I. Il matrimonio e il viaggio di nozze: la traversata poco romantica a cura di Ange de Clermont
“Caro direttore, siamo due anziani coniugi che festeggiamo le nozze d’oro e vorremmo che lei ci lasciasse un pò di spazio sul suo blog, perciò le inviamo da pubblicare, se lo desidera a puntate, la cronistoria della nostra navigazione matrimoniale. Saluti. Andrea e Priscilla.”
Ho letto con curiosità la cronistoria e merita davvero la pubblicazione a puntate. (A. T.)
“Quando arrivano i 50 anni dal giorno del matrimonio gli ormai stagionati sposi dovrebbero festeggiare per svariati motivi: primo ringraziare il buon Dio che ci ha fatto giungere sani e salvi a questo porto; secondo che per quante tempeste si siano incontrate nella navigazione si è giunti a questo porto chiamato nozze d’oro; terzo che, grazie a Dio, non ci siamo mai lasciati andare alla disperazione e nonostante le traversie questo barcone del matrimonio è arrivato alla meta tranquilla del 50 anni.
La cosa più bella di questa storia è che ci siamo sposati nel 1963 con la modica somma di 500 mila lire, citando a memoria ricordo che l’abito della sposa, comprato dal sig. Toppa, così si chiamava il commerciante napoletano di abiti da sposa, situato agl’inizi dell’ultima parte del Corso di (…), ci vendette l’abito per 23 mil lira, mentre il mio lo comprai con 13 mila lire. Potrei elencarvi tutte le spese e spesucce, visto che abbiamo ancora l’elenco scrupolosamente compilato nella cassetta dei ricordi, compresi i riccioli dei quattro figli che in capo a sette anni nacquero, tre in casa e solo uno nella clinica.
Ci sposammo nella chiesa di Sant’Agostino e officiò la Messa Padre Luigi Chessa di Bessude, ma per 25 anni in Cina, reduce dalla cacciata brutale dei seguaci di Mao Se Dong dal paese.
Ci parlò con molta semplicità del matrimonio cristiano durante il Vangelo, la cerimonia si era già svolta prima con la formula rivolta allo sposo:-Vuoi prendere per tua leggittima sposa la signorina Priscilla?- risposi pronto di si, la sposa fu ancora più veloce nel rispondere alla domanda dell’officiante.
Dopo le orazioni che richiamavano le grandi matriarche bibliche ci furono letti anche alcuni articoli della legge italiana, in particolare:- Il marito è il capo della famiglia!- La sposina rimase stupita e provò un certo disappunto, la cosa non le andava giù perché in casa sua aveva visto sempre al timone la madre e lei era ugualmente pronta a prendere il timone mentre il papà aveva fatto il mozzo. Non vi dico dell’antipatia verso San Paolo che ha nutrito per tutta la vita per via dell’epistola letta prima del Vangelo dove si parlava della sottomissione della moglie al marito, al punto che mi chiedo ancora oggi se il nostro matrimonio fu contratto formalmente a posto. D’altra parte io col tempo dovetti accontentarmi di fare il mozzo: lavorare, portare i soldi a casa e tacere sul resto: non erano mie competenze né l’economia né l’educazione dei pargoli. Quando un giorno mi permisi di dare uno sculaccione al figlioletto maggiore, successe un finimondo e la madre mi diede una tale spinta che per poco non caddi a terra come un pugile suonato. Non si parli nemmeno dell’economia. D’altra parte io avevo da sgobbare sia con l’insegnamento nelle Medie sia da studiare per conseguire la laurea per cui dovetti imparare a chiudermi in camera e a disinteressarmi quasi del tutto della gestione della prole, salvo qualche vezzo e qualche carezza ben calibrata se no erano urla della madre sempre vigile sui pupi come una lupa gelosa.
Ricordo che una delle cose più importanti a cui tenevamo del matrimonio era il viaggio di nozze perché della casa, dell’arredamento e del luogo dove abitare non se ne parlava nemmeno. Ciò dipendava anche dal fatto che io venivo nominato annualmente all’insegnamento e quindi non potevo sapere dove saremmo andati a parare. L’unica certezza era il viaggio di nozze che doveva essere lungo un mese e dovevamo sostare tre o quattro giorni in ogni città per evitare lo stress della luna di miele: così recitavano i prontuari degli sposi novelli editi a puntate dalla Casa Famiglia di Milano.
Essendo intervenuto lo sciopero degli aerei, proprio l’11 settembre, mandammo mia sorella a recuperare le 21 mila lire che doveva catapultarci a Roma. Decidemmo di prendere la nave di linea: un viaggio semplice in cameroni collettivi, giustamente separati tra cemeroni maschili e cameroni femminili.
La notte di navigazione la passammo lontani, lei nell’immenso camerone delle donne e io nell’immenso camerone degli uomini. Non vi dico della mediocre manutenzione dei locali: roba da traghettamento di bestiame anche se in realtà ci facemmo poco caso, a parte alcuni scaraffaggi a passaggio per il soffitto. La prima notte di nozze, caro direttore, la passammo in bianco: io da una parte e Priscilla dall’altra.
La mattina, con un’enorme valigia di cartone, così si usavano allora, ci rivedemmo per sbarcare insieme al porto di Civitavecchia e prendere a pochi passi dalla nave il treno che ci portò a Roma, alla stazione Termini. La cosa curiosa è che tutti si accorgevano che eravamo sposini e che alcuni viaggiatori e viaggiatrici dicevano di conoscere mia moglie, probabilmente perché era spiccicata ad un’attrice in voga al momento, ma io poco conoscitore di queste cose del mondo non ci feci caso, solo Priscilla ne rimase lusingata.
Giunti a Roma, non facemmo in tempo ad uscire dalla stazione che si avvicinò a noi un tassista esclamando:-Sposini vero?- Rispondemmo di sì come al prete che ci aveva sposati. Il tassista continuò:
-Avete prenotato un albergo?-
Rispondemmo di no e allora, facendoci accomodare nel suo taxi, concluse:
– Vi porto all’Hotel Gardenia, vicino a Porta Pia, va bene per voi?-
Non potevamo che rispondere di sì e via per le strade di Roma diretti all’hotel Gardenia. Il nome piacque a mia moglie, figlia di madre floromane, piacque meno a me, cattolico, che fosse vicino a Porta Pia.
Il tassista ci fece scendere, fummo accolti da un maggiordomo in guanti che ci accompagnò alla reception , consegnammo i documenti e poi in ascensore fummo accompagnati ad una camera con bagno tutta infiorata nelle pareti e nella stessa sopracoperta del letto a due piazze da gardenie.
Chiudemmo la porta e la sposina provvide subito a sdraiarsi visto che il pupo che attendevamo era già al quarto mese e sicuramente doveva essere stanco anche lui. Non ricordo se le diedi un bacio o le parole che ci scambiammo. Eravamo stanchi, ma dopo qualche ora di bivacco in quella camera, uscimmo per la città.
La mammetta sentiva lo stimolo della fame. Imboccammo una via con bancarelle di frutta e subito Priscilla aprì il suo borsellino e cominciò a comprare delle banane perché diceva che il pupo era sicuramente affamato e così non proprio elegantemente visitando le vie adiacenti a Porta Pia cominciò a mangiare avidamente una banana dopo l’altra, tanto che dovetti dirle che potevano nuocere a lei e al pupo, ma fu come se parlassi al vento. “
Segue la II puntata