Categoria : storia

Salvatore Daddi (Gavoi, 1862- SS,1913) un protagonista del movimento cattolico in Sardegna tra Otto e Novecento di Sabrina Fara

 1.1. Il movimento cattolico da Pio IX a Pio X.

Veduta di Gavoi

 Non si può capire la figura di Salvatore Daddi, focoso esponente del movimento cattolico della Sardegna centro settentrionale, vissuto tra il 1862 e il 1913, se non lo si colloca in quell’epoca di forte contrapposizione ideologica tra le istanze cattoliche della “questione romana” e la vera e propria sopraffazione del neonato Stato italiano liberaldemocratico, sorretto da una vera e propria élite anticlericale e massonica, autoritaria e accentra­trice, insensibile ai ceti meno abbienti, fortemente oligarchica e, in tanti settori mirante a spazzare via per sempre l’eredità cri­stiana e cattolica dei vecchi stati costretti, per tanti versi coatti­vamente, ad unirsi ad una entità nazionale secondo i dettami monarchico-piemontesi.

Conclusa tra il 1861 e il 1875 l’egemonia politica della Destra Storica il 18 marzo 1876 la vita pubblica italiana fu segnata da una svolta che gli storici non esitano a definire “rivoluzione parlamentare”1.

Ci si iriferisce alla perdita del potere della Destra Storica e all’a­scesa della Sinistra, che sicuramente fu un passaggio meno rivo­luzionario di quanto possa sembrare.

Il blocco sociale dominante, nonostante le numerose divergenze, era ancora compatto e il cauto riformismo della Sinistra non poteva trasformare le situazioni economiche e sociali venutesi a creare e ormai radicate nella società italiana.

Che non fosse una trasformazione rivoluzionaria lo dimostrava il fatto che molti deputati della Destra erano confluiti nelle file del partito di governo.

Agostino Depretis, a capo del governo sino al 1887, ebbe l’ap­poggio di una larghissima maggioranza parlamentare aperta an­che ad esponenti dichiaratamente conservatori.

“Accanto ai tradizionali raggruppamenti che facevano capo alla Destra e alla Sinistra Storica, è possibile individuare singole personalità o nuclei di repubblicani unitari o federalisti, intran­sigenti o radicali, mentre andavano moltiplicandosi le società operaie”.2

Sul finire del 1880 anche i cattolici, pur con molta lentezza, de­cisero di partecipare alla vita politica e sociale italiana, ma si trovarono di fronte alla “questione romana”.

Nel 1874 Papa Pio IX3 col non expedit  aveva consigliato ai cattolici italiani di non partecipare alla vita politica dello Stato unitario.

Il consiglio, anche se non universalmente seguito, segnò i primi decenni della politica italiana.

La tradizionale concezione cattolica legata agli interventi carita­tivi e all’assistenza ai poveri non parve più sufficiente.

Si avvertiva la necessità di sviluppare un pensiero sociale in grado anche di confrontarsi con il nascente socialismo.

Il 15 maggio 1891, con l’enciclica Rerum novarum, Leone XIII4 indicava i principi ai quali doveva ispirarsi l’azione so­ciale dei cattolici.

Con essa, considerata l’atto più importante del pon­tificato di Leone XIII, incominciava per il cattolicesimo mili­tante italiano un’altra storia, “una storia che immetteva nelle file dell’intransigenza una carica di entusiasmo e di vitalità, ben diversa che nel passato: il movimento sociale, fino ad allora un poco ansimante e combattuto fra diverse tendenze, prendeva grande, impetuoso slancio”.5

La Rerum novarum  riconosceva l’esigenza di una più equa di­stribuzione della ricchezza e la legittimità per i lavoratori di riunirsi e organizzarsi in sindacati, nel rispetto dell’ordine e della proprietà della quale si riconosceva la sua funzione sociale; “con l’accomunare ogni proprietà particolare, i socialisti, to­gliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di vantaggiare il patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò più infelice la condizione”.6

Leone XIII nell’enciclica indicava anche i doveri dei capitalisti: “non tenere gli operai in luogo di schiavi, rispettare in essi la dignità dell’umana persona nobilitata dal carattere cristiano (…). Principalissimo poi tra i  loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede (…). Da ultimo è dovere dei ricchi di non danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio né con violenza, né con frodi, né con usure manifeste o palliate”.7

Il Papa ammette che anche lo Stato, che deve essere “un’armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi”,8 deve concorrere al benessere dei proletari “essendo interesse universale che non rimangano nella miseria coloro da cui provengono vantaggi di tanto rilievo”.9

I cattolici militanti furono unanimi nell’approvare ed elogiare il contenuto dell’enciclica; tutte le correnti democratiche cristiane europee ricevettero impulso dalla Rerum novarum,10 ma non mancarono le polemiche.

La parte più conservatrice della Chiesa, preoccupata per l’at­teggiamento progressista assunto dal Papa sul problema del la­voro, gli si schierò contro; uno scrittore di questa parte scrisse: “Il Papa è diventato socialista, le onde della vita moderna sono montate fino al cortile di San Damaso”.11

Ma la fine del XIX secolo vedeva anche l’aggravarsi dei dissensi all’interno dell’Opera dei congressi, tra i vecchi dirigenti e i giovani democratici cristiani.

L’Opera era sorta nel 1875, doveva essere per sua natura laicale, la sua struttura gerarchica (…), la sua organizzazione nazionale e unica, cioè aperta ai cattolici di ogni parte del paese e con il fine di “unire e di ordinare i cattolici e le associazioni cattoliche di tutta Italia nel comune intento di difendere e propugnare tutti insieme i diritti sacrosanti della Chiesa e del papato e gli inte­ressi religiosi e sociali della patria che Dio ci ha dato”.12

L’ organizzazione  era divisa in cinque sezioni di lavoro: 1) opere reli­giose e sociali; 2) carità; 3) istruzione ed educazione; 4) stampa; 5) arte cristiana.

Il problema dell’istruzione ed educazione dei giovani fu il problema più sentito dai clericali.

Si voleva salvare e proteggere la gioventù dai pericoli del secolo, ecco perché è proprio in questo campo che i cattolici concentrarono le loro forze e le loro capacità organizzative.

E poiché l’istruzione elementare era affidata ai Comuni, i cattolici dovevano partecipare alle elezioni amministrative; conquistare i Comuni per garantire una giusta educazione alla gioventù.

“Non vi è contraddizione tra la partecipazione dei clericali alle elezioni amministrative e il loro astensionismo dalle elezioni politiche (…). Nelle prime è da vedersi un’azione riguardante la società civile che può essere conquistata e ricristianizzata dal basso; nelle altre l’azione negativa dell’astensione riguarda le istituzioni politiche che presiedono quella società civile e che possono, come ritengono i clericali, non rispondere agli inte­ressi della nazione”.13

Tra i giovani democratici cristiani, andavano evidenziandosi le figure di don Romolo Murri e di Filippo Meda. Entrambi non condividevano le posizioni dei vecchi dirigenti dell’Opera capeggiati dal veneziano Paganuzzi, il quale concepiva l’Opera dei congressi come “una vera e propria milizia cattolica accentrata e unitaria, assolutamente obbediente al Papa”.14

Il Paganuzzi, presidente dell’Opera dal 1889 al 1902, era fortemente accentratore e nemico di qualsiasi iniziativa che avesse sapore di novità. Per lui e per il suo gruppo di intransigenti veneti, i cattolici non potevano venire a compromessi “con istituti o concezioni che staccassero i cattolici dall’obbedienza assoluta, incondizionata alla Chiesa e alla visione del mondo di cui la Chiesa era stata portatrice nei secoli precedenti l’età borghese”.15

All’interno dello stesso gruppo democratico cristiano c’erano però delle diverse posizioni: un gruppo faceva capo a Filippo Meda e aveva il proprio centro di lavoro a Milano; desideravano partecipare alla vita politica italiana ma sentivano quale necessità impellente conciliare il conflitto tra la Chiesa e lo Stato.

Il gruppo milanese assegnò all’astensione il valore di un divieto Pontificio eccezionale; il divieto era legato alle possibilità obiettive della modificazione delle circostanze politiche che lo determinarono.

Il Meda esprimeva le esigenze di una parte della media borghe­sia lombarda “desiderosa di un accordo di tutte le forze con­servatrici per fronteggiare il socialismo, tale però da non in­tralciare le proprie possibilità di sviluppo economico”.16

Egli propugnava un’azione cristiano-sociale con tendenza politica clerico-liberale “e che svilupperà poi la politica delle alle­anze clerico-moderate del periodo giolittiano”.17

Romolo Murri e il suo gruppo di democratici cristiani consideravano il non expedit  come una “specie di legge interna al movimento dell’azione cattolica, legge che sarebbe stata in vigore sino a che i cattolici avessero maturato una propria coscienza politica autonoma, indipendentemente dall’evolversi della questione romana”,18 e non quindi, come un’imposizione del Papa ai cittadini cattolici.

Il Murri prospettava un avvicinamento ai socialisti nella lotta contro i liberali, anche perché pensava che il miglior modo per sconfiggere lo stesso socialismo fosse quello di “appropriarsene alcuni principi e di imitarne in parte il me­todo, in modo di poter mobilitare una parte delle masse”.19

Per Filippo Meda “l’idea di un avvicinamento ai socialisti era poco realistica, per motivi pratici ed ideologici, e che semmai gli ultimi avvenimenti avevano accresciuto la possibilità di estendere sul piano politico generale le alleanze tra i cattolici e i liberali moderati, da tempo sperimentate con buoni successi elettorali nelle amministrazioni locali, in Lombardia e Veneto”.20

Il gruppo democratico cristiano murriano era costituito per la maggior parte di piccoli borghesi e di intellettuali; essi volevano praticamente la formazione di un partito politico democratico autonomo che svecchiasse la mentalità conservatrice delle associazioni cattoliche.

Volevano sottrarsi alla tutela del Paganuzzi e al controllo diretto delle gerarchie ecclesiastiche, non per “rompere” con quelle autorità, senza le quali non avrebbero avuto l’appoggio dei cattolici, ma per imporre la nuova realtà di questo movimento gio­vanile.21

Un’azione mirante a trovare un accordo fra i “vecchi” e i “giovani” venne svolta da Giuseppe Toniolo e da Medolago Albani; “tra incertezze e confusioni ideologiche, Toniolo insegnò ai giovani cattolici del suo tempo (…) a impegnarsi nella via se­vera e difficile delle lotte per l’elevamento economico e sociale delle condizioni del popolo, con la dedizione del missionario, perché quello della condizione operaia era il vero problema del nuovo secolo”.22

Medolago Albani ebbe il merito di porre in primo piano all’interno dell’Opera i problemi sociali; nel 1885 venne eletto Presidente della sezione di economia sociale cristiana che aveva la sua sede a Bergamo, carica che tenne sino al 1904; sotto la sua presidenza “si assistette a una graduale ripresa del movi­mento cattolico per l’organizzazione sociale”.23

Il 18 gennaio 1901 Leone XIII emanava l’enciclica Graves de communi re  con la quale volle richiamare i cattolici all’unità e alla concordia.24

È la prima volta che nei documenti papali appare il nome di “democrazia cristiana”.

“Tanto gli individui quanto le società (…) si rammentino che devono una piena obbedienza all’autorità dei vescovi. Non si la­scino ingannare da un certo zelo di carità irrompente, il quale se tenta di menomare il dovere dell’obbedienza, non è sincero, né fecondo di solida utilità, né grato a Dio. Iddio si compiace di coloro che, sacrificando le proprie opinioni, ascoltano i prelati della Chiesa”.25

La guida di tutto il movimento cattolico restava affidata all’Opera dei congressi e comitati cattolici e in base a questa impostazione il gruppo dirigente dell’Opera, Paganuzzi e gli intransigenti, volevano imporre le proprie idee sulle altre correnti.26

I democratici cristiani, soprattutto i murriani, svolsero invece un’intensissima attività fuori dell’Opera, basandosi sull’espressione della Graves de communi re  che, pur sottoponendoli alle autorità ecclesiastiche, consentiva loro una certa autonomia;27 il rapporto già teso andò dunque aggravandosi.

Il 4 agosto 1903, dopo la morte di Papa Leone XIII, il Conclave nominava quale suo successore il Cardinale Sarto, che prese il nome di Pio X.28

“Sebbene il pontificato di Pio X passa per un pontificato religioso e non politico, l’opera di lui si volse in tutti i campi e fu energica e lineare. La mansueta bontà di carattere di Pio X non era debolezza, perché pochi Pontefici mostrarono altrettanta energia nelle decisioni importanti nelle quali fosse in gioco l’interesse della Chiesa”.29

Il 20 dicembre 1903 L’ Osservatore romano  pubblicava il Motu proprio  di Pio X; il documento del 18 dicembre 1903 era tutto dedicato alla democrazia cristiana.

Pio X appoggiava il programma politico-sociale del suo predecessore e confermava la continuità della disciplina papale relativa all’azione cattolica espressa nella Graves de communi re  da Leone XIII.

Il comma tredicesimo del Motu proprio  recitava: “La democrazia cristiana non deve mai immischiarsi con la politica, né dovrà mai servire a partiti e a fini politici: non è questo il suo campo (…). I democratici cristiani d’Italia dovranno del tutto astenersi dal partecipare a qualsivoglia azione politica, che, nelle presenti circostanze per ragioni di ordine altissimo, è interdetta ad ogni cattolico”.30

Era evidente la condanna degli atteggiamenti d’indipendenza di Romolo Murri; il Motu proprio  ridette per un attimo fiato agli intransigenti.

Ricordiamo che nel 1902 venne eletto Presidente dell’Opera dei congressi il conte Giovanni Grosoli, “moderato, aperto al nuovo e disposto al compromesso, ma fedele al Papa”;31 egli fu osteggiato dagli intransigenti, riuniti nel Comitato generale permanente, che nel luglio 1903, in un congresso a Bologna, votarono sfiducia alla presidenza.

Il conte Grosoli immediatamente inviò alla Segreteria di Stato il rapporto sullo svolgimento delle sedute e, in risposta, gli venne riconfermata la fiducia da parte del Pontefice. Si preoccupò quindi di inviare una circolare ai membri del Comitato permanente, dei Comitati regionali, diocesani e parrocchiali e delle associazioni cattoliche, in cui si diceva che “si apriva libero il campo all’azione dei moderati, non più trattenuti dal peso di vecchie e retrograde concezioni”.32

La circolare venne in seguito sconfessata dalla Santa Sede e il Grosoli decise di dimettersi dal suo incarico.

Per solidarietà con il Grosoli molti dirigenti di gruppi e sezioni dell’Opera si dimisero tra i quali Filippo Meda.

Dieci giorni dopo la sconfessione della circolare di Grosoli, L’Osservatore romano  pubblicava la lettera del Segretario di Stato Merry del Val ai vescovi d’Italia, in cui Pio X rendeva nota la sua decisione di sciogliere l’Opera dei congressi; quattro dei cinque gruppi in cui si divideva l’Opera furono sciolti, rimase in vita solo il gruppo che si occupava dell’azione sociale presieduto dal conte Medolago Albani.33

Dopo trent’anni ( 1875-1904 ) finiva l’Opera dei congressi, proprio quando la sua organizzazione aveva acquistato un’importanza nazionale: “ciò che facevano i cattolici era ormai og­getto di attenzione da parte di tutti i partiti esistenti nel paese e alla loro organizzazione si guardava come a un futuro par­tito”.34

Lo scioglimento dell’Opera era una decisione autoritaria ma necessaria per impedire che le forze cattoliche fossero usate per scopi politici e seguiva ai diversi moniti dati ai cattolici italiani sia con la Graves de communi re  di Leone XIII, sia con il Motu proprio  di Pio X che non erano stati ascoltati da tutti.

Con la soppressione del Comitato permanente i vecchi intransigenti non avevano più autorità e possibilità di azione; i giovani democratici cristiani venivano invece sottoposti alla stretta e rigida dipendenza dai vescovi.35

Un’azione di coordinamento che tenesse uniti tutti i cattolici e non creasse ulteriori spaccature fu tentata da Filippo Meda; il 4 agosto 1904 fu convocato un convegno a Milano dove si diede vita ad una nuova associazione: l’Unione nazionale fra gli elettori cattolici amministrativi d’Italia; “l’Unione nazionale (…) nacque tra mille sospetti, mille preoccupazioni e anche troppe confusioni”.36

Essa, “con carattere unitario a raggio nazionale e con cariche elettive dalla base a livello nazionale, (…) ufficialmente limitava la sua attività alla sfera amministrativa, ammessa dalla Chiesa, ma nell’intenzione dei promotori era chiaramente previsto, (…) un inserimento graduale in maniera autonoma nella sfera poli­tica”.37

Vedremo che terminate le elezioni del novembre 1904, Filippo Meda si impegnerà alla formazione di un vero e proprio centro politico cattolico tralasciando l’Unione elettorale; “un centro cattolico autonomo, con dimensione laica (…) e più somigliante a un blocco elettorale costituzionale, che a un partito (…). Quello di Meda fu il primo serio tentativo di fondare un organi­smo politico costituito da cattolici, ma aconfessionale, negli anni che precedettero la nascita del Partito popolare”.38

Sul finire del 1904 le tensioni sociali in Italia raggiunsero livelli drammatici; a settembre, in uno sciopero dei minatori a Buggerru, in Sardegna, persero la vita tre operai in seguito ad un conflitto a fuoco con i carabinieri; anche a Castelluzzo, in Sicilia, rimasero uccisi alcuni iscritti alla lega contadina che scioperavano in seguito all’arresto del segretario della lega.

Questi tragici episodi diedero inizio ad una serie di scioperi e manifestazioni in tutta Italia che dimostrarono il notevole grado di organizzazione raggiunto dal movimento operaio.

È in questo momento che i cattolici chiesero con più insistenza al Papa la sospensione del non expedit ; Pio X ricevette una delegazione di cattolici di Bergamo, guidati dal Bonomi, che esposero i propri timori riguardo all’avanzata socialista e radicale; il Papa, in risposta, invitò i cattolici italiani a comportarsi “secondo coscienza”.39

Era stato fatto un grandissimo passo avanti suggerito a Pio X soprattutto dalla volontà di arginare il “pericolo rosso” e di contribuire al sostegno dell’ordine civile e alla tutela delle isti­tuzioni pubbliche.40

Pio X, pur mantenendo formalmente la sua intransigenza, con­cesse ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica; “con un’abile formula si disse che al Parlamento italiano non vi dovessero essere deputati cattolici, ma che vi potevano essere dei buoni cattolici deputati”.41

Nel 1905 con l’enciclica Il fermo proposito  Papa Pio X ricordava che ogni vero cattolico “deve ricordarsi sopra ogni cosa d’essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli uffici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della religione e della giustizia”.42

 1.2. Il movimento cattolico e i problemi della Sardegna.

 Fra le regioni italiane, la Sardegna, con la “fusione” del ’48 si era collocata prima nel nucleo del futuro regno d’Italia.

Questa fusione, secondo gli storici, non aveva corrisposto alle aspettative per cui molti problemi pregressi erano rimasti insoluti.

A questi, con l’Unità, all’epoca della Destra se ne erano aggiunti altri, quali, ad esempio, i problemi economici.

L’agricoltura e la pastorizia costituivano il fondamento di un’economia ancora a struttura precapitalistica nella Sardegna della seconda metà del 1800.

Questo fatto poneva l’isola in una condizione di arretratezza rispetto alle altre regioni d’Italia; mancavano aziende agrarie capitalistiche, la coltura estensiva era maggiormente praticata rispetto alle aree a coltivazione intensiva, ma soprattutto la proprietà era frammentata in un gran numero di piccoli produttori.

Lo stato di crisi dell’agricoltura sarda si aggravò ulteriormente in seguito alle misure protezionistiche adottate dal governo italiano a partire dal 1887, che videro l’interruzione dei trattati commerciali con la Francia, sbocco principale dei prodotti agricoli e lattiero-caseari della Sardegna.

Inoltre le gravi misure fiscali adottate in questo periodo “bloccarono ogni possibilità di accumulazione di capitali e quindi l’ammodernamento dell’agricoltura”.43

Nell’ultimo decennio del secolo iniziarono a mutare i modi di produzione legati alla pastorizia, con l’impianto dei caseifici da parte dell’industria casearia laziale e toscana; a Macomer nacquero piccole industrie di trasformazione del latte che diedero prodotti quali il formaggio romano e il pecorino.

A questi mutamenti positivi si affiancò lo sfruttamento dei proprietari dei pascoli che “avevano elevato in misura considerevole i canoni d’affitto in seguito all’aumento della domanda dei prodotti della pastorizia”.44

Per quanto riguarda l’industria, essa, in Sardegna, era limitata al settore estrattivo e localizzata nel circondario di Iglesias; anche l’industria sugheriera, dopo il 1880, conobbe un periodo molto favorevole. Nel Tempiese sorsero diverse fabbriche di turaccioli, che divennero anche scuole di perfezionamento degli operai. L’industria sarda riuscì a piazzare i suoi prodotti in Italia, nell’industria chimica ed enologica, ed inviare grandi quantitativi di sughero grezzo e lavorato all’estero.44 bis

Uno dei benefici ottenuti in Sardegna con la formazione dello Stato unitario, era stata sicuramente la costruzione della ferrovia.

Con la legge del 4 gennaio 1863 veniva approvato il progetto per il quale un tronco ferroviario principale doveva unire Cagliari con Sassari e Portotorres, e altri cinque tronchi dovevano unire Cagliari con Oristano, Decimo con Iglesias, Ozieri con Portotorres, Ozieri con Terranova Ozieri con Oristano.

Entro il 1874 furono costruiti dalla Compagnia reale i primi tre tronchi; il timore dei sardi che la compagnia non continuasse i lavori e che lo Stato non si occupasse più del progetto, fu sventato grazie alle pressioni esercitate sul Depretis dal giovane avvocato cagliaritano Francesco Cocco Ortu; la linea principale fu portata a termine e venne inaugurata nel luglio 1880. Il governo si impegnò anche per la costruzione di una diramazione che congiungesse alla linea principale l’altopiano del Goceano e il Circondario di Nuoro, ma non entro un termine prestabilito.45

Francesco Cocco Ortu dominò la vita politica sarda nell’età giolittiana. Nato nel 1842, si laureò in leggi a Cagliari nel 1863. Liberal-democratico, entrò in Parlamento nel 1876, anno della caduta della Destra e vi rimase fino al 1924. Fu Ministro dell’Agricoltura, dell’Industria e del commercio nel governo Rudinì (1897-1898), Ministro di Grazia e Giustizia con Zanardelli (1901-1903), Ministro dell’Agricoltura nel governo Giolitti (1906-1909). Ebbero esito infelice i suoi progetti di legge sul divorzio – sotto il governo Zanardelli – e per un nuovo ordinamento giudiziario, ma legò il suo nome a provvedimenti sociali di grande importanza quali le leggi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, per il riposo festivo, per la sorveglianza sull’applicazione delle leggi operaie, per l’abolizione del lavoro notturno dei panettieri e delle donne.46

Nei primi anni dello Stato unitario fu affrontato anche il problema delle strade nazionali; nel luglio 1862 si ottenne l’ampliamento del programma stabilito per la Sardegna con la legge del 6 maggio 1852 che era rimasto inattuato; grazie alla costruzione di nuove vie di comunicazione, la Sardegna fece un grosso passo avanti nel progresso.

Purtroppo maggiori difficoltà si incontrarono per la costruzione delle strade provinciali e comunali poiché la Sardegna era stata esclusa dai benefici delle leggi del 1869 e del 1875 che prevedevano dei finanziamenti da parte dello Stato per l’attuazione di queste opere.47

Nella seconda metà del XIX secolo si intensifica il contrasto tra lo Stato e la Chiesa; già dal 1850 con le leggi Siccardi nel regno sardo erano stati soppressi alcuni ordini religiosi, successivamente anche lo Stato unitario, con le leggi del 1866 e del 1867, sopprimeva i rimanenti ordini religiosi, le corporazioni e confraternite e ne incamerava i beni.48

Queste leggi avevano avvicinato un gran numero di persone verso gli ordini religiosi che avevano una presenza nel campo sociale, come quello dei Vincenziani e delle Figlie della Carità. “Queste ultime in modo particolare erano molto attive in Sardegna dove spesso anche con l’aiuto di filantropi privati fondavano e dirigevano ospizi, orfanotrofi, scuole per i poveri”.49

Esistevano in Sardegna tantissime società cattoliche che avevano come fine comune la solidarietà e l’assistenza.

Il 27 aprile 1850 era sorta a Sassari una società  comprendente ventiquattro operai che svolgevano mestieri diversi, con lo scopo di assistersi nel bisogno; il 1° agosto 1857, i battellieri di Carloforte diedero vita alla Società di Sant’Erasmo, “con finalità esclusivamente assistenziale nei confronti dei soci colpiti da malattia o disgrazia”.50

Le associazioni di Mutuo soccorso ebbero fortuna soprattutto dopo la legge del 1864 che scioglieva le corporazioni di arti e mestieri, i cosiddetti “gremi”.

Non mancano quindi società cattoliche nella seconda metà del XIX secolo, purtroppo non erano collegate tra loro e non si occupavano di migliorare le condizioni professionali ed economiche dei lavoratori che vi aderivano.

Il movimento sociale cattolico “pratico” fu coordinato soprattutto dall’Opera dei congressi (1875-1904); il dibattito e il confronto all’interno dell’Opera fra le diverse tendenze cattoliche, favorirono il lento ma importantissimo processo che portò ad una nuova coscienza sociale.

Naturalmente “l’Opera si diffuse e fu più attiva dove più alta era la coscienza civile dei cattolici, dove il movimento cattolico aveva alle spalle una lunga tradizione di società e di stampa sorte per la difesa di interessi religiosi, dove si erano in maniera più acuta posti i problemi operaio e contadino”.51

La Sardegna era evidentemente in ritardo rispetto ad altre regioni d’Italia e anche l’Opera si sviluppò con fatica; nel 1897, anno in cui l’Opera dei congressi raggiunse la massima espansione, L’Italia settentrionale contava 41 comitati diocesani, 2092 comitati parrocchiali su 2346 parrocchie; l’Italia centrale 79 comitati diocesani su 188 diocesi e 1536 comitati parrocchiali su 8328 parrocchie; l’Italia meridionale 53 comitati diocesani su 112 diocesi, 206 comitati parrocchiali su 3613 parrocchie; l’Italia insulare 15 comitati diocesani su 30 diocesi e 194 comitati parrocchiali su 910 parrocchie.52

In Sardegna “alla fine del XIX secolo, quindi, l’organizzazione cattolica anche se iniziava a svilupparsi, appariva ancora molto debole: su 397 parrocchie solo 8 avevano costituito il comitato parrocchiale e su 12 diocesi solo 2 avevano costituito il comitato diocesano.53

L’opera di organizzazione e di diffusione delle idee sociali cattoliche restava affidata, per la maggior parte, all’iniziativa individuale di qualche parroco più direttamente coinvolto nel mondo rurale e alla condizione dei contadini, mentre le nascenti congregazioni religiose femminile cercavano di rispondere ai bisogni sociali dei diseredati con l’istituzione di istituti per orfani di entrambi i sessi e soprattuto di asili. 54

Tra le strutture cattoliche organizzative della fine del 1800, il centro maggiore era sicuramente il circolo di San Saturnino a Cagliari, “centro principale di aggregazione del laicato cattolico militante”.55

Questo circolo, insieme alla Società per gli interessi cattolici, fu fondato nel 1871; “essi  costituirono per oltre trent’anni la più importante concentrazione organizzata dei cattolici cagliaritani, in cui si “formarono e militarono i giovani intellettuali e gli studenti secondari e universitari cattolici (…) e numerosi giovani dei vari centri dell’isola che a Cagliari compirono studi e che successivamente sarebbero confluiti nel cattolicesimo militante sardo”.56

L’impegno dei cattolici isolani si accentua negli ultimi anni del 1800; nascono e si distinguono per zelo diverse associazioni a carattere religioso-formativo: a Sassari, il 10 marzo del 1893, venne fondata la Società operaia del S.S. Cuore di Gesù, nel 1905, nacque il circolo cattolico “Silvio Pellico”, fondato dal missionario vincenziano padre Genta, nel quale confluirono soprattutto studenti di estrazione borghese;57 nel 1908 nacque invece il circolo non solo di artigiani ed operai “Robur et Virtus” fondato da padre Luigi Deligia dell’O.F.C. esso faceva capo alla Chiesa e al Convento francescano di S. Maria. Vi si organizzarono scuole serali  chiuse poco dopo per ordine del Municipio, egemonizzato dal gruppo democratico-repubblicano cittadino dei Satta Branca e dei Berlinguer.

