Il contesto storico in cui è fiorito il genio di Antoni Gaudí. Tessitore di pietre e costruttore di futuro di Silvia Guidi
“Un Atlante che trasporta sulle spalle il mondo del suo tempo, e soprattutto il tempo del suo mondo, con la noncuranza di un bambino che se lo mette in tasca”; così Ricard Torrents ha definito Antoni Gaudí, l’artista che viveva solo, accampato nel suo studio all’interno del cantiere della Sagrada Família, ricco esclusivamente del suo genio e di quella fede semplice che – come assicura la provocazione perennemente inattuale del Discorso della montagna (Matteo, 5, 3-10) – permette di vedere Dio ed ereditare la Terra.
L’occasione per parlare del contesto in cui è fiorito il genio dell’artista catalano è stata offerta dalla sessione accademica “L’epoca di Gaudí in Catalogna e in Italia” – strettamente connessa alla mostra “Gaudí e la Sagrada Família: Arte, Scienza e Spiritualità” allestita presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano – che si è tenuta mercoledì scorso all’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, e ha visto la partecipazione del presidente della Società Verdaguer Ricard Torrents e del direttore del nostro giornale.
La conferenza è stata introdotta da Antoni Matabosch, presidente onorario della Fondazione Joan Maragall, dopo i saluti della padrona di casa, l’ambasciatrice Maria María Jesús Figa López-Palo e del cardinale arcivescovo di Barcellona, Lluís Martínez Sistach; tra il pubblico erano presenti l’arcivescovo Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e monsignor Luis Ladaria, arcivescovo segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.
La figura e l’opera di Gaudí sono per Torrents l’incarnazione vivente – e l’aggettivo non è scelto a caso, a 85 anni dalla morte dell’artista – del celebre motto di sant’Ignazio di Loyola citato anche in Iperione di Friedrich Hölderlin, Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est.
La Bellezza in Gaudí, ha spiegato Torrents nel suo intervento, si comunica intera e indivisa nella grande opera come nel particolare più minuscolo; simile alle geometrie dei frattali, ogni frammento contiene al suo interno una complessità sorprendente. All’interno della Sagrada Família – che lo stesso artista catalano aveva definito “una foresta di pietra” – le colonne, alla base, nascono dalla fusione di più poligoni, per avvicinarsi sempre più alla sezione rotonda salendo verso l’alto, fino a connettersi ai bulbi dei capitelli in un intreccio di strutture che sembrano appartenere più alla botanica che all’architettura; per sottolineare questo aspetto, Torrents ha fatto appello all’etimologia del catalano bastir, costuire, analogo al tedesco besten (cucire insieme, intrecciare corteccia e fibre vegetali). Da un analogo intreccio di amicizie e rapporti di mutua stima – come quello che legò per tutta la vita Gaudí e il capitano di industria Eusebi Güell – era nata l’idea stessa di costruire un tempio espiatorio a Barcellona, lanciata dal libraio Josep Maria Bocabella, fondatore della Asociación Espiritual de Devotos de san José di ritorno da un viaggio in Vaticano, nel 1872. Confraternita che forse non avrebbe raggiunto i 600mila affiliati – in quella che il reporter Edmondo de Amicis, sulle pagine del quotidiano fiorentino “La Nazione” descrive come “la città meno spagnola della Spagna”, talmente industrializzata da assomigliare più a Manchester che a Madrid – se l’8 dicembre di due anni prima Papa Pio IX non avesse proclamato san Giuseppe patrono della Chiesa universale. Il tessuto vivente della Chiesa, allora come oggi, è la linfa di cui si nutrono gli steli di pietra del basilica catalana, un cantiere aperto in cui, progettando le torri mancanti, si lavora anche alla difficile ricucitura dello strappo tra fede e modernità aperto dal positivismo di fine Ottocento.
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#3
(©L’Osservatore Romano 16 dicembre 2011)