Sguardi su Olbia di Ange de Clermont
Chiunque abbia conosciuto Olbia negli anni sessanta e la visiti oggi non può evitare di constatare il suo caotico sviluppo urbanistico: nuovi ricchi e investitori stranieri hanno cercato di dare un tocco al centro storico con la costruzione dei due grattacieli, uno grosso come una fortezza, l’altro snello e più gradevole all’occhio.
Ad un centro fortemente ampliato verso l’isola Bianca e nel lungo mare, quieto porto di navi goffe d’una certa stazza che inghiottono o vomitano, a seconda dell’ora, passeggeri macchine container fanno riscntro agglomerati di case a schiera rifinite alla bella meglio con il peggior gusto dei nuovi arrivati da Buddusò, Pattada, Alà dei Sardi, Siniscola, e cento altri villaggi e villaggetti che hanno visto, nella migrazione in questo centro di mare incantevole la fortuna senza alcuna cultura. Mancano i marcipiedi, le macchine vengono posteggiate rasente i muri, togliendo ai pedoni gli spazi vitali. In alcuni agglomerati c’è l’asfalto sistemato alla bella meglio, in altre perdurano le sterrate. Inosmma gente della più rude montagna che ha costruito come ha potuto e ha cercato di abbellire queste scatole variamente dipinte, chiuse da un limitato muro e cortiletto con portoncini ad arco del peggior gusto possibile della gente di periferia. Tra le maestranze che ancora lavorano nelle strade per sistemare qualche marciapiede il gallurese s’incrocia col sardo e la pronuncia montagnina bisticcia con lo schietto sardo logudorese del luogo. La flemma, con questo sole di fine giugno e primi di luglio, cadenza tutti e la precisione della Costa Smeralda qui è sconosciuta. Si fa quel che si può e come si può: il pastore da mlllenni non può trasformarsi in un perfetto artigiano bergamasco e l’indolenza, retaggio delle febbri malariche, non può trasfornarsi in efficienza industriale e tecnologica. Le armoniose sopraelevate che cingono questa città di pigmei accolgono macchine su macchine. Gli aerei arrivano indisturbati a getto continuo e prima di atterrare pare vogliano annusare il sapore del mare del golfo.
I passeggeri scivoleranno veloci verso la Costa Smeralda dove governa e regna il sindaco e il parroco di Arzachena, il primo sforzandosi di moderare una giunta e un consiglio tanto paglioso quanto diffidente e il secondo curando la raccolta della cultura e della memoria storica tanto in italiano quanto in gallurese alla disperata ricerca di richimare alle origini cristiane la gente di Gallura. Ad Olbia è ancora peggio in ambito politico. Io, costretto a guardare da una vista panoramica e strategica, questa città in perenne crescita, popolata dai locali, ma anche da parecchi cittadini di tutto il mondo me ne sto a bocca aperta a guardare questa meraviglia della natura e questo prodigio di piccoli uomini che vivono come nella sommità di un vulcano la lava che si assesta alla meglio sperando in un futuro migliore, a meno che, dimenticando il futuro. si sprechino tutti nell’ammassare denaro per poi goderselo in pace al cimitero.
Prima di chiudere questi rapidi sguardi non posso dimenticare di menzionare il vasto e curato parco Noce, dove i piccoli colorati olbiesi del futuro si sollazzano nelle altalene, scivolano veloci sugli scivoli e si beano del profumo di mirto e di lentisco che fanno corona al parco.
Amministratori, quella cloaca che, a cielo aperto, sfiora il parco, copritela però e non fatela passare per una roggia o un torrentello che l’odore nauseabondo rivela come cloaca massima di Olbia. Abbiate il pudore di coprirla o quanto meno di bonificarla, visto che i soldi benéfici del turismo non vi mancano e che senza ritegno guardate ad uno sviluppo infinito. Con l’ultimo sguardo al misterioso e quiete Porto romano dalla terrazza panoramica mozzafiato saluto i monti che circondando Olbia sfumando nell’oscurità deò tramonto, mentre il mare, sospinto dalla brezza, s’increspa ridente e le numerose barche alla fonda attendono ansiose chi le sospinga al largo per il respiro salso del mare.
Olbia,1 luglio 2011