A queste associazioni, per quanto operanti nel campo sociale, sono da aggiungere tutta l’intensa attività formativa cattolica che sulle fanciulle e sulle giovinette portavano avanti le Figlie della Carità dell’Orfanotrofio delle Figlie di Maria, in città dal 1856, con l’educandato, le associazioni femminili e l’Asilo infantile di Sant’Apollinare coadiuvate dalle Dame di Carità e da esponenti di spicco del clero diocesano tras i quali spiccava lo storico Damiano Filia.

Il programma democratico-cristiano portato avanti a livello nazionale, in modo particolare il pensiero murriano, non mancò di suscitare anche tra i cattolici sardi, momenti di contrasto e di discussione tra i “vecchi” e i giovani cattolici.59

I cattolici intransigenti sardi, di matrice aristocratica e soprattutto cagliaritani, avevano interpretato il programma in modo limitativo, “come una benefica azione cristiana a fa­vore del popolo”.60

 Fautore di un  impegno nel campo operaio e sociale fu il giovane gruppo democratico cristiano cagliaritano sorto nell’ambito delle associazioni giovanili cittadine, principalmente la Congregazione dei Figli di Gesù e il Circolo cattolico di S. Saturnino, che ebbe come pro­pugnatori e animatori alcuni giovani sacerdoti, principalmente Virgilio Angioni, promotore più tardi di opere a beneficio dell’infanzia e di una congregazione religiosa femminile.61

Il giornale cattolico La Lealtà  già dal 1872 incoraggiava i cattolici sardi a non limitare il loro impegno esclusivamente in senso assistenziale-educativo, ma li spingeva alla partecipazione attiva alla vita sociale e politica dell’isola.62

Insieme alla propaganda cattolica si diffondeva velocemente anche quella socialista; l’ideologia socialista soprattutto dopo il 1882: i primi nuclei si costituirono oltre che a Cagliari, Sassari e Nuoro, a Carloforte, Iglesias, Tempio e Bonorva, mentre di vera e propria organizzazione sindacale si cominciò a parlare solo nel 1897, quando Giuseppe Cavallera fondò a Carloforte una lega di battellieri.63

L’associazionismo cattolico isolano del periodo mostrava un limite evidente nella mancanza di valide strutture finalizzate all’impegno politico, che finiva pervanificare alcuni risultati elettorali positivi ottenuti.

 Un coordinamento delle iniziative fu tentato con la convocazione di alcuni convegni regionali, organizzati a Cagliari nell’aprile 1908 e nel maggio 1909 e a Nuoro nell’agosto 1909, che videro la partecipazione dei più attivi esponenti del cattolicesimo militante isolano.64

Al convegno di Nuoro, presieduto da Monsignor Pizzorno – vescovo ausiliare di Sassari intervennero, tra gli altri,   Salvatore Daddi e il fratello canonico Giovanni, nonché il loro cugino canonico Marchi.

Scopo di questi convegni era di dare unità di azione alle associazioni cattoliche sarde, cercando di creare degli strumenti di coordinamento e di promuovere nuove iniziative in campo socio-economico.65

In questo periodo i cattolici sardi erano impegnati su due fronti: non si perdevano di vista i soliti impegni di apostolato, ma si cercava di combattere anche l’avanzata del socialismo sia impegnandosi nell’opera proficu degli asili infantili sia cercando di organizzare la gioventù cattolica..66

I due movimenti, quello cattolico e quello socialista, ideologicamente così diversi, avevano qualcosa in comune: si interessavano entrambi alle questioni sociali, alle condizioni di vita dei lavoratori più poveri; i socialisti erano più orientati verso gli operai e i braccianti – presenti nelle miniere iglesienti e nei sugherifici del tempiese – i cattolici verso i pastori e i contadini, diffusi soprattutto nei centri rurali dell’isola. Sia il movimento cattolico che quello socialista avevano un seguito popolare e di massa.

Si è accennato  alla figura politicamente incombente in Sardegnatra Otto e Novecento:  Francesco Cocco Ortu  la cui capillare influenza in tutta l’isola  rendeva più difficile ai gruppi alternativi, all’opposizione fare un qualche progresso sul piano strettamente politico.67

Sassari, invece, politicamente era più viva; il liberale giolittiano Michele Abozzi, doveva scontrarsi con i radicali o “democratici” guidati da Pietro Satta Branca e da Filippo Garavetti. Dai primi anni del 1900 fino al 1915 gran parte della lotta politica sassarese si svolgerà intorno ai nomi di Abozzi e Garavetti.

I radicali sassaresi solitamente guidavano l’amministrazione comunale; la politica municipale rimase infatti per un lungo periodo in mano alle famiglie dei Satta Branca, dei Berlinguer e dei Moro.

Erano anche gli unici detentori dell’informazione quotidiana nella divisione di Sassari con il quotidiano La Nuova Sardegna  fondato nel 1891 e diventato all’interno della borghesia cittadina lo strumento più efficace per mantenerne il consenso politico.

La stampa allora cominciava ad avere un ruolo molto importante ed era uno strumento di propaganda e di organizzazione;68 più in generale, <<in assenza di partiti un quotidiano era importante; era l’unico foro in cui potessero essere dibattute le scelte politiche e dove i politici si potessero fare qualche idea dell’opinione elettorale>>,69 peraltro molto ridotta.

Il ruolo della stampa cattolica sarda nei confronti della nuova realtà socio-politica italiana, è sintetizzabile in tre momenti:70 il primo momento va dal 1848 fino al 1870; è il periodo dello “sgomento” per le leggi che limitarono i privilegi della Chiesa, che incamerarono i beni ecclesiastici per ripristinare le finanze dello Stato, che soppressero gli ordini religiosi;  il  secondo momento va dal 1870 al 1895; i fogli cattolici sardi portano avanti le recriminazioni contro un governo ritenuto “usurpatore”,71  si rifiutano di riconoscere Roma come capitale d’Italia e si mostrano pessimisti all’idea di una conciliazione tra la Chiesa e lo Stato; nel terzo periodo, 1896-1910, i cattolici isolani  presero coscienza che l’unità italiana era ormai un fatto irreversibile e che quindi erano inutili sterili posizioni ideologiche. Non si discute più sulle rivendicazioni temporali del papato, i bersagli che ora vengono presi di mira sono la massoneria e il socialismo. Nascono in questo periodo numerosi fogli cattolici che sentono l’esigenza di una loro pubblicistica quotidiana per contrastare sia il quotidiano sassarese  La Nuova Sardegna  dove scrivono intellettuali e politici  laici di spicco quali Sebastiano Satta, Giacinto Pinna, Nicola Spano, Ciro Guidi, Antonio Catta, uomini spesso di diverse tendenze politiche, ma uniti nell’anticlericalismo sia il coccortiano quotidiano di Cagliari, filogovernativo e gestito dagli uomini di Cocco Ortu.

E’ in quest’ambito e clima che si colloca l’attività politica e soprattutto pubblicistica di Salvatore Daddi.

1.3. Il movimento laico e quello cattolico a Nuoro.

All’interno della Sardegna il circondario di Nuoro, così poco popolato e disperso in un territorio ampiamente montagnoso, sembrava costituire un’isola nell’isola.

Ai problemi economici vi erano da aggiungere quelli delle circoscrizioni amministrative.

Sassari e Cagliari  così lontane e quasi irragiungibili erano per la maggior parte dei nuoresi un miraggio.

Solo alla borghesia agraria e ai suoi rampolli era data la possibilità di recarvisi e di cimentarsi nelle carriere e nella vita politica e professionale del capoluogo della provincia, tuttavia, a Nuoro, ai figli della borghesia dei paesi del circondario era data l’opportunità di frequentare quel Ginnasio che poi permetteva loro di frequentare il Liceo e l’Università di Cagliari e di Sassari.

Nel 1848 il Ministro dell’Interno Vincenzo Ricci, aveva presentato in Parlamento un progetto di legge che prevedeva l’istituzione in Sardegna di una terza Provincia, quella di Nuoro, con l’intento di “promuovere il progresso morale e materiale della Sardegna”.91

Con legge n° 776, quello stesso anno, era stata creata la terza Divisione Amministrativa accanto a quella di cagliari e di Sassari: la Divisione Amministrativa centrale, con capoluogo Nuoro, dichiarata tra l’altro Intendenza di terza classe, con una popolazione di 59.746 abitanti, secondo il censimento del 1859.92

Cagliari, Sassari e Nuoro erano quindi i tre capoluoghi delle Divisioni Amministrative sarde, governate da un Intendente generale e da un Consiglio Divisionale ed articolate in Province.

Nel 1850 l’onorevole Giorgio Asproni scriveva al Sindaco di Nuoro, Bonaventura Piredda, e gli annunciava con rammarico, l’intenzione del Governo di abolire l’Intendenza generale di Nuoro.

Così fu, ma come se non bastasse alcuni anni dopo in città “corse voce” che per motivi finanziari sarebbe stata soppressa anche la Provincia.

Il Consiglio Municipale – con una lettera firmata dal Sindaco Costantino Manca e dai Consiglieri Chironi, Colli, Coronas, Meloni, Floris, Fois, Guiso, Nieddu, Pala, Pinna, Pirisi, Sanna, Sulis e Serra- si rivolse al Ministro dell’Interno ponendo in ri­salto gli effetti positivi che l’istituzione della Provincia di Nuoro aveva avuto sulle “persone delle province aggregate, che ha bene incamminate sulla via del risorgimento e del pro­gresso”.93

Il 23 ottobre 1859 il Ministro Rattazzi promulgò la legge con la quale veniva soppressa la Provincia di Nuoro che diveniva terzo Circondario di quella di Sassari.

Facevano parte del Circondario di Nuoro 33 paesi: Nuoro (ab. 6.040); Bitti (ab. 3.547); Bolotana (ab. 3.037); Dorgali (ab. 4.210); Fonni (ab. 3.564); Galtellì (ab. 798); Gavoi (ab. 1.991); Irgoli (ab. 763); Lei (ab. 414); Loculi (ab. 240); Lodé (ab. 1.125); Lodine (ab. 149); Lula (ab. 1.690); Mamoiada (ab. 2.134); Oliena (ab. 3.463); Ollolai (ab. 1.254); Olzai (ab. 1.142); Onanì (ab. 248); Onifai (ab. 476); Oniferi (ab. 715); Orani (ab. 2.593); Orgosolo (ab. 2.031); Orosei (ab. 1.866); Orotelli (ab. 1.742); Orune (ab. 2.369); Osidda (ab. 491); Ottana (ab. 1.074); Ovodda (ab. 1.138); Posada (ab. 1.736); Sarule (ab. 1.550); Silanus (ab. 1.882); Siniscola (ab. 2.855); Torpé (ab. 912).94

Come si può rilevare i centri più popolosi risultano nell’ordine: Nuoro, Dorgali, Fonni, Bitti, Oliena e Bolotana, con una popo­lazione che va dai seimila abitanti di Nuoro ai duemila abitanti di Bolotana; seguono con oltre duemila abitanti Siniscola, Mamoiada, Orani, Orune, Orgosolo e Gavoi, che sfiora i due­mila abitanti; con più di mille abitanti troviamo nell’ordine Silanus, Orosei, Orotelli, Posada, Lula, Sarule, Ollolai, Lodé, Olzai, Ovodda e Ottana; infine i Comuni che non superano i mille abitanti: Torpé, Galtellì, Irgoli, Oniferi, Osidda, Onifai, Lei, Onanì, Loculi, Lodine.

Naturalmente non mancarono i voti contrari alla decisione di sopprimere la Provincia di Nuoro; anche i Consigli municipali di Cagliari e Sassari, che pure avevano avuto un ingrandimento delle loro circoscrizioni, non approvarono questa decisione.95

Sino a pochi giorni prima dalla promulgazione della legge del 23 ottobre 1859, l’onorevole Giorgio Asproni si era adoperato perché ciò non avvenisse.

Il 18 ottobre 1859 scriveva nel suo diario: “Ho scritto una lettera al cav. Capriolo, segretario generale del Ministero Interni, interessandolo a conservare  Nuoro capoluogo di pro­vincia. Ho anche scritto al deputato Mastio che se ne occupi con impegno e sollecitudine. Ma che farà quel povero tonto?”.96

Ancora, il 21 ottobre scriveva: “Oggi ho scritto una lunga corrispondenza al Diritto (…). La ho mandata all’avvocato Annibale Marazio, direttore di quel giornale, con preghiera e raccomandazione di inserirla subito (…). Si occupa della ne­cessità di conservare in Nuoro un centro di governo, e confuta il progetto di dividere la Sardegna in due sole province aventi per capoluoghi Cagliari e Sassari”.97

L’Asproni non nutriva simpatia per il Consiglio municipale di Nuoro che aveva a capo il canonico Manca,  “parente e protettore dei più notorii ladri e grassatori di Nuoro. Or si è ricostruito il corpo barraccellare composto di nipoti suoi. Il macello è monopolizzato da essi che provvedono la carne, più con buoi rubati, che a loro pertinenti”.98

Riguardo al particolare momento politico, egli così scriveva: “Il partito clericale in Nuoro è in minoranza, ma altrove è compatto; mentre i liberali sonnecchiano e se ne restano in un indifferentismo che si stringe la mano con la colpa”.99

E ancora, il 20 ottobre 1858 registra: “I canonici dispongono del comune come degli affari di sacrestia. Siede capo il canonico Manca, uomo ignorante di ogni materia di pubblico bene, ma intrigantissimo protettore di scellerati, fra i quali primeggiano i suoi nipoti”.100

Nel 1872 l’onorevole Giorgio Asproni otteneva la costituzione di una commissione per l’esame della situazione nel nuorese.

La commissione presentò una relazione curata dall’onorevole Puccini che proponeva, con l’appoggio di 134 deputati sia di Destra che di Sinistra, il ripristino della Divisione di Nuoro; l’iniziativa si arenò e tutto fu rimandato ad altra data.

Tredici anni più tardi, nel 1885, Sebastiano Floris, Sindaco di Nuoro, si appellava a tutti i Sindaci del Circondario, perché portassero avanti, solidali, la protesta.

Nuoro invece continuò ad essere legata a Sassari fino al 1927, quando il Governo fascista istituì la tanto attesa Provincia.

Nel 1878 Nuoro, con i suoi seimila abitanti, era il centro maggiore del Circondario, sede di Sottoprefettura, di Diocesi, di Tribunale, di Ginnasio.

Si veniva così creando un ceto piccolo-borghese formato di impiegati statali, magistrati, avvocati, maestri, medici, notai e qualche ecclesiastico con idee liberaleggianti.101

Da questo ambiente nacque una schiera d’intellettuali che, con il diffondersi della stampa e con l’accendersi delle lotte politiche, si rendeva conto della necessità della cultura e del progresso a Nuoro.

Portavoce del “progressismo” anticlericale e filosocialista a Nuoro – “si tratta di un socialismo velleitario, dato che allora nella città barbaricina non esisteva una classe operaia”102 – furono Salvatore Rubeddu, Pasquale Dessanay, Giovanni Antonio Murru, il canonico Antonio Giovanni Solinas, Francesco Ganga, Sebastiano Satta, Francesco Ciusa, il musicista Priamo Gallisay, i pittori Antonio Ballero e Giacinto Satta.

Questi intellettuali, che per motivi di studio erano entrati in contatto con realtà diverse quali quelle di Cagliari e Sassari, portarono e diffusero a Nuoro gli ideali socialisti che furono ben accolti dalla città dove ben presto sorse un nutrito numero di aderenti.

Nel 1896 arrivò a Nuoro il Cavallotti, e i comizi da lui tenuti destarono vivo interesse, tanto che gli fu dedicata la piazza del mercato.103

I comizi tenuti in città  dal Cavallotti, erano stati promossi dal deputato Giuseppe Pinna, suo grande amico, che era legato al gruppo democratico-borghese di Sassari  facente capo a Garavetti. Pinna sin dal 1895 dominò la scena politica Nuorese: “la sua incontrastata egemonia politica nel collegio trovava alimento nelle vaste e potenti clientele personali costituite in lunghi anni di avvocatura, oltre che nei legami con la borghesia proprietaria locale”;104  egli fu Sindaco di Nuoro dal 1894 al 1895 e nel 1905.

Quasi tutti gli intellettuali nuoresi collaboravano con La Nuova Sardegna ; i legami del quoptidiano sassarese con Nuoro furono così stretti che la città volle consacrare questo rapporto un affresco sulla volta del salone del Municipio, oggi non più esistente. Si pensi che al “Caffè della Posta”, un locale cittadino, ai clienti, oltre la consumazione, “veniva servito” questo quotidiano.

Nel 1893 Sebastiano Satta con Gastone Chiesi aveva fondato a Sassari il quotidiano L’Isola ; da questo giornale partirono numerosi attacchi agli amministratori di Nuoro: “A Nuoro si muore – in ogni punto e per ogni causa. Si muore per malattie (…), si muore per fame (…), si muore per gli esosi fiscalismi del Demanio (…). Si muore al Municipio, nonostante la poderosa energia di giovine audace e fortunato del nuovo Sindaco”105

E ancora L’Isola polemizzava contro il clero di Nuoro: “È assolutamente vergognoso ed umiliante che siasi preso il brutto andazzo di assumere al sacerdozio persone che la buona società rifiuta perché prive di cuore, d’ingegno e di studi; perché riconosciute col germe della malignità e delle prave tendenze; perché superbe ed ignoranti (…). Non vi è accaduto talvolta d’entrare nella parrocchia e nelle case parrocchiali? La chiesetta vi si presenta nana, grigia e triste, con un solo altare disadorno, con simulacri corrosi dal tempo e dai topi. (…) Eppure quel reverendo è grasso bacato: paga a lire, soldi e danari le cupidigie e le vanaglorie d’un beniamino ed ha accumulato parecchie migliaia di lire per lasciarle in testamento a chi? Non al fratello cencioso, non alla sorella mendica, (…) ma ad una mondana qua­lunque”.106

Il primo vero circolo socialista fondato a Nuoro risale, comunque, al 1907, per opera di Attilio Deffenu, allora studente liceale, e di venti suoi amici; <<furono invitati alcuni dei più cono­sciuti leaders del socialismo della Sardegna settentrionale come Claudio Demartis e Antonio Catta>>;107 l’avvocato Catta era un “cavallottiano” che aveva fondato a Sassari la sezione del partito socialista e la Camera del lavoro.108

Nel 1909 il Deffenu aveva seguito la candidatura dell’onorevole Garavetti a Nuoro, dove – dice – “s’è combattuto con un entusiasmo, con uno slancio, con una abnegazione tale (…), specialmente da parte delle classi popolari, che l’uomo d’Orani è stato moralmente seppellito da quaranta e più voti di maggioranza”.109

In realtà “l’uomo d’Orani” di cui parla Deffenu, cioè l’onorevole Antonio Luigi Are, candidato ministeriale, era stato sconfitto a Nuoro ma non nel collegio; il poeta nuorese Dessanaj sottolineava con i suoi versi aspri il particolare momento elettorale che si viveva a Nuoro, chiamando i preti che si recavano a votare per appoggiare il candidato Are contro il socialista Garavetti <<Sos isbirros e corvos congregados>>.110

 Are efu Sindaco di Nuoro nel 1882, in seguito dal 1896 al 1899 e dal 1907 al 1908. Nelle elezioni del 1913, quando in tutta la Sardegna ci fu la riconferma dei deputati ministeriali, Antonio Luigi Are fu sconfitto al ballottaggio dall’antigiolittiano Francesco Dore;111 Salvatore Satta ricorda che Nuoro, nell’epoca di quella votazione, viveva un’atmosfera elettrizzante. “D’infatti, nel vecchio convento adibito allora per le scuole pubbliche, dove si andava a votare, succedevano anche dei tafferugli, uno fra i quali successe, quando il cittadino Leonardo Tonara, un commerciante di grano, schiaffeggiò il suo fratello prete che si recava alle urne per deporre la sua scheda contraria al partito socialista”.112

Secondo lo storico nuorese Ottorino Pietro Alberti, già prima del 1861, cioè prima dell’unità d’Italia, esisteva a Nuoro una Loggia massonica, quanto meno un nucleo massonico, tesi che contrasta con quella di Damiano Filia, secondo il quale la massoneria fu importata in Sardegna dopo il 1861 “da impiegati e preti spretati, che ricevevano a premio del tradimento una cat­tedra o divenivano presidi nei Ginnasi o nei Licei”.113

Ricordiamo che all’epoca non era ancora stata costituita la Loggia “Ausonia” a Torino, né il Grande Oriente d’Italia; inol­re non si parla di alcuna Loggia di Nuoro nei documenti del periodo.114 Sicuramente il nucleo massonico nuorese era in relazione con uno o più degli stati italiani.115

Ricordiamo infatti che il Cavour aveva mandato in Sardegna tanti profughi politici, ed ovviamente, piuttosto che a Cagliari e a Sassari, li inviava nelle zone interne per tenerli isolati da qualsiasi forma di organizzazione politica.

Tra tanti emigrati politici  si trovava anche qualche affiliato alla massoneria; dal 1857 ritroviamo a Nuoro Giuseppe Cottone, un massone siciliano legato da profonda amicizia con l’Asproni. Lo stesso Asproni entrerà a far parte della massoneria nel 1867.

Altro fatto che potrebbe avvalorare la tesi dell’Alberti, è la presenza in città come comandante militare, di Paolo Daniele.

Anch’egli siciliano, partecipò ai moti del ’48, alla seconda guerra d’Indipendenza e raggiunse Garibaldi in Sicilia dopo lo sbarco di Marsala. Una volta congedatosi dall’esercito garibaldino, riuscì ad entrare nell’esercito regolare.

Nel 1864 Paolo Daniele si trovava a Nuoro quando, in Sicilia, fu arrestato un certo Pietro Riccioli che portava con sé alcune lettere massoniche indirizzate da Garibaldi al Grande Oriente di Palermo. Il Riccioli aveva anche una lettera del maggiore Daniele, che fu accusato di connivenza con il partito garibal­dino; egli si proclamò sempre innocente.116

In difesa del Daniele scrisse una lettera alla  Gazzetta popolare di Cagliari il nuorese Gavino Gallisay, certamente massone; il Gallisay fu legato a Giorgio Asproni117 e fu Sindaco di Nuoro nel 1889.118

Nel 1856 il Consiglio Comunale di Nuoro con a capo l’avvocato Corbu, aveva portato davanti al Tribunale il vicario Capitolare Monsignor Zunnui-Casula, accusato di aver negato sepoltura ecclesiastica all’Ispettore Demaniale Seu il quale, con particolare zelo, aveva applicato le leggi con le quali si incameravano i beni di vari enti e ordini religiosi.119

Sempre Monsignor Zunnui, in una pastorale del 1865, prese posizione contro la massoneria “che anche in Sardegna svolgeva opera nefasta, facendosi paladina di teorie sovvertitrici e seminando calunnie contro la religione”.120

Un altro massone nuorese del periodo immediatamente succes­sivo all’unità d’Italia, fu Luigi Martoni, sindaco della città dal 1873 al 1876 e dal 1893 al 1894; nel 1862 la moglie, la signora Efisia Martoni nata Carta, si era occupata in città della raccolta di fondi da destinare alla costruzione del monumento ad Eleonora d’Arborea ad Oristano.121

Il 4 maggio 1867 aveva preso possesso della Diocesi Galtellì-Nuoro, Monsignor Salvatore Angelo Maria Demartis. La Diocesi di Nuoro era rimasta vacante per quindici anni, sebbene retta da Monsignor Zunnui-Casula.

Monsignor Demartis “si staglia come una delle più eminenti personalità, per la vastità della cultura, per la capacità di governo, per la fierezza di carattere, e, soprattutto, per il coraggio con il quale affrontò lotte e persecuzioni, insidie e calunnie, per tutto il tempo del suo lungo Episcopato>>.122

Al suo arrivo a Nuoro sperimentò subito l’ostilità del Consiglio Comunale, con a capo Francesco Galisai, del quale era ben nota l’appartenenza alla massoneria e l’acceso spirito anticlericale.

Gli fu impedito di prender possesso dell’Episcopio, che era stato trasformato in Corte d’Assise; quando il palazzo vescovile venne sgomberato, fu requisita la Chiesa di S. Paolo per farne sede del Tribunale e furono profanati e venduti tutti gli arredi sacri.123

Fu profanata anche la Chiesa di S. Croce, trasformata in scuola, in sala da ballo e in luogo di riunione per la banda musicale.124

L’episodio più grave che possiamo ricondurre a questo periodo, è sicuramente da ricollegare alle accuse fatte al vescovo di avere incitato la popolazione nuorese, nell’aprile del 1868, ai moti “de su connotu”.125

La stampa laica con in testa il Corriere di Sardegna, considerato l’organo della massoneria sarda, accusò decisamente il Vescovo di aver fomentato i disordini per gettare discredito sulle istituzioni civili.126

Dopo l’episodio “de su connotu” Monsignor Demartis scriveva a Pio IX: “Non la finirei più, Padre Santo, se tutte volessi ricordarvi anche in scorcio le persecuzioni, le calunnie, i soprusi, con cui la setta massonica in Nuoro ha cercato e cerca tutti i giorni di tribolarmi (…) non vi fu mezzo, Padre Santo, non arte per quanto inonesta e nefanda da cui i massoni (…) abbiano rifuggito allo scopo di abbattermi, opprimermi e costringermi almeno alla fuga”.127

In questo clima ” rovente”, il 9 marzo 1869, arrivava al vescovo di Nuoro una lettera di Monsignor Gaetano Tortone, Cameriere soprannumerario di Sua Santità, con la quale gli venivano chieste “tutte quelle notizie che sul proposito del futuro Concilio Ecumenico si riferiscono alla Diocesi”. Monsignor Demartis rispondeva: “La mia Diocesi, e, generalmente la Sardegna, è sentitamente e sinceramente cattolica (…). La Loggia massonica impiantata a Cagliari, capitale dell’Isola, quantunque non mi consti che altrove abbia disteso le sue ramificazioni, certamente non posso negare che in Nuoro abbia ricetto, ove non avrebbe mai attecchito se avvece di un clero dissoluto, ignorante, infin­gardo, che, salve rarissime eccezioni, par abbia fatto il callo ad ogni obbrobrio, e fa la sua gloria tradizionale il mettersi in urto ed in contraddizione col proprio vescovo, avesse trovato dei sacerdoti zelanti, esemplari, istruiti e curanti degli obblighi del proprio ministero>>.128

 Nel 1902 moriva Monsignor Demartis e la Diocesi di Nuoro fu affidata a Monsignor Canepa che veniva accolto in città con lo stesso clima “di campagna di anticlericalismo, di cui la città di Nuoro era stata il centro, fin dalla seconda metà dell’800>>.129

 

 

 

 


II

Curriculum scolastico di Salvatore Daddi (1868-1889)

2.1. Alunno del Ginnasio di Nuoro (1876-1881).

In questo clima politico, sociale ed economico di Nuoro, si colloca la formazione culturale e politica del futuro esponente del movimento cattolico del  Capo di Sopra.

