“Anthropos & Iatria” XI, 2 , 2007, pp. 8 -18 – di Silvana Fasce
La teoria del sogno nel pensiero medico di età ellenistico-romana
Nei testi letterari della Grecia arcaica, il sogno è trattato come una realtà oggettiva, un’immagine che trasmette un messaggio su cui regolare la condotta. Tuttavia, a partire dall’epica di Omero e poi regolarmente nella tradizione onirologica successiva, vulgata e scientifica, si riconosce una continuità fra le preoccupazioni della veglia e il contenuto del sogno.
Ne deriva una distinzione, che è poi una elementare ed intuitiva classificazione, una distinzione in termini di opposizione fra i sogni comuni, che sono la maggioranza, legati all’esperienza diurna del sognante[i], vani e fallaci in quanto inducono in errore, comunque non significativi, e i sogni chiari nell’immagine o nel contenuto verbale, che offrono informazioni sugli eventi. La distinzione, tuttavia, è labile e rimanda alla sostanziale ambiguità del fenomeno inopinato e inatteso.
Nella grande stagione della filosofia ellenica, entro cui si colloca il pensiero del Corpus Hippocraticum, il fenomeno onirico viene studiato con un approccio razionale e diventa oggetto di analisi scientifica[ii].
La teoria del sogno, nella cultura intellettuale dell’antichità, si svolge lungo due direttrici, che si mantengono indipendenti e parallele, senza alcuna effettiva possibilità d’incontro: da un lato, l’indagine sulla natura, sul modo di prodursi e sul valore dell’attività onirica, secondo un’impostazione naturalistica e fisiologica, a partire dalla concezione atomistica per giungere ai saggi dedicati da Aristotele al tema specifico; dall’altro lato, l’attribuzione del sogno premonitore al dominio della mantica o divinazione[iii], sogno così sottratto alla sfera della religione popolare ed ancorato all’area della filosofia. Su questo punto, sul sogno profetico, la dottrina medica antica, che pure nega il carattere divino delle visioni notturne, si esprimerà sempre con molta cautela e, talora, con esitazione[iv].
Per lungo tempo, in questo senso, faranno testo gli scritti aristotelici di psicologia - psicologia intesa nell’accezione antica di scienza delle funzioni psico-fisiologiche – soprattutto il De anima e gli opuscoli raccolti sotto il titolo di Parva Naturalia, in particolare, “Il sonno e la veglia”, “I sogni” e “La divinazione nel sonno”, scritti considerati dalla scienza medica ellenistica e dal sapere filosofico un punto di arrivo imprescindibile nella spiegazione scientifica del sogno[v].
Colpivano, tuttavia, perché risultavano tesi tangenziali, alcune affermazioni contenute nell’Eudemo platonizzante del primo Aristotele e nell’altra sua opera giovanile, ormai lontana dal platonismo, Sulla filosofia: tali affermazioni attribuivano all’anima che si trova in stato di relativa separazione dal corpo, come nel sonno, prerogative profetiche. Soprattutto l’Eudemo, opera che fu sempre molto apprezzata, letta direttamente da Cicerone e molto nota ancora in età imperiale, suggeriva vari spunti di problematicità circa la natura dell’esperienza onirica, nonostante l’analisi rigorosa condotta da Aristotele in fase matura ne negasse fermamente il carattere divino[vi].
Sul finire del IV sec. a.. C., nella prima età ellenistica, due scuole antitetiche, l’Epicureismo e lo Stoicismo, affrontano l’argomento del sogno seguendo il binario tracciato dall’impostazione classica.
In una prospettiva materialistica e in un clima di radicale rinnovamento del pensiero filosofico e scientifico classico, Epicuro riprende l’antica teoria atomistica del sonno e dei sogni, secondo la quale le visioni notturne hanno sempre carattere esogeno.
Innanzi tutto, il sonno si produce in seguito ad un ricambio incessante di atomi, nel senso che la pressione esercitata sul corpo dall’aria circostante provoca una fuoriuscita di atomi di anima, che, in parte, vengono immediatamente reintegrati attraverso la respirazione: in caso contrario, ci sarebbe la morte. Secondo questa spiegazione, durante il sonno escono dal corpo atomi di anima in numero maggiore di quello degli atomi che vi rientrano; ciò significa una fuga di atomi dagli organi di senso, che comporta una conseguente riduzione della respirazione, dell’attività percettiva, del movimento e del calore.
Epicuro, però, affina la teoria del sonno prevedendo, oltre alla perdita di atomi di anima, anche un particolare fenomeno di dislocazione intracorporea degli stessi atomi dovuta alla loro eccessiva concentrazione o alla loro dispersione, o perché vengono sospinti verso l’esterno o perché si ritraggono nel profondo: «nel sonno il nascondiglio dell’anima è più profondo» (Lucrezio IV 959).
Integrato nelle inevitabili lacune, il pensiero di Epicuro sarà ampiamente illustrato da Lucrezio nel IV libro del De rerum natura. Nella prima metà del I sec. a. C., Lucrezio, portavoce in poesia e in lingua latina dell’insegnamento del Giardino, la scuola di Epicuro, espone nei medesimi termini, e con grande enfasi, la teoria epicurea del sonno, insistendo particolarmente sull’assenza temporanea dell’attività della sensazione che si determina in stato di sonno: sensus abit alte, «la sensibilità si rifugia in fondo all’essere» (Lucrezio IV 949) afferma il poeta, riprendendo la metafora della profondità, metafora ripresa alla lettera anche da Galeno.
