Limiti della comunità-villaggio della Casa Divina Provvidenza (1910-1967) di Baingia Bellu
E indubbio che nella provvidenziale Comunità Villaggio, di cui si è parlato in questa ricerca, per quanto per tanti versi possa essere apprezzata, tuttavia emergano dei limiti.
Gli studiosi dell’identità delle persone, generalmente psicologi e psichiatri sostengono che essa si rafforza notevolmente quando si vive nei luoghi della propria origine familiare e si intessono quelle relazioni per cui ognuno sa di essere un punto di riferimento attivo e passivo. Essi parlano sia dell’ambiente naturale sia di quello storico in cui si vive[1].
L’identità viene avvertita soprattutto dall’insieme delle relazioni in particolare dalla rete parentale o genitoriale, da quella parentelare. A questo si va ad aggiungere la rete degli amici e conoscenti (compaesani, vicinato ambiente di lavoro, ambiente religioso) con queste relazioni ciascuno conserva e rafforza in modo adeguato la propria identità.
L’identità tende invece ad indebolirsi, quando si abbandona il paese o il quartiere cittadino in cui si è nati e vissuti, la propria casa con tutto il vicinato e i propri orizzonti naturali. In un certo senso ogni essere umano tolto dal suo ambiente dopo l’età della ragione e forse anche prima tende a disorientarsi finché non si adatta al nuovo ambiente.
Si sostiene che la Patria è quella in cui si vive bene, ma la storia e la cronaca rivelano spesso le grandi difficoltà di adattamento ai nuovi paesi da parte dei migranti. Qualche autore sardo ha espresso in modo significativo la follia di un sardo emigrato in Germania[2]. Omettendo questi casi estremi c’è da dire in merito alla ricerca, che l’anziano che è costretto a lasciare il suo paese, la sua casa, i suoi parenti va incontro ad un sicuro disagio esistenziale. Non si può lasciare impunemente né la propria casa né i propri parenti né i propri compaesani e tanto meno le proprie abitudini per omologarsi all’interno di nuove aggregazioni in modo così rapido.
Gli anziani che man mano furono accolti presso la Casa Divina Provvidenza vi trovarono certamente una comunità-alloggio che poté sopperire in parte al desiderio delle relazioni umane e sociali, ma indubbiamente provarono i disagi dell’allontanamento dal proprio ambiente di vita. Pertanto anche se la cosiddetta pedagogia attenuò la loro lontananza dalle relazioni familiari e amicali non poté surrogare di certo il loro ambiente di provenienza, tuttavia, in mancanza di assistenza e di mezzi per sopravvivere la Casa poté in un certo qual modo offrire dei supporti alla loro solitudine e impedire soprattutto l’abbandono, il disagio sociale, l’emarginazione e il rischio estremo come la cronaca quotidiana spesso denunciava.
Osservando la vita degli anziani del mio Paese (Osilo, circa 3000 ab.)[3] ho potuto constatare quale sia il ritmo quotidiano degli anziani e anziane autosufficienti, di quelli con problemi di salute e della varietà di vita che in genere conducono.
Volendo descrivere la giornata di un anziano del mio paese in pensione, occorre distinguere, fra gli anziani autosufficienti ed ancora in buona salute, e gli anziani afflitti da varie patologie; per quanto riguarda gli anziani in buona salute, osservando la loro giornata, posso affermare che è scandita da orari e da abitudini. Innanzitutto l’anziano si alza molto presto la mattina e per lo più si reca in campagna dove si occupa personalmente sia del vigneto o del frutteto, a volte persino di animali a cui bada scrupolosamente. Alle dodici rientra a casa per il pranzo, guarda il telegiornale e nel primo pomeriggio in genere si riposa. Verso sera, durante i mesi invernali, si reca ai circoli ricreativi che il comune mette a disposizione dove si ritrovano a giocare a carte, a seguire insieme i programmi televisivi, discutono di politica, e dei fatti importanti avvenuti nel paese. Nei mesi estivi li ritroviamo in piazza all’ombra degli alberi a chiacchierare animatamente.