Salvatore Daddi nacque a Gavoi, grosso centro barbaricino che allora contava poco meno di 4.000 abitanti, il 7 marzo 1862, da Pietro Antioco e Maria Domenica Marchi; fu battezzato il giorno seguente nella parrocchia di S. Gavino e suoi padrini furono Raffaele Cidu e Maria Soru, entrambi di Gavoi.130

Salvatore era il sesto di undici figli;131 nei registri dei battesimi si rileva, però, che tre nomi propri sono ripetuti a distanza di pochi anni; possiamo dunque supporre che tre bambini siano morti in minore età e che, come si usava nel periodo, al nato successivo fosse stato dato il nome del fratellino.132

Da fonti orali si apprende che i Daddi erano una famiglia di grossi proprietari terrieri e insieme ai Mureddu,  Maoddi,  Lavra, Marchi e Costeri, si contendevano tutte le cariche pubbliche nel paese; i gavoesi chiamavano queste famiglie benestanti “sos vassallos “.

I Daddi avevano intrapreso, felicemente, anche la via del commercio di patate, formaggio, ma soprattutto di pelli, briglie,  speroni e orbace; questi “mercanti girovaghi”, che prendevano il nome di “zillonarzos” , erano una caratteristica di Gavoi.

“È osservanza costante, che di dieci che si applicano a questo mestiere di poltroneria, uno appena giunge a sessant’anni”,133  scriveva l’Angius; i gavoesi andavano invece fieri di questi mercanti che percorrevano l’isola a cavallo; essi si recavano soprattutto nelle fertili pianure del Campidano e oltre a vendere le proprie merci erano anche i primi intermediari tra i compratori e i venditori di quelle terre che oggi sono di proprietà di tanti pastori gavoesi.

Sempre da fonti orali si apprende che i Daddi possedevano alcuni mulini idraulici e alcune gualchiere e, quindi, esercitavano una piccola attività industriale; insieme ad essa possedevano sicuramente molti terreni sebbene ciò non risulti da atti stipulati da notai di Gavoi; l’unico riscontro notarile riguarda un atto di lascito ai figli di un terreno di quattro ettari da parte di Pietro Antioco Daddi, morto il 3 gennaio 1873, registrato solo il 26 novembre 1892.134

Il ricordo popolare della famiglia Daddi si lega soprattutto alla loro casa, sicuramente una delle più belle del paese: “la casa era costruita su tre piani, con oblò nelle mansarde e intonacata all’esterno. Si affacciava su tre vie e dalla parte della via princi­pale, via Martiri, si trovava un grosso arco in granito che por­tava all’interno della casa attraverso un lungo selciato. (…) avevano persino il bagno alla turca! “135.

In questa casa borghse pare abbia trascorso i suoi primi 14 anni Salvatore Daddi frequentando i quattro anni della scuola elementare casatiana e, molto probabilmente, per quattro anni aiu­ando il padre e i fratelli che, rimasti ancora giovani alla guida dell’azienda paterna ( dal momento che il padre morì nel 1873 ), vollero probabilmente insieme alla madre che il ragazzo si iscrivesse, anche se con un ritardo di 5 anni, al Ginnasio di Nuoro.

Nel 1876, a 14 anni, Salvatore Daddi figura iscritto alla prima classe del Regio Ginnasio di Nuoro, allora frequentato dai rampolli delle famiglie benestanti del nuorese, sia quelle aristocratiche sia quelle borghesi.

Tra i suoi compagni di classe ritroviamo, infatti, il futuro celebre pittore Antonio Ballero, Francesco Cucca, Raffaele Gaia, Ciriaco Porcu, Pasquale Rocca, Antonio Sanna, Giovanni Antonio Satta, Giovanni Santus Deledda – fratello maggiore della scrittrice Grazia – Cesare Musio, Francesco Musio, Fabio Serra, Gavino Tola.136

Il capoluogo del circondario era una cittadina di quasi seimila abitanti e per quanto non molto popolata, rispetto a Sassari e a Cagliari che allora contavano rispettivamente 32.674 (secondo il censimento del 31 dicembre 1871)137 e 33.039 abitanti, era comunque il centro più popolato del nuorese e ospitava le più cospicue famiglie del circondario. La cittadina era divisa in vari quartieri ben identificati ed individuabili a seconda dei suoi stessi abitanti; vi erano i pastori “arroccati” a San Pietro, i contadini e i braccianti nelle case basse di Seuna e, infine, i borghesi nei “palazzi” ottocenteschi della “bia Mayore”; forse “il volto, per così dire, cittadino di Nuoro, si coglieva in questa strada, nella quale si affacciava la Chiesa di Sa Purissima, che per alcuni anni fu usata come Chiesa Cattedrale e dove si apri­vano i caffè, le due farmacie e i negozi”.138

Gavoi distava da Nuoro circa sette ore di viaggio (45 Km.) e le rudimentali vie di comunicazione rendevano il percorso interminabile. Nel 1875 “la città poteva soltanto contare su due collegamenti fissi di diligenze tra Nuoro e Macomer e tra Nuoro e Orosei, oltre a varie corse, una o due la settimana, con gli altri paesi vicini”.139

Venire a Nuoro per frequentare il Ginnasio significava per i figli della borghesia agraria e mercantile degli sperduti villaggi della barbagia, porre le basi per il Liceo e l’Università da frequentare o a Sassari o a Cagliari, allora vivaci centri della vita economica e politica sarda. Non mancarono naturalmente studenti che poterono permettersi di portare avanti gli studi universitari a Torino o in altre città del continente.

Forse quei ragazzi del Circondario arrivavano a Nuoro pieni di speranze, di sogni; arrivavano da “quei minuscoli centri ( biddas, ville ) lontani quanto le stelle l’uno dall’altro, che guardavano a Nuoro come alla capitale; paesi di pastori, di contadini, di gente occupata a contare le ore della giornata, ma i cui figli avevano scoperto l’alfabeto, questo mezzo prodigioso di conquista, se non altro di redenzione dalla terra arida, avara”.140  Quei ragazzi lasciavano per la prima volta il loro paese ed erano incantati dalle vetrine, dai caffè, dagli abiti civili che indossavano alcuni uomini di Nuoro. “Quell’avvocato e quel notaio di Nuoro che parlavano coi loro padri un sardo più raffinato del loro olzaese o orunese, o gavoino, erano uomini che “sapevano”, anche se essi non capivano quel che dicevano, e “sapevano” perché erano nuoresi. Si formava così nella loro mente l’idea che bisognava diventare nuoresi per essere qualcuno, e quest’idea li spingeva a studiare, ad andare al ginnasio, al liceo e a correre anche la grande avventura dell’Università>>.141

Il corso di studi ginnasiali di Salvatore Daddi fu regolare, superò ogni anno scolastico senza problemi; la media dei voti dell’ultimo anno è del 7,5, e nell’esame di licenza tenutosi il 7 luglio 1881, “visti i registri delle note bimestrali del quinquennio fu dal collegio dei professori dispensato dalle prove di Italiano, Greco e Storia>>.142

L’impegno scolastico del Daddi è ancora più apprezzabile se si pensa che in quegli anni vi era stato del malcontento da parte delle famiglie degli alunni contro il Direttore e gli insegnanti del Ginnasio a  causa dell’elevato numero di respinti. I genitori denunciavano con un esposto al Sottoprefetto, che “non pochi alunni avevano dovuto ripetere quattro anni la stessa materia. Se si va di questo passo si vedrà veramente il ginnasio occupato dal signor Direttore e dal suo subordinato signor bidello; bisogna rivedere il modo di direzione sia del Direttore che degli insegnanti, se per caso non hanno colpe anche loro”. Il Sottoprefetto richiamò il Direttore del Ginnasio che in risposta dichiarò: “La nostra scuola è sorta per foggiare nel migliore dei modi i migliori giovani; chi non se la sente di frequentarla può benissimo e facilmente rinunciarvi”.143

Il Regio Ginnasio era sorto a Nuoro nel 1861; era il primo istituto medio della città ( la prima scuola “normale” elementare era sorta nel 1823 ), il terzo in Sardegna dopo quello di Sassari e Cagliari.

La prima sede del Regio Ginnasio fu il Convento dei francescani  che nel 1867 era stato soppresso e incamerato con tutti i beni degli ecclesiastici dallo Stato; “essere al Convento, andare al Convento, voleva dire essere a scuola, andare alla scuola (…). Dall’atrio si scendeva per una breve scala in quello che doveva essere stato il vero Convento. Era una specie di quadrato con un cortile troppo piccolo per essere un chiostro, e da due lunghi e opposti corridoi si accedeva alle aule, che poi non erano che le celle dei frati”.144

Dai registri del Regio Ginnasio, apprendiamo che Salvatore Daddi, come molti dei suoi compagni, risiedeva in casa di privati e non nel Convitto della città. Non si conosce il domicilio del giovane nei primi tre anni trascorsi a Nuoro; non è improbabile che data la vasta parentela risiedesse presso qualche parente laico o ecclesiastico: nei documenti scolastici sotto la dicitura “domicilio” compare la frase ” a pensione da”   senza nessun’altra precisazione; il quarto anno, invece, egli alloggiava in casa di una certa Luigia Ruju insieme al fratello Giovanni Maria che si iscrisse alla prima classe nell’anno scolastico 1879-1880; probabilmente la signora Ruju era un’affittacamere o una conoscente della famiglia Daddi, purtroppo non abbiamo altre notizie in proposito. Nel 1881, anno in cui conseguì la licenza,  egli alloggiò in casa del sacerdote Sebastiano Cambosu.145

Costui è uno zio canonico di Grazia Deledda, fratello della mamma di Grazia, Francesca Cambosu; “In quel tempo i preti sceglievano la loro carriera per non saper altro che fare; ma lo zio Sebastiano, sebbene di famiglia povera, aveva scelta la sua per vocazione sincera. Era un uomo intelligente e anche colto, che sapeva di lettere e di latino, tanto che una volta, essendo stato a Roma, con un sacerdote polacco che non conosceva l’italiano si erano perfettamente intesi nella lingua di Cicerone>>.146

A Nuoro, come abbiamo detto, esisteva un Convitto che ospitava gli studenti del Circondario; forse le agiate condizioni della famiglia Daddi avevano permesso la scelta di una pensione privata che offriva sicuramente maggiori comodità rispetto al Convitto, oppure il malcontento popolare intorno al Convitto e al suo Direttore era così forte da condizionare le scelte di molti studenti. Nel 1899, tale malcontento portò addirittura alla soppressione di questo istituto; nello stesso anno un ispettore incaricato di esaminare le condizioni del Convitto scriveva nella sua relazione: “come persone di servizio abitavano nel Convitto da quattro a cinque donne di mal affare che donavansi continuamente in braccio a bidelli, agli alunni e anche alle persone estranee. Tali donne, quando si accorgevano che degli uomini restavano restii alle loro premure, li eccitavano in varie ma­niere e specie con atti sfrenati e licenziosi”.147

Probabilmente è durante gli studi ginnasiali che Salvatore Daddi conobbe Francesco Dore, frequentante in quegli anni lo stesso istituto; questi era stato uno dei primi aderenti al movimento democratico cristiano della Sardegna. Egli aveva sostenuto nella stampa cattolica isolana e in quella nazionale, l’esigenza di un più preciso impegno in senso democratico dei cattolici organizzati in campo associativo, economico, sociale e politico.

È indubbio che sia il canonico Cambosu sia Francesco Dore influirono non poco sulla formazione culturale e religiosa del giovane Daddi anche se, purtroppo, a parte la nota amicizia col Dore, non si ha alcuna documentazione in proposito.

2.2. Gli anni del Liceo a Cagliari (1881-1885).

Nel 1881, a 19 anni, Salvatore Daddi figura iscritto alla prima classe del Regio Liceo “Dettori” di Cagliari.148

Il Regio Liceo e Ginnasio “Dettori”, si trovavano nel quartiere della Marina – fulcro del commercio sardo con l’Italia e con l’estero – uno dei più antichi di Cagliari insieme a quello di Castello, di Stampace, di Villanova.

Le scuole occupavano “l’ex casa professa dei Gesuiti di Santa Teresa, in cui dessi aveano, fin dal XVII secolo, fondato un corso di studi, e nella quale, dopo la loro soppressione, nel 1774, si insegnarono le lettere latine da ecclesiastici, fra cui è da ricordare l’ex gesuita Carboni Francesco, da Bonnannaro, professore di Retorica e distinto poeta latino>>.149

Con il ritorno dei Gesuiti, nel 1822, era stato fondato un collegio detto Reale, che gli stessi Gesuiti ressero sino al 1848, anno in cui furono cacciati.

Il collegio comprendeva le scuole elementari, quelle grammaticali – che più tardi diventeranno Ginnasio – e un corso di filosofia, che diventerà il Liceo.

Il 13 novembre 1859 furono istituiti il Liceo ed il Ginnasio che presero il nome dall’abate tempiese Gio Maria Dettori, professore di Teologia.150

“L’edifizio è molto vasto ma mal disposto ed umido; uno stipite del portone conserva tuttora i segni del fuoco che vi fu appiccato nella memoranda notte del 15 febbraio 1848, mentre che tutta la contrada era gremita di popolo”.151

Cagliari nel 1881 contava un’ Università con i suoi musei e la biblioteca, un laboratorio chimico ed uno zoologico, una scuola di clinica ed un orto botanico, un liceo governativo e due privati, due ginnasi governativi e ben sette privati, un istituto tecnico, una scuola d’arte e mestieri, due corsi elementari maschili – entrambi comprendenti le cinque classi – e diverse scuole femminili pubbliche e private. A ciò si aggiungano i quattro istituti pubblici di educazione e di istruzione: il Seminario, il Convitto nazionale, il Collegio dei sordomuti e la scuola enologica, più gli stabilimenti pii.152

Nell’anno scolastico 1883-84 gli alunni iscritti ai due Ginnasi governativi furono 174, quelli iscritti ai sette Ginnasi privati furono 522. Nello stesso anno scolastico gli alunni iscritti al Regio Liceo “Dettori” furono 62, quelli iscritti ai due Licei privati furono 10. Nell’anno scolastico 1887-88 furono soppressi quattro Ginnasi privati e i due Licei non governativi, così da far salire il numero degli iscritti al “Dettori” a 91.153

Preside del Regio Liceo “Dettori” era, secondo dati del 1892, il dott. Stefano Bassi, anche membro del Consiglio Scolastico Provinciale.154

Dalle stesse fonti apprendiamo che insegnavano nel Liceo i seguenti professori: Alessandro Arrò (greco), Attilio Carro (filosofia nella I e II classe), Filippo Caccialanza (storia e geo­grafia), Antonio Fais (Matematica), Pietro Pellizzari (filosofia nella III classe), Alberto Pugliese (chimica e fisica), Francesco Tamburlini (scienze naturali), Guglielmo Volpi (lettere ita­liane), Silvio Vitacchio (ginnastica).155

Ma dal 1867 al 1885, è quindi compreso il periodo degli studi liceali del Daddi, fu professore di filosofia al “Dettori” il sacerdote Antioco Polla, “esponente di maggior prestigio intellettuale del giobertismo isolano e uno dei pochi, irriducibili giobertiani sopravvissuti alla temperie filosofico-politica dell’Italia post-unitaria>>.156

Il filosofo Polla ebbe un certo spazio nella cultura cattolica nazionale collaborando con il Campo dei filosofi italiani (1868), <<organo del giobertismo impegnato a contrastare l’hegeli­smo>>,157 e con il settimanale Gerdil (1862), <<rivista aperta al dialogo tra giobertiani e rosminiani>>.

Dai registri scolastici del Liceo “Dettori” apprendiamo che il corso di studi di Salvatore Daddi fu regolare nel biennio 1881-83, mentre incontrò delle difficoltà nell’ultimo anno. Non riuscì infatti a superare l’esame di licenza tenutosi nell’ottobre 1884: “Ripeterà l’intiero esame tranne le due prove di latino e le orali di storia civile, di storia naturale e di fisica”.158 Nel luglio dell’anno successivo Salvatore ripeterà l’esame che supererà con la seguente votazione: (scritti) Italiano 6, Latino 6, Greco 9, Matematica 5; (orali) Italiano 8, Latino 7, Greco 8, Matematica 7, Storia 6, Filosofia 7, Fisica 6, Storia naturale 6.159

Tra gli alunni del Regio Liceo “Dettori” troviamo iscritto in quegli anni anche Giovanni Santus Deledda, già compagno di classe di Salvatore Daddi nel Ginnasio di Nuoro.

Purtroppo i Registri scolastici del “Dettori” non ci sono di aiuto per risalire al domicilio liceale cagliaritano del Daddi; vi è registrata, infatti, solo la residenza in Gavoi.

È certo però che Salvatore Daddi durante il periodo della sua residenza liceale a Cagliari ebbe modo di conoscere i protagonisti del movimento cattolico cagliaritano e, in primo luogo, i dirigenti e i soci del Circolo democratico Leone XIII e, come si vedrà più avanti, entrò in amicizia con gli stessi.

Ebbe modo anche di conoscere al Liceo i giovani borghesi di Cagliari, Bosa, Nuoro e di altre zone del Capo di Sotto, suoi compagni di scuola.

2.3. Gli studi universitari (1885-1889).

Il 30 novembre 1885 Salvatore Daddi si iscrisse nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari.160

L’Università degli studi di Cagliari si trovava nell’antico quartiere di Castello, dove risiedeva il patriziato cagliaritano; per questo motivo il quartiere veniva anche volgarmente chiamato “il quartiere dei nobili” o “il quartiere della burocrazia” dato che oltre l’Università, vi si trovavano gli uffici più importanti della città come la Prefettura, la Provincia, il Municipio, l’Intendenza di finanza, le Corti d’Appello e d’Assise, il Tribunale.

Nel 1603 gli Stamenti avevano deliberato la fondazione dell’Università a Cagliari, con l’approvazione di Papa Paolo V; nel 1620 il Re di Spagna Filippo III, ne ordinò la costruzione e gli Stamenti concorsero  nelle prime spese con mille ducati.161

L’Università fu inaugurata nel 1626; il primo edificio che la ospitava era situato in Piazza Vittorio Emanuele I, oggi Piazza Indipendenza, davanti alla Torre di S. Pancrazio.

“Vi si entra per un ampio vestibolo, in contro vi è una statua consolare antica trovata in Sant’Antioco, ed indi vi è l’atrio colla cisterna, tutto chiuso a vetroni d’intorno (…). Tutto l’edi­fizio di bella architettura è di due piani oltre il terreno, ed ab­braccia il Museo, la Biblioteca, la segreteria, l’aula maggiore per le funzioni accademiche e le sale per le scuole”.162

Sotto il regno di Carlo Emanuele III, con il Ministro Bogino, si costruì l’attuale palazzo universitario, posto in Via Università – già Via del Balice – e il 3 novembre 1764 ci fu la solenne inaugurazione.163

Inizialmente l’Università aveva 28 Cattedre, cioè 3 di Teologia, 8 di Giurisprudenza, 8 di Medicina e Chirurgia, 6 di Scienze fisiche e matematiche, 3 di Filosofia e Lettere. Nel 1875 venne soppressa la Facoltà di Teologia – più per mancanza di iscrizioni che per la legge del 26 gennaio 1873 che sopprimeva tutte le Facoltà di Teologia del Regno164 – il III corso di Matematica e venne sottratto a questo Ateneo il personale della Facoltà di Lettere ( per trasferimento ad altra sede ) che non poté più funzionare sino al primo dopoguerra.165

Le Università di Cagliari e Sassari soddisfacevano, comunque, alle esigenze dell’isola; in entrambe le città oltre le Facoltà principali, conferivano  diplomi di levatrice,  di notaio e procuratore e a Cagliari si teneva un corso di preparazione per l’ammissione alla scuola di Ingegneria.166

Nel 1862 la legge Matteucci aveva diviso le Università italiane in due categorie, sulla base delle capacità di finanziamento degli enti locali; le Università di Cagliari e Sassari rientravano nella seconda poiché non riuscivano a pagare la quota necessaria per il passaggio di categoria.167

La crisi finanziaria degli anni ’90 portò il Governo a fare nuovi tagli nel settore dell’istruzione; il progetto di legge Gianturco del 1897 e quello del Bacelli del 1898, si indirizzavano verso un ridimensionamento dei due centri di studio sardi, motivando questi progetti con il fatto che i due Atenei non erano necessari in relazione al numero degli abitanti della Sardegna. Cagliari e Sassari si opposero fermamente al progetto di fusione non volendo rinunciare ad avere ciascuna la propria Università.168

Il periodo post-unitario apre dunque per le Università sarde una fase di crisi che finirà nei primi anni del XX secolo; solo nel 1902 infatti, i due Atenei isolani vennero portati al primo grado.

“Dopo l’Unità l’iscrizione all’Università diventa libera ma più dipendente dalle disponibilità economiche. Le tasse di immatricolazione, di iscrizione ai corsi e di esame, divengono infatti così onerose da determinare un calo verticale degli iscritti”.169

Dalla documentazione riguardante lo studente Salvatore Daddi, apprendiamo che la tassa di immatricolazione per l’anno accademico 1885/86 fu di 30 lire; sempre al primo anno si dovevano poi pagare due tasse per la frequenza ai corsi di 25 lire ognuna e una sovrattassa di esame di altre 25 lire. Nell’anno accademico 1886/87 Salvatore Daddi fu dispensato sia dalla tassa annua di iscrizione, che era di lire 155, sia dalla tassa di Diploma di Notaio e Procuratore che era di 20 lire. Al terzo anno di studi il Daddi pagò le 155 lire di tassa annuale di iscrizione ma fu dispensato dalla sovrattassa di esame. Infine al quarto anno pagò la sovrattassa di esame ma fu dispensato sia dalla tassa annuale di iscrizione che da quella di Diploma Dottorale che era di 60 lire.

Tra il 1885 e il 1889 dunque, un ragazzo che voleva frequentare l’Università, spendeva in tasse scolastiche mediamente 200 lire annue.

Nel 1894 ci fu un rincaro: la tassa di immatricolazione fu portata a  40 lire, la tassa annua di iscrizione a 165 lire, rimase invariata la sovrattassa di esame e la tassa di Diploma.170

Tra le cause che più contribuirono ad un calo degli iscritti nelle Università isolane, occorre ricordare anche il disinteresse per la carriera ecclesiastica e per le professioni liberali.

Fra il 1861 ed il 1890 restano in media nei due Atenei sardi non più di un centinaio di iscritti che rappresentano, salvo alcune eccezioni, la società borghese isolana.171

Nell’anno accademico 1874/75 risultano iscritti alla Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari solo 38 ragazzi; nell’anno accademico 1897/98  85 .172

Questo lieve incremento degli iscritti può essere spiegato con l’estendersi e il ramificarsi della attività statale negli anni di fine secolo, che permise una rivalutazione della laurea in leggi; questo titolo iniziò infatti a garantire, oltre all’esercizio dell’avvocatura, l’inserimento nelle amministrazioni giudiziarie, in quella civile, nell’insegnamento, nel giornalismo.173

Il corso di laurea in Giurisprudenza si divideva in quattro anni di studio; sostenuti gli esami previsti per il primo e il secondo anno si conseguiva il Diploma di Notaio, mentre con il corso completo di studi si conseguiva il Diploma Dottorale. Ogni anno prevedeva dei corsi obbligatori e altri liberi; negli anni di studio di Daddi il primo anno comprendeva dei corsi obbligatori di Istituzioni di diritto romano col prof. Antioco Loru; di Diritto civile col prof. Battista Lay Isola; di Diritto penale col prof. Gavino Scano; di Procedura civile col prof. Francesco Angioni Contini; di Diritto commerciale col prof. Ottone Bacaredda. Vi erano poi dei corsi liberi quali Enciclopedia giuridica ed Istituzioni di diritto civile col prof. Lay Isola e Diritto romano, corso tenuto dallo stesso professore.

Il secondo anno comprendeva i corsi obbligatori di Diritto civile col prof. Lay Isola; di Diritto penale col prof. Gavino Scano; di Diritto amministrativo col prof. Serafino Soro. Vi erano inoltre tre corsi liberi: Diritto romano col prof. Lay Isola; Storia del diritto italiano col prof. Giovanni Porcu Giua e Procedura penale col prof. Scano.

Il terzo anno comprendeva i corsi obbligatori di Storia del di­ritto romano col prof. Matteo Careddu; di Economia politica e Statistica col prof. Giuseppe Todde; di Filosofia del diritto col prof. Antonio Campus Serra; di Storia del diritto italiano col prof. Giovanni Porcu Giua; di Diritto costituzionale col prof. Soro. Vi era un solo corso libero: Esegesi sulle fonti del diritto romano tenuto dal prof. Giuseppe Picinelli.

Il quarto anno prevedeva solo corsi obbligatori di Diritto internazionale col prof. Gaetano Orrù; di Medicina legale col prof. Campus Serra; di Storia del diritto romano col prof. Careddu; di Diritto finanziario col prof. Enrico Carboni Boy; di Diritto amministrativo col prof. Soro.

Salvatore Daddi sostenne nell’anno accademico 1885/86 l’esame di Enciclopedia ed istituzioni di diritto civile (28/30), di Procedura civile (27/30), di Diritto commerciale (29/30), di Istituzioni di diritto romano (28/30); nell’anno accademico 1886/87 sostenne l’esame di Diritto amministrativo (29/30), di Diritto civile (28/30), di Diritto penale (26/30), di Procedura penale (27/30) e di Diritto romano (27/30).

Al termine del biennio di studi, Salvatore Daddi ricevette, il 15 luglio 1887, il diploma di Notaio.

Il terzo anno di studi, 1887/88, Salvatore Daddi sostenne l’esame di Filosofia del diritto (29/30), di Diritto costituzionale (29/30), di Economia politica (27/30), di Statistica (30/30) e di Storia del diritto italiano (30/30).

Nell’anno accademico 1888/89 sostenne l’esame di Storia del diritto romano (27/30), di Medicina legale (29/30), di Diritto internazionale (27/30) e di Diritto delle finanze (30/30).

Il 30 luglio 1889 conseguì il Diploma Dottorale con la votazione di 107/110.

Tra i docenti di Salvatore Daddi, ritroviamo alcuni nomi illustri della vita socio-politica cagliaritana di fine ‘800.

Iniziamo da Ottone Bacaredda ( 1849-1921 ) che approdò alla politica ancora molto giovane poiché divenne Sindaco di Cagliari appena quarantenne e mantenne questa carica, benché con alcune interruzioni, per più di trent’anni.

Bacaredda, sostanzialmente giolittiano, si presentò alle elezioni politiche comunali con uno schieramento politico, denominato “La casa nuova”, animato da propositi di rinnovamento; le elezioni si tennero il 16 novembre 1889 e il Bacaredda vinse con una larghissima maggioranza.

Ebbe il compito di governare la trasformazione e la crescita della città ( Cagliari nel 1889 non aveva più di 40.000 abitanti e nel 1921 ne aveva più di 61.000 ) e soprattutto il suo abbelli­mento, secondo un’etica borghese, che gli valse continui attacchi da parte del giornale radicale locale, Il Paese, ispirato da Umberto Cao.174

Nel corso della gestione del potere municipale da parte del Bacaredda, non mancarono i momenti difficili; gli vennero contestate soprattutto le ingenti spese sostenute per l’ammodernamento della città. Nel 1896 il Comune si trovò a poter di­sporre di oltre 3.000.000 di lire; la somma venne utilizzata per interventi straordinari quali l’ampliamento della manifattura dei tabacchi, lavori di restauro al cimitero, un contributo per la co­struzione del nuovo palazzo delle dogane, la costruzione di nuove vie e nuove fognature, la costruzione di case economiche e popolari e soprattutto la costruzione di un nuovo Municipio che si decise di erigere in Via Roma.175

Soprattutto sul punto riguardante la costruzione di nuovi alloggi popolari vi furono molte contestazioni poiché la somma dispo­sta, 100.000 lire, non fu ritenuta sufficiente. L’inur-bamento aveva infatti causato degli agglomerati di persone che vivevano in condizioni indecenti: numerosi lavoratori arrivati in città dormivano anche con altre dieci persone in una stanza. Le con­testazioni maggiori contro il programma edilizio assolu-tamente insufficiente, furono avanzate soprattutto dai giornali cattolici locali. È vero che parte delle somme spese poteva avere una migliore utilizzazione in campo sociale, ma è anche vero che con queste costruzioni Cagliari fece un salto di qualità e di prestigio.

