MARIBO’ di M.Cristina Manca
Di Maribo’ molti scriveranno e diranno.
Io voglio dire semplicemente questo: per me era una madre, e mi piacerebbe averne preso i tratti.
Certo non potrò mai avere la sua forza, perché quello è un dono di natura non trasmissibile. Maribo’ aveva una forza di volontà d’acciaio. Una forza che lei orientava, attimo per attimo, attimo dopo attimo, al servizio di Dio e del prossimo.
Ma le altre sue caratteristiche le posso avere anch’io, le possiamo avere tutti noi, se le vogliamo.
Possiamo innanzi tutto avere il desiderio di amare Gesù sopra ogni cosa: «Non so se lo amo, ma so che lo voglio amare », diceva sovente.
Lei Gesù lo amava, e chiunque l’abbia conosciuta può testimoniarlo.
Lo amava sopra ogni cosa.
Lo amava in modo superlativo nell’Eucaristia. Tanto da averne letteralmente fame, e fame continua. A volte mi pareva persino eccessiva, questa fame eucaristica, che si realizzava nel ricevere la Santa Comunione più volte al giorno (per un permesso speciale che le era stato accordato); ma gli eccessi dei santi sono ben scusabili.
Amava poi Gesù nel prossimo, chiunque fosse il suo prossimo, perché quel prossimo era Gesù.
E gli altri sentivano la sua autenticità d’amore.
Tutti sentivamo vero il suo abbraccio, perché quell’abbraccio aveva il potere di rigenerarci, e di proteggerci e difenderci dalle inevitabili durezze esistenziali.
Tutti sentivamo veritiero il suo sorriso. Decenni fa, quando stava perdendo la vista o l’aveva appena persa, una Focolarina le aveva predetto che con quel sorriso nessuno si sarebbe accorto della sua cecità. Quanto è stato vero! Nonostante avesse perso la vista verso i diciannove anni, quand’era una bellissima ragazza, nessuno che la incontrasse faceva caso alla sua cecità. Lei sorrideva, e faceva sì che noi vedenti con la vista fisica ma spesso ciechi nel profondo, vedessimo attraverso lei l’essenza delle cose.
Al punto da dimenticarci che lei era senza il visus. Anni addietro di tanto in tanto io camminavo in casa con gli occhi chiusi per riuscire a capire che cosa provasse Maribò nel muoversi senza la vista, ma certo non era la stessa cosa perché io potevo aprire gli occhi quando volevo, ad ogni modo mi dicevo, e tuttora mi dico, pensando al cammino spesso travagliato della vita che da questo mondo porta all’esistenza eterna: «Se ce l’ha fatta Maribò, ce la posso fare anch’io». Perché conoscere una santa è capire davvero che la vita è un dono meraviglioso, in qualunque forma si presenti, poiché qualunque forma, soprattutto quella più dolente oggi, se donata al Signore si trasformerà un giorno in gioia pura.
Dicevo che ci dimenticavamo che Maribò fosse cieca, non ci facevamo proprio caso. Ci pareva addirittura un suo vezzo, che ce la rendeva ancora più tenera. Potenza dell’amore, suo e nostro; e soprattutto potenza dell’amore di Dio.
Ma per Maribò, non era certo indolore aver perso gli occhi. Tra le altre cose, significava dipendere. E per chi ama (come lei amava) la libertà e l’ampiezza della vita, il dover dipendere dagli altri (anche da altri incapaci d’amare o semplicemente incapaci di vivere) è atroce. Lei offriva tutto al Signore. Diceva: «Eccomi, Gesù». Santificava, per usare parole sue, l’attimo presente. E di attimo in attimo, ha santificato l’intera sua esistenza. E anche l’esistenza altrui.
Moltissimi si sentivano attratti da lei, conquistati da lei, dalla sua capacità di consolare, di dare straordinaria speranza; giovani, adulti, anziani, di qualunque condizione sociale e culturale, laici e consacrati, credenti e atei. Vedere i distanti dalla Chiesa, i nostri fratelli ancora lontani dalla conoscenza dell’amore paterno di Dio, forse anche a causa nostra, vederli correre e abbracciare Maribò, con tenerissima stima e profondo affetto, mi lasciava incantata, mi dava un istantaneo aumento di fede, di speranza e di carità. Questi nostri carissimi fratelli si sentivano accolti, e immediatamente diventavano migliori, con il loro potenziale di santità di nuovo vivo e operante. Bastava quell’accoglienza d’amore, priva del giudizio spietato che a noi può capitare di avere gli uni degli altri, per rianimare una persona, per riportarla nelle immense vene gioiose e gloriose della vera Vita.
