Servirebbe decidere di Paolo Pombeni
L’Unione Europea è sempre più attanagliata dalla esigenza di decidere sui punti caldi che ha davanti: in primis la questione del debito greco e poi la gestione della vicenda libica, con i connessi problemi dalla cosiddetta “primavera araba”. Le risposte che al momento sono state poste sul terreno nella riunione del G8 di Deauville rimangono ancora piuttosto nel vago. Si dice che quell’incontro abbia evidenziato un certo riaccendersi dell’interesse degli USA e del suo presidente verso l’Europa, ma le interpretazioni al proposito sono divergenti. Certamente Obama ha ripreso in considerazione il fronte “occidentale”, ma non si sa se lo veda come un puzzle di posizioni diverse o come un almeno ipotetico fascio di forze che possono convergere. I suoi discorsi ufficiali si sono prevalentemente orientati al versante anglosassone e questo non è certo indice di grande attenzione per l’Unione, ancora una volta in quanto tale un interlocutore come minimo sfuggente. La stampa britannica ha sottolineato che nel discorso a Westminster, non a caso la “madre dei Parlamenti” nella retorica politica anglosassone, il presidente americano ha insistito sul ruolo insostituibile di “USA, Gran Bretagna e loro alleati europei” nella difesa della libertà, aggiungendo che “nonostante la grande crescita delle economie di Brasile, Cina, India e altri paesi, l’alleanza occidentale rimane essenziale per puntare a un secolo più pacifico, ricco e giusto”. Obama è un grande retore, ma dietro queste parole non c’è ancora una vera apertura di credito alla Unione Europea. Questa dal canto suo deve trovare il modo di farsi sentire battendo un colpo. La battaglia che tutti sembrano intenzionati a fare per mettere il ministro francese Lagarde alla testa del Fondo Monetario Internazionale al posto di Strauss-Kahn non è ancora una prova di consapevolezza del ruolo che deve giocare l’Europa, anche se segna qualche punto a favore della sua crescita. Oltre alle interessate perplessità di parte della stampa britannica, la faccenda viene piuttosto vista come una strategia per prevenire divaricazioni fra la politica del FMI e quella della BCE (e di conseguenza dell’Unione) nella gestione della “patata bollente” greca. In realtà è proprio qui che si apre la querelle. La Grecia non appare in grado di avviare una seria politica di risanamento per la semplice ragione che nessun governo ha la forza di imporre alla sua gente una politica veramente di lacrime e sangue. Ma è proprio qui che si presenta il dilemma: da un lato per costringere la Grecia a fare i conti con la sua situazione sarebbe necessario lasciarla affondare, dunque escluderla dall’euro con tutti i rischi che ciò comporta per il sistema nel suo complesso; dall’altro lato tenerla in piedi significa, di fatto, annullare gran parte del debito che essa ha contratto, stabilendo un precedente che potenzialmente può far deflagrare il sistema, visto che non mancano i paesi in difficoltà e che la speculazione internazionale è pronta per “aprire il fuoco” su di essi. Cosa possono dunque fare le istanze comunitarie, strette come sono tra le esigenze di politica interna dei vertici dei vari governi? La Germania appare incerta sul da farsi, e del resto manca una qualsiasi leadership capace di fare la sintesi fra le varie posizioni. I giornali stanno a guardare stupefatti e mettono a nudo tale impasse, che certo non innalza il livello di fiducia nelle istituzioni comunitarie. Del resto la vicenda libica è lì a mostrare che neppure sul terreno della politica estera esiste una qualche leadership europea. A Deauville si è parlato delle “primavere arabe” e si sono ventilati aiuti ai nuovi governi egiziano e tunisino, ma siamo ancora alle buone intenzioni: in più nessun paese è disponibile a mettere nelle mani di Bruxelles la gestione di una politica europea verso questa zona cruciale e strategica. Del resto sarebbe difficilissimo farlo, considerando che appunto sulla crisi libica ci si continua a muovere in ordine sparso. Francesi ed inglesi si sono assunti l’onere maggiore di un intervento militare la cui gestione non si riesce a comprendere dove vada (Gheddafi continua ad essere in sella e gli stati africani, almeno ufficialmente, non collaborano a buttarlo giù). La signora Ashton è andata a Bengasi per un “quasi-riconoscimento” degli insorti, ma siamo ancora lontani dalla chiarezza, perché non si capisce bene dove e come si andrà a parare. Del resto la posizione della Russia, di fatto contraria a qualsiasi sostegno alle turbolenze in quell’area mostra, a chi vuol capire, che la partita tutto è fuor che semplice. Eppure la UE non può trovarsi spiazzata di fronte ad eventi che stanno mettendo in movimento ai suoi confini situazioni che parevano congelate: si pensi a quanto sta avvenendo in Siria, con le sue ripercussioni sul Libano, ed in Palestina, con l’accordo fra Fatah e Hamas e la riapertura del valico di Gaza da parte dell’Egitto.
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