I primi cristiani e le divinità nuragiche di Massimo Pittau
È un fatto ben conosciuto dagli storici che il cristianesimo primitivo non negava affatto l’esistenza delle divinità pagane, ma sosteneva che si trattava di “divinità malefiche”, cioè di “demonî”. Pertanto il cristianesimo primitivo in effetti procedeva a “demonizzare” le divinità pagane, rispetto alle quali invitava i fedeli a guardarsene con la massima cura e in tutti i modi. Ebbene per la Sardegna antica, nel periodo di passaggio dall’epoca classica a quella cristiana, abbiamo sufficienti elementi per ritenere che anche rispetto ad alcune divinità dei Nuragici i primi cristiani hanno appunto proceduto a “demonizzarle”.
Il primo caso è relativo al latino (però probabilmente di origine etrusca) Orcus, Orchus, Horcus, Urgus «dio dei morti», il quale in Sardegna (ma anche in altri siti del dominio romanzo o neolatino) fu declassato al ruolo di Orcu, Babbu Orcu, Babbái Urcu, Tzi’ Orcu «Orco» (letteralmente “Babbo, Nonno, Zio Orco”) e sua moglie era Orca, Mamma Orca, Orcheredda, Orculana «Orchessa, strega».
Il secondo caso è relativo al dio lat. Mercurius (anch’esso probabilmente di origine etrusca), al quale corrisponde il nome di un demonio chiamato a Nùoro Murguriò. A causa del suo accento sull’ultima sillaba è da escludersi che questo vocabolo sia di matrice latina, mentre è quasi certo che sia di matrice sardiana o protosarda.
Un terzo caso è quello della etrusco/latina Manturna «dea del matrimonio», al nome della quale con verosimiglianza potrebbe corrispondere l’appellativo mantumma «spauracchio femminile» (Seui).
Quarto caso è quello della dea Minerva, divinità latina, ma in origine sicuramente etrusca: MENERVA, MENARVA. Il culto di questa divinità in Sardegna è dimostrato sia dal nome del Monte Minerva, esistente tra Bosa e Villanova Monteleone, sia dai toponimi sardiani o protosardi Manorváe (Posada), Manorgái (Orosei). Ebbene la demonizzazione di questa divinità etrusco/latina è chiaramente indicata dalla locuzione María Menacra (attraverso le forme intermedie *Menavra, *Menabra, *Menagra), con la quale si indicava a Nùoro un «demone e spauracchio femminile»<1>.
In generale è notevolissimo il fatto che, fino ad alcuni decenni fa nella Sardegna agro-pastorale, preceduti dal nome cristiano di Maria, esistessero demoni e spauracchi femminili, molti allogati nei nuraghi oppure nelle domos de Janas, chiamati: María Balletta «Maria ballerina», María Branca «Maria branca, artiglio», Maria Iscorronca «scorticatrice», María Illiberada «scatenata», María Ispilurtzi «scarmigliata», María Lettolada o Lettolu «coperta da un lenzuolo», María Petten(edd)a, Teppenedda «munita di pettine che strappa i capelli», María Rajosa «rabbiosa o che fa venire la rabbia», María Vrassata «nascosta da una coperta». È evidente che questo fenomeno magico-linguistico è stato favorito dal culto cristiano delle molte Madonne, però sfugge l’esatto significato di questo stranissimo accoppiamento.
Anche perché è documentato in Sardegna pure questo strano nome di alcuni uccelli e insetti: María pica «ghiandaia» (Nùoro); María pupusa «upupa» (Bitti, Lodè); María pesabola «coccinella» (Ollolai), da María + pesa! «sollèvati!» e bola! «vola!»; María sartáine «libellula» (Lodè), da María + sartáine «padella», con incrocio di sartare «saltare» (perché il suo volo è saltellante)<2>.
Un demone femminile esisteva anche in un nuraghe di Oliena, chiamato Arrennégula, cioè «Rabbiosa, Collerica», uguale a María Rajosa «Maria Rabbiosa» di molti nuraghi; da s’arrennegare «arrabbiarsi», a sua volta dall’antico spagn. renegar «prorompere in parole di sdegno»<3>.
E a Noragugume questo demone si chiama Zorzía rajosa «Giorgia rabbiosa», che in questo caso indica un antico menhir ivi esistente.
Più semplicemente questo demone femminile si chiama Giorgía, Giolzía, Jorghía «Giorgia», il quale abiterebbe nei nuraghi o nelle domos de Janas<4>.
