II. Vetrine e mele con interludio di porcetto arrosto: tutto per il pupo a cura di Ange de Clermont
Segue la II puntata del viaggio di nozze di Andrea e Priscilla.
“Da quelle interminabili vie romane tornammo abbastanza stanchi in albergo. La mammetta, ormai si comportava come tale, non aveva fatto che guardare vetrine e mangiare mele, visto che un po’ mi aveva dato retta dopo l’eccesso di banane nella passeggiata del mattino. Dentro me prendevo atto che stavo portando a spasso una ragazza di 20 anni, per di più in attesa, che si preoccupava della pappa al bimbo che portava in grembo e che era terribilmente attratta dalle luccicanti vetrine che a me davano solo tedio desideroso com’ero di visitare chiese e monumenti romani.
D’altra parte io marciavo sui ventisette anni e la sposina aveva appena compiuto vent’anni, per quei tempi era minorenne e aveva acquistato la maggiore età col matrimonio. Una maggiore età valida giuridicamente, ma fittizia psicologicamente.
In una mano la mela e l’altra a torturarsi i riccioli che cadevano sulla guancia sinistra e quando si stancava di giocare coi riccioli, si grattava molto graziosamente il fianco sinistro, forse per comunicare col pupo.
I miei castelli di fare del viaggio di nozze una visita a monumenti e chiese crollavano e mi rassegnavo a portare a spasso la stravagante e capricciosa mogliettina che era attratta dalle famose vetrine di Roma, non tanto per comprare qualcosa, vista la modesta somma di centocinquatamila lire con cui pensavamo di girare l’Italia per tutto il mese, quanto per la visione del paese delle meraviglie che facevano brillare i già grandi e luminosi occhi della sposina.
Tornati all’Hotel Gardenia mangiammo sobriamente preferendo andare in camera a toglierci la stanchezza. La sposina andò nella toilette e venne a letto con una parure rosa da farmela sembrare un’apparizione. Io indossai il mio pigiama nuovo fiammante e presa per mano la sposina le scoccai un bacio, prima che chiudesse i suoi grandi occhi e s’immergesse nel sonno. Addio sogni di sposino ardente, sta buono e prendi sonno: il pupo e la pupa dormono beatamente, sarebbe un peccato disturbare gli angeli. Di lì a poco in quella camera con carta d’apparato alle pareti ripiena di gardenie, spensi la lampadina e presi sonno anch’io.
Verso le cinque del mattino si sa che il sonno diventa leggero e uno tende a svegliarsi magari lentamente, io invece fui svegliato da qualcuna che aveva imbandito nella sua parte del letto una piccola mensa sopra un asciugamano e della carta oleosa e che mangiava con appetito un cosciotto di porcetto. Allo spettacolo mi sedetti nel letto e potei meglio contemplare la sposina rosa che divorava graziosamente il pensierino che il tenero padre previdente aveva nascosto nella valigia a mia insaputa. Mi portai le mani ai capelli dicendole:- Tu combini qualche guaio al pupo. Tutta quella carne arrosto, alle cinque del mattino, sul letto matrimoniale. Dio mio che donna ho sposato? Manco tu fossi stata una pastorella. Non vedi che ti fa male, mangi troppo!-
Ma l’angelo rosa, sgranò gli occhi e continuò a divorare in silenzio quella porzione di porcetto finché non raggiunse le ossa. Quando ebbe finito, si alzò, levò la mensa dal letto, involse il tutto su carta e gettò nel cestino quanto era rimasto luccicante della porzione di porcetto. Si lavò le mani e la bocca,sollevò le coperte e dandomi la mano sorridendo, mi disse:- Il pupo adesso è sazio e anche la mamma. Ora schiaccio un altro pisolino, spegni la luce!-
Non vi espongo il turbinio dei miei pensieri visto che a parte mia madre, fino a dieci anni, e le compagnette dela mia strada in paese, non ero stato mai in così grande intimità con una donna. Solo tre anni prima avevo lasciato il seminario con la maturità classica, dai 10 ai 22 anni ero cresciuto preso da ben altri ideali che il matrimonio, da 5 anni di collegio prima e da 8 anni di seminario poi su e giù tra l’isola e la penisola. La mogliettina mi apparve un angelo rosa, giusta la parure, al tempo stesso una ninfa di bosco, per altri versi, e un mondo del tutto sconosciuto, un po’ stravagante e bizzarro per altri versi ancora. Insomma mi ero imbarcato nei guai, presi sonno e incappai in un sogno in cui non riuscivo più a liberarmi da una foresta intricata. Mi apparve una tigre che mi fece risvegliare dalla paura. La mammetta era già sveglia e con la mano destra si tormentava i riccioli. Mi chiese che cosa avessi sognato, le risposi niente di speciale, ma guardandola bene,con la sua folta capigliatura ondulata, gli occhi grandi, il naso greco, la bocca piccola, rassomigliava molto alla tigre sognata.
Mi vide pensieroso e mi disse:- Oggi visto che il pupo sta bene, possiamo andare anche a visitare la basilica di San Pietro, comincia ad alzarti!- Mi stampò un bacio sulla guancia sorridendo maliziosamente. – Così anche la seconda notte di nozze passò in cavalleria, rinviando ad altri tempi i giovanili ardori. Non c’era che da rassegnarsi.”