricordo se il viaggio durò tre o quattr’ore, fatto sta che non ci accorgemmo della durata. I vicini di posto sorridevano vedendo i nostri anelli luccicare e due o tre signore chiesero da dove venivamo. Rispondemmo che venivamo dalla Sardegna.
-Strano, diceva qualcuna, la signora è un viso noto, mi pare di averla vista da qualche parte!-
Ed io:
-Non si è mai mossa dalla Sardegna, forse era qualcuno che le rassomigliava!-
-No, no, io la signora l’ho proprio vista da qualche parte!-
Finimmo per non smentire e non rispondere anche perché Priscilla non si era mossa dal paese natale se non per andare con i suoi per cinque anni ad Osilo, un paese non molto lontano da quello di nascita. Ero io caso mai che avevo girato su e giù per la Penisola, ma di me non si ricordava nessuno. Ero magrissimo, olivastro di carnagione da sembrare a tratti sofferente, infatti, mia suocera ogni volta che m’invitava a cena o a pranzo cercava di farmi mangiare abbondantemente, ma io che ero un pessimo degustatore, posso affermare che tanto in collegio come nei seminari in cui ero stato, rifilavo spesso le pietanze non gustose ai compagni e il vino, durante gli anni del liceo, lo donavo all’amico napoletano Franzese, che oltre al suo quarto s’ingollava anche il mio. Spero che non abbia conservato le abitudini di bere facendo il missionario in Amazzonia e che non sia diventato alcolista.
La sposina, sgranando gli occhi, era felice del viaggio, ogni tanto si metteva le mani sulla pancia e mi sembrava pienamente soddisfatta: era sposa e mamma ad un tempo. Non c’era di meglio per quei tempi per una ragazza che solo da un mese aveva compiuto i vent’anni. Io mi sentivo felice anche per lei che per fortuna non si mise a mangiare banane anche in treno.
Era il 15 settembre del 1963 e l’aria sembrava quasi primaverile, dal finestrino era un susseguirsi della vista di colli alberati e verdi per le coltivazioni e per i boschi, ben diversi dai campi dalla Sardegna settentrionale dove avevamo lasciato ancora il giallo nei prati e nelle colline. Il frumento era ancora coltivato e i contadini andavano bruciando le stoppie ai primi del mese, mentre facevamo i preparativi per le nozze, ma soprattutto per il viaggio di nozze, in cima ai nostri pensieri.
Priscilla per la sua giovane età era spensierata, mentre io mi ero affidato alla Provvidenza. Da quando a 10 anni avevo perso la famiglia ero andato in collegio dove, sebbene con un po’ di ritardo, avevo frequentato le scuole elementari e poi in vari seminari le scuole medie, il ginnasio e il liceo sostenendo alla fine d’ogni corso gli esami pubblici di licenza media, quella ginnasiale e liceale con non poca fatica. Poi, dopo il rientro in Sardegna, mi ero iscritto a Giurisprudenza a Sassari, sostenendo quasi una decina di esami in due anni, ma la necessità di lavorare, mi aveva fatto seguire i consigli di un bravo preside, al quale avevo chiesto di darmi qualche supplenza scolastica, che mi aveva suggerito:
-Senta, con gli esami di Giurisprudenza l’insegnamento non glielo dò, ma se s’iscrive a Lettere, visto che le riconosceranno almeno due esami, potrò darle l’incarico.-
Consiglio seguito e col 10 ottobre del 1961 ebbi l’incarico nel mio stesso paese per impartire l’insegnamento delle discipline letterarie ai ragazzi dell’ultimo triennio della vecchia scuola media con il Latino, quell’anno, infatti, era entrato in vigore il corso di scuola media unica. Al momento dell’incarico era già fidanzato con Priscilla che aveva diciassette anni e mezzo e lavorava nel negozio di famiglia. Mi aveva attratto la sua avvenenza, ma soprattutto la sua vivacità e capacità di mandarmi all’angolo quando si discuteva di quello o di quest’argomento. Il suoi occhi erano grandi e limpidi, tra il verde e l’azzurro, e mi avevano affascinato fin dai primi giorni che entrai nel suo esercizio Alimentari & Coloniali dove però di tanto in tanto arrivava la leonessa, ossia la mia futura suocera, bellissima anche lei, ma piuttosto severa e intransigente circa l’eventuale sosta di qualsiasi giovane in negozio. Insomma, per farla corta, dovetti rivolgermi alla cuginetta Pinuccia per inviare a Priscilla i bigliettini d’amore e ricevere i suoi.
Si dice in paese: l’uomo c’è per chiedere, la donna per dire di no. E così fu per parecchi mesi. Poi, complice la festa campestre di Santa Giusta, Priscilla mi aveva detto il suo si senza altre manifestazioni affettuose: la numerosa folla osservava e le sorelle erano lì come carabinieri a controllarla, visto che c’era pericolo in vista! Tempi antidiluviani se confrontati con le relazioni attuali tra i giovani d’ambo i sessi. Mezzo secolo non è passato invano.
E così mentre il rapido si avvicinava sempre più a Firenze e la sposina si era appisolata mi ero affidato a mamma Provvidenza per il nostro incerto futuro, l’unica cosa certa era il matrimonio e il pupo in arrivo :
-Avete un recapito d’albergo?- Rispondemmo di no.
-Guardate, proseguì, li di fronte, passato l’angolo destro, c’è una bella pensione che fa per voi.-
Accettammo il consiglio e di lì a poco ci vedemmo accolti da una cortesissima signora e la pensione per certi versi non aveva molto da invidiare all’Hotel Gardenia di Roma. La camera che ci accolse era ugualmente infiorata di gardenie, dotata dei servizi, anche se più piccola rispetto a quella. Non eravamo dei giganti perciò fummo felici di aver trovato subito alloggio.
La sposina era in vena di scherzi e aveva ripreso la sua consueta vivacità dopo lo stress della cerimonia nuziale, il viaggio in nave e le camminate romane.
Poiché era l’ora del pranzo, la signora bussò alla nostra porta dicendo: -Il pranzo è pronto!-
Uscimmo dalla stanza con abiti più ordinari e ci sedemmo a tavola per gustare la più genuina cucina fiorentina, quella casalinga.
Questa volta ero io che avevo più appetito, ma la sposina, sollecitata dall’appetito del pupo non si fece pregare e mangiò col viso sorridente come una pasqua.