La mia relazione col Mac per capire l’informatica (1983-2011) di Angelino Tedde
Nel 1983 avevo 45 anni e per la prima volta entrò nel mio studio il Macintosh 128K, vale a dire il primo Mac, che per quei tempi mi costò abbastanza, ma l’avevo preferito a quella specie di mostro che mio cognato, ancora giovane, manipolava con centomila passaggi e mi accorsi che gran voglia d’introdurmi nelle segrete cose non aveva, anzi incamerava dati e solo lui finiva per accedervi.
Era l’Windows, complicato, noioso, lento come una lumaca. D’altra parte conoscevo già Sergio che lavorava presso la Open. Tra me e me dicevo quest’oggetto devi acquistarlo se vuoi capire qualcosa di questa maledetta informatica. Non sei nato per amare i numeri e le scienze, sei quasi un letterato, (nel 1978 avevo pubblicato grazie ad un mio allievo, a Roma, le poesie che si erano salvate dalla mia mania di comporle e stracciarle), ma di informatica finirai per non capire nulla. Questo mostro che si chiama computer, che poi vuol dire calcolatore (vero collega Borelli!), devi conoscerlo da subito se no diventerai un analfabeta informatico, fu così che dissi a Sergio di portarmi in studio il Mac che gliel’avrei comprato.
Mi spiegò le prime mosse e poi, muovendomi in modo autodidattico cominciai a misurarmi con quel mostro considerato secondo me una macchina da scrivere più costosa, col vantaggio però del copia-incolla, delle correzioni del testo e altre opportunità nella composizione dei testi. Grazie al mouse, che mi dissero era stato inventato per gli handicappati (come allora si diceva), mi barcamenai col Mac, senza naturalmente dargli soverchia importanza, intanto cominciavo a capire la logica dell’oggetto. Durante qualche notte insonne scoprii anche il cosidetto sistema binario, grazie alle lezioni trasmesse da canale 2 della TV di Stato. Insomma procedevo, mentre molti colleghi all’Uniss, decantavano come Omero l’uso della macchina da scrivere a cui erano attaccati più di quanto non lo fossero per le cose più care. Per me, che la natura ha fatto distratto, questo gingillo, mi permetteva di correggere agevolmente gli errori o di limare un testo. Mi seccavo perché gli altri cosiddetti Personal Computer (PC) costavano di meno e la catena di Sant’Antonio dei Mac che man mano comprai costava di più. Una giorno dopo aver acquistato il Mac di seconda generazione mi dissi “guarda quanto sei curioso, questa è una macchina da scrivere che ti costa, a rate, sette milioni, più prodigalità di così si muore.
Mi venne lo scrupolo che spesso viene ai cattolici, per di più clericali marci, quando spendono troppo per le cose personali e non pensano ai morti di fame del mondo. Ricordo che dissi anche “Questi Mac mi faranno dannare!”. Un giorno poi chiesi ad un amico esperto: – Ma che differenza c’è tra il Mac e l’Windows, quello rispose: – Un esempio che calza è questo, quello è una cinquecento, tu hai una maserati.- Ammutolii e ancor più pensai che molti bambini morivano di fame ed io mi dilettavo con questi oggetti pure di lusso. Però anche i cristiani sono uomini e sono deboli peccatori e così, di tempo in tempo comprai, il primo portatile e tutti gli altri fino all’ingresso in internet e alle famose email. Senza vanto, nella mia facoltà fui uno dei primi, grazie a Daniele, a procurami un account, visto che l’Università, si era dotata della strumentazione adeguata. Così, in breve, l’analfabeta informatico, si faceva missionario degli account, predisponendoli per i colleghi, il mio primo fu teddech@ che vuol dire tedde Chiaramonti, il resto non me lo ricordo, lo posterò dopo aver parlato con Daniele che per fortuna è su face book. Tenni quell’indirizzo fino al 2003 o forse c’è ancora all’Uniss, zeppo di circolari che non leggerò mai perché non me ne sono servito mai più. Immaginati se dovessero leggere i bei quadretti in quartine su Ciancilla e i suoi duchi!
