Una lettura del “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI di Gianni Ambrosio
Pubblichiamo quasi integralmente la relazione tenuta dal vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio in occasione dell’incontro di presentazione del libro Gesù di Nazaret. Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla resurrezione svoltosi all’università di Parma nell’ambito di un’iniziativa della Libreria Editrice Vaticana che sta portando il lavoro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI negli atenei italiani, incontro di cui abbiamo dato conto nell’edizione di ieri.
Ci si avvicina a un’opera d’arte con passi successivi. Il primo passo – penso alla cattedrale di Parma, al bassorilievo della Deposizione di Antelami – consiste in uno sguardo generale per cogliere la bellezza e l’armonia dell’insieme. Il secondo passo sarà l’approfondimento. Vorrei dire l'”ascolto”, perché l’opera d’arte ha una “voce”. L’ascolto non solo intende andare più in profondità, ma desidera anche sentire il “respiro”, captare il “suono”, cogliere il “senso” dell’opera. Così mi sono posto di fronte al libro Gesù di Nazaret di Benedetto XVI: è come un’opera d’arte cui avvicinarsi poco alla volta, guardando e ascoltando. Sono i due passi che, ovviamente, si intrecciano, anche se, per chiarezza espositiva, cercherò di tenerli distinti.
Manifestando fin d’ora il desiderio di arrivare a parlare con l’autore attraverso il suo scritto, comunicare con lui per mezzo delle parole che egli ha scritto e della riflessione che ha attuato. E soprattutto con il desiderio di comunicare con Colui che è al centro della ricerca del nostro autore.
Partiamo dal sottotitolo della seconda parte del Gesù di Nazaret: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Si tratta dunque dell’ultima settimana della vita di Gesù, una settimana scandita in nove capitoli che partono dalla purificazione del tempio per arrivare all’ultimo capitolo riguardante la risurrezione.
Questo è il grande affresco che sta davanti a noi, questo è il percorso che Benedetto XVI compie seguendo il cammino stesso di Gesù come viene raccontato dai vangeli: dall’ingresso di Gesù in Gerusalemme, accolto dalla folla festante, alla solitudine nell’orto degli ulivi, dal processo fino alla sua morte in croce e alla sua risurrezione.
Sottolineo, sono alcuni aspetti di questo affresco-riflessione-meditazione di Papa Benedetto XVI. Il rovesciamento del sogno messianico-politico di Israele è espresso con parole profonde e emozionanti: “Gesù non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene col dono della guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti ai margini della propria vita e ai margini della società. Egli mostra Dio come Colui che ama, e il suo potere come il potere dell’amore” (p. 34). Emerge una profonda partecipazione orante di Benedetto XVI quando descrive l’animo di Gesù nel Getsèmani: Gesù “ha sperimentato l’ultima solitudine, tutta la tribolazione dell’essere uomo. Qui l’abisso del peccato e di tutto il male gli è penetrato nel più profondo dell’anima. Qui è stato toccato dallo sconvolgimento della morte imminente. Qui il traditore lo ha baciato. Qui tutti i discepoli lo hanno lasciato. Qui Egli ha lottato anche per me” (p. 169).
Anche se solo accennata, mi è parsa interessante la missione delle donne rispetto al vangelo di Gesù e alla forma concreta della vita ecclesiale. Scrive: “Come già sotto la croce – a prescindere da Giovanni – si erano ritrovate soltanto donne, così era a loro destinato anche il primo incontro con il Risorto. La Chiesa, nella sua struttura giuridica, è fondata su Pietro e gli Undici, ma nella forma concreta della vita ecclesiale sono sempre di nuovo le donne ad aprire la porta al Signore, ad accompagnarlo fin sotto la croce e a poterlo così incontrare anche quale Risorto” (p. 292).
Naturalmente l’impegno del Papa teologo si esprime in modo del tutto particolare nel capitolo 9, intitolato “La risurrezione di Gesù dalla morte”. Traspare qui, anche nel linguaggio, tutto lo stupore già sperimentato dai discepoli, dai testimoni della risurrezione, “sopraffatti dalla realtà”. Ma da questa realtà sperimentata, essi sono indotti ad attestare “con un coraggio assolutamente nuovo” che “Cristo è veramente risorto”. “Di fatto – argomenta il Papa – l’annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo e inaspettato che li toccava dall’esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche” (p. 305). D’altronde “la risurrezione di Gesù (…) è una sorta di “mutazione decisiva” (…) un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini” (p. 272).
L’insistenza di Benedetto XVI su questo asserto centrale nella tradizione di tutte le Chiese è ben comprensibile: “La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti” (p. 269).
Concludo questo primo momento con il “modo sommesso” dell’agire di Dio: “è proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”. E tuttavia – non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore” (p. 306). Anche per questo agire di Dio “in modo sommesso”, occorre essere disponibili all’ascolto. Lo stesso Benedetto XVI si è messo in ascolto, alla ricerca del “Gesù reale”: questa ricerca-ascolto avviene al culmine della sua vita di credente, di teologo, di pastore, quando è stato scelto quale vescovo di Roma. Non possiamo dimenticare ciò che egli disse nel suo primo messaggio ai cardinali elettori: “il Signore mi ha voluto suo Vicario, mi ha voluto “pietra” su cui tutti possano poggiare con sicurezza”.