Quando uscivo con Maribò, mi sentivo una figlia orgogliosissima della madre.
Ricordo incontri culturali in eleganti saloni, cene e molte pizzate, numerosi e fondamentali incontri con la mia famiglia, ricche passeggiate, innumerevoli ore di sapienti conversazioni, tantissime risate, alcuni grossi pianti, qualche incomprensione, immediata empatia, quotidiane telefonate. Ed ovviamente mi porto dentro il cuore le celebrazioni religiose vissute con Maribò. Pregare assieme ad una santa, a fianco di una santa, è un’esperienza corroborante, ristruttura il cuore e la mente, lo spirito e l’intera esistenza. Ed avere la certezza di avere presso Dio le preghiere di una santa, opera miracoli.
Di Maribò vedevo anche le imperfezioni, perché perfetto c’è solo Dio; e perché la natura umana è inevitabilmente attaccata e adombrata da ondate di concupiscenza. Ma forse gliele vedevo solo perché quando si stima tanto una persona, la si pretende, sbagliando, perfetta di continuo, senza la minima sfumatura di incompiutezza. Tuttavia ho sempre visto, al contempo, la Grazia di Dio operare in quella natura umana.
A volte, a causa del mio carattere impetuoso, gliene dicevo quattro; ma poi le chiedevo perdono, e tutto il male finiva lì, impotente e inesistente. Perché tra veri fratelli in Cristo così accade.
Il Buon Dio le aveva dato molti doni, di natura e di grazia. E lei sapeva riversarli tutti sugli altri, condividerli con gli altri, trasmetterli agli altri, utilizzarli sino allo sfinimento per gli altri.
Quante volte succedeva che io andassi a casa sua rabbuiata, sotto il peso delle tribolazioni, e ne uscissi piena di pace, di luce, di serenità, di gioia, e di grande amore per Dio e per il prossimo.
Questi sono i veri miracoli compiuti dai santi. E lei li compiva.
La sua capacità di consolare era portentosa. Grande era anche la sua attitudine a rendere sereno ogni ambiente in cui si trovasse. Ovunque e con chiunque fosse, sorrideva, consigliava senza ostentazione, scherzava, parlava, ascoltava. Quante cose ha ascoltato, dalle persone più diverse! Cose di ogni genere, che si potrebbero dire solo in una confessione sacramentale, ma che per paura (dato che il diavolo tenta parecchio con queste paure) può capitare che neppure lì si dicano. Maribò ascoltava, ascoltava, ascoltava! E dalle sue orecchie e dal suo cuore quelle cose passavano direttamente nel Cuore di Gesù, il quale poi pensava a risanare. Nel modo meraviglioso stabilito dalla Divina Misericordia. Maribò ovunque fosse pregava; pregava nel segreto se non era possibile farlo in modo manifesto. Scacciava le ombre, allontanandole col suo soffio colmo di fede in Dio. Curava le altrui ferite, versandovi l’olio profumato della speranza. Rinvigoriva i cuori, abbellendoli col balsamo miracoloso dell’amore cristiano.
Se dovessi usare parole altrui per continuare a descriverla, sottolineando qui pure il suo aspetto rimasto giovane, userei le parole che san Massimiliano Kolbe usò per rispondere a chi affermava che il suo Ordine religioso fosse «vecchio e perciò deperito: lo spirito non conosce vecchiaia. Soltanto l’allontanamento dall’ideale, da una parte, e dall’altra la mancanza di elasticità nell’adattarsi alle condizioni e alle circostanze che cambiano continuamente, provocano un indebolimento di vita, di vitalità, un deperimento ».
Ecco, Maribò non è mai invecchiata nonostante i suoi ottantatré anni perché è sempre rimasta fedele all’ideale del Vangelo; e sempre la sua mente e il suo cuore hanno conservato eroica elasticità nell’adattarsi alle condizioni e alle circostanze che cambiano continuamente.
E come san Massimiliano vedeva come unico mezzo, per giungere a questo fine, la consacrazione all’Immacolata; così anche Maribò considerava la consacrazione alla Madre Santissima la via facile per giungervi. E a tutti, col suo vivere straordinario, la indicava.
Gesù, Padre mio, Spirito d’Amore, che grande dono mi hai fatto mettendo sulla mia strada Maribò. Grazie.
E concludo con una sua frase ricorrente, che Maribò diceva avesse pronunciato misteriosamente san Filippo Neri durante la causa di santificazione: «Che mi canonizziate o non mi canonizziate, in Paradiso sono e in Paradiso resto ».
Arrivederci in Paradiso, Maribò.
M. Cristina Manca
25 maggio 2013