ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARCHEOLOGI SARDEGNA di Francesco Bellu
SASSARI. A piccoli passi con risultati importanti. L’annuale riunione dell’Associazione nazionale archeologi-Sardegna (Ana-Sardegna), in Università centrale, ha messo stamattina sul tavolo quelli che si possono definire i primi punti di svolta sulla tutela della figura dell’archeologo. Il riconoscimento professionale ora è diventato campo di battaglia condiviso da tutti gli attori in causa, inclusi finalmente Università e Soprintendenze. Dopo anni di definizione su chi “sia l’archeologo” e cosa comporti da un punto di vista lavorativo, si è passati ora al “come” fare in modo che questa professione sia finalmente inserita all’interno delle norme che tutelano i Beni Culturali. Perché, ironia della sorte, nel cosiddetto “Codice Urbani”, cioè il codice di leggi che regola il patrimonio culturale non compare da nessuna parte la parola di archeologo. Sul piano pratico questo ha comportato, e comporta tutt’ora, un vero e proprio “Far west” in cui i primi a perderci sono gli archeologi stessi che si ritrovano in una situazione di precariato diffuso e poche garanzie previdenziali e sociali. L’Ana è nata proprio per porre fine a tutta questa situazione e dare finalmente dei paletti che tutelino questa professione una volta per tutte.
Da questo punto di vista, Giuseppina Manca di Mores, presidente dell’Ana Sardegna, ha sottolineato come l’inserimento dell’archeologo all’interno del contratto collettivo nazionale per gli studi professionali sia un punto di non ritorno fondamentale. Per la prima volta, infatti, agli archeologi viene applicato un contratto di tipo professionale simile a categorie come architetti o notai, all’interno dei vari livelli retributivi e con un compenso minimo di base per chi è libero professionista. Questo va ad aggiungersi alla legge sulla archeologia preventiva che era, sino ad ora, l’unica norma che dava garanzie dal punto di vista lavorativo e previdenziale. L’approvazione di un tariffario nazionale, presentato all’ultima Borsa del turismo di Paestum alla presenza di tutti gli attori in causa (Ministero dei Beni Culturali e le varie associazioni di categoria) ha finalmente colmato anche gli aspetti più delicati e dibattuti. Perché fare archeologia non significa solo scavare, ma fare anche progettazione, interventi di tutela, affiancare i Comuni nella realizzazione di un Puc, fare ricerca in biblioteca, lavorare a tutta la documentazione di uno scavo in vista di una pubblicazione, scrivere una relazione preliminare. Insomma c’è dietro un lavoro talmente complesso che aveva necessità di avere dei punti fermi anche dal punto di vista remunerativo. Quanto costa il lavoro dell’archeologo? Ecco il tariffario nazionale, suddiviso per tipologie e mansioni ora dà finalmente una risposta pratica a questa domanda.
Viene anche toccata la ormai nota manovra di Mario Monti che, prevedendo indennità per malattia e congedi parentali retribuiti alle Parte Iva, ha in qualche modo dato risposta ad una richiesta analoga fatta dall’Ana nazionale. Questo perché buona parte degli archeologi per lavorare è costretto ad aprirsi proprio una Partita Iva. Altro aspetto sul quale è stato dato risalto è la totalizzazione dei contributi previdenziali anche per chi lavora nel breve periodo. Una condizione a cui sono soggetti gli archeologi che spesso lavorano per tre mesi o addirittura meno senza che però gli venissero riconosciuti e conteggiati i contributi per quel lasso di tempo lavorativo.
In serata verso le 18 verrà nuovamente fatto un girotondo intorno al Castello di Sassari, recentemente riaperto dopo i lavori di musealizzazione dell’area archeologica. Un ripertere “Abbracciamo la cultura”, solo che stavolta il Castello si vede davvero.