Gli anni peggiori della “gestione” Bacaredda furono sicura­mente quelli del 1906-1907, quando la protesta popolare per il livello insostenibile dei prezzi sfociò in una violenta solleva­zione; agli scioperi da parte di diverse categorie di lavoratori seguirono i tumulti, gli scontri violenti ( ricordiamo che 2 per­sone persero la vita e vi furono tantissimi feriti ), si rovescia­rono le vetture tranviarie – malviste soprattutto dai carrettieri, che assicuravano le comunicazioni con Cagliari e che non erano in grado di resistere alla concorrenza dei nuovi mezzi176 – si bruciarono i gabellotti del dazio.

<<Certamente la protesta era nata dal vertiginoso aumento dei prezzi, ma si può affermare – senza forzare il significato di qu­anto accaduto – che la protesta era contro i poteri pubblici, l’amministrazione del Comune in primo luogo>>.177

Il 16 maggio 1906 la Giunta e il Consiglio comunale rassegna­rono le dimissioni e venne quindi nominato un Commissario prefettizio, Angelo Sanguigno.

In questo periodo Ottone Bacaredda scrisse un testo178 che <<vuole essere un pesante atto di accusa nei confronti della estrema – da lui ritenuta responsabile, per motivi solamente politici dell’agitazione – e una difesa dell’operato dell’ammini­strazione da lui diretta>>.179

Il 29 luglio 1906 si tennero le elezioni amministrative e Bacaredda fu rieletto Sindaco; la prima seduta del nuovo Consiglio si tenne il 4 agosto ma il Sindaco non si presentò in­caricando il Consigliere anziano Nicolò Carassino Valle di chie­dere a suo nome di non essere rieletto Sindaco; dei 33 presenti alla votazione, 31 rielessero Bacaredda Sindaco. Le due schede bianche sono da attribuire ai suoi oppositori Cao e Guidi. Era comunque estremamente difficile governare e un mese dopo fu nominato un altro Commissario prefettizio.

Il 24 marzo 1907 vi furono nuove elezioni, Bacaredda fu quinto, ma dopo persone a lui politicamente e umanamente vi­cine; il 31 marzo Bacaredda fu nuovamente Sindaco di Cagliari.180

Altro docente di notevole importanza è Gavino Scano (1818-1898), famoso massone sardo. Deputato al Parlamento subal­pino, pubblicò diversi scritti giuridici e letterali e numerosi ar­ticoli; ricordiamo che era comproprietario de Il Corriere di Sardegna.

<<Esercitò con molto successo l’avvocatura, fu Preside della Facoltà giuridica e Rettore dell’Università di Cagliari, e nel 1890 per la posizione di grande prestigio non solo sul piano lo­cale conquistata in oltre mezzo secolo di attività, venne nomi­nato Senatore del Regno>>.181

Tra i tanti impegni che lo videro protagonista, ricordiamo che fu anche Presidente del Collegio degli Avvocati presso la corte d’Appello e il Tribunale civile e penale di Cagliari.182

Altro protagonista della vita politica cagliaritana di fine secolo fu Giuseppe Todde (1829-1897).

Francesco Cocco Ortu, nel 1870, così scriveva di lui: <<Egli fu giornalista nei periodi più tempestosi della stampa sarda. E v’ha talvolta nei suoi articoli un’arguzia che non dispiace, ed un sar­casmo che ferisce. Venne parecchie volte proposto per deputato, ma non poté mai riescire. Perché? Forse il giornalismo gli ha creato molti nemici; forse fu sempre indeciso nello scegliere cui volesse tenere per amici. (…) Ingegno non gliene manca, i denti della malizia gli ha spuntati; economista e non tra i meno valenti può, volendolo, essere un rappresentante non cattivo>>.183

Il Todde, liberal-conservatore, <<sostiene l’esigenza del decen­tramento amministrativo comunale e provinciale. Antisocialista accanito, tiepido sui temi come la povertà (nel 1882 sosteneva che la povertà in Sardegna era quasi scomparsa), la partecipa­zione politica delle classi liberali, l’obbligatorietà e gratuità degli studi elementari>>.184

Fu promotore del giornale liberale Lo Statuto e inviso ai tuve­riani de La Gazzetta popolare. Fu membro effettivo della Giunta provinciale di statistica e Consigliere del Collegio degli Avvocati presso la Corte d’Appello e il Tribunale civile e penale di Cagliari.185

Il docente Antonio Campus Serra fu eletto Deputato della Provincia per tre legislature consecutive, la XVIII, la XIX, la XX; occupò altre cariche pubbliche come quella di membro supplente della giunta distrettuale per le liste dei giurati di Cagliari e di Consigliere del Collegio degli Avvocati presso la Corte d’Appello e il Tribunale civile e penale di Cagliari.186

Diverse cariche pubbliche occupò anche il Prof. Francesco Angioni Contini; nel 1890 venne eletto Consigliere provin­ciale,187 fu membro del Consiglio scolastico provinciale,188 membro effettivo del Consiglio sanitario provinciale e membro supplente del Consiglio di leva; fu infine Tesoriere del Collegio degli Avvocati di Cagliari.189

Il Prof. Battista Loy Isola fu dal 1891 Consigliere provinciale e Comunale,190 membro del Consiglio scolastico provinciale e membro del Comitato forestale.191

Il Prof. Giuseppe Picinelli fu Sindaco di Cagliari dal 1902 al 1904 e fu poi Assessore comunale all’istruzione;192 Sindaco di Cagliari dal 1880 al 1882 e nel 1889 fu anche il Prof. Gaetano Orrù.193

Il Prof. Enrico Boy venne eletto nel 1891 Consigliere comu­nale, infine il Prof. Antioco Loru venne nominato Senatore del Regno il 25 novembre 1883.194

È indubbio che questi maestri universitari di Salvatore Daddi, abbiano vivacizzato la sua vita di studente.

Alcuni di questi erano sicuramente filogovernativi, altri all’op­posizione; pochi di orientamento cattolico, i più di orientamento laico e liberaldemocratico.

Non mancarono di certo durante le lezioni, discussioni e dibat­titi tra quanto succedeva a livello politico e sociale, tutte occa­sioni di formazione per il futuro esponente del movimento cat­tolico.

Nel periodo in cui Salvatore Daddi risiedeva a Cagliari, esiste­vano in città 9 Società, 7 Circoli, 5 Associazioni militari e 5 Congregazioni religiose. Le Società erano: la Società operaia, costituitasi il 19 marzo 1855 con lo scopo di provvedere al be­nessere morale e materiale del ceto operaio; la Società Fratellanza commerciale, inaugurata il 1° gennaio 1868 e nata con lo scopo di assistere i commercianti in difficoltà finanziarie; la Società ginnastica Gialeto, creata nel 1883 con scopo pura­mente istruttivo; la Società ginnastica Garibaldi, costituita il 20 settembre 1886 da un gruppo di giovani con lo scopo di eserci­tarsi nella ginnastica; la Società dei canottieri sorta nel 1892; la Società cooperativa per risparmio e credito fra gli impiegati della compagnia reale delle ferrovie sarde, nata nel 1887; la Società fra i cultori delle scienze mediche e naturali; la Società fra gli ingegneri e gli architetti; la Società di mutuo soccorso fra i muratori, costituitasi il 1° gennaio 1865 con lo scopo di assistere i soci con sussidi; infine la Società dei pescatori, corpo­razione che è anteriore al 1712 e che aiutava i singoli membri sussidiandoli di lire 40 al decesso delle rispettive mogli e di lire 50 in caso di morte, oltre a provvederne il funerale.

Il Circolo principale era quello di San Saturnino, circolo catto­lico di cui abbiamo parlato precedentemente, che allora aveva come Presidente l’avv. nob. Alberto Lostia e come Assistente ecclesiastico il canonico Canepa. Gli altri circoli erano: il Casino Filarmonico, la società a scopo di diletto più antica di Cagliari ( fu fondata nel 1842 ); il Circolo Mario De Candia, costituitosi nel 1887 ed esclusivamente dedicato agli intratteni­menti musicali; il Circolo degli impiegati, dove si radunava il ceto burocratico; il Club alpino sardo; il Circolo universitario, nato con lo scopo di affratellare gli studenti universitari e di aiutare gli studenti poveri pagando loro le tasse scolastiche e provvedendoli dei libri necessari; infine il Circolo Tuveri, fon­dato da giovani studenti.

Le Associazioni militari avevano lo scopo di aiutare economi­camente ex militari e combattenti: la Società dei reduci delle patrie battaglie; la Società dei reduci di Crimea; la Società man­damentale del tiro a segno nazionale; il Circolo militare; la Cassa degli invalidi per la marina mercantile.

Vi erano infine le Congregazioni religiose, una per ogni quar­tiere, più la Congregazione degli artigiani, istituita dai gesuiti nel 1586.195

Queste associazioni di varia estrazione e riferimento ideologico potevano offrire al giovane Daddi opportunità di approfondi­mento politico e sociale tali da affinarne quello spirito combat­tivo che più tardi lo contraddistingueranno.

2.4. L’ attività di notaio (1889-1913).

Col conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della profes­sione di notaio, Salvatore Daddi, nel 1889, a 27 anni, inizia la sua carriera professionale notarile e, contempo-raneamente, da inizio alla sua carriera politica.

Della sua attività professionale restano 20 libri di atti conservati nell’Archivio Notarile di Sassari e attestanti l’esercizio della professione a Gavoi, Orani e nei paesi limitrofi.196

Ciascun volume registra un anno di attività ad eccezione del volume 13°, dove sono registrati gli atti stipulati dal Daddi dal 1902 al 1903, del volume 14°, che comprende gli anni dal 1903 al 1904, del volume 15°, che comprende gli anni dal 1905 al 1906, del volume 16° che comprende gli anni dal 1907 al 1908 e del volume 20° che comprende il 1912 e alcuni mesi del 1913; al 3 luglio 1913 risale l’atto notarile precedente di pochi giorni il suo decesso.

Lo studio di Salvatore Daddi era situato sino al 1909 a Gavoi in via Eleonora d’Arborea 19, sua casa natale nonché luogo di re­sidenza, da quell’anno in avanti ad Orani in vico Iosto.

Gli atti stipulati dal notaio Daddi sono tutti di compra-vendita di terreni e fabbricati ed alcune convalide di testamento.

Essi documentano indubbiamente 24 anni (1889-1913) di intensa attività notarile di Salvatore Daddi, sia a Gavoi sia nei paesi vi­cini facenti parte del suo distretto, e testimoniano altresì il suo costante esercizio professionale in tutto il breve periodo della sua esistenza.

Documentano anche il fatto che l’uomo per quanto preso dalla passione politica e giornalistica non abbandonò il suo ambiente e il contatto costante con la quotidianità degli impegni professio­nali.

Per meglio comprendere il suo impegno di amministratore lo­cale (1889-1907) e la parentesi di focoso polemista e direttore de L’Armonia sarda (dal 17 giugno 1904 al 1° luglio 1905)197 è necessario inserirlo in questo contesto professionale.

III Consigliere, Assessore e Sindaco del Comune di Gavoi.

3.1. L’impegno nella politica amministrativa di Gavoi.

Abbiamo già notato come col 1889 Salvatore Daddi inizia la sua attività politica a Gavoi, attività che si protrarrà ininterrotta­mente, salvo brevi intervalli, fino al 1907 (vale a dire per circa 18 anni), allorché, a seguito di un matrimonio mancato con una sua parente che provocò non poco scalpore nel paese, abban­donò la vita politica locale.

Da considerare anche l’anno di forte impegno giornalistico nel quotidiano cattolico L’Armonia sarda (dove, sicuramente a causa delle sue posizioni a favore dei liberali e contro l’asten­sionismo, dovette rompere col gruppo redazionale).

Prima di trattare del suo impegno politico locale ci sembra ne­cessario soffermarci a considerare brevemente la situazione so­cioeconomica di Gavoi.

Sul finire del XIX secolo Gavoi, come tutti i centri agropasto­rali, non aveva tra i suoi “figli” persone con una grossa co­scienza politica; alcune famiglie del paese conducevano una vita modesta, molte vivevano miseramente cercando di fronteggiare quotidianamente la fame.

Il paese era racchiuso tra i monti, isolato a causa delle inesistenti vie di comunicazione con i grossi centri, con un commercio limitato a quei “mercanti girovaghi” che varcavano le terre dei comuni limitrofi e raggiungevano le pianure del campidano.

La vita sociale, politica e religiosa di Gavoi era nelle mani di poche famiglie di proprietari terrieri e professionisti che ac­canto alla cura dei propri interessi, non disdegnavano darsi da fare per risolvere i problemi che angustiavano il loro territorio.

I Daddi, i Marchi, i Lavra, i Maoddi, i Satta, i Carboni, si avvi­cendavano nel palazzo comunale; gli intellettuali  provenivano da queste famiglie appartenenti alla borghesia laica o ecclesia­stica. Nella famiglia Daddi oltre a Salvatore si laureò Giovanni, sacerdote, che dopo aver studiato a Torino ed essere stato par­roco di Gavoi dal 1896 al 1904, divenne canonico della Cattedrale di Nuoro l’8 febbraio 1904 e prese possesso del ca­nonicato l’8 dicembre del medesimo anno.198 Altri due fratelli di Salvatore, Francesco e Giovanni Maria, frequentarono sicu­ramente il Ginnasio; l’uno divenne esattore a Mamoiada, l’altro, che si suppone avesse simpatie liberalmassoniche, fu Consigliere comunale di Gavoi nei primi anni del 1900.

I Daddi, così pure i loro cugini Marchi, facevano parte di quella borghesia “clericale” che andava inserendosi nell’ambiente del movimento cattolico; quasi tutte le famiglie “‘bene” di Gavoi erano di questo orientamento, ad eccezione dei Satta-Carboni, liberalmassonici.

Salvatore Daddi, una volta laureato e conseguita l’abilitazione a notaio nel mandamento di Gavoi, ritenne op-portuno dedicarsi alla vita politica amministrativa, pertanto presentatosi alle ele­zioni il 31 luglio 1889, all’età di 27 anni, fu eletto consigliere per la legislatura 1889-1894.

Di questa legislatura, purtroppo, mancano i resoconti delle deli­bere Consiliari e di quelle di Giunta, almeno fino al 1893 allor­quando Daddi, il 2 gennaio, divenne assessore comunale, carica che ricoprì fino alla fine della legislatura (1894) e che ricoprì ancora nella legislatura 1894-1898 e nella seguente (1898-1902).

Egli fu, dunque, semplice consigliere comunale dal 1889 al 1893, da quella data in poi egli risulta oltre che consigliere co­munale, ininterrottamente assessore per dieci anni (1893-1902).

Di questo lungo periodo sono pervenute fino a noi 17 delibere consiliari, tra le quali, tolte quelle di ordinaria amministra­zione199 , possiamo rilevare quelle di maggior interesse.

 Su proposta di Daddi, il 9 agosto 1897, si discusse e si deliberò sulla costituzione di una Biblioteca comunale; cito quanto recita il verbale di quella seduta: <<che scopo è la educazione morale e intellettuale se non un impulso a migliorare le classi agricole e la pastorizia per merito di libri che dallo stesso Circolo saranno provveduti (…). Molte cose troppo necessarie alla vita sono ignorate per non avere libri da cui attingere l’indirizzo dovuto per migliorare le condizioni economiche abbastanza depresse, non solo, ma per avere quello sviluppo di mente e rendere i mori umanitari perché l’ignoranza e la miseria rendono l’uomo quasi uguale ai bruti>>.202

Il1° febbraio 1896 si deliberava intorno alla “Nomina di una commissione di vigilanza scolastica”; erano presenti alla seduta i consiglieri: avv. Salvatore Daddi, Pietro Soru, Antonio Mastio, Cosimo Laj, Lorenzo Rocca, Pira, Giovanni Zedda, Luigi Cichi, Pietro Daddi; non intervennero: Giuseppe Carboni, avv. Salvatore Marchi, Michele Zurru, Filippo Sedda, Satta, Domenico Porcu. Il consigliere Salvatore Daddi, essendo uno tra i più anziani, fece le veci del Sindaco Carboni. Il Daddi verrà eletto deputato di vigilanza scolastica con 6 voti su 9 vo­tanti, insieme al consigliere Cichi.203

Il 19 agosto 1897, su proposta dell’Assessore Daddi, si deliberò sul riordinamento dell’archivio comunale,204 mentre il 2 di­cembre 1894 si era discusso sulla conservazione dei monumenti antichi nel paese, stabilendo che <<non potrà eseguirsi alcun la­voro negli edifici aventi pregio artistico e storico – e che – se nel restaurare o nel demolire un edificio qualsiasi si venisse a sco­prire qualche avanzo di pregio artistico o storico, il Sindaco ordina i provvedimenti consentiti dalle norme vigenti per la conservazione dei monumenti>>.205

In quel particolare periodo storico, in tutta la Sardegna era pro­fondamente sentito il problema legato alla mancanza di strade e soprattutto di un’adeguata rete ferroviaria. Nuoro venne colle­gata col resto della ferrovia esistente nell’isola solo nel 1889; tra l’altro i tronchi della ferrovia erano “monchi” dunque i paesi delle zone interne rimanevano ugualmente isolati. Similmente ad altri Comuni del Circondario, anche Gavoi fece sentire le sue proteste ribadendo che <<il tronco ferroviario Cagliari-Sorgono rimanendo nello stato attuale non ha scopo né ragione di esistere (…), unire Sorgono ad una di queste stazioni con una linea che unisca tutti i centri popolati di Gavoi, Sarule ed Orani, Tiana ed Ovodda senza scartare gli altri di Fonni, Ollolai ed Olzai ed Oniferi, è un’urgenza che si impone non solo per giu­stificare e rendere proficua la linea Sorgono-Cagliari, e la stessa linea Macomer-Nuoro, poco proficua pur essa nello stato attuale di isolamento, ma anche per dare un qualche sviluppo alle ric­chezze latenti di questa montagna, così fiorente di popolazione, di industria, di commercio>>.206

Per quanto riguarda il problema delle strade dal 1893 si chie­deva  l’apertura di alcune vie che almeno collegassero i paesi limitrofi a Gavoi, come la strada che avrebbe dovuto collegare Sarule ad Ollolai a Lodine <<utilissima alla circolazione al pubblico ed indispensabile ai proprietari di fondi vicini, dai quali vennero sporti molti lamenti>>.207

Dalle delibere sino ad ora esaminate notiamo che le verbalizza­zioni sono collegiali, non sono mai stati registrati singoli inter­venti; tutti i verbali ripetono la formula <<Il consiglio pro­pone>> ed <<Il consiglio delibera>>.

È evidente, tuttavia, l’incombente presenza di Daddi che appare interessato alle problematiche sull’istruzione, sulla conserva­zione del patrimonio architettonico, sulla buona conservazione dell’archivio comunale e sui problemi legati alle vie di comuni­cazione.

Nel periodo che va dal 1889 al 1902, mentre per un verso Daddi si dedica ad un’intensa vita professionale sia a Gavoi sia nei paesi del mandamento, per l’altro verso, da assessore, si preoccupa di problemi legati alla cultura e alle esigenze sociali.

Nella seduta del 19 ottobre 1902 Salvatore Daddi venne eletto Sindaco; erano presenti i Consiglieri: Antonio Cichi, Luigi Cichi, Giuseppe Marchi, Salvatore Marchi, Antonio Mastio, Giovanni Maria Daddi, Pietro Daddi, Salvatore Daddi, Filippo Sedda, Salvatore Sedda, Giuseppe  Maoddi, Don Luigi Satta, Giovanni Porcu; assenti i Consiglieri Giò Maria e Michele Lavra. Il Consigliere Satta si astenne dal votare e chiese al Consiglio di poter presentare un voto ragionato per giustificare la sua astensione.  I motivi dell’astensione furono: <<L’avvocato Daddi si ritiene e corre voce avere interesse nell’appalto dell’e­sattoria per il decennio 1903-1912. Della condotta poi morale e civile fui informato dalla autorità civile e militare e da persone disinteressate e probe>>.208

Questa delibera fu in seguito annullata perché definita “fuori­legge” <<visto l’insufficiente numero previsto dei Consiglieri>>.

Il 6 agosto 1903 il Consiglio comunale si riunì in sessione straordinaria – terza convocazione – per deliberare sul mede­simo oggetto: “Nomina del Sindaco”. Erano presenti i Consiglieri: Antonio Cichi, Luigi Cichi, Giovanni Maria Daddi, Pietro Daddi, Salvatore Daddi, Giò Maria Lavra, Michele Lavra, Giuseppe Maoddi, Giuseppe Marchi, avv. Salvatore Marchi, Giovanni Porcu, Don Luigi Satta, Salvatore Sedda.

Per la seconda volta Salvatore Daddi veniva eletto Sindaco di Gavoi, ma nella riunione di Giunta del 20 dello stesso mese, sorsero numerose contestazioni.

Si procedette alla lettura di una lettera inviata dal Sottoprefetto di Nuoro Vittorio Peri in data 4 dicembre 1902, che esortava Salvatore Daddi a rinunziare alla carica di Sindaco visto che il fratello Giovanni Maria <<è notoriamente ritenuto come il vero appaltatore dell’esattoria per il decennio 1903-1912, avendo ciò egli stesso pubblicamente dichiarato>>.209

La lettera si riferiva alla prima elezione del Daddi, 19 ottobre 1902, ed ora la Giunta ribadiva che <<questo provvedimento non garbava al notaio Daddi, il quale tentando per la seconda volta la sorte dell’urna, riusciva a farsi eleggere nuovamente Sindaco, non più all’unanimità o quasi, come prima, ma con soli otto voti su quindici votanti>>.

Ancora, si sottolineava che al fratello del Daddi, Giovanni Maria, era stato aggiudicato l’appalto della ghiaia per il tratto di strada Gavoi-Orani, conseguentemente  <<esiste un complesso di interessi fra questa amministrazione ed il fornitore ( fratello dell’avv. Daddi Salvatore ), quale fatto costituisce senza dubbio un’altra causa di incompatibilità del medesimo nella carica di Sindaco (…), inoltre l’avvocato Daddi ha stabilito la sua resi­denza a Sassari e vorrebbe di là dirigere le sorti del disgraziato Comune>>.

Nonostante queste accuse, Salvatore Daddi fu confermato Sindaco di Gavoi.

Non appena ricevette il mandato di Sindaco, Salvatore Daddi si occupò di ampliare l’edificio comunale così da inserirvi le aule scolastiche; i locali esistenti che ospitavano la scuola elementare erano infatti malsani.210 Ma l’iniziativa più innovatrice del Sindaco Daddi, sostenuta da suo fratello Giovanni, parroco del paese, fu quella di istituire a Gavoi un “Giardino d’infanzia” <<a che le scuole elementari riescano veramente proficue – e te­nendo conto – del beneficio speciale che ne ritrarrà questa popo­lazione non misera, ma punto ricca e vivente tutta d’industria e di commercio>>.211 È dunque sentita la necessità di una cul­tura del bambino conquistata prima di accedere alle scuole ele­mentari, cultura che poi risulterà benefica per l’intera popola­zione.

Sempre nel 1903 il Sindaco Daddi ordinò i lavori di ristrutturazione della chiesetta rurale della Madonna della Itria tanto cara ai gavoesi; anche per questa iniziativa fu aiutato e sostenuto dal fratello sacerdote; le feste inaugurali della nuova chiesetta, tenutesi dal 18 al 27 giugno 1904, furono presiedute da Monsignor Canepa, vescovo di Nuoro. In omaggio ai fratelli Daddi fu murata ad una parete della chiesa una lapide di marmo, ancora oggi esistente.

Vi è da rilevare che dal giugno del 1904 al luglio del 1905 Salvatore Daddi dirigerà in Sassari L’Armonia sarda, il primo quotidiano cattolico del nord Sardegna, per cui sembra giustificata, almeno per quell’anno, l’accusa di assenteismo e di “comando” per delega.

Del 1906 è il verbale della Giunta che registra la necessità di istituire nel paese un’Agenzia delle imposte <<per ricordare uno dei bisogni più sentiti dai sette Comuni di questo lembo segre­gato della Provincia: Gavoi, Lodine, Fonni, Ollolai, Olzai, Ovodda e Sarule>>. Si evidenziava l’enorme distanza che separava questi centri dall’Agenzia di Nuoro, dai 62 ai 104 Km., e soprattutto <<le difficoltà del viaggio data la mancanza di co­municazioni comode e spedite e la nessuna assicurazione delle strade (…). A tale argomento si inserisce quello non meno grave dei reati così frequenti nelle campagne che separano Nuoro da queste popolazioni>>.212

Degli anni in cui Salvatore Daddi fu Sindaco di Gavoi, sono anche le delibere in cui il paese si confronta con altre realtà regionali e con la più vasta realtà nazionale. Si tratta delle delibere sui provvedimenti da adottare in favore della Sardegna e sugli effetti della legge sul Mezzogiorno.

Ricordiamo che la prima legge speciale per la Sardegna è del 1897 e fu seguita da altre nel 1902 e nel 1907, coordinate pro­prio in questo anno, in un unico testo. La tanto attesa legisla­zione speciale per l’isola si dovette in gran parte a Francesco Cocco Ortu, Ministro dell’agricoltura nel terzo Gabinetto di Rudinì proprio nel 1897; si provvedeva con tali leggi, al credito agrario, all’agricoltura in genere, alla sistemazione idraulica, alla viabilità, alle opere portuali, alla esenzione dalle imposte per l’alcool ottenuto in Sardegna dalla distillazione del vino e delle vinacce, all’istruzione pubblica, alla costituzione tra i Comuni di consorzi obbligatori per l’espletamento di diversi servizi, compreso quello esattoriale, dell’abigeato, delle con­dotte di acqua, dei pozzi artesiani, e della distribuzione gratuita del chinino.213

Il 12 maggio 1906 il Consiglio comunale di Gavoi chiedeva al Governo che venissero istituiti degli Istituti di Credito possibil­mente in ogni capoluogo di mandamento e almeno in ogni Circondario, considerando che il Credito Agrario <<è il prov­vedimento che più specialmente può migliorare le sorti econo­miche dell’Isola>>.214 Erano presenti il Sindaco Salvatore Daddi e i  Consiglieri: Don Luigi  Satta, Giuseppe Marchi, Filippo Sedda, Antonio Cichi, Giò Maria Lavra.

Il 21 ottobre 1906 si discuteva degli effetti della legge sul Mezzogiorno; il Consiglio avversò tale legge che <<se apparen­temente mostra di sollevare le condizioni dei contribuenti, que­sto sollievo essa fa principalmente a spese dei Comuni di cui quei contribuenti fanno parte, cui l’esonero dalle tasse foratico e bestiame accordato ad una gran parte di contribuenti non vuole altro che la privazione di altrettanta entrata per il bilancio co­munale>>. Ricordiamo che le spese di giustizia, gli stipendi dei medici, dei maestri, delle guardie forestali, gravavano tutte sul bilancio del Comune; quindi solo se lo Stato si fosse occupato di queste spese, <<i Comuni potrebbero sopportare le conseguenze disastrose della legge in questione>>.215

Dal 1904 erano iniziate le accuse all’operato di Salvatore Daddi quale Sindaco di Gavoi, da parte de La Nuova Sardegna :

<<L’autorità permette che il Sindaco Daddi, residente a Sassari, si faccia supplire non dagli assessori effettivi, come è di legge, ma bensì dai consiglieri Mastio e Maoddi, suoi fedelissimi dele­gati>>;216 ancora: <<malgrado le continue lagnanze, le vigo­rose proteste che vengono fatte da gran parte della popolazione riguardo alla incompatibilità del Sindaco Daddi (che è magna pars di questa esattoria), il Prefetto Re non vuole provvedere, calpestando diverse disposizioni della legge comunale>>.217

Le accuse continuano per tutto il mese di novembre con questi toni: <<Ed il Re di Sassari? Mi si potrebbe domandare. Ah! Egli l’attivissimo, l’energico Re è sempre intento nel dare gra­dita udienza al nostro simpatico ed onesto Sindaco Daddi, che a tutti i momenti gli parlerà di tutt’altro, ma non dell’articolo 144 della legge comunale. Oh povero Comune!>>;218 <<È troppo doloroso che questo Comune vada in completa rovina per l’in­dolenza di certuni che hanno l’alto, importante sacrosanto do­vere di tutelarne le sorti; Gavoi non ha e non ebbe mai, come altro Comune del Circondario, un salto. È proprio il caso di esclamare “Piangi ché n’hai ben donde, o patria mia!>>219

Abbiamo già detto che i giornali del periodo combattevano una personale battaglia per appoggiare questo o quel candidato nella lotta elettorale. La Nuova Sardegna spalleggiava il candidato radicale Garavetti mentre L’Armonia Sarda, fondata e diretta da Salvatore Daddi, appoggiava il candidato filogovernativo Michele Abozzi; di qui, dunque, nascevano le polemiche anche verso l’operato del Sindaco Daddi.

