Dalle urne un’Italia da riformare. Una legge elettorale inadeguata determina l’ingovernabilità di Marco Bellizi
Il risultato peggiore che molti paventavano dalle elezioni politiche italiane alla fine si è materializzato. Il Paese non ha al momento un Parlamento in grado di esprimere una maggioranza politica. Registrato il sostanziale pareggio di centrosinistra e centrodestra, dalle urne sono usciti due vincitori. Uno è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che alla Camera diventa il primo partito italiano. Ma a trionfare è soprattutto la legge elettorale, perfetta per rendere il Paese ingovernabile. Che i partiti non abbiano voluto cambiarla è la più grande colpa di cui ora sono chiamati a rispondere. Ignorati gli appelli reiterati del capo dello Stato, centrodestra e centrosinistra hanno preferito lasciare al Paese un sistema di cui nei fatti sono ora ostaggio.
In questo quadro, appare impensabile un imminente ritorno alle urne. A esserne convinte sono praticamente tutte le forze politiche. Il centrosinistra di Pierluigi Bersani – avendo ottenuto il premio di maggioranza alla Camera e il più alto numero di seggi al Senato – reclama la gestione delle operazioni nello scenario postelettorale: proverà a fare una sua proposta di Governo, nel tentativo di verificare in concreto quali forze sono disponibili a cooperare magari sui singoli provvedimenti. Un tale modello opera già in Sicilia, dove Movimento 5 Stelle e centrosinistra collaborano nell’amministrazione regionale. Ed è presumibile ritenere che Giorgio Napolitano, in linea con quanto disposto dalla Costituzione, accordi in prima battuta a Bersani l’incarico di esplorare la possibilità di dare vita a un Esecutivo.
È uno scenario, questo, chiaramente osteggiato dal centrodestra. Non a caso lunedì notte, il segretario del Partito della libertà, Angelino Alfano, ha provato a reclamare dal Viminale il too close to call, la formula usata negli Stati Uniti per bloccare la proclamazione del vincitore a causa dell’esiguo scarto di voti.
L’obiettivo era quello di accreditare l’idea di un pareggio anche alla Camera dei deputati, proprio per impedire a Bersani di prendere il comando delle operazioni postelettorali. Il maturare dei risultati al Senato, dove comunque il centrosinistra ha ottenuto più seggi anche se non la maggioranza assoluta, ha reso poi impercorribile questa strada.
Il centrodestra, che ha ottenuto dalle elezioni il massimo risultato prefissato, è riuscito, grazie alla campagna elettorale di Berlusconi, a guadagnare una quantità di voti superiore alle attese. In tal modo può aspirare a costituire un Governo di larghe intese con il centrosinistra, con l’obiettivo dichiarato di mettere mano alle riforme.
È possibile che in questa operazione venga coinvolta anche la formazione politica di Mario Monti, che nelle urne ha pagato le sue misure anticrisi. L’operazione politica del presidente del Consiglio uscente è orientata anche all’aggregazione di uno schieramento che riprenda il programma di quella “rivoluzione liberale” che lo stesso Berlusconi aveva promesso nel 1994. I voti di Monti, non determinanti per la formazione del Governo, possono però essere decisivi nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. La scelta del successore di Napolitano è del resto un altro grande elemento dello scenario postelettorale.
La vittoria indiscutibile del Movimento 5 Stelle, che arriva quasi a essere il primo partito in Italia, chiama poi in causa direttamente il Partito democratico. Bersani ha condotto una campagna elettorale sobria, nella quale ha fatto appello al buon senso e alla responsabilità. Vinte le primarie nel confronto serrato con Renzi, non è riuscito però a riempire questa affermazione con un’idea nuova di Paese. Ma è un vuoto che esiste da anni, da quando la sinistra ha preferito coalizzarsi solo in nome dell’antiberlusconismo. In queste condizioni, il movimento di Grillo si è visto aprire spazi di azione impensabili. Il suo successo nelle urne è in parte sovradimensionato anche a causa di una buona componente di protesta: alcuni voti possono facilmente tornare a prendere altre direzioni. Tuttavia l’esigenza di partecipazione diretta espressa dai suoi elettori è un elemento di cui sarebbe saggio tenere conto. Magari liberando il Paese da una legge elettorale che lo paralizza.
(©L’Osservatore Romano 27 febbraio 2013)