Categoria : c'est la vie

La morte nei suoi più svariegati modi di manifestarsi nel corso della vita di Ange de Clermont

Unknown-14Ho conosciuto la morte di due persone che erano la mia vita, ad appena dieci anni. Non avevo fino ad allora intinto le mie mani e i miei occhi nell’ombra della morte. L’una fu rapida, ma mi copersi il volto per non vederla, l’altra fu lunga e agonizzante. I limiti culturali dei parenti e della gente ritenevano che i bambini fossero allontanati dalla ritualità dei funerali. Una bara chiusa con sopra un manto nero crociato, il vicario con un piviale nero crociato d’argento, dei chierichetti  con una croce, dietro le confraternite maschili e femminili e poi la bara seguita dall’officiante che cantando a tratti emetteva suoni di lamento e di richiesta di perdono per il defunto che doveva presentarsi al giudizio di Dio, anzi al mistero del giudizio divino. Io però non c’ero e vagavo con mio cugino Emidio tra i boschi di Cachile e infine nella ripida salita di Edras non molto lontano dal cimitero. Giungemmo nei pressi del cimitero mentre la gente abbandonava quel luogo dove avevano sotterrato una delle persone più care della mia giovane esistenza. Rimasi indispettito per l’allontanamento, mi venne in gola il pianto, ma lo trattenni e credo sia rimasto ancora per tutti i giorni della mia ormai lunga vita a metà strada tra l’esplosione e la potenzialità. Non ebbi modo di partecipare ai funerali né alla morte della seconda persona cara:avvenne lontano dai miei occhi, a parte la vista di due mortali fendenti sul capo e un pianto sommesso e un parlottare confuso e incomprensibile. Lessi, dopo una vita,in un verbale cimiteriale che il suo corpo esanime era stato rinchiuso con un lenzuolo dentro una bara e seppellito al campo 5 nella fossa n. 1. Avevo vent’anni e avrei voluto esumare quelle care ossa, ma non potei farlo, quando vi ritornai i becchini avevano tolto le ossa e riposte nell’ossario comune che non so nemmeno dove sia collocato in quel cimitero ostile. Ad un giorno dalla morte appresi che la persona amata era stata colta in fuga, con la testa fasciata, ma poi fermata e raggiunto il letto aveva finito di vivere. Quando una zia, di rozza sensibilità, m’incontrò per strada mi disse: -Tua madre è morta!- Provai un tuffo al cuore, ma anche in quel caso trattenni le lacrime. Per tutte queste due persone care il pianto è rimasto inesploso dentro la mia anima e credo abbia condizionato la mia vita. Nel corso di questi oltre 76 anni non ho fatto che parlare della morte. Ogni quindicennio sia per la salute fragile sia per una strana sensazione sentii i brividi di morte, ma questa a tutt’oggi non mi ha colto. Ho  composto, ma mai assistito all’ultimo sospiro di parenti e di amici morti, ma non ho visto spirare mai nessuno. Ho assistito a morti placide come il sonno, ma anche terribili come una lotta furibonda della vita che voleva resistere alla morte. Moribondi che chiamavano amici o parenti morti che poi si quietavano e respiravano soltanto: era il cuore che batteva per forza d’inerzia, ma la morte era già passata. Chiunque nasca è destinato a morire, tutti siamo destinati a morire. Per molti gli annunci di morte te li dà il gatto nero che ti attraversa la strada, per altri svariati presagi. Un tempo si parlava di morte apparecchiata, quasi un sereno addio a parenti e ad amici. Stamane, alle 4, 30 la voce di un illustre prelato da Radio Maria spiegava la morte attraverso le varie culture sottintese ai salmi sapienziali: morte temibile, morte inguardabile, ma anche morte placida, sorridente. La morte dei santi non può che essere una gioiosa attesa dell’incontro col Creatore dolce e misericordioso, la morte improvvisa sul lavoro è simile ad una lama che uno scheletro ti passa davanti alle vene carotidee. La morte in guerra non è che uno sparo che sembra lontano, ma che invece ti fa saltare il cuore, la morte d’incidente stradale non è che un rombo più alto degli altri e un colpo che recide parti del tuo cervello e non ti fa capire più nulla. Si muore in cento modi, qui la fantasia supera la realtà. Ma in realtà che cos’è la morte se non la fine della vita terrena e l’inizio dell’arcano eterno? Tanti che sono morti e si sono risvegliati hanno parlato di luce misteriosa e piacevole, anzi di percorsi di luce e si sono risvegliati col dispiacere di tornare a vita. Altri non hanno ricordato niente. La maggior parte della gente fa le corna quando si parla di morte o peggio compie qualche gesto osceno. La morte, considerata seriamente non è che un ritorno alla luce eterna dalla quale siamo stati creati e sarà l’inizio della beatitudine per i buoni o l’inizio delle sviluppo delle orribili potenzialità di male se in vita abbiamo fatto solo del male al prossimo che avremmo dovuto amare o ci siamo intestarditi contro un Dio sconosciuto, restando immersi in un materialismo duro, ostile, bilioso e diabolico, giudicando con protervia tutto ciò che di morte appare nel mondo:cicloni, catastrofi, fulmini, tuoni, deflagrazioni di ogni genere, inondazioni, crolli di palazzi, puzzo di corruzione: abbiamo amato queste cose, ci siamo incattiviti contro la Nus o contro il Creatore? Chissà che ci perdoni visto che non abbiamo superato la stupidità della nostra grama intelligenza e ci siamo atteggiati a giudici suprimi dell’arcano, dell’invisibile e ciechi non abbiamo visto le orme del Creatore all’alba e al tramonto, nel sorriso di un bimbo o nell’abbraccio di due innamorati. Abbiamo tradotto tutto in brutale materia. Che triste sentirsi dire:- Sono uno/a materialista, non credo che nella terra nera che tocco, torneremo alla terra dalla quale siamo venuti!- Anime vive, apparentemente, ma nella realtà morte. Forse però queste sono frasi leggere prive di fondamento alle quali non dar peso. Per i credenti nel mondo soprano,a qualunque fede appartengano, si documenta che la morte è un ritorno alla luce dalla quale siamo venuti, essendo Iddio luce senza fine e con essa gaudio eterno. Non abbiamo che da riflettere per scegliere il nostro destino volgendo la barra della nostra barca a vela verso placide onde di un oceano infinito di un amore che qui ha solo parvenze. Apprestiamoci a morire vivendo in pace e in amore e osservando le orme delle passeggiate che il buon Dio, visto dagl’innocenti, percorre nell’ampio cielo e nel firmamento cosparso di stelle all’alba e al tramonto. La morte è il suo ritorno dopo il lancio nella vita in questo mondo. E’ l’abbraccio di un innamorato che la nostra anima aveva smarrito nell’intrico delle nostre terrene passioni.

La morte è stata ingoiata per la vittoria.

 Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione
?
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.  Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!  Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.”

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