Si tratta di un atomismo intriso di linguaggio immaginifico e di spiegazioni analogiche, impegnato a costruire una teoria integralmente naturalistica e meccanicistica.
Secondo la fisica epicurea, le immagini del sogno, come le immagini mentali, eidola o simulacra, provengono dall’esterno, e sono di natura assolutamente materiale. Dalla superficie degli oggetti e dei corpi si staccano in continuazione immagini o eidola sottilissimi, molto più sottili di quelli della vista, impalpabili come membrane o tessuti dalla trama trasparente. I corpuscoli onirici affollano l’aria e ne assimilano le proprietà, aggregandosi fra loro, per poi entrare attraverso i pori, immergersi e sprofondare all’interno del corpo del dormiente, urtando e stimolando l’anima, per risalire verso l’esterno senza smuovere gli organi di senso, che, assopiti, riposano, «mentre la memoria è inerte e illanguidita dal sonno» (Lucrezio IV 765 ).
Nel sonno, dunque, i sensi tacciono spenti come paralizzati, ma l’anima, anch’essa di natura tenue e mobilissima, riesce a cogliere i simulacri più lievi, senza tuttavia potere decidere sulla corrispondenza col vero delle apparizioni. Mancano, infatti, i dati dei sensi per esprimere un giudizio. E si sa che la sensazione, secondo Epicuro, è il criterio della verità.
Allora i sogni, se come le percezioni della veglia hanno provenienza esterna, comportano sempre un contenuto informativo manifesto, legato ai corpi e al quadro oggettivo da cui gli atomi onirici sono emanati. La cinetica e le qualità degli eidola dipendono, inoltre, dalle condizioni esterne in cui essi si trovano a transitare, velocissimi naturalmente, veloci – dice Epicuro – di una velocità “inconcepibile”, come quella degli atomi di pensiero, velocità con cui le immagini si succedono, si incontrano e si fondono, in un vicendevole scambio corpuscolare.
Una sentenza di Epicuro stabilisce una logica conseguenza:
«non è proprio dei sogni avere natura divina né proprietà divinatoria, poiché la loro natura dipende dall’incontro di immagini (eidola) » (SV 24 Arrighetti2).
Come già l’atomismo di Democrito, in teoria, non escludeva che eidola divini o demoni raggiungessero eccezionalmente i dormienti, così Epicuro non si pronuncia sul fatto che alcuni simulacri possano staccarsi dagli dei; anche in questo caso, comunque, l’immagine onirica, di origine esogena, resterebbe un’immagine materiale e non sfuggirebbe al casualismo.
In tale contesto di pensiero, l’esperienza onirica è di carattere principalmente visivo e le visioni notturne sono icone che non comportano mai tratti simbolici esclusivi, anzi, il contenuto del sogno rispecchia essenzialmente lo schema e i desideri della veglia, convogliati nel contatto degli eidola con l’anima. La scena del sogno non richiede di essere interpretata se non dal sognatore, il ricevente casuale di un messaggio emesso da un flusso di immagini filtrate dall’esterno nel vivo e mobile aggregato materiale che è l’anima.
In effetti, Epicuro si preoccupava più del turbamento lasciato dai sogni che del loro contenuto[vii]. Per questo, trattava la questione particolarmente nell’ambito dell’etica, «rifiutando in blocco la divinazione», dice Diogene Laerzio (X 135 = 15 Arrighetti2.).
La posizione di Epicuro è netta:
«La divinazione non ha alcuna consistenza reale; se anche l’avesse, bisogna pensare che gli eventi da essa predetti non sono in nostro potere» (15 Arrighetti2).
Una simile affermazione troncava il dibattito sulla pregnanza profetica del sogno, tanto che un commentatore antico spiega come gli Epicurei liquidassero l’argomento:
«epicurea è la dottrina che distrugge la divinazione … poiché gli Epicurei dicono “quel che deve avvenire avverrà”» (212 Arrighetti2).
Nella cultura antica, Epicuro rappresenta senza dubbio la voce più decisa contro la credulità nei sogni premonitori.
La madre di Epicuro era un’indovina. Bambino, ci informano le fonti, Epicuro accompagnava la madre chiamata a dare interpretazioni di prodigi e di sogni enigmatici. Adulto, lontano da casa e in difficoltà economiche, scrive una lettera indirizzata alla madre, per ringraziarla del denaro che gli ha inviato, anzi per pregarla di non fare altri sacrifici, dal momento che già il padre in misura sufficiente ha pensato a lui; piuttosto, prega i genitori «state vicini l’uno all’altro» (Diogene di Enoanda, fr. 126 Smith).
La lettera alla madre[viii], un documento importante di vita privata, si apre con questo pensiero:
«… non ti turbare se mi vedi in sogno, perché le immagini delle persone assenti nel sogno ci gettano nel più grande timore, ma, quando sono presenti, le stesse persone non ci turbano affatto … Per questo dunque, o madre, fatti animo. Nulla di male infatti ti annunciano le mie apparizioni in sogno» (Diogene di Enoanda, fr. 125 Smith).
