Il ricordo di Lucia Pittau, madre e pianista – di Prof. Fabio Pruneri
Di Lucia ho un ricordo nitido e preciso, nonostante da tre anni l’avessi persa di vista. Non potrei definirla mia amica, ma trattenevo con lei quel tanto d’intimità d’avere il suo cellulare tra i miei contatti e dal fare, quando mi era possibile, il viaggio in sua compagnia. Perché in realtà questo, soprattutto ci rendeva complici, il percorrere insieme, per recarci al lavoro in Sardegna, il tratto da Milano a Sassari che, come si sa non è poca cosa, diventando anzi, talvolta, un’avventura.
La rammento il lunedì mattina alle prime luci del mattino, quando ancora il freddo e la nebbia avvolgevano l’aeroporto di Linate entrare, quasi sempre all’ultimo minuto, in sala vip, perché il titolo di frequent flayer Lufthansa questo onore concedeva, a noi modesti pendolari. Uno sguardo, la ricerca di comuni amici, e poi: “Ah ci sei anche tu?” La conversazione manteneva sullo sfondo le domande di sempre, comuni a tutti noi pendolari: “Ma chi ce l’ha fatto fare? Partire all’alba e con questo freddo” e, ancora: “Fino a quando durerà?”.
Era stanca e sorridente, perché per lei andare in Sardegna aveva il sapore del ritorno a casa; noi sapevamo che ad attenderla ad Alghero trepidante, premuroso e affettuoso c’era suo padre Massimo. «Il prof Pittau», come mi spiegò in uno dei primi nostri colloqui, «docente e, addirittura, fondatore e preside della facoltà di lettere» nella quale insegnavo. E così gli argomenti e i motivi di simpatia erano raddoppiati. Perché io ero bramoso di conoscere il punto di vista della figlia su quello che era stato il Magistero e lei di sapere come procedere con la correzione degli scritti e delle tesi che, negli ultimi anni, anche gli studenti del conservatorio dovevano redigere.
Non di rado io stesso ero ammesso sulla sua Fiat 600 blu a condividere l’ultimo tratto Alghero Sassari, che normalmente compiva lei alla guida e Massimo al suo fianco. Incastrato nell’angusto sedile dietro io mi sentivo un po’ a disagio nel disturbare il dialogo tra padre e figlia e nel carpire quegli scampoli di vita familiare.
Avevamo un’ultima esperienza in comune Lucia ed io, ed era la più forte, quella di essere giovani genitori. Lei addirittura madre di tre figli, di cui una coppia di gemelli. Me ne parlava spesso, io comprendevo perfettamente le fatiche, le veglie, le malattie improvvise, che erano un po’ anche le mie, sebbene «essere papà», come mi faceva notare, «è tutta un’altra roba!». Addirittura condividevamo le intemperanze degli ultimi anni quando le sue femminucce, giunte alle medie, manifestavano i primi segni di autonomia, come le mie del resto. Credo che si fidasse del mio consiglio di pedagogista, ma pedagogista non ero e, comunque, non volevo esserlo nel campo così delicato e impegnativo dell’educazione dei figli.
Il lavoro a Sassari, due tre giorni intensissimi, erano la sua vacanza da queste tensioni, il suo modo per dire che certo era una madre dolce e impegnata, ma era anche un’insegnante, una musicista, una vera professionista. Cercò di spiegarmi una volta cosa rappresentasse per lei e i suoi colleghi questa passione per il pianoforte, che diventava una condanna per le tante ore da affidare allo studio, per le molte vacanza non godute o godute sempre a metà con gli spartiti. Mi raccontava però dei suoi allievi e della soddisfazione di insegnare ad alunni che, magari adulti, si erano affidati a lei per recuperare una sintonia con lo strumento che non era stata loro concessa in gioventù.
Sono sicuro che Lucia ha avuto un’adolescenza felice e spensierata. Lo capivo dall’emozione con la quale mi raccontava dei suoi vent’anni tra Sassari e il mare. Doveva essere stata una ragazza molto bella, perché lo era ancora, e adesso, divenuta adulta, era interessante per la pienezza di vita, esperienza, competenza che lasciava trasparire l’incontro con lei.
Per questo sono rimasto molto colpito dalla sua scomparsa. In fondo, dicevo dentro di me, quasi a consolarmi del non averlo saputo e del non aver potuto partecipare ai funerali, non l’avevo più incontrata e probabilmente non l’avrei più rivista, ma certo mi faceva piacere sapere che il mondo era abitato anche da lei.
So che presto o tardi io e gli altri la rivedremo e sorridendo ci dirà “Ah, ci siete anche voi?” e allora potremo di nuovo viaggiare avendola come compagna.
Casirate d’Adda, lunedì 30 aprile 2012
Fabio Pruneri