I silenzi di Roma e Bruxelles di Riccardo Brizzi
All’alba degli anni Duemila il progetto europeo ha dedicato attenzione soprattutto ai propri confini orientali, con l’esplicita promessa che, una volta cessata l’emergenza della caduta della cortina di ferro, avrebbe concentrato i propri sforzi per rinsaldare i legami con la sponda sud del Mediterraneo.
I vari progetti che, dalla metà degli anni Novanta del Novecento, sono stati messi in campo per preparare il terreno al partenariato euromediterraneo hanno però dimostrato la propria inefficacia: il processo di Barcellona si è arenato sulla scorta delle rinnovate tensioni mediorientali e sull’esplodere dell’emergenza fondamentalista che ha profondamente diviso (complice l’aggressiva presidenza di Bush Jr) i paesi europei. Anche progetti di natura più propriamente economica quali la Banca del Mediterraneo, che avrebbe dovuto favorire la costruzione di infrastrutture e la promozione di attività economiche dei paesi del sud (e con organismi dirigenti in numero paritario tra nord e sud), sono falliti sul nascere per via delle resistenze di alcuni stati membri che hanno ritenuto che la Banca Europa degli Investimenti fosse già sufficiente (1). Una volta concluso il processo di allargamento ad est con l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Ue, è stato il presidente francese a sollecitare le autorità di Bruxelles a rispettare gli impegni presi, ricordando con enfasi che «è a sud dell’Europa che si gioca il nostro avvenire». Desideroso anzitutto di controbilanciare le relazioni privilegiate che Berlino ha istituito con i paesi dell’ex Oltrecortina, Sarkozy ha lanciato nel luglio 2008 – complice il semestre di presidenza di Parigi – l’ambizioso e mediatizzato progetto di Unione per il Mediterraneo (Upm). In realtà nei suoi primi due anni e mezzo di vita l’Upm si è limitata a essere una voce di spesa nel bilancio dell’Ue e degli altri suoi sedici membri (paesi balcanici e dell’Africa del nord, Libia esclusa), senza tuttavia influire minimamente sugli equilibri geopolitici dell’area. Sulle pagine dei quotidiani italiani è tornata a guadagnarsi un po’ di spazio nel gennaio 2011 in seguito alle dimissioni del segretario generale, il giordano Khalef Masadeh, che uscendo di scena ha fatto sapere sconsolato come mancassero le risorse politiche e finanziarie necessarie per garantire il decollo del progetto (2). Quasi paradossalmente in concomitanza con le rinnovate difficoltà dell’Upm, l’Unione europea ha assistito inerte e attonita – al di là di qualche dichiarazione di rito fatta da autorevoli esponenti quali l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton (3) – a un vento di rivolta che dalla Tunisia ha investito i paesi del Maghreb e del Mashrek, travolgendo numerosi regimi, destabilizzandone profondamente altri e annunciando una ridefinizione complessiva della configurazione geopolitica delle relazioni euro-mediterranee (4).
1. La latitanza europea di fronte alle rivolte in NordafricaL’attenzione della stampa italiana nei primi quattro mesi del 2011 è stata catalizzata dai movimenti di rivolta in Tunisia, Egitto e Libia. Se in chiave di dibattito politico interno si è discusso soprattutto dell’emergenza migratoria, ampio spazio è stato concesso anche all’evoluzione degli equilibri internazionali palesata dalla crisi nordafricana (5). Su questo terreno un primo aspetto di cui tenere conto è stato il progressivo allentamento delle relazioni transatlantiche e la progressiva marginalità del Vecchio continente agli occhi degli Stati Uniti. Gli indizi di questa presa di distanza – sottolineati da un osservatore autorevole quale Giuliano Amato (6) – sono peraltro numerosi. La visita Oltreoceano di Nicolas Sarkozy, nella sua duplice veste di presidente del G8 e del G20, è stata praticamente ignorata dall’amministrazione americana, impegnata a preparare i successivi incontri con le autorità cinesi. Anche la relazione speciale con il Regno Unito sembra decisamente superata: David Cameron è ormai un interlocutore come tutti gli altri suoi omologhi europei. Il discorso è ancora più evidente rispetto ai vertici delle istituzioni europee: se Van Rompuy è poco più che uno sconosciuto a Washington anche la visita di Catherine Ashton a New York e il suo discorso al Consiglio di sicurezza dell’Onu sono passati del tutto inosservati. Durante lo svolgimento della crisi Washington si è mossa autonomamente rispetto a Bruxelles, muovendosi attraverso i propri canali (a partire dal legame privilegiato istituito con i vertici delle forze armate egiziane, finanziate annualmente dagli Stati Uniti con un miliardo e mezzo di dollari) ed esprimendo il 2 febbraio, per bocca del presidente Obama, un chiaro sostegno ai manifestanti e all’ipotesi di una transizione pacifica in Egitto. Sulla scena europea l’unico leader che ha agito con un certo volontarismo è stato Nicolas Sarkozy che (sulla falsariga di come si era mosso durante la crisi russo-georgiana dell’estate 2008) ha preso in contropiede le istituzioni comunitarie e le altre capitali europee, venendo a capo in pochi giorni della cacofonia dominante a Bruxelles (7), delle esitazioni della Nato e dell’afonia delle Nazioni Unite (8). Di fronte all’attivismo francese e alla latitanza europea (9) il dibattito sulla stampa italiana si è inevitabilmente concentrato sull’irrilevanza del nostro paese in un’area che in passato l’aveva spesso visto protagonista.