Diametralmente opposta alla teoria epicurea, l’interpretazione del sogno fornita dagli Stoici coincide con la difesa della divinazione filosofica nel suo complesso, e si svolge essenzialmente su un piano speculativo e logico.
Coevo alla scuola di Epicuro, il movimento dello Stoicismo ne condivide l’istanza materialista, tuttavia con orientamenti ed esiti originalissimi e, per molti aspetti, di eccezionale rilievo.
Nel quadro di un materialismo monistico e panteistico, in cui natura e divinità sono un tutto unico, o meglio, l’una è l’aspetto dell’altra, il sogno si configura come una forma di profezia naturale, una capacità posseduta dall’anima, anima corporea, certo, ma sostanzialmente partecipe del logos divino, del seme della razionalità insita nella materia, in quanto materia vivificata, dotata di vita e di qualità.
Fin dagli inizi, con Zenone di Cizio, la Stoa asserisce il carattere divino dell’anima, e quindi la possibilità della predizione nel sonno, razionalmente giustificata attraverso la concezione stoica della pronoia (la Provvidenza), intesa come finalismo universale, e del Fato inteso quale serie irreversibile o “catena delle cause”.
Nel grande organismo che è l’universo, la materia è veicolo del divino in senso deterministico e finalistico, vale a dire, la divinità è Provvidenza razionale e immanente:
«La divinità nella sua infinita provvidenza riguardo alle vicende umane, fra gli altri aiuti delle arti e delle scienze ha concesso anche i sogni come una specie di oracolo naturale, un conforto speciale» (Tertulliano, De anima, 46, 11 = SVF II 1196).
La Provvidenza è l’abbraccio nell’ordine prestabilito, naturale e necessario, di tutte le cose, le cose che sono avvenute e che avverranno, in eterno ripetersi ciclico: «le cose che avvengono avvengono e quelle che avverranno avverranno» ripeteva il pensatore stoico.
La sentenza epicurea sopra citata «quel che deve avvenire avverrà», tesa a demolire l’interesse per la predizione, in quanto l’uomo non risponde del corso degli eventi, dagli Stoici viene ribaltata per esprimere una posizione che si colloca agli antipodi: la fondatezza del messaggio onirico riposa, infatti, sulla catena di cause che lega gli eventi, cause di cui l’uomo coglie indizi caratteristici, sulla traccia dei quali può prevedere il futuro, per il suo bene.
L’eterno conflitto fra Stoici ed Epicurei oppone due visioni del mondo e del sogno formalizzate entro schemi logici, che pongono primariamente il nodo del criterio della verità.
Nella semiotica greca, infatti, il sogno costituisce un particolare tipo di segno, assunto come base per un procedimento di inferenza, per passare dalla conoscenza delle cose manifeste alla comprensione di quelle oscure[ix].
Sulla linea dell’antica tradizione di pensiero empirista, in cui si collocano tanto la prima filosofia greca quanto la medicina, il sogno può essere uno spiraglio su ciò che non appare, un sintomo da cui risalire alla malattia.
Da un altro versante, la logica stoica dimostra la legittimità della divinazione sulla base del sillogismo ipotetico, da Crisippo reso canonico e secoli dopo ripreso e valorizzato da Galeno[x]. Osserva Cicerone:
«Gli Stoici quando vogliono sbrigarsela più in fretta, saltano subito alle conclusioni con questa formula: “se gli dei esistono, esiste la divinazione; ma gli dei esistono, dunque esiste la divinazione”» (De divinatione, II 41).
Si tratta di uno schema implicativo del tipo se p, allora q («se gli dei esistono, esiste la divinazione»), dove al posto di “se” posso mettere “poiché” («poiché esistono gli dei, esiste la divinazione »).
Questo modello formale, attestato già nelle tavolette divinatorie della Mesopotamia del III millennio a.C. e nei trattati di medicina assiro-babilonesi, nell’area della medicina ippocratica serve ad inquadrare i sintomi come effetti da cui inferire la causa[xi].
Nel II sec. a. C., Panezio, giudicato dagli antichi il princeps, il più eminente degli Stoici (Cicerone, De divinatione, I 6), dubita della divinazione come priva di evidenza oggettiva e non attribuisce ai sogni valenza profetica. In uno sforzo immane di ammodernamento delle antiche teorie stoiche, Panezio pone al centro della sua dottrina l’individuo in quanto singolo, dotato di dinamiche predisposizioni, fondando così quello che sarà il concetto occidentale di “persona”.
Confermato il principio del provvidenzialismo divino, ma negata l’eterna e ciclica ricorrenza degli accadimenti, quindi non preordinati a ripetersi, ma sostanzialmente “unici” in un tempo lineare e progressivo, il sogno non è più un segno in rapporto necessario con gli eventi[xii], resta solo una vivida e ricca esperienza del sognante.