Il giornale cagliaritano L’Unione Sarda, filogovernativo, snobbava questa contesa spiegando: <<Credo inutile far commenti, leggete un pò di “Nuova”, leggete un pò di “Armonia”, non date retta né all’una né all’altra, sappiate stare nel mezzo>>.220

Nell’agosto del 1907 Salvatore Daddi, dopo lo scandalo del mancato matrimonio con la cugina, si dimetteva dalla carica di Sindaco; il Sottoprefetto di Nuoro, Giuseppe Doro, impose all’assessore Mastio di fare le veci del Sindaco in attesa di nuove elezioni che si tennero il 24 agosto 1907.

Venne eletto Sindaco di Gavoi lo stesso Antonio Mastio.

Ecco come “La Nuova” accoglieva la notizia: <<con-statiamo il confortante risveglio della coscienza del popolo intelligente e libero, intonante tremendo il dies irae contro questa caricatura di apostolo delle nuove genti, che è stata la più grave iattura che abbia potuto colpire un paese così buono, così fecondo di operose energie e pure così disgraziato>>.221

Il notista della  Nuova Sardegna, schierato palesemente con i nemici di Daddi, gli intonava a ragione un impietoso dies irae[1]

dal momento che il fiero esponente cattolico aveva avuto il coraggio di rompere il monopolio dell’informazione cittadina, bettendosi come fondatore e direttore del quotidiano cattolico l’Armonia Sarda contro il gruppo dirigente sassarese, battuto grazie a Daddi, nella battaglia politica che si era ingaggiata tra il loro portabandiera Garavetti e l’avversario Abozzi, a favore del quale Daddi, a Sassari aveva orientato i voti dei cattolici nelle elezioni del 1905 provocando anche gli attacchi del quotidiano cattolico cagliaritano “La Sardegna cattolica” contraria ad ogni commistione tra i cattolici e  gli altri partiti.[2]

Daddi era stato capace, pare col benepalicito di Leone XIII e dello stesso arcivescovo di sassari di anticipare quella politica elettorale che fu detta del “patto Gentiloni”.

Per meglio capire l’attività giornalistica dell’esponente cattolico gavoese è necessario però soffermarsi un pò su quel cambattivo quotidiano fondato da Daddi nel clima impegnato del cattolicesimo sassarese dell’epoca.

IV

L’Armonia Sarda

 L’Armonia Sarda fu il primo quotidiano cattolico che uscì nel settentrione dell’Isola. Salvatore Daddi già dalla fine dell’800 aveva sostenuto assieme a Francesco Dore ed ai sacerdoti G.A. Mura e G. Dessì ed altri la necessità di un maggiore impegno dei cattolici sia in campo politico che economico.

Come amministratore locale Salvatore Daddi continua a battersi per la soluzione dei più gravi problemi dei contadini e dei pastori, ma anche per una più adeguata organizzazione dei cattolici sardi

 Il suo  quotidiano appare il  il 17 giugno 1904, in Sassari, gerente del quotidiano è un certo Giuseppe Carta fino all’11 novembre 1905 allorché gli subentra Michele Mura[3] fino alla chiusura del 31 dicembre 1906[4]: la sua durata è quindi di due anni e mezzo esatti; i numeri pubblicati furono complessivamente 768[5], dei quali 157 nel 1904, 307 nel 1905, 304 nel 1906. Il quotidiano non usciva nei giorni festivi.

Esso si presenta in quattro facciate: la prima pagina ha sempre l’editoriale al quale seguono brevi trafiletti di politica nazionale quindi internazionale, che occupano parte della se­conda pagina dove figurano le corrispondenze molto brevi “dall’isola” e in appendice le puntate di un romanzo;. nella terza pagina vi è la “rubrica di città” con “telegrammi” di po­litica interna; seguono notizie di politica estera.

La pubblicità compare a pié della terza pagina, ma soprat­tutto occupa l’intera quarta pagina.

Di particolare rilievo, nei 768 numeri, in cui si rispecchia l’ideologia del giornale è l’editoriale: la maggior parte di essi figurano anonimi anche se si suppone che nel periodo della direzione di Daddi appartengano in gran parte a lui.

Vi figurano talvolta pseudonimi, come quelli di Saint Claire che viene identificato in quello di Michele Dalziani; vi figura (una sola volta) la firma di Salvatore Daddi, di Rampoldi Rodolfo, Giannelli Tortorici, Guido Aroca, Leopoldo Carta, Giovanni Antonio Mura, Carmine Soro Delitala e Giovanni Zirolia; numerosi i pseudonimi: Dottor Vampa, il Sovversivo, Effeggi, Saint Claire, Venator, Agi, Miles, Magister, F.u.g., Tenente F.u. Giordano, Nestore, Fidelis, Fram, Don Rizzarro, Sans Bruit.

La cessazione della direzione del Daddi la si apprende da un trafiletto che compare nel numero del 2 ottobre 1905[6] col quale si comunica ai lettori che il grande ispiratore de “L’armonia sarda”, già dal 1° luglio del 1905, non fa più parte della redazione del giornale.

Tra i redattori vi era l’avv. G. Zirolia che ebbe un ruolo importante nella partecipazione politica dei cattolici sassaresi, Michele Dalziani studente universitario, presidente di una associazione giovanile democratico-cri­stiana formatasi nel gennaio del 1905.[7]

Il giornale fu pubblicato per tutto il 1904 e il 1905 su cinque colonne. L’undici gennaio del 1906 uscì su sei co­lonne: “Da oggi il giornale si pubblica a sei colonne e così abbiamo mantenuto la nostra promessa.

Il favore del pubblico, come lo prova l’aumento continuo di abbonati e lettori ci ha sorretto nell’arduo cammino e di­mostra che la linea di condotta tenuta dall’Armonia acquista sempre maggiori approvazioni…“.[8]

Dall’Isola, In Città, Cronaca Giudiziaria, Ultime Notizie, Telegrammi, Bollettino Meterologico, Punti Appunti e …, Il Mercato del Giorno, Ultime Notizie, Arte e Teatri costitui­scono le principali rubriche del quotidiano, tuttavia é l’articolo di fondo ad esprimere costantemente l’orientamento politico del giornale.

Il primo numero dell’Armonia [9] contiene un lungo arti­colo di fondo in cui si annuncia quello che sarebbe stato il programma e l’ideologia del giornale.

Emergono da esso due punti fondamentali: l’attenzione del foglio per le esigenze sociali ed economiche della Sardegna, con ampia fiducia nel popolo sardo e lo spirito religioso. Il primo punto è particolarmente importante, più di una volta infatti, viene riposta una grande speranza nei sardi presentati retoricamente secondo lo spirito dell’epoca: “... il popolo sardo ha pure una fierezza – tacita quanto indomita – cui nessun ardito potere sa vincere e che solo gli fa piegare il capo protervo dinnanzi a Dio e alla Tomba“.

Meglio ancora: “... questo popolo all’Italia non riluttante mai d’eroismi – ora, dall’Italia abbandonato e negletto – solo e fiero, fra l’asprezza dei suoi monti e l’immensità delle sue pianure deserte, vive, nel silenzio attendendo“.

“… l’anima sua non è chiusa ancora alla speranza d’una redenzione che si adegui e sia degna delle rinnovellate energie“.

La speranza per il nuovo giornale è un dovere ed è perciò che “… nel nostro saluto augurale noi riaffermiamo una viva promessa“.

Da qui le rivendicazioni contro il governo centrale per le sue omissioni o colpe e la richiesta di interventi per le sorti dell’Isola.

Possano tutti gli italiani convincersi della necessità ur­gente di rialzare – con vero intelletto d’amore, con criteri alti ed umani, le sorti di quest’Isola, che attende sempre il frutto delle sue belle terre già tanto feconde, il frutto delle sue in­dustrie obliate, dei suoi commerci negletti: il frutto d’una speranza lungo tempo nutrita a cui l’energia, la costanza, l’operosità del suo popolo debbono finalmente concedere diritto“.

Fiducia quindi nel popolo sardo che confidi, anche nell’aiuto di chi si rende disponibile:

Bando ai pregiudizi d’ogni sorta, ad ogni falso spirito d’indipendenza, ad ogni malinteso orgoglio!

Una funzione d’importanza vitale l’avrebbe avuta la reli­gione:

Non grandi promesse, adunque, in quest’ora: se non la riaffermazione serena e sicura del nostro programma: il quale altro non è che il programma antico, eterno, del Bene, rinnovato dal soffio di una più giovane e fresca latinità e di una critica più severa e più estesa.”

 E poi ancora “… ci tiene sicuri e sereni, la fiducia intera di quanti hanno voluto rispondere con si caldo entusiasmo al nostro appello“.

Il bene che è eterno e che è pure universale patrimonio degli uomini è lo spunto, direi quasi, di quell’armonia so­ciale che tutti gli uomini deve avvincere in una amplesso fraterno“.

Importanza quindi della religione per la rigenerazione dell’Isola e per un opera di maggior azione.

L’uscita del nuovo giornale, fu particolarmente gradita dai cattolici della Sardegna settentrionale, giunsero infatti da più parti voci di auguri di giovani e di vecchi.Era una grossa vit­toria, poiché il giornale unico quotidiano cattolico della ri­partizione di Sassari, prometteva una maggiore unità di in­tenti e di iniziative di vedute, cercando di superare la frantumazione esistente fra i cattolici sardi.

Il nuovo giornale fu particolarmente gradito anche nel Sud della Sardegna in modo speciale da “La Sardegna Cattolica”:[10]

A tutti porgiamo di cuore i nostri vivi ringraziamenti, in modo speciale all’ottima consorella di Cagliari – La Sardegna Cattolica – chiara per nobili lotte sostenute e per il nome del suo direttore, il conte Enrico Sajust, che alle nobili tradizioni di famiglia, unisce i più squisiti sentimenti d’animo. Sappiamo il lavoro faticoso cui andiamo incontro, forti e fieri, ma al fine cui tendiamo ci animano le promesse, i voti dei buoni passa la nostra fatica corrispondere all’aspettazione, possano gli amici restarci fedeli! …

Esso polemizzò più volte con gli stessi giornali del pe­riodo, i più bersagliati furono i fogli nazionali di partito quali “L’Avanti”[11], “La Tribuna”,[12] “La Rivista della Massoneria Italiana”,[13]

Mise più volte in risalto polemicamente le divergenze ideologiche e politiche esistenti tra i cattolici, i liberali,i so­cialisti e i massoni.

I socialisti, a causa della loro visione materialistica della storia, venivano definiti “servi del ventre”[14] e per il loro desi­derio di sovversione del sistema, “guerrafondai”:[15]

Sia che lottino per le ore lavorative o per un aumento di salario, essi contrapporranno a tutti gli istinti più nobili l’istinto vegetale“.

I contrasti interni che il partito attraversa venivano consi­derati “fasulli”. Lo sciopero proposto e auspicato più volte dai socialisti non èra ampiamente condiviso, anzi particolar­mente denunciato e preso di mira:[16]

Le masse aizzate cercheranno di soverchiare le autorità e minacceranno con l’ordine, la vita degli altri ...”.

Un altro bersaglio del giornale cattolico sassarese è la massoneria definita “la lupa o bestia senza pace”[17]: “..sostanzialmente composta politicamente da ban­deruole che sventolano ora poggiando un ministro e poi ap­poggiandone un altro. Parassiti quindi, che sfruttano le energie del paese“.

Più volte “L’Armonia Sarda” esortò i suoi lettori a non sottovalutare come semplice fatto di cronaca la loggia mas­sonica [18]

L’unione popolare raccolse i peggiori elementi cittadini e da essa partirono tutte le macchinazioni contro il pensiero cattolico

 Altro bersaglio del foglio è il governo

L’opera governativa che fu attentamente seguita sia nel campo dell’istruzione, dell’economia, che della politica, fu bersagliata particolarmente, e si evidenziò senz’altro più volte, lo stato di disordine e confusione presente nel governo:[19]

A chi ha l’invidiabile pazienza di seguire la discussione dei bilanci e segnatamente di quello della Pubblica Istruzione[20] nel nostro Parlamento, si fa ogni anno, palese il medesimo fenomeno. Ogni anno sono le stese lagnanze sulle condizioni miserevoli della Pubblica Istruzione ed Educazione le quali anziché a migliorare accennano a de­cadere sempre di più, ed ogni anno il ministro qualunque esso sia risponde sempre allo stesso modo: si vedrà si farà si provvederà.”

Si auspicava inoltre un mutamento del sistema tributario italiano.[21]

La questione ferroviaria fu costantemente esaminata e dettagliatamente illustrata ai lettori.[22]

Non minore attenzione e spazio, vennero dedicati ai problemi di politica estera, al problema dell’emigrazione.

Particolarmente seguita fu la guerra Russo-Giapponese, la politica Austro-Ungarica, della Germania, dell’Inghilterra. Il conflitto tra la Svezia e la Norvegia.

L’intento con cui più volte l'”Armonia Sarda” si avvicinò a determinate problematiche non fu semplicemente di fredda cronaca, ma di approfondimento attraverso la lettura di strut­ture organizzative diverse da quella italiana, per potere pren­dere esempio da vissuti differenti ma comunque istruttivi.

L’Armonia Sarda sostenne una dura polemica con l’altro quotidiano della città “La Nuova Sardegna”. Gli scontri furono frequenti per diversità ideologiche e politiche.

Furono riportati costantemente nella rubrica “In Città” di­venuta poi “Note Cittadine” nella quale minuziosamente si ri­portavano i fatti inerenti la vita politica-amministrativa e la cronaca cittadina con le sedute comunali.[23]

“… Quelle della Nuova Sardegna sono poi cartucce spa­rate, e non hanno quindi nessun valore, e se mai, possono buttarsi via, nel cestino della spazzatura come armi usate nei primi periodi del brigantaggio isolano. Direi quindi organi di prefettura, è l’accusa puerile, mezzo di ricatto, tentativo inane e ridicolo di lenocinio, vergognoso tranello di avven­turieri.

A noi poco importa, francamente, che la Nuova Sardegna continui nelle sue abitudini: certe combinazioni, certi atteg­giamenti servono a ricordare soltanto lo spettro di quella vecchia megera che dopo avere mercanteggiato il fiore della giovinezza si riduce a vendere statue religiose sul limitare d’una chiesa per trovare mezzo di comprare l’acquavite. E’ un tentativo di ubriacatura, dunque, quello della Nuova Sardegna; ma miserabile illusione di vita[24]

Svariasti furono i dibattiti affrontati dal foglio cattolico.

V

Il dibattito sul non expedit

 

Abbiamo visto sia pure per cenni come attraverso gli edi­toriali “L’Armonia Sarda” affrontasse le tematiche che nell’epoca giolittiana riguardavano la Sardegna.

Ora ci sembra opportuno soffermarci più a lungo sulle tematiche che venivano spesso dibattute dai cattolici sia in campo nazionale sia in campo locale e fra tutte in primo luogo il problema della partecipazione dei cattolici alla vita politica.

Nel 1874[25], con la circolare segreta ai vescovi, la Sacra Penitenzieria suggeriva ai cattolici l’opportunità di non par­tecipare alle elezioni politiche di uno Stato che aveva così platealmente usurpato i diritti della Chiesa e ne aveva minato l’autonomia statuale, riducendola a suddita del neonato Regno d’Italia, infatti, sebbene il Cavour agitasse lo slogan “libera Chiesa in libero Stato” di fatto la Chiesa era per tanti versi soggetta agli umori dei governi italiani che, in gene­rale,non agevolarono di certo nè l’autonomia giurisdizionale nè quella politica e territoriale della Chiesa.

I cattolici perciò dovevano astenersi dalla vita politica del regno d’Italia.

Su questa scelta radicale i cattolici nel corso degli anni si divisero sia nel dibattito sia nell’azione.[26]

Sotto il pontificato di Pio IX, a parte la frangia dei catto­lici liberali, sovente con incarichi governativi,ma con scarso seguito elettorale,la maggior parte dei cattolici non partecipò alla vita politica.

Con l’avvento di Leone XIII si apriva il dibattito sull’opportunità di partecipazione dei cattolici alla vita poli­tica o quanto meno sulla necessità che essi si preparassero nell’astensione alla partecipazione futura.

Data l’apertura sociale del nuovo Pontefice, autore dell’enciclica sociale Rerum novarum, i cattolici organizzati sia nell’Opera dei Congressi sia nell’azione cattolica comin­ciarono a dibattere vivacemente il problema e a sollecitare l’apertura dei cattolici alla vita politica visto che a quella amministrativa già partecipavano.

Il dibattito cominciò a farsi vivace tra i cattolici impegnati: alcuni volevano mantenere delle posizioni intransigenti e quindi astenersi totalmente dalla vita politica altri invece ac­cennavano a possibili soluzioni.[27]

A causa dei contrasti sorti all’interno dell’Opera dei Congressi si arrivò addirittura a scioglierla.

Gli articoli inerenti al movimento cattolico riflettono i problemi, le tematiche che questo viveva in campo nazionale.

Il “non expedit” fu particolarmente dibattuto.

Nell’Armonia Sarda del luglio 1904 [28] vi è un trafiletto relativo ad una lettera di don Romolo Murri,[29] sulla crisi dell’Opera dei Congressi, apparsa sul “Giornale d’Italia”.

Il Murri dopo aver premesso il contrasto tra gli intransigenti e i transigenti, affermava le benemerenze programmatiche della democrazia cristiana e riteneva che il lavoro dei giovani de­mocratici cristiani sarebbe stato coronato di successo.

Sotto questo mini-articolo L’Armonia Sarda riporta la ri­sposta del Papa[30] apparsa sull'”Osservatore Romano”, con la quale il Pontefice dopo avere ribadito il suo desiderio che i cattolici si astenessero da qualsiasi partecipazione alla vita politica italiana, aggiungeva anche: “il solo parlare di possi­bili offerte o di accettazioni di candidature politiche, il solo farne argomento di discussione o oggetto di voti o di aspira­zioni, sia pure platoniche, sarebbe un porsi fuori dal campo dei cattolici devoti e ossequienti al Papa. Se lo pongano bene in mente e l’autore della lettera e coloro che per avven­tura dividessero le sue speranze“.

Qualche giorno dopo col titolo “Per gli aspiranti alle urne politiche” [31] “L’Armonia Sarda” confermava le parole del Pontefice e ribadiva la necessità di non votare e di non prendere argo­mento su eventuali candidature politiche.

D’altra parte é molto significativo il contenuto dell’articolo “Constatazioni” [32] dall’ottobre del 1904 e di quello apparso cinque numeri dopo intitolato “Parliamoci chiaro” [33]

Nel primo, l’editorialista constatava amaramente come la situazione dei cattolici fosse poco gratificante per loro stessi e per ciò che essi avrebbero voluto. In pratica le questioni sulle quali essi potevano pronunciarsi erano molto circoscritte e scelte tra quelle che avevan la minore affinità colla vita vis­suta del paese.

Inoltre si citavano le manifestazioni sporadiche “… ma non per ciò meno collegate da un segreto e spontaneo vin­colo di consensi, di giornali insospettabili per la loro devo­zione alla causa cattolica, ma insieme coscienti di tutto ciò che la vita moderna reclama da uomini che vogliano, direi quasi, la corresponsabilità di ciò che intorno ad essi suc­cede“.

Manifestazioni che non sarebbero mai state prese, nella giusta e desiderata considerazione.

L’articolo poi affrontava un altro argomento sintomatico, che era quello dell’impreparazione dei cattolici a determinati argomenti, quali la riduzione della ferma, il problema scola­stico, la riforma tributaria, quello ferroviario e così via.

Argomenti che proposti, per esempio, da qualche giornale cattolico rimanevano senza seguito proprio per l’impreparazione ed anche per l’impossibilità di tradurre quelle ipotesi o iniziative in progetti di legge.

Pur operando in campo sociale rimanevano nel campo te­orico, attirandosi la tacca di idealisti.

L’editorialista concludeva nel dire: “Per cui, più dolorosa affermandosi la constatazione, più fervido ed ampio si spie­gherebbe il voto di quanti, pur tacitamente, invocano che l’epoca di legittime riparazioni abbia a divenir possibile e pronta, non rimettendosi più oltre, all’oscura e paurosa in­cognita d’un remoto futuro, ciò che potrebbe e dovrebbe costituire il compito onorevole e sacro di uomini che, sen­tendo viva in sé l’interezza del proprio diritto, sentono più vivo il legittimo desiderio di tutelare ogni loro interesse pa­trio e religioso, nel miglior modo che la ragione e la vita, qual’é suggeriscono loro “.

 “Parliamoci chiaro” é ancor più significativo.

Scritto in risposta alle polemiche e ai commenti e a “interpretazioni estranee [34] al nostro pensiero”, sorte dopo la pubblicazione dell’articolo Constatazioni.

L’editorialista inizialmente mise in luce che lo scopo dell’articolo “incriminato” era una semplice constatazione di fatto: “esplicita e libera quanto serena”.

Constatazione della ristrettezza dell’ambito nel quale i cattolici erano costretti ad agire.

Successivamente si scusò ribadendo la retta intenzione con la quale fu scritto e aggiungendo: “L’ortodossa integrità dell’idee e dei principi, l’ortodossa rigidità dell’obbedienza, del rispetto, della devozione, l’ortodosso procedimento nei mezzi, nell’azione, nelle parole, negli scritti – non possono né devono contestare ad alcuno la libertà d’una osservazione, d’una constatazione, d’un augurio sincero e sereno, nei campi delle discipline e degli avvenimenti”.

Particolarmente interessante é comunque la parte, per così dire, centrale, dell’articolo nella quale si afferma che non si intende discutere il “non expedit” pontificio che: “Prescindendo pur dagli alti motivi che lo determinarono – teoricamente, esso rappresenta un’abilissima tattica politica“.

Ma che lo scopo dell’articolo precedente era di “constatare, ad esempio, quanto sia difficile colmare con palliativi la lacuna che, nell’azione dei cattolici italiani, é costituita, dalla loro astensione dalla vita politica e come questa astensione, volere o no, faccia loro perdere spesse volte le più brillanti posizioni di fronte al proletariato e ai problemi economici e sociali, quando anzi non prepari le posizioni agli avversari, che se ne servono poscia per piaz­zare le loro batterie contro di loro; constatare tutto questo, non può, ripetiamo, e non deve significare né defezione, né rivolta né irrispettoso atteggiamento, ma discutere un’opportunità, non vuol dire, all’atto pratico, disconoscerla e non seguirla“.

Concluse, avvicinandosi alle tematiche della democrazia cristiana, nel dire che, se l’astensione[35] era un dovere, era un bene prepararsi per una partecipazione più o meno pros­sima, per evitare di essere impreparati.

Sul problema della partecipazione politica dei cattolici vi è un successivo articolo “I cattolici alle urne e il giudizio della civiltà cattolica[36] nel quale, vista l’importanza dell’argomento, si illustrava ai lettori il sunto di un articolo apparso nella “Civiltà Cattolica”.

Partendo dal 1874, data ufficiale del non expedit, fino ad arrivare ai giorni correnti, citando quindi il pontificato di S.S. Pio IX, Leone XIII, e Pio X, si ribadiva che solo il sovrano della Chiesa avrebbe potuto permettere in determinate circo­stanze, di votare.

Prendendo come esempio i cattolici tedeschi, gli italiani, nell’eventualità di una partecipazione politica, si sarebbero dovuti organizzare.

Si evidenziava la necessità di un primo nucleo iniziale di cattolici che formassero un primo centro, da cui partisse la parola d’ordine di prepararsi.

Si esortava infine alla concordia e all’equilibrio tra gli stessi. Tutto ciò nella sola ipotesi che il pontefice dichiarasse di permettere che i cattolici prendessero parte attiva o passiva alle elezioni politiche.

Dagli editoriali citati emerge chiaramente in che direzione si muovesse il quotidiano cattolico e come probabilmente al suo interno si fosse aperta una frattura: da una parte Daddi e un gruppo di redattori transigenti e dall’altra un gruppo senz’altro più vicino agli intransigenti.

Gli ondeggiamenti degli editoriali lasciano intendere que­ste due posizioni. Posizioni legate ai fatti particolari di Sassari dove i progressisti anticattolici avevano calamitato nelle loro liste locali e politiche anche i socialisti, mentre i conservatori filogovernativi rischiavano di essere sconfitti. In tal modo si dava spazio allo strapotere dei primi sia nelle elezioni ammi­nistrative che in quelle politiche.

Il giornale appoggiò i conservatori filogovernativi e particolarmente il futuro deputato Michele Abozzi.

Ciò non fu tollerato agevolmente dai cattolici cagliaritani che attaccarono il quotidiano che, per scolparsi, fu costretto ad ammettere di aver ottenuto, per il caso particolare di Sassari, la sospensione del non expedit [37]

La prima sospensione del non expedit in Sardegna[38] av­venne nel 1904, nel collegio di Sassari, a favore del ministe­riale Michele Abozzi contro il repubblicano Garavetti, nelle elezioni politiche del novembre 1904, gennaio 1905[39].

Inizialmente la lotta politica contrappose soltanto i com­ponenti “storici dei due gruppi principali, (di cui già si è parlato nell’apposito capitolo) i socialisti, tradizionali sosteni­tori di Garavetti e i cattolici tra i quali molti si riconscevano nelle posizioni di Abozzi, proclamarono la loro neutralità.

Successivamente non essendo stato raggiunto il quorum necessario il 6 novembre 1904, data delle elezioni, furono fissate quella di ballottaggio per il 7 novembre.

Il 7 novembre fu proclamato deputato Abozzi in clima di aspre polemiche e di tensione[40], tanto che la giunta delle elezioni non dichiarò valida la votazione.[41]

Il 24 novembre fu sciolto il consiglio comunale e fissate le “nuove” elezioni per il 14 gennaio 1905;

Fu in questo frangente che votarono i due gruppi che ini­zialmente si erano astenuti: i cattolici e i socialisti.[42]

Il direttore Salvatore Daddi, in un momento così delicato come quello delle elezioni del 1904, andò e ricevette udienza dal Pontefice il 29 dicembre di quell’anno [43].

E’ comunque molto significativo, per capire l’atteggiamento dei cattolici di Sassari dinanzi alle elezioni, leggere alcuni articoli.

In un trafiletto apparso in terza pagina nel gennaio 1905 intitolato “Il ballottaggio di domani”[44] si diceva sostan­zialmente questo: chi ha il diritto di permetterlo e di vietarlo ci ha dato libertà di agire secondo la nostra coscienza, infor­mata ai bisogni della fede e agli interessi della Chiesa.

In un secondo trafiletto “Debbono votare i cattolici?” si affermava ancora che era pressoché impossibile rimanere indifferenti dinnanzi allo sfacelo che ogni giorno di più si aggravava.

Pertanto dovendo votare era importante scegliere l’avv. Abozzi, nonostante la Nuova Sardegna lo considerasse un massone.

