“Quandoque bonus dormitat Homerus” L’epigrafista Raimondo Zucca di Massimo Pittau
Io ho sempre dimostrato grande stima del collega Raimondo Zucca come studioso e talvolta l’ho fatto anche in forma pubblica. Però un suo recente ampio studio (di 70 pagine) dedicato alla cosiddetta “scrittura nuragica” e pubblicato nel «Bollettino di Studi Sardi» (5 – 2012), mi ha sorpreso abbastanza e non mi trova d’accordo in tutto. Egli infatti ha tracciato – molto bene – la lunga storia della questione sulla esistenza o meno di una scrittura fra gli antichi Nuragici, ma insieme ha allargato enormemente il suo campo di analisi, a tutto il Mediterraneo antico, dalla Sardegna all’Iberia, a Micene, a Cipro, alla Fenicia, all’Egitto, ecc. Io però non mi sento di interloquire col collega Zucca in un campo così vasto e precisamente sulla lingua iberica, su quella micenea, su quella fenicia, ecc., perché non sono stati questi miei campi di studio specifico e pertanto temerei di essere superficiale sull’argomento.
I) Venendo ai rilievi che intendo muovergli, in linea generale io lamento che egli abbia fatto riferimento a mie tesi personali, che avevo prospettato in opere o studi di trent’anni fa, mentre le ho abbandonate e lasciate cadere del tutto in mie opere successive. In tutte le discipline o scienze il progresso del sapere avviene per tentativi, molti dei quali sono fallimentari e perciò vanno abbandonati (però hanno pur sempre un valore ai fini dialettici della discussione). Egli cita una mia opera del 1981, «La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi», mentre mostra di non aver letto con sufficiente attenzione la mia recente opera «Storia dei Sardi Nuragici» (Selargius, Domus de Janas, 2007). Una lettura più attenta di questa mia opera probabilmente lo avrebbe indotto a lasciar cadere la tesi secondo cui i Serdaioi della famosa tabella greca di Olimpia erano un del tutto sconosciuto e ipotetico popolo dell’Illiria o del Bruzio (= Calabria) e non i Sardi della Sardegna. In questo mio libro ho scritto testualmente (pg. 94): «Le ipotesi sostenute da alcuni studiosi, secondo cui i Serdaioi sarebbero non i Sardi della Sardegna, bensì un popolo dell’Illiria oppure uno di montanari indigeni che avrebbe controllato le strade del Bruzio che portavano da Sibari a Lao ed a Scidro, sono da respingersi per le seguenti considerazioni: 1ª) È troppo semplicistico e comodo crearsi, con la semplice fantasia e come un deus ex machina, un popolo sconosciuto e misterioso ai fini della soluzione di un problema storiografico; 2ª) La potente e famosa città di Sibari si sarebbe screditata e perfino ridicolizzata di fronte a tutti i Greci, se avesse ufficializzato nel santuario di Zeus Olimpio un suo patto di amicizia perpetua con un oscuro popolo dell’Illiria oppure del Bruzio (cfr. G. Pugliese Carratelli, Studi Etruschi, XXXIII, 1965, pg. 226; Almanacco Calabrese, Roma 1969, pgg. 48-51); 3ª) Non è verosimile che, per stipulare un patto di amicizia con uno dei due supposti popoli, Sibari avesse chiamato in causa anche i suoi alleati. Si deve inoltre respingere anche l’ipotesi che i Serdaioi fossero gli abitanti di una finora sconosciuta città della Magna Grecia per le seguenti considerazioni: 4ª) La storia della Magna Grecia è ormai conosciuta molto bene, tanto che si può escludere con grande sicurezza che sia mai esistita una città il cui nome aveva la radice *serd-; 5ª) Non si vedrebbe alcun motivo per un impegno tanto importante e solenne della grande Sibari in un trattato di pace stipulato con una tale ipotetica città, la quale, non essendo mai stata ricordata dagli storici antichi, di certo sarebbe stata di scarsissima rilevanza politica, economica e militare». A queste mie considerazioni R. Zucca avrebbe dovuto opporre sue considerazioni differenti e non limitarsi a citare semplicemente un autore come Mario Torelli, il quale aveva dimostrato la sua serietà di studioso quando, trent’anni fa, mi aveva in un quotidiano romano attaccato per il mio citato libro, ma senza averlo ancora letto e, più tardi, senza aver alcuna competenza nella lingua etrusca, a proposito della mia interpretazione della famosa Tabula Cortonensis (da me debitamente rimbeccato entrambe le volte; cfr. M. Pittau, «I grandi testi della Lingua Etrusca tradotti e commentati», Sassari 2011, Delfino Editore, pg. 129).
