DISCREDITO E DERISIONE dalla cosiddetta “scrittura nuragica” di Massimo Pittau
Egregio maestro Pilloni, premetto che sono almeno stupito nel constatare che, venendo io incontro al suo duplice invito a prendere di petto la questione della supposta “scrittura nuragica”, Lei mi ha risposto con una evidente ironia e con una non larvata sufficienza.
1) Comunque Lei è stato sfortunato a buttarsi nel campo della “filosofia del linguaggio”, ritenendo di darmi lezioni sull’argomento, dato che io ho pubblicato, parecchi decenni fa, anche due opere che avevano ottenuto la “segnalazione” in due differenti “Premi Nazionali per opere di filosofia”, Il linguaggio – i fondamenti filosofici, Brescia, La Scuola Editrice, 1957 e Filosofia e linguaggio, Pisa, Cursi Editore 1962. E anche una terza: Problemi di filosofia del linguaggio, Cagliari, Fossataro 1967 (tutti esauriti). In base a quegli studi ritengo di essere in grado di giudicare che sull’argomento Lei si è mosso con notevole difficoltà. Ma vengo ad argomenti molto più specifici ed appropriati.
2) Per la diretta esperienza della Sua professione di insegnante di lingua italiana (e probabilmente anche di quella sarda), Lei sa bene che, quando l’uomo parla, emette dal suo apparato fonatorio “brani di linguaggio”, cioè sequenze o nastri o strisce di suoni orali. Ebbene, nella placchetta di Tzricottu è in grado Lei di indicare quei brani o quelle sequenze, dove iniziano e dove finiscono e in quale direzione, dalla sinistra alla destra oppure dalla destra alla sinistra, dall’alto in basso o viceversa? Sa spiegare la ragione dei brani della seconda placchetta inseriti in quelli della prima e dei brani della terza e della quarta placchetta inseriti nei brani della prima e della seconda? È in grado Lei di presentare esempi simili presi da altre lingue e da altre scritture?
Più in generale, in virtù della sua esperienza in problemi di lingua, trovi un qualsiasi brano della cosiddetta “scrittura nuragica” e mostri di saperlo delucidare e spiegare nei suoi esatti valori linguistici: grafici, fonetici e semantici. Questo Le chiedo dato che nessuno ha finora mostrato di saper fare questa pure semplice delucidazione.
3) In base al principio di Giacomo Devoto – che Lei dice di accettare del tutto – sul valore imprescindibile del supporto materiale rispetto a una ipotetica iscrizione, non sono sicuramente “iscrizioni nuragiche” i segni che compaiono sui seguenti supporti:
a) La lastra di Barisardo è chiaramente un’antica ancora, nella quale pertanto una iscrizione non avrebbe alcuna ragione di essere. I segni che essa presenta saranno il semplice effetto del suo raschiamento effettuato sugli scogli.
b) Nella fusarola di Palmavera esposta nel Museo Archeologico di Sassari – che è molto rudimentale – non avrebbe alcuna ragione di essere una iscrizione. Per i segni di volute capricciose, appena leggermente graffiate ma non incise, occorre troppa buona volontà per scambiarli per segni di scrittura. Essi possono essere l’effetto di raschiamento con qualche oggetto appuntito infilato nel medesimo sacco (rinunzio pertanto a dichiararlo un “falso”).
c) Nel masso informe del nuraghe Losa non avrebbe ugualmente alcuna ragion d’essere una iscrizione. Esso presenta solamente informi corrugamenti della pietra, nella quale invece non c’è affatto alcuna incisione.
d) Nel manto di una sacerdotessa raffigurata da un bronzetto nuragico non ha alcuna ragione d’essere una iscrizione. Non si è infatti mai saputo che in una qualsiasi religione i paramenti di sacerdoti e di sacerdotesse presentassero segni di scrittura.
4) Se Lei accetta la tesi che quella supposta nuragica sia una “scrittura a rebus, di tipo iniziatico”, non si accorge di accettare la tesi che i Nuragici scrivessero esclusivamente per la riviste di “enigmistica” e inoltre solamente per i “messaggini criptati” dei fidanzatini di Iª media?
5) Io ho già scritto che quella della scrittura è stata una delle più difficili “invenzioni” dell’uomo, alla quale hanno partecipato, col passare dei secoli, molte generazioni di uomini e molti popoli. Tanto è vero che nessun popolo si è mai vantato di averla inventata per primo e in maniera esclusiva. Io ho già scritto di ritenere che i Protosardi non si siano mai inventati una loro “scrittura nuragica nazionale” per la medesima ragione per la quale una “scrittura nazionale” non se la sono inventati neppure quei popoli di avanzatissima civiltà, che sono stati i Greci, gli Etruschi e i Romani. È cosa accertata infatti che i Greci hanno preso la scrittura o alfabeto dai Fenici, gli Etruschi l’hanno presa dai Greci e i Romani dagli Etruschi. Quale mai ragione di fondo potevano avere i Nuragici a crearsi una loro “scrittura nazionale”, quando in effetti essi avevano a disposizione la scrittura fenicia, quella greca, quella etrusca e quella latina?
Ebbene, coloro che, maestri o professori sardi, giornalisti o medici, insistono nell’affermare che invece i Nuragici si sono inventati la loro “scrittura nazionale” non lo fanno di certo con prove reali, ma lo fanno perché spinti, anche in forma inconsapevole, da un “malinteso spirito nazionalistico sardo”. E non si accorgono di fare correre con ciò il rischio reale di discreditare il grado di cultura dei Sardi e di far ridere i forestieri alle nostre spalle.
Massimo Pittau