2. Le esitazioni italiane
Nel tentativo di sollecitare un sostegno diretto delle autorità europee sul fronte del contenimento e della gestione dei flussi migratori, il ministro dell’Interno Maroni ha esplicitamente paragonato l’attuale situazione nordafricana al crollo del Muro di Berlino. Se alcuni osservatori hanno ritenuto addirittura riduttivo questo raffronto, giudicando potenzialmente più grave la situazione attuale (per il fatto che le migrazioni che seguirono i fatti dell’89 anticiparono la riunificazione europea mentre oggi non si vede all’orizzonte alcun progetto strategico) (10), è indubbio che le rivolte in Nordafrica rappresentino un test provante per la politica estera italiana. Un’analista attenta quale Marta Dassù ha osservato come in particolare la crisi libica abbia messo a nudo almeno tre limiti sostanziali della strategia internazionale del nostro paese. In primo luogo – ha sottolineato la direttrice della rivista «Aspenia» – l’apertura a Gheddafi aveva costituito da qualche decennio una politica bipartisan, condivisa da tutti i governi nella sostanza, al di là delle forme avvilenti e ridicole che ha assunto negli ultimi anni. In secondo luogo Tripoli ha ormai penetrato in profondità il nostro tessuto economico in relazione alla sicurezza energetica, ai costi del petrolio, alle quote azionarie di grandi banche e società italiane. Infine – e questo è stato senz’altro l’aspetto sul quale la stampa italiana ha insistito maggiormente (11) – la tragedia umanitaria della Libia ha aperto le porte a una nuova ondata migratoria, facendo saltare di fatto gli accordi bilaterali che avevano garantito (al prezzo di numerose concessioni al Colonnello) un contenimento dei flussi provenienti da sud (12). Se è piuttosto significativo il fatto che, nella relazione con Gheddafi, l’Italia non sia mai riuscita a imporre la propria voce, ancora più sconcertante è apparsa l’arrendevolezza con cui l’Italia ha trattato con i partner europei relativamente a una vicenda che la coinvolgeva direttamente. In particolare i quotidiani italiani hanno dedicato ampio spazio al vertice italo-francese di aprile nel quale non soltanto Parigi ha imposto con aggressività le proprie posizioni sul fronte economico (emblematica la sfida lanciata da Lactalis su Parmalat) e del contenimento dell’immigrazione (con le deroghe agli accordi di Schengen) ma ha anche messo alle strette l’Italia sul fronte militare, rimproverandole l’ambiguità sino ad allora mantenuta aderendo all’azione decisa dall’Onu ma restando ai margini di un conflitto che – per ragioni storiche ed economiche – si profila particolarmente critico per gli interessi italiani.Gran parte dei quotidiani, pur prendendo le distanze dal grido d’allarme di Bossi secondo cui l’Italia starebbe diventando una colonia francese (13), hanno stigmatizzato le esitazioni italiane e l’eccessiva accondiscendenza dimostrata verso Parigi, ritenendo troppo magra la contropartita del sostegno francese alla nomina di Mario Draghi al vertice della Bce, peraltro intervenuto dopo il via libera tedesco e il ritiro dalla corsa dell’attuale governatore della Bundesbank, Axel Weber (14). La decisione del governo italiano di prendere parte all’azione militare in Libia contro le forze lealiste è apparsa indubbiamente contraddittoria dopo settimane nelle quali i più autorevoli ministri (a partire dal presidente del Consiglio) avevano ribadito con forza come l’Italia non avrebbe mai operato interventi militari attivi sul territorio libico. La tenacia con cui Gheddafi sta resistendo all’intervento occidentale ha fatto venire meno le premesse sulle quali si era fondata la pilatesca scelta italiana, fondata sulla convinzione di un’imminente caduta del raìs libico e ha obbligato Roma a fare i conti con la realpolitik, accettando di partecipare attivamente alla lotta al fianco della coalizione. L’impressione di autorevoli osservatori è che la scelta del governo italiano, pur tardiva e assai poco convinta, sia stata l’unica possibile – e non a caso è stata autorevolmente avvallata dal presidente Napolitano – per restituire un minimo di credibilità internazionale all’immagine, già pesantemente scalfita, del nostro paese (15).