Perfino il famoso nuraghe di Barumini spinge a pensare che il suo nome facesse riferimento anch’esso a una divinità “rabbiosa e vendicativa”. Per il toponimo infatti è possibile pensare a una etimologia greco-bizantina e precisamente io prospetto la sua derivazione dall’aggettivo greco barúmēnis (pronunziato ormai barúminis) «collerico, rabbioso, vendicativo» (questa etimologia ha un alto grado di probabilità, perché è molto improbabile che la corrispondenza perfetta di ben 8 fonemi tra il toponimo sardo Barúmini e l’aggettivo greco-bizantino barúminis sia il frutto di un puro caso).
C’è da tenere ben presente e da sottolineare che questo nome di Barumini e quasi tutti quelli citati in precedenza in realtà sono da riportare all’epoca bizantina, quando per l’appunto il cristianesimo – secondo la nota e precisa testimonianza del pontefice Gregorio Magno – cominciò a penetrare nelle zone interne dell’Isola.
E di tali nomi è possibile dare due differenti spiegazioni: o i primi cristiani procedevano a “demonizzare” antiche divinità femminili venerate dai Protosardi nei nuraghi e nelle domos de Janas, oppure il clero cristiano creava ex novo il nome di quei demoni e spauracchi femminili al fine di stornare i fedeli dal frequentare quegli antichi luoghi di culto dei Nuragici.
Qualcosa di analogo si deve pensare che sia avvenuto per il nome di due castelli, ormai diroccati, che probabilmente è da riportare anch’esso all’epoca bizantina, il «Castello della Medusa», situato tra Asuni e Samugheo e il «Castello della Medusa» di Lotzorai, in Ogliastra<5>.
Nessuno fino ad ora era riuscito a dare una effettiva spiegazione di questo strano nome dei due castelli: premesso che dappertutto, rispetto ai castelli abbandonati e diroccati, si è sempre favoleggiato della presenza di fantasmi e di streghe, a me sembra verosimile che la nota figura mitologica della Medusa sia stata chiamata in causa rispetto ai due castelli per il “terrore” che essa suscitava col suo viso orrendo e coi suoi capelli costituiti da serpenti. In effetti è verosimile che Medusa = «Terrore» fosse il corrispondente di María o Giorgía Rajosa = «Rabbiosa».
E in questo stesso modo e per lo stesso motivo si spiega l’esistenza ad Asuni e nella zona circostante, del pur esso stranissimo cognome sardo Perseu, il quale corrisponde al nome del mitico Perseo, uccisore della Medusa<6>.
* * *
Giorgía, Giolzía, Jorghía aveva come compagno, Giorgi (log.), Giordi (camp.) «Giorgio». Costui indica anche un fantoccio che tuttora nel carnevale sardo in molti villaggi viene portato in giro e poi bruciato, probabilmente a ricordo di un originario rito agrario, come fa intendere il significato del greco Geórgios = «agricoltore». Per il vero i nomi sardi di questo personaggio sono molto recenti, dato che derivano rispettivamente dallo spagn. Jorge e dal catal. Jordi. Però il suo culto deve essere molto più antico e risalire addirittura all’epoca dell’arrivo, nel secolo XIII avanti Cristo, dei Sardi dalla Lidia, in Anatolia o Asia Minore, dalla cui capitale Sardis o Sardeis è molto probabile che sia derivato lo stesso nome dei Sardi e della Sardinia.
È abbastanza noto che un San Giorgio uccisore di un drago non è mai esistito come reale santo cristiano. Ebbene, io ho già messo in risalto che probabilmente il mito di San Giorgio cristiano sia derivato da un mito del popolo della Lidia.
Nel Museo Nazionale di Cagliari è conservato un piccolo cippo in arenaria, di forma triangolare, forse proveniente da Tharros, nel quale è raffigurato in rilievo un eroe che abbatte un mostro alato. Finora gli studiosi che se ne sono interessati null’altro hanno saputo affermare se non che «probabilmente si tratta di qualche ignoto mito orientale»<7>. Troppo poco, dico io; invece io ritengo che si tratti della raffigurazione di un mito molto noto nella Lidia, il quale è stato riprodotto pure in monete lidie e compare anche scolpito nel frammento di una raffigurazione in pietra rinvenuto a Sardis<8>: il re Manes o Masdnes – padre del re Atys, quello che promosse la grande trasmigrazione dei Lidi verso la Sardegna e la Toscana – abbatté un drago che in precedenza aveva ucciso il suo amico Tylos e inoltre egli risuscitò costui facendo uso di un’erba che era in possesso dello stesso drago<9> (fig. 1 e 2).