L’onirologia filosofica degli Stoici, che si interessa della particolare classe dei sogni premonitori, anche se non affronta la psicofisiologia del sogno, non trascura tuttavia i sogni comuni, legati al vissuto personale, sia in chiave psicologica sia in prospettiva etica. Affermava Zenone:
«A ciascuno è possibile accorgersi dei propri progressi morali a partire dai sogni, controllando se personalmente non gli avviene di vedere in sogno che egli si compiace di qualcosa di disonesto o approva o commette qualche azione indegna o mostruosa. Come in un fondale marino, calmo e trasparente, nel sogno la facoltà rappresentativa e passionale dell’anima riluce, rasserenata dalla ragione» (Plutarco, De profectu in virtute, 82 F = SVF I 234).
Il fondale marino limpido e trasparente, a cui è assimilata la visione onirica, è metafora stoica della dimensione intima.
Panezio soggiorna quindici anni a Roma. I contatti con l’aristocrazia intellettuale del tempo, la frequentazione assidua e familiare di Scipione Emiliano e dello storico greco Polibio, l’insegnamento regolare di scuola con discepoli greci e romani, spiegano l’enorme impronta illuministica lasciata dal filosofo nella cultura romana[xiii]. Non c’è scrittore o poeta latino dell’età repubblicana e imperiale che, pur impiegando ampiamente la finzione letteraria del sogno, mostri di credere ai sogni e, al riguardo, non si dichiari scettico.
Nemmeno il successore di Panezio, Posidonio, il più insigne assertore della divinazione, trasmise la fede nei sogni divini a quei Romani colti del I sec. a.C. che furono suoi discepoli o seguaci. Emblematico è il caso di Cicerone, suo allievo a Rodi, non disposto ad accordare fiducia ai presunti sogni divini, Cicerone autore del De divinatione e del Somnium Scipionis, testi base dell’onirocritica di ogni tempo: omnium somniorum una ratio est, «la spiegazione di tutti i sogni è una sola» afferma Cicerone, cioè quella fornita da Aristotele[xiv].
Ovviamente, fra quelle degli intellettuali, le voci critiche di poeti e letterati, più ancora che quelle dei filosofi e degli uomini di scienza, emergeranno vigorose, ex contrario, nel panorama sociale e culturale del I e del II sec. d. C., caratterizzato da una diffusa ripresa di dottrine stoiche e neopitagoriche, misticheggianti, oltre che da culti misterici e sincretismi vari di matrice orientale, portatori di messaggi personali salvifici e di rivelazioni profetiche.
La teoria del sogno che si delinea negli scritti di medicina nel corso di cinque secoli, dal III sec. a.C. al II sec. d. C., presuppone la teoria di Aristotele. Al sogno interpretato in prospettiva psicologica e fisiologica, valorizzato come dato diagnostico, si interessa la medicina di Alessandria, attenta, come tutte le scuole dell’età ellenistica, alla specializzazione del linguaggio scientifico e agli schemi concettuali e logici attinti dalla filosofia.
Nella prima metà del III sec. a. C., il grande anatomico Erofilo di Calcedone imposta un’eziologia del sogno, che rinvia alla classica distinzione fra cause endogene e cause esogene, ma, in aggiunta, conia la categoria della classe mista o composita (che gli deriva dal concetto di struttura anatomica, res composita), raccordando elementi della tradizione ippocratica con punti della dottrina aristotelica, epicurea ed empirica.
La suddivisone tripartita distingue, in primo luogo, le visioni oniriche inviate dagli dei e perciò di origine esogena; in secondo luogo, i sogni definiti physikoi, naturali, vale a dire fisiologici e somatici, di origine endogena; in terzo luogo, i sogni “dalla struttura composita” o “misti”, accidentali e spontanei, di natura endogena ed esogena ad un tempo, in cui il desiderio dell’anima si incontra con la natura propria, esteriore, dell’immagine, rielaborandola nell’adempimento del desiderio. Erofilo porta l’esempio del sogno erotico, in cui la disposizione organica si aggancia all’immagine della persona amata[xv].
Coerentemente con il pensiero ippocratico, Erofilo non assegna il primo tipo di sogni, quello inviato dagli dei e profetico, alle competenze del medico.
Risulta ormai consolidata, in età ellenistico-romana, anche a livello di cultura media e divulgativa, l’opinione secondo cui alcuni sogni, certamente non tutti, offrono dati utili per la diagnosi del medico. Lo conferma anche Cicerone, che rifiuta le credenze sui sogni, data la loro incontrollabilità, ma rispetta le opinioni dei medici:
«I medici comprendono, in base a certi sintomi, l’approssimarsi e l’aggravarsi di una malattia; dicono anche che alcuni tipi di sogni possono fornire delle indicazioni sullo stato di salute» (De divinatione, II 142).
Come le irregolarità del sonno, le singolarità dei sogni costituiscono segnali premonitori di malattia non trascurabili, “segni di tempesta futura, anzi prossima a scatenarsi in noi stessi” scriverà, all’inizio del II sec. d. C., Plutarco, adottando una metafora della previsione meteorologica (De tuenda sanitate, 129 A-B).
È opinione corrente, ormai, che i sogni possono denunziare fenomeni patologici, come l’ispessimento degli umori e disturbi della funzione respiratoria; che i sogni sono in stretto rapporto col tipo di alimentazione; che l’equilibrio fisiologico rimanda all’equilibrio psicologico ed etico[xvi].