II) Mi ha stupito il fatto che R. Zucca abbia sorvolato e passato sotto silenzio la evidente e stretta corrispondenza esistente tra l’etnico SERDAIOI della tabella di Olimpia e la legenda SERD, SER di monete rinvenute in Sardegna e inoltre abbia trascurato la sua corrispondenza coi toponimi sardi Serdis e Serdiana.
III) A me sembra che R. Zucca abbia errato ad attribuire a mercenari sardi che combattevano in Sicilia nell’esercito cartaginese contro i Greci le due monete che riportano la legenda SARDOI. Non è infatti concepibile che quei mercenari si portassero dietro in guerra lo strumentario della zecca. E non avrebbero forse coniato sulle due monete il loro nome in alfabeto fenicio-punico e nient’affatto nell’alfabeto dei Greci, da loro combattuti? E il comandante e gli ufficiali dell’esercito cartaginese avrebbero forse permesso questa emissione di monete da parte dei loro mercenari sardi?
IV) Nel caso che R. Zucca avesse ragione ad affermare che le lettere incise nell’ingresso del nuraghe Rampinu di Orosei-Onifai sono non in alfabeto greco, bensì in alfabeto latino di “avanzata età romana imperiale”, a me questa circostanza andrebbe molto meglio, anzi benissimo, perché avremmo un nuovo esempio del fatto che i Sardi, per scrivere messaggi della loro lingua nuragica, facevano uso dell’alfabeto latino ancora nella “avanzata età romana imperiale”.
V) Ma, a prescindere da tutto ciò, mi sembra che R. Zucca abbia errato anche a prospettare l’ipotesi che quelle lettere potrebbero essere un messaggio cifrato in inglese della II guerra mondiale. Del tutto fuori mano e all’interno del territorio come è quel nuraghe, cosa stavano a farci un messaggio militare cifrato e gli Inglesi? Al tempo di quella guerra io ero militare ed ho lavorato anche in un ufficio di cifratura di messaggi e pertanto posso assicurarlo che i messaggi militari cifrati non si scolpiscono in un monumento archeologico esposto al pubblico, anche se fuori mano. Molto probabilmente R. Zucca non ha mai visto quel nuraghe e constatato la grande durezza dei massi in cui sono incise le lettere. E almeno quelle lettere fossero state tracciate sul nuraghe con la vernice e non incise sulla sua durissima pietra…
VI) A me sembra che il collega Zucca abbia errato anche ad affermare che la sigla BE incisa profondamente in un masso dell’ingresso sopraelevato del Nuraxi di Barumini sia da leggere SE e risalga allo scorso secolo XX. Forse risalirebbe al periodo in cui venivano fatti gli scavi? Ma l’archeologo che presiedeva agli scavi e i suoi assistenti forse che non glielo avrebbero impedito? E poi perché il profanatore del monumento avrebbe inciso tanto profondamente la sua sigla su un masso di roccia durissima? E, bramoso di passare alla storia come dimostrava di essere, non avrebbe scritto il suo cognome intero e non siglato? e avrebbe forse commesso l’errore di scrivere al rovescio la lettera del suo prenome?
VII) La questione della iscrizione in caratteri greci, che compare incisa nell’abside esterna di San Nicola di Trullas di Semestene io l’ho lasciata cadere del tutto; però non mi sentirei di affermare – come ha fatto ma non dimostrato R. Zucca – che essa contiene un messaggio in lingua italiana.
VIII) Il mio egregio collega ha mai visto e studiato con attenzione la scritta che compare nel frontone del nuraghe di Aidu Entos di Mulargia? Come ho fatto io, che in differenti occasioni e differenti ore ho scattato una dozzina di fotografie della scritta e perfino fatto un calco. Io ho concluso che purtroppo l’iscrizione è quasi del tutto scomparsa per la erosione del masso, per cui risultano veramente leggibili soltanto due vocaboli, entrambi nuragici, NURAC e SESSAR, i quali non consentono affatto l’interpretazione che R. Zucca mostra di condividere.
IX) Parlando di toponimi di matrice protosarda, egli cita autori che non hanno scritto quasi nulla sull’argomento, mentre ha mostrato di ignorare la mia recente ed ampia opera (di 1.100 pagine), intitolata «I toponimi della Sardegna – Significato e origine» (Sassari 2011, EDES), nella quale ho analizzato e spiegato più di 20 mila toponimi della Sardegna centrale e, di nuovo, tutti i Macrotoponimi dell’Isola. Se avesse letto le mie conclusioni, probabilmente l’egregio collega avrebbe mutato qualche sua opinione sull’argomento.
Avrei qualche altra osservazione da fare all’egregio collega, ma mi sembra che siano sufficienti quelle fattegli.
Massimo Pittau
www.pittau.it