Per non farla lunga, un’avventura piacevole con tanti amici raggiunti, con una corrispondenza frequente e con l’iserimento di poesie e prose e studi e romanzi iniziati e non finiti, fino al 2006 e al 2007 quando, terminato “La maschera dalla gonna capitina (osilo-nulvese) lo postò nel suo blog ztaramonte alias Carlo Moretti di Chiaramonti.
Quanto cammino da allora, quanta superbia, arrivai al punto di dire ad un giovne collega, scherzando, quando entri nel mio studio fai l’inchino al Magnifico Mac e con un Mac OS X, 20 pollici, mi son fermato e soffro le pene del Purgatorio (saranno poi cosi?) perché il maggiore dei rampolli si è comprato quello più agevole che chiamerò Mac Os XI, tanto per scrivere, poi chiederò a mio figlio e correggerò, questo Mac Os X è dotato di una telecamera incorporata e quando la vanità o la verifica dell’invecchiamento mi tenta mi fotografo pure e fotografo quanti più amici posso. Inutile dire il divertimento di mia figlia rimasta al nazional popolare windows e di mia nipotina che vuol farsi fotografare con le varie deformazioni facciali che il photo booth offre.
Quanto cammino dal 1985 ad oggi 2011! Di chi ci fosse dietro la Apple non mi sono mai interessato, mi son fatto grosso di fronte ai miserabili windows, da me definiti “nazional popolari”, mai un’umiliazione! Qualche anno fa, quel discolo di collega a cui avevo chiesto l’inchino davanti al mio Mac, arriva dopo Natale a riprendere le lezioni, e arriva con un Ipad, grande quanto un foglio e mi fa vedere mirabilie.
Offeso, umiliato, la prima volta. Arriva Antonio, altro amico, e con un cellulare mi fa vedere il mio sito, altra umiliazione, non parlo dei miei figli. A questo punto mi son detto:- Non ne voglio sapere più di questo maledetto progresso, me ne sto nella mia sobrietà in studio col mio meno Magnifico Mac X, 20 pollici e a casa con l’elegantissimo Mac con la mezza mela, di oltre dieci anni fa. Ormai sono in pensione e a meno che il mio romanzo, una volta stampato e venduto alla fiera di Torino, non mi faccia ricco, me ne starò tranquillo con le generation che sto usando, gli altri li darò al primo Museo informatico che me li chiederà con vicino scritto dono di A. T. Oh, può darsi che lo dia al Museo cantadino di Martis!
Ieri ho saputo che se n’è andato all’altro mondo uno dei due geni degli ultimi miniaturizzati e fagocitatori di un mare di carta virtuale, immagini, suoni e telefonia e cento altre cose! Peccato che non abbia inventato anche la vita eterna, speriamo che il buon Dio tenga conto del fatto che ha saputo far valere i suoi talenti a beneficio di tutti quelli che possono acquistare un prodotto della Apple. A saperlo, mi sarei fatto regalare il costoso Ipad del mio amico e collega Fabio, che mi ha nascosto che era un prodotto della Apple.
God bless you mister Steve!
Ah, non crediate che ora sia diventato un asso nell’uso del Mac, ogni tanto imparo qualcosa, potrei considerarmi un semianalfabeta informatico, osservate il blog di cui sono indegnamente accontent manager e vi renderete conto dei miei progressi, ma soprattutto dei miei limiti. La relazione col Mac a qualcosa è servita per la mia crescita, da qui il mio cordoglio per la morte di Steve e le mie condoglienze all’altr’amico partner industriale, d’identico nome, Steve.
E qui mi fermo, perché in realtà ne ho qualche altro intermedio, in attesa del museo. A pensare che ho speso più di quanto credessi. Mon Dieu, pardonne moi! il mio sogno però adesso è questo senza fili di sorta, che mio figlio, possiede ed io medio anziano di quasi 75 anni non ho!