E così ancora in un successivo articolo[45] l’editorialista gioiva dinnanzi alla vittoria ottenuta da Abozzi su Garavetti: “L’avv. Garavetti abbiamo stimato sempre, come persona onesta, ma egli nel suo collegio rassomigliava al generale che comanda un esercito sbrigliato durante il delirio del sac­cheggio d’una vinta città. Lasciava fare, quando l’eccesso degli altri non trascinava anche lui a seguire la stessa via.

Contro tali eccessi abbiamo avuto libertà d’insorgere ed ieri siamo scesi in battaglia“.

“… Dopo il voto, dopo la vittoria la fiducia nostra non scema, si fa anzi più viva e più fidente“.

Continuava poi nel ricordare ai cattolici militanti il dovere di non “dormire sugli allori” ma di raccogliersi per prepararsi alle nuove battaglie.

Battaglie, a detta dell’editorialista, “non lontane”.

Concludeva poi nel dire: “noi oggi siamo un esercito i cui soldati però sono sparpagliati in una vasta foresta: racco­gliamoci adunque intorno al nostro capo; egli ha la nostra bandiera, la bandiera della libertà dell’ordine e del bene in Cristo”.

Le polemiche dinanzi a tale fatto non mancarono.

Come già precedentemente accennato da Cagliari. “La Sardegna Cattolica” mostrò il suo dissenso dinnanzi alla con­dotta dei cattolici sassaresi: “I cattolici di Sassari, immi­schiandosi in questa bega, ci perdono in serietà, in dignità, compromettono il loro avvenire … senza contare che disob­bediscono, senza giustificato motivo, ad un divieto che è tuttora in vita …[46]

Salvatore Daddi in “La nostra condotta” [47] rispose sec­camente alle accuse ricevute e ribadì ancora una volta, di avere agito secondo coscienza e soprattutto sotto il diretto consiglio dell’arcivescovo di Sassari.

Il giornale avversario non avrebbe detto di più e ci sor­prende davvero che l’amata consorella nostra abbia scritto tutto ciò, prima che noi stessi avessimo espresso il pensiero nostro sull’elezione di domenica …”

“… il suo esimio direttore l’amico carissimo conte Sanjust sa … quale attaccamento e quale affezione deferente e rive­rente nutriamo e come individui e come pubblicisti; ma oggi noi respingiamo con tutta forza di cattolici offesi nel loro or­goglio più santo, qualunque intervento suo od altrui. In ciò solamente il nostro venerato Pastore e Padre diocesano …ha diritto di intervenire.”

Noi quindi respingiamo questo intervento di zelo inop­portuno e ingiustificato del nostro amico e di chiunque non sia superiore diretto del nostro Pastore …“.

Lo respingiamo ancora in nome dei bisogni nostri locali che l’amico carissimo giudica stavolta un pò superficialmente “.

Alla fine dell’articolo vi è un trafiletto col quale si comu­nica ai lettori che l’atteggiamento avuto, ebbe il plauso di tutta l’Isola.

Novanta biglietti fra lettere, cartoline e biglietti di visita, e per soddisfare le richieste del pubblico si dovettero conse­gnare agli strilloni e ai rivenditori di città i giornali stampati per gli abbonati e per le rivendite del continente e dell’Isola.

Il divario esistente tra gli intransigenti cagliaritani e i più democratici sassaresi è più esplicito in una lettera scritta da G. Antonio Mura al conte Sanjust “Per diradar gli equivoci[48].

La lettera venne pubblicata, così come scrisse la redazione del giornale, non tanto per alimentare una polemica contro il conte Sanjust, quanto per deferenza all’amico carissimo G. Antonio Mura col quale differivano per “qualche” afferma­zione.

Il Mura pur rispettosamente, fa notare all’avv. Sanjust il suo atteggiamento intransigente nei confronti dell’azione giovanile democratico cristiana.

“La Sardegna Cattolica”, mostrando pose burbere ed ar­cigne certo, non incoraggiava i giovani anzi.

Con periodi sospesi, con righe spezzate traspariva dal fo­glio cagliaritano una eccessiva diffidenza nei confronti di tutto ciò che sapeva di modernismo.

Così é, caro signor conte, che l’opera dei vecchi special­mente se laici, si rende più che efficace, malagevole, ed esorbita: spesso provoca e spessissimo sciupa le buone cor­renti facendole deviare …”. “Non per nulla i giovani del “Lavoratore” che dalla sonnolenza del passato hanno voluto risorgere con un programma attivo e pratico di rigenera­zione sociale ed economica e soprattutto, cristiana, non per nulla dico oggi recalcitrano un pò quando Ella più che del suo consiglio largo e sicuro li ricolma di una certa diffi­denza, quasi che per avere essi sposato un programma pro­gressivo, con l’audacia propria della loro età, non siano in piena ortodossia …

Il Mura pur grato delle opere svolte, a beneficio del mo­vimento cattolico sardo, dal conte, tuttavia non accetta un simile atteggiamento restrittivo: “i giovani hanno bisogno di freno non di pietre né di colonne“.

Vi era poi, l’esortazione di sopprimere quelle rubriche in cui “La Sardegna Cattolica” evidenzia l’inesperienza e l’audacia di chi voleva lavorare davvero.

Nel febbraio del 1905, L’Armonia, riportò un brano ap­parso nella “Rivista del Sacerdote Cattolico”: “La confessione di un violatore del non expedit”[49] proprio perché rispec­chiava un “momento dell’azione nostra ormai trascorsa.”

L’anonimo, che scrisse la lettera, immaginava di andare a confessare il suo gesto.

Egli aveva votato per evitare che un deputato socialista potesse trionfare nel collegio della sua città.

Dichiarava che il non expedit era in quel caso, nocivo per la religione soprattutto perché il deputato socialista una volta eletto sarebbe stato un operatore del male che ne sarebbe ve­nuto alla Chiesa.

Prima di votare, discutendo fra sé e sé non si sentiva gran­ché tranquillo perché la carità implicava il precetto di impe­dire il male oltre a quello di fare il bene e inoltre vi era lo scrupolo continuo che la neutralità consigliata in politica non poteva avere luogo in campo morale.

Il violatore pertanto arrivava alla conclusione che non avendo alcuna parte di responsabilità rispetto al male che l’assemblea legislativa recava alla Chiesa, per esclusione, tutti i cattolici italiani sarebbero stati giustificati, e se ciò fosse stato vero, il partito cattolico italiano non sarebbe dovuto uscire inerte dal suo quietismo in nessun caso.

E allora perché venne dall’alto un richiamo all’azione din­nanzi alla proposta di legge sul divorzio. Non intervenendo io personalmente, prosegue l’anonimo, avrei avuto la mia parte di responsabilità?

E non l’avrei avuto maggiormente se avessi lasciato trionfare un anticattolico combattente?

Non è forse meglio eliminare la causa per impedire l’effetto?

Usando poi una metafora l’anonimo traccia a grandi linee la “questione romana”.

Dice infatti: “nel 1400 i comunisti del mio paese fecero dono di un feudo con uno splendido castello ad in arcavolo. Ne furono proprietari per oltre tre secoli i miei antenati, ma verso la metà del secolo XIX i mie conterrazzani insorsero e accampando non so quali diritti mi tolsero il feudo e il ca­stello.

I magnati del paese stabilirono i loro uffici municipali. Ricorsi ai potenti per invocare la tutela dei miei diritti, ma invano. Stetti allora in un silenzio obbligato. Gli usurpatori divennero insolenti e minacciavano mali morali peggiori delle spoliazioni materiali.

Se io mandassi in quel consiglio degli amici onesti che peronassero la mia causa perché siano allontanati i guai, questi amici parteciperebbero alla responsabilità dell’usurpazione iniziale, o alla consapevolezza degli atti ini­qui che l’assemblea potrebbe compiere.”

Pertanto, concludeva l’anonimo, considerava la sua parte­cipazione non solo leale ma doverosa poiché disponeva di voti tali da far cadere l’avversario socialista.

Nel marzo del 1905 e prima ancora, vi furono alla Camera alcune discussioni circa un intervento dei cattolici alle urne politiche.

Parlò di ciò il Barzilai[50], il Sacchi[51], accennando ad uno stato laico, il Baccelli[52] che fu impedito dai massoni e dall’estrema sinistra, vi accennò l’on. Tittoni[53] con la tentata lettura del programma dell’on. Carnaggia[54] ma anche lui, fu impedito dagli estremi.

L’Armonia Sarda mostra anche in questa occasione un atteggiamento positivo dinnanzi a tale argomento col titolo “La politica e i cattolici”[55]: “Si sente bisogno dei cattolici e che essi si presentino come un poderoso coefficiente, avve­nire della politica italiana”.

E ciò, continuò l’editorialista, dovrebbe esistere in un paese senza freni e sena Dio.

La politica italiana era paragonata ad un “lurido tappeto tempestato di macchie, crivellato di strappi, nell’orizzonte tutto nero, l’unico punto lucido erano i cattolici“.

Si sono presentati, hanno vinto, sono già virtualmente una potenza. E’ questo il significato delle parole e degli atti, tanto di coloro che sperano, quanto di coloro che temono; tanto di quelli che inferociscono quanto degli altri che s’industriano, sia pur con mezzucci abusati, di far entrare i cattolici dalla porta che viene loro contesa. E’ questo un sintomo morale consacrante i trionfi che il parziale concorso dei cattolici alle urne ha ottenuto. Ma bisognerà fare di più. Affrettare nell’azione concorde l’avvento di quel giorno in cui l’Italia si persuade davvero che i nemici della patria militano in ben altro campo che non sia il nostro”.

In “La vittoria di Brescia”[56], si ribadiscono pressappoco gli stessi concetti: “Ormai, si comprende da tutti, i cattolici italiani devono prepararsi ad entrare nella vita parlamentare per un’altra finalità religiosa e civile e insieme patriottica”.

Constatando il passo avanti fatto a Brescia che era “la cittadella dello zanardellismo massonico” e che ora era ormai certo che il successore sarà quasi senza dubbio, il candidato dei cattolici, l’avv. Bonicelli, si presumeva quello che era un passo che sarebbe stato seguito altrove. “E’ bene questo? Noi crediamo fermamente che si, poiché tutto questo movimento, anche parziale, non avviene nè fuori nè contro la volontà della Santa Sede, ed è forse più che mai opportuno oggi, quando dalla setta nemica dell’Italia ed del Vaticano si tenta di suscitare -inanemente pensiamo- una fittizia agitazione per formare un blocco anticlericale“.

Sempre in tema “non expedit” l’Armonia Sarda, nel luglio del 1905 pubblicò un articolo “Per l’unione e per l’azione”,[57], col quale si presentava il commento apparso su “La Civiltà Cattolica” di “La parola del papa. Nuovo ordinamento dell’azione cattolica in Italia” probabilmente di Pavissich P.

A noi per il momento, interessa la costituzione del 3° gruppo o centro generale costituito per la partecipazione dei cattolici alla vita e all’azione politica del paese e la conferma del papa del valore giuridico del “non expedit” mantenuta in vigore la possibilità di dispense per i casi partico­lari.

L’Armonia Sarda in risposta alle calunnie e alle afferma­zioni, con le quali i massoni e i giacobini posero disordine e crearono dissidio riguardo l’ultima enciclica del papa, dopo avere difeso a spada tratta l’operato del pontefice ricordando che la Chiesa adattandosi prudentemente alle esigenze dei tempi non aveva certo rinunciato, a ciò che era di suo diritto e che quindi non consentiva di sanzionare il nuovo atteggia­mento con dichiarazioni o rinuncie,[58] ricordava pertanto che lo scopo essenziale della lettera era di “impedire la creazione di un partito politico cattolico“.

Così concludeva nell’affermare che i bruschi cambiamenti mal si adattavano alla Santa Sede e “certo l’idea di Pio X di lasciare liberi i fedeli nell’esercitare i loro diritti civili, senza l’obiettivo della costituzione di un partito cattolico, che in Italia -dove i disonesti sono assai pochi- non avrebbe la ra­gione di essere che ha in Germania, non presenta pericoli politici al nostro paese. Questa libertà di esercizio… sarà conquistata dai cattolici grado a grado attraverso lotte con­trasti di ogni genere “.

Questi erano i pensieri dell'”Armonia Sarda” prima della lettera e tali rimanevano dopo la lettera che non alterava la condizione delle cose e degli uomini.

Nel periodo seguente e per tutto il 1906 non vi furono ar­ticoli di particolare rilievo riguardanti il non expedit.

Ormai il tema centrale fu spostato sulla riorganizzazione dell’azione cattolica e il “non expedit” non fu più discusso e particolarmente dibattuto, così come lo era stato soprattutto nel primo anno della pubblicazione.

V

 

 

Il dibattito sul movimento cattolico sardo

 “E’ un volo fugace di rondine; in attesa che qualche aquila volenterosa e … non grifagna scenda dalle nebulose altezze ai monti e piani ancora vergini, che attendono la ri­surrezione e la vita …

Dall’Armonia una debole voce si leva chiamando a rac­colta i fratelli: a voi, cattolici sardi, accoglierla e attuarla”[59]

Inizia così un articolo molto significativo del novembre del 1904 col titolo “Azione cattolica in Sardegna”

Significativo perché introduce quali erano le condizioni dei cattolici in Sardegna.

Una premessa iniziale triste e amara sulle condizioni eco­nomiche e morali della popolazione sarda “La Sardegna, quest’umile e abbietta, cenerentola dell’olimpica Italia uffi­ciale, non desta davvero, neppur nei suoi figli, tanto interesse vivo quanto compassione pietosa, che ben si affianca allo stato di sonnolenza presente nel movimento.

La Sardegna era alla coda del movimento cattolico sociale italiano: “Dove l’attuazione delle comuni speranze si attende quasi unicamente dal proficuo lavoro della mutua coopera­zione, dal generoso sacrifizio degli inveterati puntigli, non tarda a notarsi una consolante fioritura di benefiche opere sociali; ma chi, come noi affacendati in questioni … troppo utili di campanilismo e di orgoglio egoistico, consuma le proprie energie nelle lunghe lamentazioni e stucchevoli lo­gomachie, negli inopportuni e astiosi rimproveri, nel palleg­giarsi indecorosi titoli e colpe comuni, e già fin troppo se ar­riva a mantenersi nello status quo, a non fare ritirate più … regressive o capitomboli più disastrosi”.

L’editorialista proseguiva così, evidenziando con quanto facilità si propagava l’errore negli ambienti studenteschi a di­scapito dei principi cattolici: “le istituzioni di studio d’opere sono, fra noi, lettera morta”.[60]

Nel campo dell’Agricoltura e della pastorizia “fonti prin­cipali del benessere del popolo sardo” non si era fatto niente per imprimere un movimento cristiano laico.

Così pure nel campo del ceto operaio: “in pochi centri pa­droni che si pretendono cattolici a tutta prova, non danno ai loro dipendenti neppure il venti per non dire il dieci per cento del guadagno netto che questi effettivamente loro pro­curano!”

Nonostante questo stato di cose c’era che si diceva ispirato e animato dall’ideale cristiano.

Era inutile, commentava l’editorialista, giustificare l’arenamento dell’azione cattolica con ragioni equivoche d’indole locale quando i motivi erano d’indole personale, egoistica partigiana: “Chi più potrebbe, meno si cura: e le forze vive che unite e ravvalorate, potrebbero essere la leva potente del risorgimento, restano prive della dovuta amore­vole e paziente cultura e abbandonate: il disgregamento con­tinuo e desolante n’è fatale conseguenza”.

Pertanto concludeva nell’esortazione: “Uniamoci e prepa­riamoci: ecco la risoluzione che deve erompere spontanea da ogni cuore. …Unità d’indirizzo: ecco la diga che, impedendo l’allagamento del confusionismo e degli equivoci, dirigerà le acque del nostro movimento isolano in un maestoso corso degno di far capo e riversarsi nel mare del movimento mon­diale.

Si visualizzava quindi la necessità di un buon programma pratico, vasto se non completo che avrebbe avuto bisogno di una “mente eletta” che proponesse un programma rispon­dente alle esigenze locali, sorretto da coloro che erano aperti alle moderne idealità.

Unità, quindi più volte propugnata, dall’Armonia. In “Il nostro popolo” di Fidelis[61] abbiamo un breve spaccato di quella che era la situazione della Sardegna, dove “le menti rozze, affaticate dal pensiero dell’indomani, costrette a un la­voro da bestie, nelle regioni sferzate dal sole cocente di luglio … vivono una vita randagia sforzando l’ingegno grezzo alla conquista di malvagi espedienti e vanno là, nelle brulle, de­serte campagne, la stessa vita dal bestiame al pascolo con la mente che medita il delitto”.

Un quadro eccessivamente scarno che tuttavia dava una visione di quella che era la realtà. E anche per ciò che rigu­ardava l’istruzione e l’educazione civile, l’editorialista eviden­ziava un aumento dei diplomati e dei titolati con una dimi­nuzione del benessere: “Neppure vi è il più lontano sentore dell’opera benefica esercitata dalle istituzioni civili e laiche. Anzi il vizio mentre diventa sempre più raffinato, aumenta in misura spaventosa”.

Dinnanzi a questa precaria situazione, “in Sardegna ab­biamo una media di 18 bettole per paese”, dovevano operare con fiducia i cattolici: “La religione può dare indubbiamente dolcissimi conforti ed i suoi apostoli se converranno nell’indirizzo dell’utile propaganda di miglioramento civile, morale ed economico, avranno in un tempo più o meno lon­tano la vittoria, una vittoria tanto splendida che nessun’altra potrà reggere al confronto”.

Vi era quindi una grande fiducia nell’opera da svolgersi, anche se era profondamente impegnativa.

Si esortavano i cattolici[62] di giungere al popolo per condividere con esso gioie e dolori, per rialzare le sue sorti, migliorare le anime, con l’aiuto di tutti coloro disponi­bili”: Anzi vogliamo che altri ci vengano in aiuto, che molti cooperino con noi in questa nobile e dolce missione, che si formi quasi una palestra attorno a noi dove possano allenarsi le forze latenti, per correre, a mano a mano, alla conquista del grande ideale”.

Proseguiva poi nell’incitare gli animi all’uscire dall’infingardaggine nella quale si trovavano a muoversi e provvedere seriamente e saggiamente alle esigenze.

Si constatava[63] che le sette “petulanti con aria spavalda “dilagavano numerose, con molti affiliati operai e agricoltori”. Ma dinnanzi a ciò i cattolici dovevano opporre un intensa opera per riabilitare quelle masse, quegli operai “… poveri illusi, uomini ingannati da perfidi inganni, che in un momento di dolore e di abbandono hanno perso la retta via”.

Pertanto il I congresso mariano che si svolse a Cagliari il 14 dicembre[64] fu commentato positivamente dal foglio cattolico che era orgoglioso della prova. Nonostante essendo il primo esperimento, fosse inevitabile l’accademia..

“Fu veramente giornata iniziale di affratellamento di spiriti e di cuori per la risurrezione morale della Sardegna”[65]

A Sassari si formò, nel gennaio del 1905, un’associazione giovanile democratico cristiana e ad essa diedero la loro ade­sione numerosi studenti, professionisti, sacerdoti, operai.

L’Armonia Sarda il 2 gennaio del 1905[66] pubblicò un appello redatto per incarico dell’associazione giovanile catto­lica e del comitato provvisorio, da un giovane studente “da lungo tempo nostro compagno di fede e di lotta.” “Sassari (commentava la direzione del giornale) era forse in Italia l’unico centro cattolico che di tale istituzione mancasse”, per­tanto il bisogno di quest’associazione giovanile era univer­salmente sentito e ad essa si augurava fortuna e amore.

L’appello era rivolto ai giovani cattolici di Sassari, e si metteva in risalto la necessità di un’azione cattolica dinnanzi al dilagare dell’errore: “L’opera odierna del cattolico quindi non può essere che opera altamente risanatrice, non può es­sere che argine alla sfrenata licenza ed al tempo stesso ban­diera gloriosa di sano progresso”, e si poneva in luce la man­canza di azione soprattutto nell’Isola: “E mentre tutta intera la patria nostra è insorta contro le aberrazioni delle coscienze popolari fomentate da istrioni in veste di eroi, ahimè nella nostra Sardegna, ultima anche in questo nella scala sociale, la gioventù cattolica ha preferito l’ipocrisia ed il silenzio alla luce, che sfolgora su gli stendardi di cento società italiane, luce fatidica che irraggia dal verso mirabile di Dante: Risorgi e vinci!”.

Pertanto, proseguiva il giovane studente, risorgiamo anche noi in quest’opera di carità e di redenzione, facciamolo per la nostra Sardegna che necessita di una educazione morale che sarà la base e principio di risorgimento economico.

Concludeva poi nell’invitare i giovani a volgere uno sguardo all’opera vigorosa della Lega Democratica Cattolica nel Belgio, al Centro in Germania, ai Giovani Cristiani di Francia, ai Circoli Operai di Spagna, ai Cristiano Sociali d’Austria, all’Opera dei Congressi felicemente fautrice della Democrazia Cristiana in Italia.

A presidente dell’associazione venne eletto lo studente universitario Michele Dalziani redattore dell‘Armonia Sarda.

Vice presidente era il commerciante Federico Contini, se­gretario lo studente universitario Ferruccio Ciani, cassiere lo studente liceale Martino Ganadu; consiglieri: il tipografo G. Pittalis, l’impiegato D. Salaris, l’agricoltore Salvatore Fois, il conciatore Salvatore Depau e un calzolaio Daniele Sechi.[67]

All’insediamento del nuovo consiglio tenutosi alcuni giorni dopo intervennero alcuni fra i principali esponenti del laicato sassarese, l’avv. Zirolia che parlò sugli scopi della so­cietà e il prof. Carmine Soro Delitala docente dell’Università di Sassari.

L’associazione si impegnò in una serie di conferenze eco­nomico-sociali tenute nella sede dell’Associazione costituzio­nale.

L’associazione sassarese non ebbe la stessa diffusione del circolo di Cagliari, non ebbe ad esempio un proprio organo di stampa, anche se l’Armonia Sarda si mostrò sempre so­stenitrice dell’azione dei giovani.

Nel campo dell’organizzazione professionale nell’aprile del 1905 si formava una Federazione d.c. fra i calzolai che ottenne l’adesione di oltre 330 soci; subito si cominciarono a tenere assemblee su questioni sociali[68].

Nell’ottobre del 1906[69] l’Armonia Sarda pubblicava un’ottima iniziativa partita dai giovani del Circolo S. Saturnino intitolata: “L’organizzazione cattolica in Sardegna – una statistica – un referendum “, si manifestava la necessità di organizzarsi e di contarsi confidando nella buona volontà e nell’assenso di tutti i cattolici dell’isola: “Per il bene del nostro movimento in Sardegna, per l’amore che noi nutriamo per la causa cattolica, per il cui trionfo quotidianamente lottiamo, noi auguriamo ai bravi giovani che la loro opera trovi il suc­cesso che si merita.

Nessuno le neghi il proprio aiuto non si erigano odiose dighe chinesi fra il nord e il sud ma da ogni angolo della Sardegna risponda una voce unanime al grido della gioventù sarda, una voce che dimostri come tutti oramai sono persuasi della necessità assoluta d’organizzarsi e come tutti son pronti a lavorare per l’incremento della nostra azione, che segnerà per l’isola tanto nel campo morale, che nel campo religioso, rigenerazione e vita.”

L’articolo annunciava una ripresa dell’azione cattolica in Italia e delineava una graduale organizzazione delle forze cattoliche avente per base quelle direttive fissate dal Santo Padre con l’enciclica “Il fermo proposito”.[70]

Perciò viste le consolanti notizie di forti manifestazioni cattoliche di movimento proficuo d’organizzazione dalla Lombardia alla Sicilia era necessario che anche la Sardegna rispondesse al grido di raccolta dei fratelli italiani.

“Numerose associazioni cattoliche di genere e con scopi diversi esistono nella nostra Isola, dalle congregazioni reli­giose alle Società confessionali di carattere economico, ma nessuno sa che esse esistono, nessuno ha mai provveduto a farlo sapere”.

Pertanto, continuava l’articolo, prima di intraprendere un qualunque studio bisognava conoscere l’organizzazione reli­giosa educativa economica della Sardegna.

Si informavano i lettori circa i modi: “A tal’uopo verrà in­viata ai singoli parroci un’apposita circolare con una scheda, da rimandarsi entro il termine fissato, alla Commissione ese­cutiva, in cui dovranno scrivere il numero e il nome delle Società esistenti nella loro parrocchia, specificare lo scopo di ciascuna società e le opere che compie, e far conoscere il nome del presidente e il numero dei soci, oltre tutte quelle altre note ed osservazioni, che crederanno maggiormente opportuni”.

Si interpellavano le più spiccate personalità militanti in Sardegna perché contribuissero a quello studio preliminare e tanto urgente.

 


VI

 

 

Il dibattito sull’azione cattolica

 

Verso la fine del 1904 l’attività del movimento cattolico italiano diveniva sempre più complessa a causa delle “fratture” tra i conservatori seguaci del Paganuzzi e del gruppo veneto, i moderati e o seguaci di Romolo Murri.

Già dall’ottobre del 1902 con la nuova presidenza nell’opera dei congressi del Conte Grosoli il dissidio si era delineato ulteriormente, fino a sfociare nello scioglimento dell’Opera nel luglio del 1904.

“L’Armonia Sarda” non diede particolare pubblicità alla crisi dell’Opera, ma si limitò a riferire con trafiletti,[71] in prima o terza pagina, gli avvenimenti.

A tratti si ha la sensazione che essa parteggi per i murriani della attenta lettura degli editoriali infatti si avvertono simpatie per il gruppo democratico cristiano e quindi anche per la partecipazione dei cattolici come tali alla vita politica, il tutto è sempre temperato dall’ossequio alle decisioni del Pontefice.

E’ indubbio che il quotidiano non poteva essere più esplicito vista la rovente lotta politica esistente a Sassari e il controllo morale che esercitava Cagliari sui cattolici sassaresi.

E’ evidente poi che la punta più avanzata è quella di Salvatore Daddi e del suo gruppo che probabilmente era costretto a convivere col gruppo degli intransigenti.

L’uscita del Daddi a metà del 1905 potrebbe indicare, secondo la ipotesi accennata il fallimento del gruppo democratico cristiano in seno al giornale.

Seguiamo passo passo il pensiero del quotidiano.

In “Il papa e l’opera dei Congressi cattolici”[72] si riportava una lettera del conte Grosoli:”si informavano i lettori della lettera del cardinale segretario di Stato al conte Grosoli, presidente generale dell’Opera dei Congressi e Comitati cattolici in Italia, pubblicata sull’Osservatore Romano

Si manifestava il dolore del pontefice alla poca unità rag­giunta e per la mancanza di armonia necessaria perché l’azione cattolica potesse esplicarsi maggiormente e dare i frutti desiderati.

Il papa conservava stima e fiducia verso il conte Grosoli e in conclusione dava consigli d’indole generale a tutto il comi­tato dell’Opera e ai cattolici tutti.

Dopo questa lettera sappiamo che il conte Grosoli rivolse a tutte le associazioni cattoliche una circolare datata 15 luglio e quattro giorni dopo una nota dell’Osservatore Romano di­chiarava di non ritenere opportuna la pubblicazione della circolare la quale non in tutto era conforme alle istruzioni pontificie.[73] L’Armonia Sarda[74] riportava un articolo col quale si rendevano note le dimissioni del Grosoli.

Il corrispondente da Roma, non era sicuro delle dimis­sioni, tuttavia informava i lettori che “… All’ultima ora si é sparsa nei circoli bene informati la voce – che non so se sia vera e raccolgo soltanto per dovere di corrispondente – che le dimissioni sono state realmente accettate e che stamane il Santo Padre ha ricevuto il prof. Toniolo giunto apposita­mente per combinare sulla nomina di un nuovo presidente che non propenda per alcuna delle due tendenze e sappia tenersi neutrale. Si fa a questo proposito il nome dell’avv. Pericoli“.

Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi i vecchi rimasero in attesa di nuove disposizioni mentre i giovani più insofferenti della dipendenza dall’autorità ecclesiastica anda­rono alla ricerca di una certa autonomia nel convegno di Rimini (14 agosto 1904) in cui veniva proposta la costitu­zione di una “organizzazione autonoma di indole civile e so­ciale[75].

Vi era anche il gruppo che faceva capo al Meda costituito dagli amici del Grosoli, che si mise allo studio per fondare un organismo che tenesse compatti i cattolici nel campo eletto­rale, avevano perciò già stabilito una riunione da tenersi a Milano il 4 agosto.

Il convegno si tenne in tutta riservatezza a Milano nella data stabilita, lo scopo era di essere concordi e non agire iso­latamente.

Nel Convegno nel quale erano presenti l’avv. Meda, Filippo Crispolti, il conte Zucchini, l’am. Angelo Mauri di Torino, il dr. Giuseppe Micheli di Parma, il rag. Vincentini di Ferrara, il cav. Burgisser di Firenze e il dr. Giorgio Montini di Brescia, il Crispolti propose la fondazione di un’Associazione Generale Italiana fra gli Elettori Amministrativi.[76]

La proposta fu accolta, ma la denominazione modificata in Unione Nazionale fra gli Elettori Cattolici Amministrativi d’Italia.

L’Unione limitava la sua attività alla sfera amministrativa, ammessa dalla Chiesa, ma nell’intenzione dei promotori era chiaramente previsto un inserimento graduale in maniera autonoma anche nella sfera politica [77]

Nonostante la riservatezza del convegno, l’agenzia Stefani ne dava subito notizia in una forma molto vaga.

A questo proposito “L’Armonia Sarda”[78] in “Per un progetto” informò i suoi lettori.

Premetteva innanzitutto, in risposta ad un giornale sociali­sta che la definiva “riunione segreta”, la natura semplicissima dell’adunanza stessa: “Si era, scrive il Crispolti, nella frequen­tata sede del Circolo Cattolico e a porte aperte …

In un secondo momento tracciava a grandi linee l’origine e la natura della proposta.

Se l’Opera dei Congressi fosse durata nella sua integrità era facile prevedere che avrebbe cercato di accrescere l’importanza e l’efficacia della sezione elettorale. Viste le re­centi vittorie cattoliche nelle elezioni amministrative e in vista delle prossime, era, a detta dell’editorialista, necessario “procurare una certa uniformità nella condotta di coloro che saranno eletti, ossia nei modi migliori di governare e di in­dirizzare gli enti locali“.

Ripercorreva, quindi, le esperienze che si fecero nel 1894 e 1895, quando i cattolici vinsero, ma rimase tutto “un fuoco di paglia”, proprio per la mancanza di “una visione chiara di ciò che la vita locale richiede nei giorni nostri da cattolici attivi e illuminati“.

Era convinto che l’Opera dei Congressi se la sua azione culturale e generale non fosse stata semplificata, si sarebbe senz’altro resa conto della necessità. Aggiungeva inol­tre:”Credo anzi che, in seguito alle vittorie cattoliche ammi­nistrative delle ultime domeniche, l’ufficio di presidenza avesse avuto bisogno del concorso del Comitato Permanente per dare alla sezione elettorale l’ampiezza e la forza richiesta dal momento presente, il comitato quantunque così diviso in altre materie, e così discorde nella sua fiducia alle persone dirigenti avrebbe dato al presidente generale tutti i poteri ipoteticamente necessari“.

La vasta azione amministrativa a cui l’Opera avrebbe dovuto darsi subito per forza sarebbe stato un motivo di pace o almeno di speciale armistizio”.

Concludeva nell’augurare che il proposito dell’azione amministrativa italiana andasse in porto vista la sua urgente necessità. Proposito che oltre a unificare le forze che i dissidi avevano posto sulla via dello scoraggiamento, presentava il vantaggio di non esser né un duplicato o un concorrente della parte sopravvissuto dell’Opera dei congressi in quanto l’Opera si era ritirata.

Inoltre aveva anche il vantaggio di non essere un’azione cattolica di specie nuova e quindi intorno alla quale potesse essere dubbia la accoglienza dell’autorità superiore, ma di es­sere coordinamento di un’azione cattolica “fra le più antiche, le più benedette, le più raccomandate, cioè l’efficace inter­vento cattolico nelle elezioni amministrative, intervento in cui, luogo per luogo, senza prescrizioni fisse e determinate, i rapporti tra la libertà degli elettori e l’autorità ecclesiastica si sono sempre variamente e pacificamente esplicati“.

Come sede dell’Unione fu scelta Bologna. Il cardinale Svampa[79] legato da lunga amicizia ai grosoliani diede il suo assenso alla decisione e offrì come sede delle riunione un locale della Curia.

Il memoriale dell’Unione fu presentato al papa attraverso il cardinale Svampa. Il Santo Padre credette prudente mante­nere l’autorità ecclesiastica libera da qualunque responsabi­lità. Pertanto i promotori dell’Opera nella riunione del 23 ottobre a Bologna, vararono definitivamente lo statuto e il programma.

Il 27 ottobre 1904 anche “L’Armonia Sarda”[80] pubblicò lo statuto in tutti i suoi quattordici punti e il programma, ac­compagnandolo con la comunicazione che le adesioni dove­vano essere inviate presso il conte Zucchini di Faenza e che gli aderenti sarebbero stati convocati a Bologna per la defini­tiva costituzione.

Nel citato articolo del foglio cattolico sassarese così si leg­geva: “La riscossa dei cattolici, soli o uniti ad uomini tempe­rati contro la tirannia dei partiti matamente intitolatisi popo­lari, é incominciata nelle elezioni provinciali e comunali dei mesi scorsi e promette di diventare più generale e più vigo­rosa in quelle del 1905 nelle quali saranno parzialmente rinnovate le rappresentanze di tutte le provincie e i comuni del Regno. … ma è necessario che numerosi cattolici ammi­nistrativi di tutta l’Italia s’intendano fra loro in modo rego­lare e permanente. A questo scopo l’Unione Nazionale fra Elettori Cattolici Amministrativi italiani“.

Si informavano i lettori che l’Unione rimaneva indipen­dente da ogni altra forma e da ogni altro organo della loro attività, e che sarebbe stata responsabile dei propri atti così da non trascinare l’autorità ecclesiastica nel conflitto dei partiti.

L’Unione propugnava la tutela dei diritti della religione nell’insegnamento, nelle opere pie e in ogni ramo dell’attività; la promozione di quelle iniziative di studio e di azione neces­sarie per rendere più efficace ed organica l’influenza dei cattolici nelle pubbliche amministrazioni.

Le associazioni elettorali già esistenti avrebbero potuto fungere da sezioni dell’Unione.

Successivamente “l’Armonia Sarda” pubblicò un articolo (già precedentemente citato)[81] sull’atteggiamento dei demo­cratici cristiani autonomi, che una volta sciolta l’Opera dei Congressi andavano alla ricerca di autonomia e nel Convegno di Rimini il 14 agosto del 1904 proponevano la costituzione di una organizzazione autonoma di indole civile e sociale.

Gli articoli relativi alla “democrazia cristiana” sono già stati visti.

Tornando al’Unione, anche in questo caso gli antichi dis­sidi tra tendenze conservatrici e democratiche finirono per far prevalere le prime, per cui l’Unione, ostacolata sin dal suo sorgere dal II gruppo per la sua tendenza all’autonomia e all’inserimento nella sfera politica, fallì.

Pio X col “Fermo proposito” manifestò chiaramente di sostituire l’Unione con un’altra organizzazione più decisa ed ancorata alla gerarchia[82] .

Nel gennaio del 1905[83], “L’Armonia Sarda,” commen­tava positivamente un articolo apparso su “La Civiltà Cattolica” del 7 dicembre 1905.

Il messaggio era di un’azione sociale nel terreno costituzionale, formula che se applicata avrebbe dato ottimi risultati.

Nonostante il lavoro dei socialisti e dei massoni l’Italia era fondamentalmente cattolica e i cattolici dovevano prepararsi ad operare per concretizzare il loro programma sociale.

I cattolici adunque, che coll’aprirsi del nuovo anno de­vono prepararsi a questo lavoro di salvazione, hanno biso­gno di concretizzare il loro programma sociale e della unità disciplinata di tutte le loro forze militanti“. (Tratto da “La Civiltà Cattolica”)

“L’Armonia” manifestò piena adesione a “questo rivelan­tissimo articolo, contenente quelle idee che ci sono comuni e delle quali ci sarà dato di prossimamente occuparci, perché riassumono i principi e le idee del nostro programma“; e concludeva: “mettiamo la mano sul cuore d’Italia, che batte nei focolari domestici, e accordando insieme le sue due vite, la pubblica e la privata, colla unità dell’azione sociale sul terreno costituzionale, la salveremo nel bivio e le apriremo la via del risorgimento cristiano“.

In un successivo articolo, il foglio cattolico sassarese vista la confusione che il concetto “democrazia cristiana” suscitava tra gli stessi vescovi, è questo il caso del vescovo di Verona, di quello di Padova e di Reggio Emilia, pubblicò un articolo intitolato “Per il movimento democratico autonomo”, col quale si davano maggiori chiarimenti. [84]

Così premetteva: “questo decentramento ingenera nel no­stro campo uno strano confusionismo, divide gli animi e non giova al raggiungimento del nobilissimo fine, per cui l’azione nostra deve essere ad un tempo concorde e soggetta all’autorità della Chiesa“.

Citava, quindi, il motu proprio di Pio X, chiamato la Magna Charta della democrazia cristiana, con la quale si evi­denziavano nell’azione democratica cristiana due poli, che nessun cattolico doveva oltrepassare: ciò che voleva il Papa da un lato e dall’altro ciò che il Papa non voleva.

Su questo binario, proseguiva l’editorialista, doveva svol­gersi l’azione dei democratici cristiani.

Tutte le volte però che la corsa fosse troppo vertiginosa e minacciasse di mandare i carri fuori dalle rotaie, sarà indi­spensabile porre, senz’indugio, mano ai freni, per non roto­lare a precipizio“.

Ma cos’era quest’autonomia o da che cosa si pretendeva di esser autonomi?

Vi è un autonomia buona e lecita, che non deve mancare nel movimento cristiano non dissimile da quella di cui go­dono certi enti costituiti sotto l’impero della legge, in piena facoltà di muoversi, di loro iniziativa e liberamente entro l’ambito però della legge stessa. All’infuori di quest’autonomia, ogni altra che “scantoni” dalle disposizioni della Chiesa e dalla soggezione ai vescovi é riprovevole e non può dare buon frutto“.

Ripercorreva le dispute sulla democrazia cristiana sorte in paesi quali la Svizzera, la Francia, il Belgio, dove aveva un ca­rattere e un fine politico, mentre in Italia, salvo eccezionali circostanze, non ne doveva avere.

Tuttavia rilevava l’articolista come era necessario ricono­scere che alcuni giovani non sempre seppero contenersi e che parecchi corsero troppo spaventati dalla paura del socialismo, era pur doveroso riconoscere che alcuni dirigenti “invece di usare con essi un paterno e caritatevole richiamo li censura­rono, e quasi li scomunicarono, onde nacquero le diffidenze e le opposizioni, e il campo si divise, con danno non indiffe­rente per l’azione cattolica“.

Pertanto Leone XIII con l’enciclica Graves de communi (18.1.1901) intervenne per spiegare la differenza tra la de­mocrazia cristiana e la democrazia sociale dettando per l’azione della prima norme e insegnamenti sicuri.

Non essendo ciò sufficiente Pio X dovette intervenire col motu proprio del 18.12.1903 che doveva essere un codice dei democratici cristiani: “Bastava impararlo a memoria e tra­durlo in pratica”.

Concludendo vi era l’augurio di lavoro utile e proficuo per i giovani: “Proseguano dunque i giovani con animo lieto ad attuare il loro programma di restaurazione d’ogni cosa in Cristo; volgano specialmente le loro cure alla scuola, che ha tanto bisogno di essere cristianizzata; e l’azione loro sia so­prattutto concorde, pronta, ed ossequente non solo agli or­dini, ma anche ai desideri e agli ammonimenti che vengano dall’alto“.

Successivamente “L’Armonia” informò i suoi lettori sulle varie vittorie che il partito conservatore aveva ottenuto nei vari collegi d’Italia.

“Bologna insegna” [85], “insegna a noi la via da seguire nelle lotte amministrative per giungere alla vittoria”, in rife­rimento alla sconfitta dei socialisti ed i loro alleati a Bologna. Prima ancora era stata la volta di Genova e di Reggio. Si evi­denziava l’opera che i democratici avevano svolto: “l’elezione di domenica ha provato luminosamente che i democratici cristiani di Bologna sono invece – si pensava che i democra­tici facenti capo all’Avvenire avessero rapporti coi partiti estremi -, gli amici più fidi, i collaboratori più generosi e pronti dei conservatori e di tutti coloro che nutrono fede re­ligiosa e amore di patria; sono i nemici più dichiarati dei socialisti, ai quali a tempo e a luogo ne sanno dare di cotte e di crude.”

Sempre nel gennaio del 1905 si citò l’intervento dell’on. Cornaggia deputato milanese, direttore de” La Lega Lombarda”.[86]

Intervento ben accetto che censurava il progetto di legge del ministro Ronchetti sulle Decime, lesivo per i parroci e per le parrocchie.[87]

Oramai i cattolici erano scesi in campo alcuni disordina­tamente, altri meglio disciplinati col fine principale di fer­mare il socialismo rivoluzionario sempre più avanzante.

Nei primi di febbraio del 1905 “L’Armonia Sarda” pub­blicava “Metodi e programmi” [88] col quale, dando il posto ad un articolo sulla democrazia cristiana apparso nell’organo ufficiale del gruppo “la patria” di Ancona, esponeva un “vero programma del partito”.

Il fine di questo era secondo il foglio cattolico sassarese di “bandire tutte quelle divergenze di metodo, destinate a para­lizzare le buone iniziative e la vera azione nel campo nostro per il benessere del popolo e per l’incremento della fede: per la restaurazione della società in Gesù Cristo.”

Si esortavano i lettori a rivolgersi agli ordinari diocesani per capire o farsi spiegare qualche dubbio sorto o non capito riguardo alle encicliche pontificie.

Seguiva poi la pubblicazione dell’articolo.

In linea generale possiamo notare un atteggiamento un tantino risentito nei confronti della gerarchia per lo sciogli­mento dell’Opera dei Congressi, i democratici cristiani ri­prendevano il loro programma anche nei riguardi di un’azione politica tracciata su l’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII e si accingevano a formare un partito politico nazionale come altri che si accinsero a formare un’unione nazionale degli elettori cattolici amministrativi. Ovviamente, continuava l’articolista, l’una completava l’altra con la diffe­renza che l’unione elettorale serbando ai soci l’appellativo di cattolici, poteva coinvolgere nella sua azione il Papa e la Chiesa, mentre il partito democratico cristiano “autonomo” si proponeva di attuare gli intendimenti di Pio X.

Considerandosi autonomi i democratici cristiani intende­vano rendere un servizio alla chiesa e alla religione. Ma, pro­seguiva l’articolista, “L’Avanti” annunzia che si lavora alla formazione di un centro clerico monarchico conservatore, e la “Civiltà Cattolica” propugnava la formazione di un centro sociale nel quale fossero eliminati gli estremi di destra e di sinistra, per “diffondere l’ordine cristiano sul terreno sociale contro le dottrine e le tendenze sovversive del socialismo“.

Lo sdegno era grande, poiché i democratici cristiani ave­vano anche l’obiettivo di restaurare l’ordine sociale cristiano.

Gli inviti all’azione furono frequenti. Dinnanzi all’intervento del Pontefice riguardo all’azione dei democra­tici cristiani, del 1° marzo 1905 col quale, con una lettera al cardinale Svampa, il Santo Padre disapprovava in pieno l’azione dei democratici cristiani autonomi,[89] é significativo l’articolo di A. Apeddu “Controvapore!” [90].

Premettiamo che Pio X appena informato del futuro con­gresso per il 26-27 marzo di Bologna, aveva minacciato pene canoniche ai sacerdoti che vi avessero partecipato.

Così commentava “l’Armonia Sarda”:Il documento pon­tificio sembra avere tolto ogni speranza ai giovani democra­tici cristiani, ma non è così. Il pontefice intendeva semplice­mente perfezionare la grande azione sociale dei cattolici ini­ziata dal Leone XIII.

“Ma la corsa dei più animosi era troppo precipitosa, anzi vertiginosa, sfrenata e minacciava di portare alla rovina, alla ribellione e all’anarchia, spingendo il congegno recen­temente costrutto di molti democristiani, sopra una via peri­colosa e senza guide“.

E noi faremo sosta, all’autorevole Alt! Ci guarderemo introno per orientarci meglio e poi riprenderemo il cammino più cauti, più subordinati, più compatti, sotto la guida dei vescovi i quali devono essere …, l’unità congregante, la pa­rola insegnante, il centro della gerarchia inferiore“.

Pertanto concludeva nel dire che la democrazia cristiana autonoma: “deve picchiarsi il petto dicendo mea culpa e deve formare il proposito di scansare nel futuro le imprudenze del passato “.

Dopo questa lettera del Pontefice in campo nazionale tutte le iniziative autonome dei cattolici venivano a trovarsi in seria difficoltà.

I promotori dell’Unione Nazionale ritennero opportuno (riunione del 26-27 marzo 1905) non dare più corso all’iniziativa e costituire in ogni comune, delle associazioni locali per poi procedere in futuro ad una federazione nazionale.

Il pontefice si proponeva di dare una nuova ed efficace impostazione all’azione cattolica e per questo preparò l’enciclica dell’11 giugno 1905 “Il fermo proposito” nella quale aveva di mira la costituzione di tre grandi associazioni a scopo:

a) economico; b) sociale; c) amministrativo politico.

“L’Armonia Sarda” il 23 giugno del 1905 [91] pubblicava un articolo “L’azione cattolica in Italia” col quale si informa­vano i lettori che da quel giorno avrebbero pubblicato in di­verse puntate il testo del “sapientissimo documento” che sa­rebbe dovuto servire da norma e da guida all’azione dei cat­tolici.

L’impressione, dopo la lettura dell’enciclica, del foglio sas­sarese è questa: “essa chiude un penoso periodo d’incertezze fiaccanti e instaura pei cattolici italiani una ripresa vigorosa e sicura dell’azione civile e sociale, nella pienezza della sua effusione in tutti i campi più fecondi, compreso quello poli­tico.

Noi che abbiamo fin dapprincipio seguito con salda fi­ducia, anche precorrendo i fatti, questo orientamento e ab­biamo per esso atteso l’alta sanzione del pontefice senza mai perderci d’animo né smarrire la via di fronte alle erronee conclusione altrui, non possiamo accogliere queste anguste istruzioni che con un senso di schietta soddisfazione e di profonda riconoscenza al sommo Pastore che, continuando l’opera gloriosa di Leone XIII, ci schiude innanzi espansioni nuove e gagliarde anche sul terreno della vita pubblica na­zionale, e presta al laicato cattolico d’Italia un attestato pubblico di fiducia preziosa con un aumento di nobili re­sponsabilità, nel passaggio dal regime dell’autorità a quello di maggiore libertà. Dopo questa enciclica ogni esitanza va troncata, ogni dubbiezza deve scomparire: prepariamoci con vigore e valore ai destini nuovi che la Chiesa ci addita nella storia, pel bene delle anime, il risorgimento anche materiale del popolo, la prosperità del nostro paese!“.

Seguiva poi l’inizio del testo, nell’articolo successivo [92] si rendeva nota ai lettori la designazione dell’avv. Paolo Pericoli, del conte Medolago Albani e del prof. Toniolo per studiare e predisporre i modi pratici con cui attuare le disposizioni contenute nell’enciclica.

Successivamente ed esattamente il 14 luglio dello stesso anno [93] “L’Armonia Sarda” pubblicava il commento dell’Enciclica apparso sulla “Civiltà Cattolica”, “La parola del Papa. Nuovo ordinamento dell’azione cattolica in Italia”, probabilmente scritto da P. Pavissich.

Si aggiungeva inoltre che la adunanza dei fiduciari con­vocata dal triunvirato Toniolo-Medolago-Pericoli a Firenze si sarebbe stata svolta entro quel mese, per riprendere poi il la­voro.

Dopo le disposizioni pontificie si temeva che quel docu­mento non fosse studiato seriamente da tutti i cattolici italiani perché l’importanza stava nel fatto che con quell’atto il pon­tefice apriva la via più sicura ai cattolici italiani per concen­trare le loro forze nell’unità del lavoro sociale.

Era impossibile che si attuasse il desiderio di parecchi cattolici e che la Santa Sede lasciasse piena libertà d’azione alle varie tendenze, per evitare inconvenienti derivati da pro­babili discordie. Tale libertà veniva regolata distribuendo il lavoro in tre campi distinti e con l’adunanza intorno a tre centri indipendenti e coordinati tra loro.

Si specificava poi la designazione di ogni gruppo, il so­ciale o primo gruppo, l’economico chiamato “centro” era l’unione delle opere ed istituzioni d’indole economica che aveva la promo­zione la direzione la federazione e la sorveglianza di tutti gli istituti e sodalizi economici e infine il terzo gruppo o centro generale, costituito per la partecipazione dei cattolici alla vita e all’azione politica del paese.

Si chiariva che il Papa manteneva il valore giuridico del non expedit mantenendo in vigore la possibilità di dispense per i casi particolari.

Si raccomandava l’unità e il lavoro concorde.

Successivamente venne riportato per intero dal foglio di Sassari il breve di Pio X entusiasta per l’ascolto e per la grati­tudine ricevuta dai fedeli [94]

“L’Armonia Sarda” mostrava di essere concorde con le ul­time direttive papali. Pio X e il suo operato venne più volte difeso, nel corso di questi anni, dagli attacchi socialisti e mas­soni [95]: “La Chiesa cattolica adattandosi prudentemente alle esigenze dei tempi non rinunciava a ciò che era suo di­ritto e non consentiva di sanzionare il nuovo atteggiamento con rinunzie o dichiarazioni“.

Molti cattolici, leggono con indifferenza gli atti del Sommo pontefice, commentava amaramente, li discutono e li interpretano molto limitatamente, dovrebbe pertanto esserci una maggiore umiltà e rettitudine di cuore [96].

Le chiarificazioni e i vari atti che i cattolici ricevettero in Italia furono comunque resi noti anche a Sassari. “L’Armonia Sarda” pubblicò puntualmente ogni cosa, il rinvio del previ­sto congresso di Firenze, il progetto di costruzione del nuovo edificio che sarebbe dovuto sorgere in Vaticano per uso di abitazione dei familiari che risiedevano nel palazzo aposto­lico, le chiarificazioni delle varie polemiche sorte tra l’Unione Romana e la Civiltà cattolica e così via,[97].fino a presentare ai lettori l’accurata descrizione della circolare diramata da Bergamo alle associazioni cattoliche d’Italia firmata da Toniolo Albani e Pericoli [98].

Seguì attentamente le varie discussioni sorte dopo i tenta­tivi di riordinamento dell’organizzazione cattolica profes­sando unità e collaborazione fraterna dinanzi alle profonde divergenze.

“La via del centro sarà la via battuta” e la Sardegna era centrista [99].

Nell’Armonia Sarda dell’aprile 1906 in “L’organizzazione cattolica” si riscontrava, riportando i dati della relazione che il conte Medolago Albani comunicava al congresso di Firenze (tenuto il 24-25 febbraio 1906), un aumento delle varie as­sociazioni: “… dimostrazione più eloquente del continuo non interrotto progresso delle associazioni cattoliche in Italia[100]

“Questa rivista di forze brillante anche se incompleta costituisce per i cattolici militanti d’Italia un titolo di vera benemerenza sociale e insieme uno stimolointenso ad agire per l’allargamento sempre più ampio e fitto di questa grande rete di organizzazione ed assistenza popolare”.

 1 L. DELPIANO, La Sardegna nell’Ottocento, ed. Chiarella, Sassari 1984, p. 276.

2Ivi, p. 276

3 Il Cardinale Giovanni Maria Ferretti, nato il 13 maggio 1792 a Sinigallia, salì alla dignità Pontificia il 16 giugno 1846 con il nome di Pio IX. Il suo Pontificato durò 32 anni, sino al 1878; cfr., P. LEVILLAIN, Dictionnaire historique de la papauté, Ed. Fayard, 1994, pp. 1343-1349.

4 Il Conclave riunitosi nel febbraio del 1878, elesse Papa il Cardinale Gioacchino Pecci, nato il 2 marzo 1810 a Carpineto. Egli assunse il Pontificato con il nome di Leone XIII, ivi pp. 1035-1038.

5 G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, Ed. Laterza, Bari 1985, p. 296; cfr., G. DE ROSA, Storia del movimento cattolico in Italia, Ed. Laterza, Bari 1968.

6E. MOMIGLIANO, G.M. CASOLARI S.J., (a cura di), Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, Dall’Oglio editore, Milano 1959, vol. I, p. 436.

7 ivi, p. 441.

8 ivi, p. 445.

9 ivi, pp. 447-448.

10 G. DE ROSA, L’Opera  dei Congressi, cit., p. 303.

11E. MOMIGLIANO, G.M. CASOLARI S.J., (a cura di), Tutte le encicliche, cit., pp. 433-434.

12 G. DE ROSA, L’ Opera dei Congressi, cit., p. 165. Vedi anche  P. BELLU, L’Opera dei Congressi nei documenti dell’archivio Zucchini di Faenza, Edizioni Cinque Lune, Roma 1976.

13 ivi, pp. 143-144.

14 ivi, p. 176.

15 ivi, p. 368.

16G. CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, III , Roma 1972, p. 287.

17P. BELLU, I cattolici alle urne, edizioni Della Torre, Cagliari 1977, p. 67.

18G. DE ROSA, L’ Opera dei Congressi, cit., pp. 330-331.

19G. CANDELORO, Il movimento cattolico , cit., p. 287.

20P. BELLU, I cattolici. alle urne, cit., p. 63.

21 G. DE ROSA, L’ Opera dei Congressi, cit., p. 398.

22 ivi, p. 371.

23 ivi, p. 175.

24 ivi, p. 401.

25E. MOMIGLIANO, G.M. CASOLARI S.J., Tutte le encicliche, cit., p.497.

26P. BELLU, I cattolici  alle urne, cit., p. 69.

27 “L’azione dei cattolici eserciterà certo un più largo influsso se tutte le società, pur serbando la propria autonomia, muovansi sotto l’impulso di un’unica direzione”.

28Il Cardinale Giuseppe Melchiorre Sarto, nato a Riese il 2 giugno 1835, prima di salire alla dignità pontificia fu Patriarca di Venezia; cfr., P. LEVILLAIN, Dictionnaire historique, cit., pp. 1349-1351.

29E. MOMIGLIANO, G.M. CASOLARI S.J., Tutte le encicliche…, cit., p. 519.

30 P. BELLU, I cattolici…, cit., p. 86.

31 G. DE ROSA, L’ Opera…, cit., p. 411 nota 11.

32 ivi, pp. 475-477.

33 P. BELLU, I cattolici…, cit., p. 86.

34 G. DE ROSA, L’ Opera…, cit., p. 483.

35 P. BELLU, I cattolici…, cit., p. 91.

36 G. DE ROSA, L’ Opera…, cit., p. 505.

37 P. BELLU, I cattolici…, cit., p. 94.

38 G. DE ROSA, L’ Opera…, cit., p. 520.

39 P. BELLU, I cattolici…, cit., p. 104.

40 C. MORANDI, Il rientro dei cattolici nella vita politica, in A. DESIDERI, Storia e storiografia, vol. III, casa editrice G. D’Anna, Messina-Firenze 1989, p. 41.

41 E. MOMIGLIANO, G.M. CASOLARI S.J., Tutte le encicliche…, cit., p. 519.

42 ivi, p. 551.