(1) R. Prodi, Mediterraneo, la grande amnesia dell’Europa, Il Messaggero, 02-03-2011.
(2) M. Zatterin, L’Unione per il Mediterraneo si sfalda alla prima difficoltà, La Stampa, 02-02-2011.
(3) C. Ashton, Democrazia profonda per i paesi del Maghreb, La Stampa, 06-02-2011.
(4) K. Fouad Allam, La prima guerra globale e l’Europa, Il Sole 24 Ore, 25-02-2011.
(5) A. Panebianco, L’Occidente si illude di contare, Il Corriere della Sera, 03-02-2011; A. Panzeri, Perché l’Unione europea deve aiutare la Tunisia, Il Riformista, 10-02-2011; F. Venturini, Tripoli e i doveri dell’Occidente, Il Corriere della Sera, 10-03-2011.
(6) G. Amato, La sedia vuota dell’Europa mediterranea, Il Sole 24 Ore, 20-02-2011.
(7) M. Lazar, Il silenzio dell’Europa, La Repubblica, 04-02-2011.
(8) F. Venturini, Ma è troppo poco, Il Corriere della Sera, 26-02-2011.
(9) T. Garton Ash, Cercasi l’Europa disperatamente, La Repubblica, 24-03-2011; E. Bettiza, L’ora della verità per l’Europa, La Stampa, 19-04-2011.
(10) V.E. Parsi, Europa impreparata al rischio-Libia, La Stampa, 18-02-2011.
(11) I. Diamanti, La sindrome dell’assedio, La Repubblica, 28-03-2011; G. Pelosi, Il nodo resta lo stop del flusso da Tunisi, Il Sole 24 Ore, 24-04-2011; V. Feltri, In Libia non vince nessuno, ma noi perdiamo, Libero, 17-04-2011, M. Franco, Scintille e illusioni, Il Corriere della Sera, 05-04-2011.
(12) M. Dassù, Una lezione dura e costosa, La Stampa, 23-02-2011.
(13) S. Romano, Lo specchio francese, Il Corriere della Sera, 28-04-2011; U. Magri, Tra Sarkò e Umberto, La Stampa, 27-04-2011.
(14) G. Gentili, Quell’urna sull’asse Parigi-Roma, Il Sole 24 Ore, 28-04-2011.
(15) P. Pombeni, La guerra nel cortile di casa, Il Messaggero, 27-04-2011.
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Commenti
Insomma, l’ Italia di fronte alla “grandeur” francese ne esce cornuta e mazziata e la sua partecipazione alla guerra oltre all’invasione degl’immigrati ci ha già procurato danni incalcolabili sul piano energetico e più ancora ce ne procurerà nel momento in cui i Libici si accorderanno tra loro, quando i cosiddetti ribelli “scauzzati” capiranno che in Libia non si vince con i bombardamenti europei, ma trovando un accordo con Gheddafi o con i suoi clan. La stessa Europa, dissanguandosi con una guerra inutile, sta facendo il gioco della Russia e della Cina che, senza sparare un mortaretto, stanno già succhiando gas e petrolio alla faccia nostra. Il fallimento in Libia di quest’Europa smidollata oltre ad uno straordinario numero di emigrati sub sahariani ci regalerà la presenza di Russi e Cinesi, per la loro crescita, non per la nostra. Non è bastato che con l’euro ci abbiano dimezzato pensioni e e stipendi, ci voleva pure questa guerra coloniale per cacciarci ancora una volta
dalla vicina Africa. L’insipienza degli euromani e della grandeur francese sono stati e saranno per noi soltanto un grande e mastodontico imbroglio!
Angelino Tedde
Agosto 4th, 2011