Pressappoco contemporaneo, il medico eclettico Rufo di Efeso, il più grande medico della Roma imperiale dopo Galeno, mentre illustra, nell’ambito del procedimento diagnostico, il metodo dell’interrogazione del paziente, consiglia di indagare anche sui suoi sogni, molte volte ricchi di indizi (Quaestiones medicinales, “Domande del medico al malato”, 5, 28, p. 7 Gärtner).
Si osserva che la teoria del sogno diagnostico discende direttamente dalla tradizione ippocratica, integrata attraverso Aristotele e attualizzata attraverso l’intensa attività di commento alle opere di Ippocrate, esercizio regolarmente praticato dai medici nella scuola di Alessandria e poi a Roma, ancora nei primi secoli dell’Impero. Naturalmente, il IV libro del De diaeta del Corpus Hippocraticum, dedicato interamente al tema del sogno, rappresenta il testo guida, che fornisce un modello interpretativo del fenomeno onirico basato sul principio dell’analogia, con un conseguente assetto logico-formale del linguaggio.
Nel secolo definito del Medioplatonismo, il moraleggiante Plutarco e il medico Galeno illustrano la psicologia platonica come una psicologia dell’equilibrio fra anima e corpo, e integrano la medicina ippocratica degli umori nell’apparato dimostrativo aristotelico. Non è abbastanza chiaro il debito di lettura e di studi che Galeno ha verso Plutarco, ma senza dubbio entrambi suggeriscono il modello di intellettuale che questa età di platonismo aristotelizzante concepisce ed acclama. Si tratta di un intellettuale all’apparenza eclettico, in realtà profondamente critico e selettivo, che riconosce la provvidenzialità divina, mentre esibisce un orientamento di pensiero antidogmatico e antispeculativo[xvii].
Si può affermare che, nel II sec. d. C., proprio sul terreno fertile dell’antidogmatismo si incontrano gli intellettuali, quando discutono circa il primato della medicina o della filosofia, quando giungono a teorizzare l’ideale di un sapere complessivo, quando recuperano aspetti dell’epicureismo e dello stoicismo pur dichiarandosi antiepicurei ed antistoici.
Nella ricca letteratura sul sogno del II sec. d. C., si segnala per il suo carattere sistematico la trattazione di Galeno, che riassume in un quadro sintetico l’onirologia classica[xviii], semplificata e adattata in chiave eclettica per il medico del suo tempo, soprattutto, resa originalmente compatibile con il resoconto di esperienze oniriche autobiografiche.
Nel corpus galenico, lo scritto compendiario De historia philosophica ricorda brevemente la posizione degli antichi sui sogni, in un primo capitolo, De divinatione, relativamente ai sogni ispirati, rientranti nella cosiddetta divinazione naturale, nel secondo capitolo, Quomodo fiant somnia (“Come si producono i sogni”), relativamente all’ eziologia del fenomeno onirico (XIX 320 Kühn). Si può così vedere che la trattazione di Galeno inquadrava il problema del sogno, distinguendo nettamente l’ambito della divinazione da quello dell’indagine scientifica, senza tentare alcun collegamento.
Un opuscolo intitolato De dignotione ex insomniis, “La diagnosi dai sogni”, è probabilmente un estratto (ad uso scolastico o esclusivo dei medici) di un’intera sezione o di passi di una più vasta opera galenica dal titolo “Sulla dieta dei sani”. Quest’ultima opera, a noi non pervenuta, doveva trattare del sogno in modo sistematico ed organico, poiché lo stesso Galeno nel “Commento alle Epidemie” la cita e ad essa rimanda[xix].
Nel De dignotione ex insomniis, in aderenza al pensiero ippocratico, l’autore tratta del sogno sotto il profilo diagnostico, dichiarando in apertura: insomnium vero corporis affectionem nobis indicat, «il sogno indica una disposizione del corpo». Per dimostrare la tesi, che risale ad Ippocrate, secondo la quale il sogno segnala la diathesis, una disposizione organica, Galeno riporta alcuni esempi di visioni oniriche, dove l’evidenza dell’analogia vuole provare il rapporto diretto che intercorre fra le immagini del sogno e la condizione fisica del sognante:
«se uno vede in sogno un incendio, è gravato dalla bile gialla; se sogna fumo o caligine o tenebre fitte è gravato dalla bile nera, la pioggia poi indica un eccesso di umidità, neve, giaccio e grandine il flegma freddo» (De dignotione ex insomniis, VI 832 Kühn).
Effetto di un meccanismo biologico, il sogno è valutato come sintomo, che, secondo la semeiotica ippocratica, segnala il difetto, l’eccesso, le qualità degli umori. Diversi stati fisiologici si esprimono nel sogno attraverso immagini adeguate e perfettamente corrispondenti, che l’anima elabora, perché resta attiva nel sonno. E’ come dire che le immagini del sogno organizzano il linguaggio del corpo, che il medico impara a decifrare:
«Durante il sonno, a quanto pare, l’anima penetrando nel profondo del corpo, completamente separata dalle sensazioni che vengono dall’esterno, prende coscienza delle condizioni dell’organismo e dagli oggetti dei suoi desideri, come se fossero presenti, forma le immagini» (De dignotione ex insomniis, VI 832 Kühn)[xx].