43 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti popolari in Sardegna, 1880-1926, Editori Riuniti, Roma I977, p. 3.

44 ivi, p. 6.

44 bis L. CODA, La Sardegna nella crisi di fine secolo, Ed. Dessì, Sassari 1977, p. 29.

45 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti…, cit., pp. 228-233.

46 ivi, pp. 264-265.

47 A. BOSCOLO, M. BRIGAGLIA, L. DEL PIANO, La Sardegna contemporanea, Edizioni della Torre, Cagliari 1974, p. 234.

48 ivi, p. 184.

49 C. ARRU, La beneficenza a Sassari (1850-1930), in, A. TEDDE (a cura di), Cattolici in Sardegna tra l’Otto e il Novecento, Associazione Alcide De Gasperi, Ozieri 1993, p. 61; sull’attività delle Dame della carità cfr., A. TEDDE, L’attività sociale delle Dame della carità nel primo Novecento a Sassari, Associazione Alcide De Gasperi, Ozieri 1994.

50 T. CABIZZOSU, Chiesa e società nella Sardegna centro-settentrionale (1850-1900), Il Torchietto, Ozieri 1986, pp. 36-37.

51 G. DE ROSA, L’Opera…, cit., p. 199; cfr., A. GIOVAGNOLI, Cattolici in Sardegna nel primo novecento, Associazione A. De Gasperi, Sassari 1989.

52 ivi, p. 198.

53 C. ARRU, La beneficenza…, cit., p. 61.

54 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti…, cit., p. 299.

55 F. ATZENI, Aspetti del movimento cattolico in Sardegna dallo scioglimento dell’Opera dei congressi alla fondazione del partito popolare, appunti e documenti, in “Archivio storico sardo”, vol. XXXI, Cagliari 1980, p. 311.

56 R. TURTAS, Le vicende della Chiesa dal 1871 al primo dopoguerra, in, M. GUIDETTI (a cura di), Storia dei sardi e della Sardegna, Jaca book, Milano 1989, vol. IV, p. 310.

57 F. ATZENI, Aspetti del movimento…, cit., p. 329.

59 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti…, cit., p. 300.

60 cfr., ” La Sardegna cattolica”, 14 ottobre 1902.

61 F. ATZENI, Aspetti del movimento…, cit., p. 313.

62 T. CABIZZOSU, Chiesa e società in Sardegna (1870-1987), coop. grafica nuorese, Nuoro 1987, p. 242.

63 A. BOSCOLO, M. BRIGAGLIA, L. DEL PIANO, La Sardegna…, cit., p. 289.

64 F. ATZENI, Aspetti del movimento…, cit., pp. 329-330.

65 ivi, p. 330.

66 L. DEL PIANO, Politici, prefetti e giornalisti tra Ottocento e Novecento in Sardegna, Ed. della Torre, Cagliari 1975, p. 153.

67 M. CLARK, La storia politica e sociale (1847-1914), in, M. GUIDETTI (a cura di), Storia dei sardi…, cit., p. 280;

68 F. ATZENI, Aspetti del movimento…, cit., p. 326.

69 M. CLARK, La storia politica…, cit., p. 280.

70 cfr., P. MARICA, Stampa e politica in Sardegna 1793-1944, La Zattera ed., Cagliari 1968.

71    T. Cabizzosu, Chiesa e società…, cit.. p. 228.

91 E. CORDA, Storia di Nuoro, Rusconi, Milano 1987, p. 59.

92 A. DE CAMPO, Nuoro guida annuario della provincia sarda del Littorio, A. XII E. F., G. Chiesa, Udine 1934, p. 11.

93 E. CORDA, Storia …, cit., p. 61.

94 G. TODDE, Storia di Nuoro e delle barbagie, Fossataro, Cagliari 1971, p. 233.

95 La Provincia di Cagliari si estendeva ora su un territorio di 13.483 Kmq. e quella di Sassari su un territorio di 10.595 Kmq.

96 G. ASPRONI, Diario politico 1855-1876, Giuffré editore, Milano, vol. II, p. 329.

97 ivi, p. 332.

98 ivi, p. 46.

99 ivi, p. 34.

100 ivi, 20 ottobre 1858.

101 A. FLORIS, La prima Deledda, Ed. Castello, Cagliari 1989, p. 23.

102 ivi, p. 23.

103 G. TODDE, Storia di Nuoro…, cit., p. 261.

104 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti…, cit., pp. 85-87.

105 ELISEO, Vita nuorese, in “L’Isola”, Sassari martedì-mercoledì 10-11 aprile 1894, anno II, n° 95.

106 ANONIMO, Il basso clero, in “L’Isola”, Sassari domenica-lunedì 20-21 maggio 1894, anno II, n° 133.

107 M. BRIGAGLIA (a cura di), “Sardegna”, la rivista di Attilio Deffenu (1914), Ed. Gallizzi, Sassari 1976, p. XLII.

108 M. BRIGAGLIA, La classe dirigente…, cit., p. 57.

109 cfr., A. DEFFENU, Epistolario 1907-1918, Cagliari 1972, Lettera a Francesco Cucca.

110 S. SATTA, I ricordi del libertario, in “La nuova città”, Nuoro dicembre 1995, anno 30.

111 MANCONI, MELIS, PISU, Storia dei partiti…, cit., p. 138.

112 S. SATTA, I ricordi del…, cit.

113 L. DEL PIANO, Paolo Daniele un ufficiale garibaldino, in Atti convegno nazionale di studi su Giorgio Asproni, Nuoro 3-4 novembre 1979, p. 163.

114 ivi.

115 L. DEL PIANO, Giacobini e massoni in Sardegna tra settecento e Ottocento, Chiarella, Sassari, p. 159.

116 L. DEL PIANO, Paolo Daniele…, cit., pp. 165-166.

117 cfr., G. ASPRONI, Diario politico…, cit., vol. VII p. 129; vol. II p. 16.

118 Vedi in appendice l’elenco dei Sindaci che si sono succeduti alla guida del Comune di Nuoro dal 1860 al 1920.

119 G. CADALANU (a cura di), Vecchia Nuoro, Fossataro, Cagliari 1970, pp. 37-38; G. TODDE, Storia…, cit., p. 222.

120 O. P. ALBERTI, Scritti di storia civile e religiosa della Sardegna, Ed. della Torre, Cagliari 1994, p. 360.

121 O. P. ALBERTI,I Vescovi sardi al Concilio Vaticano II, Roma 1963, pp. 166-177.

122 O. P. ALBERTI, Scritti di storia…, cit., p. 347.

123 ivi, p. 348.

124 ivi, p. 81.

125 Il moto “de su connotu”, termine che richiama il concetto di “conosciuto”, esplose a Nuoro in seguito alla decisione del Consiglio comunale di lottizzare e vendere ai privati il salto comunale di “Sa Serra” e la porzione di terreni ademprivili assegnati al Comune. Il Sindaco, Antonio Nieddu – liberal-massone – non condividendo la decisione della maggioranza si era dimesso, ma il suo sostituto, Pirisi Siotto, aveva portato avanti l’iniziativa che portò alla rivolta della popolazione.

126 G. TODDE, Storia di Nuoro…, cit., p. 226.

127 O. P. ALBERTI, Scritti di storia…, cit., p. 349.

128 ivi, pp. 89-90.

129 ivi, p. 354.

130 ACVN, Libro dei battesimi di Gavoi degli anni 1842-1869, atto n° 24, foglio 156 (collocazione provvisoria).

131 In realtà, dai libri dei battesimi di Gavoi, risultano esserci in casa Daddi 10 nati, mentre in un lascito di Pietro Antioco Daddi ai figli (vedi nota 134), compare il nome di un’undicesima figlia: Rosa Daddi.

132 ACVN, Libro dei battesimi di Gavoi 1842-1869 e 1866-1873: Daddi M. Caterina nata il 13/9/1851 (foglio 69); Daddi Giovanni Maria nato il 17/2/1853 (foglio 82); Daddi Giovanni nato il 16/8/1854 (foglio 93); Daddi Giovanni Maria nato il 3/2/1858 (foglio 121); Daddi Francesco nato l’8/4/1860 (foglio 140); Daddi Salvatore nato il 7/3/1862 (foglio 156, atto 24); Daddi Maria Caterina nata il 17/10/1864(foglio 180, atto 56); Daddi Francesco nato il 6/2/1867 (foglio 23, atto 12); Daddi Giuseppe nato il 5/8/1869(foglio 68, atto 42); Daddi Michele nato il 10/3/1872 (foglio 182, atto 18).

133 ANGIUS/CASALIS, Dizionario geografico-storico, commerciale, degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, ad vocem Gavoi, estratto delle voci riguardanti la provincia di Nuoro, Editrice Sardegna, II vol., Cagliari edizione anastatica, p. 285.

134 ASN, Partitario n° 1 di Gavoi, partita 126.

135 Testimonianza di Grazia Marchi, zia di Salvatore Daddi. La casa di famiglia dei Daddi verrà venduta nel 1912 da Salvatore Daddi ad un certo Giovanni Guiso; CONSERVATORIA DI NUORO, volume 115, n° 150, 3 agosto 1912.

136 AGN, Registro per gli esami di licenza (1873-74-1881), 7 luglio 1881, collocazione provvisoria.

137 E. COSTA, Sassari, Ed. Gallizzi, Sassari 1937, III vol., p. 481.

138 E. CORDA, Storia…, cit., p. 16.

139 ivi, p. 186.

140 S. SATTA, Il giorno del giudizio, Ed. Adelphi, Milano 1979, p. 18.

141 ivi, pp. 18-19.

142 AGN, Registo per gli esami di licenza (1873-74-1881), 7 luglio 1881, collocazione provvisoria.

143 E. CORDA, Storia…, cit., pp. 149-150.

144 S. SATTA, Il giorno del…, cit., pp. 105-106.

145 AGN, Registo per le iscrizioni alle classi del ginnasio, anno scolastico 1876-77, 1877-78, 1878-79, 1879-80, 1880-81, collocazione provvisoria.

146 G. DELEDDA, Cosima, Ed. Mondadori, Milano 1994, p. 20.

147 E. CORDA, Storia…, cit., p. 154.

148 ALDettoriCa, Registro delle note bimestrali, classe prima, anno scolastico 1881-82, Armadio 1 sovraripiano di sinistra.

149 F. CORONA, Guida di Cagliari, Ed. Trois, Cagliari 1894, p. 145.

150 ivi, p. 146.

151 G. SPANO, Guida della città e dintorni di Cagliari, Ed. Trois, Cagliari 1861, p. 212.

152 F. CORONA, Guida…, cit., p. 66; L. CODA, La Sardegna…, cit., pp. 40-52.

153 L. CODA, La Sardegna…, cit., pp. 46-47.

154 F. CORONA, Guida…,, cit., p. 200.

155 ivi, p. 212.

156 A. DELOGU, I secoli XIX e XX, in M. BRIGAGLIA (a cura di), La Sardegna, Ed. della Torre, III vol., Cagliari 1988, pp. 110-118.

157 ivi, p. 113.

158 ALDettoriCa, Registro delle licenze liceali (1882-85), Armadio 1 sovraripiano di sinistra.

159 ivi.

160 I dati relativi alla carriera universitaria di Salvatore Daddi ci sono stati gentilmente forniti dalla Signora Angelina Daddi, nipote di Salvatore. L’Università degli studi di Cagliari sta compiendo dei lavori di catalogazione all’interno dell’Archivio e della Biblioteca, quindi, momentaneamente, è impossibile accedervi.

161 F. CORONA, Guida…, cit., p. 43.

162 G. SPANO, Guida della città…, cit., pp. 106-108.

163 F. CORONA, Guida…, cit., p. 43.

164 N. SANNA, Il cammino dei sardi, III vol., Ed. Sardegna, Cagliari 1986, p. 461.

165 G. TORE, Storia dell’Università dal Settecento ad oggi, in M. BRIGAGLIA (a cura di), La Sardegna, cit., p. 121.

166 L. CODA, La Sardegna nella crisi…, cit., pp. 53-54.

167 L’Università di Sassari venne collocata nella seconda categoria solo con la legge dell’11 luglio 1877; prima di allora si trovava in uno stato di provvisorietà.

168 L. CODA, La Sardegna nella crisi…, cit., p. 54; G. TORE, Storia dell’Università…, cit., p. 121; cfr. ANONIMO, La questione universitaria,, in”L’Unione Sarda”, a. II, n°53, Cagliari lunedì 3 marzo 1890.

169 G. TORE, Storia dell’Università…, cit., p. 126.

170 F. CORONA, Guida…, cit., p. 252.

171 G. TORE, Storia dell’Università…, cit., p. 128.

172 ivi, p. 129.

173 ivi, p. 127.

174 G. PIRODDA, Sardegna, Ed. La scuola, Brescia 1992, p. 278.

175 G. SORGIA, G. TODDE, Cagliari, sei secoli di amministrazione cittadina, S.T.E.F., Cagliari 1981, pp. 133-134.

176 ivi, pp. 137-138.

177 G. SOTGIU, Storia della Sardegna dopo l’Unità, Ed. Laterza, Bari 1986, p. 376.

178 O. BACAREDDA, L’Ottantanove cagliaritano, Ed. Valdès, Cagliari 1906.

179 G. SOTGIU, Storia della Sardegna…, cit., p. 357; su Ottone Bacaredda cfr., A. e L. ROMAGNINO, Guida di Cagliari, Ed. della Torre, Cagliari 1992, p. 19, pp. 190-191.

180 G. SORGIA, G. TODDE, Cagliari, sei secoli…, cit., pp. 134-141; per l’elenco dei rappresentanti civici di Cagliari dal 1333 al 1981 ivi, pp. 151-236.

181 L. DEL PIANO, Giacobini e Massoni…, cit., p. 223.

182 F. CORONA, Guida…, cit., p. 207.

183 F. COCCO ORTU, Ricordi e profili, schizzi di un elettore non eleggibile, Tipografia di A. Alagna, Cagliari 1870, pp. 45-46.

184 A. DELOGU, I secoli XIX e XX, cit., p. 115.

185 F. CORONA, Guida…, cit., p. 207.

186 ivi.

187 ivi, p. 199.

188 ivi, p. 200.

189 ivi, p. 207.

190 ivi, p. 199, p. 202.

191 ivi, p. 200, p. 202.

192 G. SORGIA, G. TODDE, Cagliari, sei secoli…, cit., p. 221.

193 ivi, pp. 216-219.

194 F. CORONA, Guida…, cit., p. 198.

195 ivi, pp. 120-144.

196 ANSs, volumi 1-20, Daddi Salvatore 1889-1913.

197 E. L. TEDDE, L’Armonia sarda…, cit., p. 94.

198 I dati sono stati raccolti dal Libro cronistorico della Parrocchia di San Gavino di Gavoi.

199 ACG, “Nomina del segretario comunale“, 14 novembre 1895, collocazione provvisoria; “Rinnovo della Giunta comunale“, 2 novembre 1893, n°62, collocazione provvisoria; “Descrizione di seduta“, 15 febbraio 1896, n°12, collocazione provvisoria.

202 ivi, “Locale per circolo biblioteca“, 9 agosto 1897, n° 39, collocazione provvisoria.

203 ivi, “Nomina di commissione di vigilanza scolastica“, 1 febbraio 1897, n° 11, collocazione provvisoria.

204 ivi, “Riordinamento dell’archivio comunale“, 19 agosto 1897, n° 37, collocazione provvisoria.

205 ivi, “Conservazione dei monumenti antichi“, 2 dicembre 1894, n° 66, collocazione provvisoria.

206 ivi, “Costruzione del tronco ferroviario Sorgono-Oniferi“, 24 novembre 1902, n°149, collocazione provvisoria.

207 ivi, “Apertura strada Sarule-Ollolai-Lodine“, 13 agosto 1893, n° 36, collocazione provvisoria.

208 ivi, “Nomina del Sindaco“, 19 ottobre 1902, n° 141, collocazione provvisoria.

209 ivi, “Nomina del Sindaco“, 6 agosto 1903, n° 13, collocazione provvisoria.

210 ivi, “Parte di edificio comunale da destinare ad uso scolastico“, 6 dicembre 1903, collocazione provvisoria.

211 ivi, “Giardino di infanzia“, 30 dicembre 1903, n° 198, collocazione provvisoria.

212 ivi, “Agenzia delle Imposte“, 12 maggio 1906, n° 303, collocazione provvisoria.

213 L. DEL PIANO, Francesco Cocco Ortu e la legislazione speciale, in A. BOSCOLO, M. BRIGAGLIA, L. DEL PIANO, La Sardegna…, cit., p. 265.

214 ACG, “Provvedimenti per la Sardegna“, 12 maggio 1906, n° 304, collocazione provvisoria.

215 ivi, “Voto di adunanza per gli effetti della legge sul Mezzogiorno“, 21 ottobre 1906, n° 327, collocazione provvisoria.

216 QUERCUS, Sindaco incompatibile, in “La Nuova Sardegna”, anno XIV, 282, Sassari 18-19 ottobre 1904.

217 PUNGOLO, La solita storia, in “La Nuova Sardegna”, anno XIV, 305, Sassari 11-12 novembre 1904.

218 OSPITONE, Il Comune abbandonato, in “La Nuova Sardegna”, anno XIV, 307, Sassari 13-14 novembre 1904.

219 VOX POPULI, Le gravi condizioni di un Comune, in “La Nuova Sardegna”, anno XIV, 319, Sassari 25-26 novembre 1904.

220 VICE, Note Sassaresi. Le elezioni., in “l’Unione sarda”, anno XVII, 18, Cagliari 18 gennaio 1905.

221 ELETTORE, Re di Picche e il suo governo, in “La Nuova Sardegna”, anno XVII, 222, Sassari 18-19 agosto 1907.

 

 

[1]Cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno II, 265 11-12 novembre 1905.

 

 

[2]Cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno II, 265 11-12 novembre 1905.

 

[3] cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno II, 266 12- 13 novembre 1905.

[4] cfr << L’Armonia Sarda>> anno III, 304 31 dicembre 1906

[5] cfr. editoriali

[6] cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno II, 230 2-3 ottobre 1905

[7] F. ATZENI, Il movimento cattolico in Sardegna…, cit. pp. 552-554

[8] cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno III, 10 11-12 gennaio 1906.

[9] cfr. <<L’Armonia Sarda>> anno I, 1 17-18 giugno 1904.

[10] Ivi, p. 2.

[11] ANONIMO Dal Balsamo al veleno in <<L’Armonia Sarda >> anno II, 106 SS, 7-8 maggio 1905.

[12] ANONIMO, Le solite contraddizioni, in <<L’Armonia Sarda >> anno I, 95 SS, 7-8 ottobre 1904.

[13] Y., La Massoneria e le elezioni politiche, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 130 SS, 17-18 novembre 1904.

[14] ANONIMO, I Servi del ventre, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 52 SS 19-20 agosto 1904.

[15] Ivi.

[16] ANONIMO, I servi del ventre, in <<L’Armonia Sarda >> anno I, 52 SS 19-20 agosto 1904; R., Protesta? in <<L’Armonia .Sarda >>.” anno I, 78 SS 18-19 settembre 1904.

[17] SANS BRUIT, La Lupa ,in <<L’Armonia Sarda >> anno II, 16 SS 20-21 gennaio 1905.

[18] ANONIMO, L’unione delle massonerie, in <<L’Armonia Sarda>> anno 151 SS 14-15 dicembre 1904.

[19] ANONIMO ,In Parlamento, in <<L’Armonia Sarda >>anno I, 7 SS 25-26 giugno 1904.

[20] Il quotidiano condusse una sorta di battaglia a favore di una legislazione scolasdtica.Cfr. ANONIMO, Alla Minerva, in <<L’Armonia Sarda >> anno I ,45 SS 10- 11 agosto 1904.

[21] ANONIMO, La riforma tributaria, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 200 SS 28-29 agosto 1905.

[22] ANONIMO, Il ministero e le convenzioni ferroviarie, in <<L’Armonia Sarda >> anno II, 168 SS21-22 luglio 1905.

[23] La Nuova Sardegna spesse volte veniva chiamata “Gazzetta”, cfr. <<L ‘Armonia Sarda >> anno III, 184 ; 197.

[24] In Città in << L’Armonia Sarda>> anno II, SS 2-3 gennaio 1905.

[25] G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Laterza 1968.

[26] Ivi.

[27] P. BELLU, I cattolici alle urne, Edizioni della Torre, Sassari 1977, p. 63.

[28] Una Lettera di Murri in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 23, SS 15-16 luglio 1904.

[29] Ivi, pp. 63-70.

[30] Per l’astensione dei cattolici dalla vita politica, ivi p. 1.

[31] ANONIMO, Per gli aspiranti ..., in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 25, SS 18-19 luglio 1904.

 

[32] ANONIMO, Constatazioni, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 92, SS 4-5 ottobre 1904.

[33] ANONIMO, Parliamoci chiaro, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 92, SS 10-11 ottobre 1904.

[34] Ivi.

[35] D’altra parte nell’Armonia Sarda del 6-7 novembre 1904,( anno I, 119), dopo aver riportato un articolo di Don Romolo Murri nel “L’atteggiamento dei democratici cristiani autonomi”, L’Armonia Sarda affermava di avere riportato l’articolo ma di discordare in massima parte da esso.

[36] ANONIMO ,I cattolici alle urne in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 143, SS 3-4 dicembre 1904.

[37] Il ballotaggio di domaniPossono votare domani i cattolici? in <<L’Armonia Sarda>> anno I I, 11 SS 14-15 gennaio 1905

Cfr S. DADDI, La nostra condotta, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 13 SS 17-18 gennaio 1905.

[38] Mentre nei vari collegi dell’Isola la sospensione si sarebbe avuta a favore di candidature liberali in funzione esclusivamente antisocialista o antiradicale, a Cagliari nel 1909 e nel 1913 il expedit fu sospeso a favore dell’ing. Edmondo Sanjust, unico deputato sardo ad aderire nel 1919 al P.P.I.Cfr. appunti di F.ATZENI, La stampa cattolica e popolare sarda dalla fine dell’età giolittiana al fascismo, cit. p. 2.

[39] M. BRIGAGLIA, La classe dirigente a Sassari da Giolitti a Mussolini, Della Torre, Cagliari 1979,  p. 95.

[40] Ivi, p. 101.

[41] Ivi, p. 104.

[42] Ivi, p. 106.

[43] Ivi, p. 107.

[44] In <<L’Armonia Sarda>> anno II, 11 SS 17-18 gennaio 1905

[45] ANONIMO, Epilogo e proemio/ l’elezione politica di Sassari in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 12, SS 16-17 gennaio 1905; L’Armonia Sarda, anno II, 1, Sassari 16-17 gennaio 1905.

[46] M. BRIGAGLIA, La classe dirigente.., cit. p. 107.

[47] S. DADDI, La nostra condotta, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 13, SS 17-18 gennaio 1905.

[48] G. A. MURA, Per diradar gli …, in << L’Armonia Sarda>> anno II, 17, SS 21-22 gennaio 1905.

[49] ANONIMO, La confessione di …, in << L’Armonia Sarda>> anno II, 48, SS 27-28 febbraio 1905.

[50] G. CANDELORO, Storia dell’Italia ...cit. p. 144.

[51] Ivi, p.138.

[52] Ivi, p.139.

[53] Ivi, p155.

[54] Ivi, p. 196.

[55] ANONIMO, La politica e i cattolici, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 73, SS 29-30 marzo 1905.

[56] ANONIMO, La vittoria di Brescia, in «L’Armonia Sarda» anno II, 74, SS 30-31 marzo 1905.

[57] M. G. B., Per l’unione e per …, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 162, SS 14-15 luglio 1905.

[58] ANONIMO, Intorno ad una lettera del papa in <<L’Armonia Sarda >> anno II, 187, SS 12-13 agosto 1905.

[59] L., Azione cattolica in <<L’Armonia Sarda >> anno I, 136, SS 25-26 novembre 1904.

[60] Ivi.

[61] FIDELIS, Il nostro popolo, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 137, SS 26-27 novembre 1904.

[62] FIDELIS Il nostro dovere, in << L’Armonia Sarda>> anno I, 138, SS 28-29 novembre 1904.

[63] Ivi.

[64] Il primo congresso mariano sardo impressioni di un congressista in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 155 SS 19-20 dicembre 1904.

[65] Don Rizzardo, “Congressi in Sardegna la tappa?,” in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 156, Sassari 20-21 dicembre 1904.

[66] IL COMITATO, Azione cattolica – Ai giovani cattolici di Sassari in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 1, SS 2-3 gennaio 1905.

[67] F. ATZENI, Il movimento cattolico in Sardegna …, cit. p. 552.

[68] <<L’Armonia Sarda>> anno II, 82, SS 10 novembre; anno II, 87 SS 14 – 15 novembre, anno II,88 17-18 aprile 1905.

[69] ANONIMO, L’organizzazione cattolica…, in <<L’Armonia Sarda >> anno III, 239 SS 11-12 ottobre 1906.

[70] E. VERCESI, Le origini del movimento cattolico in Italia, (1870-1922), Poligono editore, Roma 1979, p. 144.

[71] Il dissenso nell’Opera Dei Congressi e il comitato diocesano permanente in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 16,SS 7-8 luglio 1904.

[72] vedi<<L’Armonia Sarda>> anno I, 19, SS, 11-12 luglio 1904

[73] P. BELLU, I cattolici alle urne…cit. pp. 63-70.

[74] ANONIMO, Il conte Grosoli dal Papa Le sue dimissioni accettate, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 30, SS 23-24 luglio 1904

[75] P. BELLU, I cattolici alle urne, cit. p. 93.

[76] Ivi, p. 81.

[77] P. BELLU,L’Opera dei Congressi…, cit. p. 94.

[78] ANONIMO, Per un progetto, in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 48 SS 13-14 agosto 1904.

[79] E. VERCESI, Le origini …, cit. p. 152.

[80]            ANONIMO, L’Unione Nazionale fra Elettori Cattolici Amministrativi, in << L’Armonia Sarda>> anno I, 111, SS 27-28 ottobre 1904.

[81]            N. d R. L’attegiamento dei democratici cristiani autonomi, cit. in <<L’Armonia Sarda>> anno I, 119 SS 6-7 novembre 1904.

[82] P. BELLU, L’Opera dei Congressi ..., cit. p.116.

[83] ANONIMO, L’Italia al bivio, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 7, SS 10-11 gennaio 1905

[84] ANONIMO, Per il movimento democratico …, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 18, SS 23-24 gennaio 1905.

[85] ANONIMO, Bologna insegna , in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 20, SS 25-26 gennaio 1905.

[86] E; VERCESI, Le origini del …, cit. p.137.

[87] Il debutto dell’onorevole Cornaggia ,in << L’Armonia Sarda>> anno II, 22, SS 27-28 gennaio 1905 .

[88] ANONIMO, Metodi e programmi, in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 28 SS 3-4 febbraio 1905.

[89] Per il congresso di Bologna la parola del Papa in <<L’Armonia Sarda>> anno II, 57, SS 10-11 marzo 1905.

[90] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 61, Sassari 15-16 marzo 1905.

[91] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 145, Sassari 23-24 giugno 1905.

[92] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 146, Sassari 24-25 giugno 1905.

[93] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 162, Sassari 14-15 luglio 1905, “Per l’unione e per l’azione”.

[94] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 185, Sassari 10-11 agosto 1905. “Importantissimo breve pontificio sull’azione cattolica”.

[95] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 187, Sassari 12-13 agosto 1905. “Intorno a una lettera del papa”.

[96] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 192, Sassari 18-19 agosto 1905. “note Vaticane”.

[97] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 201, Sassari 29-30 agosto 1905.

[98] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 222 Sassari 4-5 ottobre 1905.

[99] <<L’Armonia Sarda>>, anno II, 265, Sassari 11-12 novembre 1905.

[100] <<L’Armonia Sarda>>, anno III, 84, Sassari 6-7 aprile 1906.

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