Finalmente costituisce un macroscopico esempio di “demonizzazione” di divinità nuragiche da parte dei primi cristiani, la distruzione da loro effettuata del tempio del Sardus Pater del Sinis, di cui ha parlato il geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo (III, 3, 5), distruzione effettuata anche con la frantumazione minuta, a colpi di mazza, delle circa 30 statue dei Guerrieri di Monti Prama di Cabras. Come ritengo di avere già dimostrato, questa distruzione fu effettuata dai cristiani a seguito e ai sensi di una costituzione del 399 dopo Cristo, emanata dall’imperatore romano Teodosio il Grande, la quale prescriveva: Si qua in agris templa sunt sine turba ac tumultu diruantur «se nei campi esistono templi, siano distrutti senza la presenza della turba e senza tumulto»<10>.
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Ad un altro dio nuragico invece è andata molto meglio: probabilmente perché molto importante nel pantheon dei Nuragici e molto venerato da loro, i primi cristiani, nonché “demonizzarlo”, hanno proceduto ad adottarlo come “santo cristiano”.
Il culto di una divinità molto famosa, di origine anatolica e assai probabilmente lidia, risulta entrato nella Sardegna antica e addirittura allunga le sue propaggini nella Sardegna attuale: Bacco, il dio del vino. Oltre che sicuri ritrovamenti archeologici relativi a questo dio<11>, molto notevole è in Sardegna la venerazione di uno strano santo cristiano Bakis (latinizzato in Bachisius), del quale non si trova alcuna notizia nel Martyrologium Romanum. Esso dovrebbe corrispondere a uno dei tre santi che dalla Bibliotheca Sanctorum sono ricordati col nome di Bacco e che sarà arrivato in Sardegna durante la dominazione bizantina<12>. Senonché, per ragioni linguistiche e per ragioni etnografiche si intravede abbastanza chiaramente che la figura e il nome di questo santo cristiano si sono inseriti e fusi, col noto fenomeno del “sincretismo religioso”, con quelli del precedente dio pagano del vino.
Sul piano linguistico infatti c’è da precisare che il nome sardo Bakis non corrisponde esattamente alla forma greca né a quella latina del nome di Bacco, mentre corrisponde meglio alla forma lidia Baki-. Ed anche i suoi diminutivi sardi Bakilli, Baghilli, Bakkillodde corrispondono esattamente al lidio bakillis = «bacchico», con un suffisso che sicuramente è anche tirrenico e protosardo.
Sul piano etnografico innanzi tutto molto notevoli e perfino stupefacenti sono alcune raffigurazioni che si trovano nella chiesa di Bolotana (NU) dedicata al suo patrono Santu Bakis e terminata appena nel 1594: sulla facciata esterna e anche nei capitelli dei pilastri interni si trovano in bassorilievo figure di danzatori, uomini e donne, e i maschi hanno i genitali scoperti.
Oltre a ciò, al culto di Santu Bachis è connessa la credenza di donne che sarebbero possedute o invasate dal santo e come tali sarebbero considerate e visitate dalle altre donne con devozione; ed è, questo, un ricordo abbastanza evidente delle Baccanti o Menadi possedute o invasate dal dio Bacco<13>.
Ma ancora più interessante e quasi incredibile era un’usanza documentata fino a poco più di 50 fa in alcuni villaggi della Barbagia (Olzai e Mamoiada): in occasione dell’impianto di una nuova vigna, al quale venivano invitati tutti i parenti e amici del padrone, costui, alla fine della giornata di lavoro, veniva preso di forza e sottoposto a grossolani scherzi a carico dei genitali. Dopo, legato strettamente e adornato di edera, di foglie di altre piante e di fiori campestri, veniva trascinato a casa sua, dove la moglie procedeva al “riscatto del prigioniero” con una prima offerta di vino e di dolci ai sequestratori. La festa poi terminava con una abbondante cena fino a tarda notte con canti e risa. Ebbene, in questa usanza è facile trovare stringenti connessioni col racconto del rapimento del giovane Bacco da parte di pirati “tirreni” (non si trascuri questo particolare!), racconto tramandato dallo pseudo-omerico Inno a Bacco, nel quale si ha pure la più antica citazione dei Tirreni<14>. Anche in questo racconto infatti risulta che da una parte Bacco viene preso a forza e legato strettamente all’albero della nave, dall’altra i pirati tirreni procedono al suo rapimento in vista di un “riscatto” da chiedere ai genitori del rapito. La sua liberazione poi avviene con una serie di prodigi, quando i legami che lo avvincono all’albero della nave si mutano in tralci di vite e di edera e in fiori ed egli si trasforma in un terribile leone<15>.