Galeno, in questo opuscolo, tuttavia, è impegnato non tanto ad illustrare i principi della teoria ippocratica del sogno, quanto a delimitarla e ad integrarla con le altre teorie elaborate dalla scienza medica alessandrina. Infatti, con un brusco passaggio, avverte:
«nel sogno l’anima elabora le immagini non solo in base alle disposizioni del corpo» (De dignotione ex insomniis, VI 832 Kühn).
E così, passa ad enunciare la teoria del sogno, che da Aristotele, attraverso Epicuro, gli Stoici ed Erofilo, giunge al suo tempo. Alcuni sogni dipendono da cause fisiologiche e questi interessano il medico; altri sogni hanno un’origine psicofisiologica, poiché l’anima nelle immagini che forma rispecchia le occupazioni del giorno o prolunga i pensieri dominanti della veglia; altri sogni, infine, ammette Galeno con qualche esitazione (concedimus), sono sogni premonitori, prodotti da una facoltà intrinseca dell’anima. Per il medico, però, è molto difficile distinguere questi particolari sogni dagli altri:
«poiché infine ammettiamo che alcuni sogni possano essere predittivi, come distinguerli da quelli somatici, non è facile dire» ((De dignotione ex insomniis, VI 832 Kühn).
La teoria enunciata si pone sulla linea di Aristotele e di Erofilo, anche se la categoria del sogno profetico suggerisce vari spunti di problematicità circa la natura dell’esperienza onirica, dato il sistema di pensiero scientifico e razionalistico di Galeno.
Galeno, molte volte e in diversi contesti delle sue opere riferisce esperienze personali di sogni in funzione autobiografica. Il ripetersi del medesimo sogno e la chiarezza dell’immagine ne garantiscono la veridicità, come vuole l’oniromantica popolare.
Indirizzato da un sogno ricorrente e lucido, il padre di Galeno aveva avviato il figlio sedicenne agli studi impegnativi della medicina; istruito da due sogni chiari, Galeno aveva praticato con successo un intervento chirurgico all’arteria della mano; avvertito dal dio Asclepio in sogno, Galeno aveva chiesto e ottenuto dall’imperatore Marco Aurelio di non seguirlo nella campagna contro i Marcomanni; in altri sogni, il dio Asclepio, direttamente o con segni chiari, aveva dispensato consigli e indicazioni terapeutiche, con esiti sempre positivi. Lo stesso Galeno si riteneva al servizio di Asclepio, che lo aveva guarito da un’ulcera potenzialmente mortale[xxi].
È un quadro di aiuti speciali, di direttive precise, di interventi solleciti, di guarigioni miracolose tramite sogni. Probabilmente, Galeno proponeva queste sue esperienze oniriche come conferme di sue intuizioni o di suoi interventi felici in casi che erano apparsi disperati.
L’immagine che abbiamo di Galeno si basa essenzialmente sul ritratto intellettuale che egli traccia di se stesso in quelle che possiamo definire memorie autobiografiche e bio-bibliografiche, ricche di aneddoti personali e di riferimenti ai costumi sociali del suo tempo[xxii].
Nel II sec. d. C., l’età detta della Neosofistica, in cui la retorica investe il linguaggio della comunicazione scientifica e la cultura raggiunge una dimensione comunicativa e pubblica di grande spettacolarità, un intellettuale di alto profilo come Galeno, cercato e ammirato dagli ambienti élitari e di corte, è anche un brillante conferenziere, uno scrittore attento alle tendenze retoriche in voga, un fine conoscitore dell’orizzonte di attese del suo largo pubblico di uditori e del pubblico più ristretto dei lettori[xxiii]. In una certa misura, in Galeno, il sogno autobiografico risponde ad una convenzione letteraria, secondo cui un sogno predice la vocazione, la carriera professionale, il destino individuale[xxiv]. D’altra parte, ancora a livello letterario, l’intervento di Asclepio che sempre si intravede nello sfondo dei sogni evocati da Galeno equivale ad una forma di legittimazione e di autenticazione della sua autorità in campo medico.
Ma Galeno credeva ai sogni di ispirazione divina?
Nel corso II sec. d. C., età detta anche del Medioplatonismo, la teoria del sogno incontra uno straordinario interesse presso la cultura filosofica, poiché si intreccia con grandi questioni, come è quella del criterio della verità, dell’immortalità dell’anima, della premonizione, del demonismo, della libertà. Contemporaneamente, il tema del sogno ricorre in prospettiva medicale, non solo nelle opere di carattere scientifico, ma, spesso, nel quadro di problematiche morali, centrate sulla relazione, al tempo molto dibattuta, fra medicina e filosofia. Galeno aspirava ad essere medico e filosofo ad un tempo, anzi, come diceva l’imperatore Marco Aurelio che lo stimava al punto da nominarlo medico personale e dei figli, Galeno era «il primo dei medici, l’unico dei filosofi»[xxv].
Nel breve trattato De propriis placitis, “Sulle proprie opinioni”, il cosiddetto testamento filosofico di Galeno, composto negli ultimi anni della sua vita, dopo il 199 d. C., l’autore puntualizza le sue posizioni e smentisce opinioni che gli venivano erroneamente attribuite[xxvi].