Di solito un Papa non scrive e non pubblica libri durante il suo pontificato. Quando Giovanni Paolo II presentò Varcare la soglia della speranza – il suo primo libro scritto durante il pontificato, nel 1994 – ne parlai in termini positivi con un eminente teologo. Egli mi rispose, piuttosto freddo: “risulta troppo difficile precisare il grado di magistero in un intervento pontificio così inusuale”. L’osservazione del teologo poteva anche essere pertinente, ma fu un grande merito di Giovanni Paolo II esporre non con i toni alti del Magistero, neppure con il linguaggio argomentato del teologo, ma nella forma colloquiale, di domanda e risposta, in stile semplice e immediato, la sua esperienza di uomo di fede e il suo insegnamento di maestro. Così, dopo i libri pubblicati da Giovanni Paolo II, questa forma di comunicazione non è più del tutto inusuale. Anzi, credo che possa essere considerata una forma interessante in cui troviamo insieme il maestro con il linguaggio dell’insegnamento, l’annunciatore con il linguaggio dell’annuncio e della testimonianza, l’amico e compagno di viaggio con il linguaggio della confidenza e dell’accompagnamento spirituale e culturale.
Il primo aspetto dell’ascolto che desidero sottolineare è proprio questo. Il Papa afferma di essere alla ricerca del volto del Signore e vuole approfondire questa ricerca insieme ai suoi lettori. Ma tiene conto di una grande difficoltà: la distanza, forse quasi la separazione, tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”.
Da molto tempo i vangeli vengono sottoposti allo stesso trattamento cui sono sottoposti dagli storici i testi antichi. Questo avviene dal punto di vista della metodologia che individua i processi storici attraverso cui i vangeli si sono formati, con le varie tappe della formazione del testo. Ma la distanza diventa separazione quando la metodologia diventa invadente e pervasiva, soprattutto quanto fa da supporto a un preciso pregiudizio: il Cristo della fede ha favorito l’immagine di Gesù trasmessa dai vangeli. Più radicalmente: il Cristo della fede ha creato il Gesù dei vangeli.
La risposta di Benedetto XVI a questa diffusa tendenza non consiste nel rifiuto del metodo storico-critico. Anzi, il metodo è accolto, perché per la fede biblica è fondamentale il riferimento agli eventi storici reali. E la fede cristiana continua e approfondisce questo riferimento agli eventi storici: il fatto storico è un riferimento decisivo per la fede cristiana. Se venisse eliminata dal Credo l’affermazione et incarnatus est, la fede cristiana diventerebbe un’altra cosa. Ma: “il “Gesù storico” che, come appare nella corrente principale dell’esegesi critica sulla base dei suoi presupposti ermeneutici, è troppo insignificante nel suo contenuto (…), è troppo ambientato nel passato” (p. 8-9). Alla fin fine, il metodo storico-critico, se assolutizzato, attua una vivisezione del testo evangelico, il suo spezzettamento, fino a perdere l’insieme: per cui la comprensione sfugge. È inoltre da considerare indebito il passaggio dalla metodologia (il vangelo è assunto come sono assunti altri testi antichi) all’affermazione pregiudiziale (il vangelo è solo un testo antico, è nient’altro che un testo antico).
Per la prima volta un Papa usa il metodo storico-critico nella lettura dei vangeli. Ma se lo accoglie e lo fa proprio confrontandosi con la sfida che viene dal ricorso a questo metodo, ne fa vedere, in actu exercito, i limiti. Benedetto XVI tiene conto della ragione storica “responsabilmente”, in quanto “è necessariamente contenuta in questa stessa fede” (p. 9). Ma la ragione storica risulta troppo ristretta: occorre allora “coniugare tra loro le due ermeneutiche”, quella che proviene dalla ragione storica e quella che si fonda sulla fede.
Risulta davvero interessante “ascoltare” quest’opera d’arte, cogliendone l’intenzione orientatrice, il dinamismo creativo, l’argomentazione pacata, per tornare poi ad ammirare ancora una volta l’insieme. “Spero che mi sia stato dato di avvicinarmi alla figura del nostro Signore in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”: sono le parole con cui Benedetto XVI conclude la premessa (p. 9). Sono certo che la speranza del Papa non andrà delusa: la sua riflessione rende vivo il volto del Signore e attuali le sue parole. Accompagnati da Benedetto XVI, possiamo incontrare Gesù Cristo, il Verbo che si è fatto carne e accogliere la Vita che si è fatta disponibile all’uomo (cfr. Giovanni, 1, 1-4). Didascalia: Caravaggio, “Incredulità di Tommaso” (1600-1601, particolare) Didascalia: Beato Angelico, “Noli me tangere” (1438-1440)
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/index.html
(©L’Osservatore Romano 4 dicembre 2011)