Diversa invece la situazione per l’anziano con gravi problemi di salute. Ci sono casi in cui è la famiglia ad occuparsene (e questa è ritenuta una grossa fortuna). In questo caso il vecchio ammalato può rimanere nella propria abitazione, assistito dai propri familiari, che gli consentono le relazioni con i parenti , gli amici e il vicinato, fondamentali per non sentirsi isolato. Oggi in quasi tutti i centri esistono delle cooperative di servizi che si occupano principalmente di anziani, per cui attraverso il contributo del Comune, le operatrici sociali si recano al domicilio dell’anziano ammalato per svolgere quelle funzioni che lo stesso non può più fare come una volta, tipo la pulizia della casa, la preparazione del pranzo, la pulizia della persona, la spesa. Questi servizi sono molto importanti, in quanto aiutano l’anziano ad affrontare in modo più sereno questo periodo della sua esistenza ed inoltre sono di supporto ai parenti, che non possono occuparsene in modo continuativo per tutta la giornata.
Per quanto riguarda le anziane la giornata si differenzia notevolmente da quelle dei loro coetanei maschi.
Le anziane autosufficienti si occupano principalmente della cura della casa, del cibo, della spesa sia della propria e spesso e volentieri anche della casa dei figli grandi ormai sposati e fuori per lavoro, badando anche ai nipoti, offrendo un enorme supporto ai figli permettendogli di star fuori per lavoro tranquillamente e senza ulteriori spese di eventuali domestiche e baby sitter, a volte persino per tutta la giornata, sostituendosi pressoché in tutto.
Altre anziane, una volta sbrigati i vari lavori di casa si recano in chiesa, per seguire la messa o le varie funzioni liturgiche che si svolgono durante l’anno: esempio durante il mese mariano ogni gruppo si occupa di recitare il Rosario presso varie chiese anche campestri sovente dopo le funzioni si vedono rientrare a casa in piccoli gruppi chiacchierando animatamente dandosi l’appuntamento per l’indomani.
Diversa è la situazione per coloro che non avendo familiari vicini e non potendo più vivere nella propria casa, sono costretti loro malgrado a trasferirsi presso le comunità per anziani, spesso nei centri vicini, questo per alcuni di loro può diventare un grave disagio, in quanto ad una certa età sono costretti ad adattarsi ad un altro ambiente, a non avere più i soliti legami con il luogo di appartenenza e soprattutto a non avere vicino i propri oggetti, viene così a mancare anche quella rete parentale e amicale che è fondamentale per la propria identità.
La Regione Autonoma della Sardegna[4] sta favorendo l’assistenza domiciliare con apposito contributo in denaro e in figure professionali come l’assistente geriatria, l’operatrice igienica, l’operatrice alle faccende domestiche, a seconda dell’esigenze dell’ammalato. Da alcuni anni, poi, chiusi i ricoveri per anziani, si è diffusa l’attività delle cosiddette collaboratrici familiari ad orario oppure delle cosiddette badanti che vivono 24 ore su 24 con gli anziani o con i disabili. In genere queste badanti provengono dall’est europeo, dall’Africa, dal Suddamerica o da altri paesi dell’Unione Europea.
A queste esperienze sono da aggiungere i finanziamenti ai comuni che intendono predisporre strutture protette o no per istituire delle comunità per anziani a secondo della dimensione abitativa dei centri rurali o urbani. In queste sono accolti in primo luogo ospiti dello stesso centro e , solo in mancanza di anziani o disabili dello stesso paese vengono accolti anche anziani o disabili dei centri viciniori.
In tal modo gli ospiti dello stesso centro non si sentono emarginati dall’ambiente in cui sono vissuti, spesso sono visitati dai concittadini e talvolta accompagnati nei vicini luoghi di aggregazione.
Da quanto si è detto emerge che l’orientamento degli studiosi di questi problemi, che l’orientamento delle leggi internazionali e nazionali va verso l’attuazione sia della formazione permanente anche nell’anziano sia nel cercare di non allontanarli dalla famiglia e comunque dagli ambienti in cui essi sono vissuti.
[1] C. PONTALTI, F. FASOLO, Dimensioni familiari e comunitarie del disagio psichico quale cultura dei servizi per qiale benessere? In P. DONATI, (a cura di) Famiglia e società del benessere, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999, pp. 147-182.