Galeno, che si proclama scettico per metodo e agnostico circa alcune questioni di filosofia speculativa[xxvii], come la conoscenza certa, la generazione del mondo, l’essenza e la natura del divino, la sostanza e l’’immortalità dell’anima, asserisce la sua piena fiducia nella provvidenza divina, che manifesta la sua benevolenza all’uomo attraverso i sogni, i prodigi e l’astrologia. Mentre con una consapevolezza quasi sofferta e un inusitato atteggiamento di ripiego su se stesso, Galeno su molte questioni si esprime con formule emblematiche: «rinuncio a conoscere», «non ne so di più», «non ho capito», sul carattere divino del sogno profetico non mostra incertezza, anzi, se gli antichi Stoici dimostravano, per via logica, la natura divina del sogno dall’esistenza degli dei (si dei sunt, divinatio est), Galeno assume il medesimo schema implicativo nell’ordine inverso, dimostrando l’esistenza degli dei dall’esistenza «di sogni e divinazioni»[xxviii]. Ciò non meraviglia, quando si pensi a molti scienziati e pensatori del suo tempo, primo fra tutti, per analogia di atteggiamento intellettuale, il grande Tolomeo, teorico dell’astrologia.
Nella teoria galenica del sogno il medico e il filosofo non si oppongono, ma coesistono l’uno complementare dell’altro.
Dato un sistema in cui la natura è intesa come una sostanza continua, dotata di facoltà autonome, divina nel senso che è provvidenzialmente ordinata al di là di ogni trascendenza, l’intervento del sogno come quello di Asclepio avvengono entro i limiti imposti dalla natura e non postulano il soprannaturale.
L’ordine razionale del mondo testimonia la provvidenza e il potere della natura, che coopera con l’uomo e lo soccorre anche con sogni e vaticini, sempre, tuttavia, restando nel dominio delle scelte possibili e degli eventi naturali[xxix]:
«Ci sono alcuni corpi talmente malconformati – scrive con ironia Galeno – sui quali nemmeno Asclepio potrebbe intervenire» (De sanitate tuenda, VI 63 Kühn).
La valenza divinatoria del sogno si colloca sulla linea della mantica filosofica classica e non ha nulla di religioso:
«Neppure dio può intervenire su ciò che è impossibile per natura, poiché dio sceglie il meglio nell’ordine del possibile» (De usu partium, XI 14, III 906 Kühn).
Note
Riprendo alcuni dei punti della relazione “Il sogno dagli Stoici a Galeno” presentata al Congresso Nazionale SOPSI, Roma, 21-25 febbraio 2006 “Terapia Psichiatrica. Un problema di libertà”, Seminario tematico.
[i] Sono emblematici, a questo proposito, due sogni dell’Odissea, prospettati come frutto delle ansie e delle preoccupazioni di Penelope: Penelope sogna la sorella che la rassicura circa il viaggio intrapreso dal figlio Telemaco (IV 787-841) e ancora Penelope sogna l’aquila che piomba dal cielo sulle oche del suo cortile e le uccide (XIX 535-569). In Omero sembra essere presente anche la nozione secondo cui il sogno, talora, è prodotto da uno stimolo sensoriale esterno, acustico o visivo, come dimostra lo psicanalista Franco Maiullari in un contributo molto fine e originale a proposito del sogno di Reso (Iliade, X 513-540): Maiullari 2006, pp. 88-90. Il concetto per cui esiste una catena psichica che unisce il sogno alla veglia torna regolarmente nella letteratura antica: si ricorda, a titolo d’esempio, il famoso sogno di Artabano in Erodoto (Storie, 7, 12-19). Naturalmente, per l’uomo antico ciò non implica che questo tipo di visione onirica non abbia valore predittivo. La bibliografia sull’argomento è sterminata: qui non si prende in considerazione il sogno dal punto di vista oniromantico, cioè delle interpretazioni, né dal punto di vista del “sogno raccontato”. Vengono richiamati solo alcuni contributi significativi sulla teoria del sogno svolta nell’ambito della cultura medica dell’età ellenistica e romana. Per un inquadramento sono utilissimi Kessels 1978; Lieshout 1980; Brillante 1986; Guidorizzi 1988 a; Oberhelman 1993.
[ii] Cfr. Bonuzzi 1975; Oberhelman 1987; Guidorizzi 1988 b; Roccatagliata 2006.
[iii] Sogno proiettato verso il futuro piuttosto che verso il passato, come vorrebbe la psicoanalisi: Mancia 1998, p. 26.
[iv] Bonuzzi 2006, p. 36: «Si deve riconoscere che nella sensibilità comune, dal tempo di Asclepio al corrente terzo Millennio, l’interesse magico per i sogni non è mai venuto del tutto meno. E nel contempo si deve prendere atto che anche gli approcci critici si sono intrecciati fra loro con alterne fortune lungo la storia della psicologia medica e della neurofisiologia».
[v] Schofield 1978; Wiesner 1978; Cambiano – Repici 1988. Cfr. Ghiozzi 2004, p. 14, n. 30: «L’approfondimento della concezione della psiche aristotelica è un contributo sempre operante nell’ambito del Body-mind problem contemporaneo in quanto la distinzione tra la definizione di anima e di corpo non implica … la separabilità reale nel singolo corpo finché è in vita».