Infine è notevole un bronzetto nuragico rinvenuto ad Ittiri (SS) che raffigura un individuo col fallo eretto (itifallico) e che suona il flauto doppio, di probabile origine lidia, simile alle launeddas sarde, l’antichissimo flauto triplice: si tratta chiaramente di uno dei Satiri o Sileni, pur’essi itifallici e suonatori di flauti, che facevano parte del corteo di Bacco. La presenza di questi esseri mitologici nella Sardegna antica è probabilmente confermata anche dal toponimo odierno Silenu di Ploaghe (SS)<16>.
N O T E
<1> Vedi M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico, Sassari 1984, pagg. 194-196; M. Pittau, La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari), pagg. 166-167, 158, 153.
<2> Vedi M. Pittau, Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico, I vol., Cagliari 2000, II vol. 2003.
<3> Cfr. M. Pittau, I toponimi della Sardegna – Significato e origine, II Sardegna centrale, Sassari, 2011, EDES (Editrice Democratica Sarda), pag. 418.
<4> Cfr. M. Pittau, La Sardegna Nuragica, Sassari 1977, 5ª ristampa 1988, §§ 31-35; II ediz. riveduta e aggiornata, Cagliari 2006, Edizioni della Torre.
<5> Cfr. D. Turchi, Samugheo: il fascino delle più antiche tradizioni della Sardegna centrale, ecc., Roma 1992.
<6> Cfr. M. Pittau, Dizionario dei Cognomi di Sardegna, voll. 3, Cagliari 2006, “L’Unione Sarda”.
<7> Cfr. A. Taramelli, Guida del Museo Nazionale di Cagliari, Cagliari 1914, pag. 39 (che però sbaglia a pensare a Bellerofonte e la Chimera); G. Pesce, Sardegna punica, Cagliari 1961, pag. 84, fig. 73; S. Moscati, Fenici e Cartaginesi in Sardegna, Milano 1968, pag. 160, tav. 67; F. Barreca, in Ichnussa cit., pag. 411, fig. 399; Idem, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986, pag. 156, fig. 120.
<8> Ora nel «Metropolitan Museum of Art» di New York; cfr. Sardis Guides 3, Archaeological Exploration of Sardis, Art Museum of Harvard University 1982 [pag. 3].
<9> Cfr. D. Briquel, L’origine lydienne des Étrusques – Histoire de la doctrine dans l’Antiquité, Rome 1991, pagg. 18, 44.
<10> Cfr. M. Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama, I ediz. 2008, II ediz. 2009, Sassari, EDES (Editrice Democratica Sarda), pagg. 11-3, 41-42.
<11> Cfr. G. Spano, Culto di Bacco in Sardegna, nel «Bullettino Archeologico Sardo», 1987, III, pagg. 97-100. È notevole e significativo che, sia pure con riferimento all’epoca romana, siano state trovate in Sardegna ben 9 statuine di Bacco e 3 di Baccanti; cfr. P. Meloni, La Sardegna Romana, Sassari 1990, II ediz., pag. 395.
<12> Cfr. Biblioteca Sanctorum, Roma 1962, II, pag. 687; Socii Bollandiani, Bibliotheca Hagiographica Latina, Bruxelles 1900-1901; Idem, Bibliotheca Hagiographica Graeca, 1968. E poi Enciclopedia Cattolica, Roma 1949, s. v.; E. De Felice, I nomi degli Italiani, Venezia 1982, pag. 271; Idem, Dizionario dei Nomi Italiani, Milano 1986, pag 84, s. v. Bachisio.
<13> Si veda l’importante studio di Italo Bussa dedicato a Santu Bakis nei “Quaderni Bolotanesi”, num. 37, pagg. 114-149, del quale però io non condivido alcune conclusioni.
<14> Vedi Inno a Bacco, 7, 8 (pag. 66 dell’edizione di A. Baumeister).
Da parecchio tempo ormai ho dimostrato che Tirreni (greco Tyrrhenói) significava «costruttori di torri», come lo erano in primo luogo e in principale modo i Nuragici della Sardegna.
<15> Cfr. M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino cit., pagg. 66-70; M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius (CA) 2007, ediz. Domus de Janas, § 35.
<16> Cfr. Arias P. E., Satiri e Sileni, nell’«Enciclopedia dell’Arte antica classica e orientale», Roma 1966, vol. VII; Pittau M., Lessico Etrusco-Latino cit., pagg. 61-63.