[vi] Quintiliani 2002. I seguaci di Aristotele si occuparono sistematicamente degli aspetti psicofisiologici del sonno e del sogno, tra questi, nel III sec. a. C., Stratone di Lampsaco il primo, per così dire, psicofisiologico della storia, ritiene che il sonno dipenda dal ritirarsi in se stesso del processo delle sensazioni, quasi una deafferentazione sensoriale (Mancia 1987, p. 5).
[vii] Cfr. Cambiano 1980, p. 447. Per la dottrina di Epicuro sul sogno è importante il passo della Epistula ad Herodotum, 49-52 Arrighetti2.
[viii] Grilli, 1950, p. 424. Cfr. Smith 1993, pp. 555-558. La lettera di Epicuro alla madre è riportata nell’iscrizione dell’epicureo Diogene di Enoanda (II sec. d. C.).
[ix] Fasce 2006.
[x] Galeno, Institutio logica, 8, 3-13; 32, 11-17.
[xi] Diogene Laerzio VII 71.Cfr. Manetti G., 1987, pp. 9-20. Sulla sillogistica ipotetica negli Stoici Repici 1977, pp. 131-132.
[xii] Vimercati 2004, p. 242.
[xiii] Significativo è il fatto che Cicerone, nel 45 a. C., progettando di scrivere il De divinatione e il De natura deorum, scrive ad Attico, chiedendogli di inviargli una epitome del Peri pronoias di Panezio (Ad Atticum, XIII 8).
[xiv] Cicerone, De divinatione, II 136 e in particolare la spiegazione (II 140): «i resti di ciò che abbiamo pensato o fatto da svegli». Anche nel Somnium Scipionis è evocata una analoga spiegazione fisiologica del sogno di Scipione, senza tuttavia escluderne la funzione divinatoria nella narrazione.
[xv] Diels, Doxographi Graeci, p. 416 e p. 640; Schrijvers 1977; Pigeaud 1988; von Staden 1989.
[xvi] Nel medesimo opuscolo De tuenda sanitate, Plutarco accenna all’ispessimento degli umori o a disturbi del respiro come cause di sogni inconsueti e perciò premonitori di malattia: il pensiero è di matrice platonica, poiché nella Repubblica (571d6-572b1) si sostiene che l’essere liberi da bisogni e sazietà evita sogni mostruosi e incubi. Anche le passioni, infatti, sono considerate sintomo di anomalie corporee e non come conseguenza.
[xvii] Donini 1992, pp. 3500-3501.
[xviii] Del Corno 1978.
[xix] L’opuscolo Peri tes enypnion diagnoseos, De dignotione ex insomniis (VI 832-835 Kühn), è stato edito, illustrato nella tradizione manoscritta e commentato da Guidorizzi 1973. Un passo del In Hipppocratis epidemiarum librum primum commentarius , “Commento al I libro delle Epidemie di Ippocrate” (XVIIa 214 K.), coincide in molti punti con l’opuscolo sul sogno, ma alcuni esempi di sogni riportati nell’uno sono assenti nell’altro e viceversa. Anche un’opera del corpus galenico, In Hipppocratis librum de humoribus commentarius, “Commento al libro Sugli umori di Ippocrate” (XVI 219 K.), presenta mote consonanze, ma l’opera è un falso rinascimentale (Guidorizzi 1973, p. 96).
[xx] La dottrina di Galeno è sulla linea dell’ippocratico De diaeta (IV 86), in cui si sostiene che durante il sonno l’anima diventa più percettiva, in quanto non più al servizio del corpo, che giace addormentato e privo di sensazioni.
[xxi] Nell’ordine: Galeno, De libris propriis XIX 59 K.; De methodo medendi X 609 K.; De humoribus, XVI 222 K.; De libris propriis, XIX 19.
[xxii] Boudon 2000.
[xxiii] Manetti D. 2000.
[xxiv] Il motivo del sogno autobiografico, ispiratore della carriera del sognante è un topos letterario. Ne offre un esempio Luciano di Samosata, che nel 163 d.C. scrive una composizione sofistica intitolata “Il sogno ovvero la vita di Luciano”.
[xxv] Galeno, De praecognitione, 11, 8, p. 128 CMG V 8,1. Cfr. Vegetti 1994, pp. 1672-1717, Desideri 2000, p. 23.
[xxvi] Cfr. la presentazione e l’ottima analisi di Perilli 2003 oltre all’importante commento di Nutton 1999.
[xxvii] Manzoni 2001, pp. 30-31.
[xxviii] Perilli 2003, p. 75.
[xxix] Boudon 1988, p. 333, ma si segnala l’intero contributo dell’autrice.
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Commenti
La chiarezza dell’esposizione su un argomento così complesso mi ha davvero suggestionato. Come si fa a riservare queste autentiche perle di pensiero ai soli specialisti? Un grazie sincero e caloroso alla prof.ssa Silvana Fasce dell’Università di Genova per questo contributo ad Accademia sarda e ai suoi visitatori sempre alla ricerca di conoscenze e di approfondimenti. Un convitto davvero raffinato con quest’articolo e nuovamente grazie!
Luglio 29th, 2011