I Carmelitani in Sardegna di Antonio Ledda
Le prime tracce sicure della presenza dei Carmelitani in Sardegna risalgono ai primi anni del Cinquecento e precisamente al 26 maggio 1506 quando un ricco possidente, di nome Salvatore, del quale non si conosce altro offrì allo spagnolo padre Pietro Terrase, priore generale dell’ordine carmelitano di antica osservanza, la chiesa di san Pietro di Bosa e quella di santa Lucia di Trillu.
Il priore generale accettò l’offerta e incaricò lo spagnolo fra Silvestro di Stobel (nelle vesti di superiore) e altri tre religiosi della Catalogna, di recarsi in Sardegna per impiantarvi una nuova fondazione dell’ordine carmelitano, con facoltà di ricevere novizi e ammetterli alla professione.
Questi fissarono la propria dimora nei dintorni di Cagliari in un monastero in disuso, situato sul colle di sant’Elia, nelle vicinanze della Torre della Lucerna.
L’effettiva nascita e diffusione del Carmelo nell’isola coincise però con l’arrivo nel 1559 dei due carmelitani spagnoli padri Pietro e Felice, che in quella località fondarono il primo convento dell’ordine in Sardegna[1] (vedi nota 27 alla fine del VI cap.).
I sardi non si trovavano in condizioni molto felici, quando i due carmelitani arrivarono nell’isola: i barbareschi continuavano ad infestare le coste sarde, (e non solo le coste), contadini e pastori nonostante ricavassero tanto poco dalla loro terra da essere ai limiti della sussistenza, erano caricati di balzelli tanto dal governo spagnolo quanto dai feudatari sardi e spagnoli.
Il pericolo dei razziatori musulmani era sempre presente, ma divenne particolarmente incombente dopo il 1553 quando, con la caduta della rocca di Bonifacio (Corsica) in mano ai francesi, alleati dei turchi, questi ultimi poterono disporre di ottime basi per le razzie nella nostra isola.
Gli assalti s’intensificarono maggiormente in seguito alla sconfitta nel 1560 della flotta del viceré di Sicilia, duca di Medinacaele, da parte dell’armata di Dragut presso l’isola di Gerba: nello stesso anno fu saccheggiato il paese di Narbolia e poco tempo dopo nove galere turche assediarono la fortezza di Castellaragonese.
Nonostante la sconfitta subita dalla loro flotta nelle acque di Lepanto nel 1571 i mussulmani assaltarono il paese di Siniscola, mentre l’anno successivo trecento corsari tentarono l’assalto al paese di Villanova Monteleone, ma furono sconfitti dagli abitanti e dovettero fuggire dopo aver lasciato sul terreno più di cinquanta morti e numerosi prigionieri.
Sorte diversa toccò invece agli abitanti delle ville di Quartu, Quartucciu e Pirri che dovettero subire il saccheggio.
Nel Seicento la costruzione delle torri costiere fece diminuire il numero delle incursioni, ma non lo eliminò del tutto.
Nonostante il pericolo dei pirati che incombeva continuamente, soprattutto nelle zone costiere, i padri carmelitani Pietro e Felice animarono ancora di più la festa di sant’Elia che ogni anno il 16 luglio riempiva di fedeli l’intero promontorio.
Questi fedeli partivano con carriaggi, cavalcature e a piedi dai loro paesi fin dalle prime ore della notte precedente, (iniziando una tradizione che sarebbe durata in molti centri sardi fin quasi ai nostri giorni), per partecipare alle prime funzioni religiose che si celebravano in chiesa fin dalle prime luci dell’alba e che continuavano durante il giorno con solenni processioni.
La vicinanza del mare però rappresentava un pericolo, dovuto alle scorrerie dei barbareschi che con veloci incursioni continuavano ad assalire gli abitanti delle zone costiere e potevano profittare dell’annuale ricorrenza festiva in cui si concentrava un gran numero di persone.
I mussulmani erano informati sulla data di queste feste da rinnegati sardi che, dopo essere stati fatti prigionieri e venduti nel Nord Africa, avevano cercato nell’apostasia una via di scampo alle proprie sofferenze, mentre altri erano stati spinti dal desiderio di conseguire prestigio, onori e ricchezze che mai avrebbero potuto ottenere nella società d’origine.
Per eliminare il fenomeno il viceré Alfonso d’Eril (1617-1622) con pregone del 25 giugno 1621 proibì a uomini e donne di recarsi nelle ore notturne alle feste campestri di S. Barbara, di S. Maria Maddalena, di Sant’Elia e di S. Bartolomeo nei dintorni di Cagliari, essendo venuti a sapere che i mori e alcuni rinnegati avevano progettato di fare degli sbarchi in occasione di queste festività.
I monaci carmelitani, costretti dall’ordinanza viceregia ad abbandonare tanto il convento quanto la chiesa, si trasferirono nell’entroterra dell’antica città romana di Karalis.
Si sistemarono in un convento costruito pochi anni prima in stile gotico-aragonese che si trovava a poca distanza da Stampace e dalle mura che delimitavano l’antico quartiere della Marina.
Conosciamo l’ubicazione di tale convento perché, nelle vicinanze del punto dove sorgeva, anche molto tempo dopo il 1600, esisteva una piazza che prendeva il nome da una cappella non lontana dalla chiesa del Carmine costruita nel 1580.
Tale cappella era stata edificata nel 1608 dalla nobile famiglia sarda dei marchesi Ripel di Neoneli, per ospitare una Madonna scolpita in legno del Libano, che nell’XI secolo era stata portata dai monaci a Roma per donarla al Pontefice. In seguito la statua fu donata dal papa Innocenzo III (1160-1216) alla città di Cagliari.
Durante la traversata da Roma a Cagliari un antenato dei Ripel di Neoneli, custode della statua, scampò ad una tremenda burrasca, così i discendenti del nobile di Neoneli, grati alla Vergine miracolosa per lo scampato pericolo del loro progenitore, fecero costruire la cappella per custodirne il simulacro[i].
Fin dal primo periodo dell’arrivo dei padri Pietro e Felice e di altri religiosi, che giunsero subito dopo di loro, i carmelitani furono di esempio ai postulandi sardi, trascorrendo le loro giornate tra il lavoro agricolo, la preghiera e la meditazione.
Così il Carmelo di Cagliari si affermò progressivamente come un importante centro d’irradiazione della devozione mariana in Sardegna. Per interessamento di Vincenzo Andrea Calçeran vicario generale dell’Ordine per la Sardegna che voleva ampliare la diffusione dei Carmeltani nell’isola, dal momento che lo stesso Ordine aveva perduto 12 conventi a causa dei luterani in Provenza e in Linguadoca, il re di Spagna Filippo II, con missiva del 12 marzo 1562, invitava la città di Cagliari a mettere a disposizione dei Carmelitani qualcuno dei conventi abbandonati di santa Maria Chiara in Pirri presso le falde del castello di San Michele di Santa Maria in Portus Gruttae e di san Pietro nel rione di Sant’Aventrace, tutte chiese ubicate in Cagliari o nei pressi (p. Gabriele Piras: <<Storia del culto mariano in Sardegna, p. 210).
Nel 1569 fu nominato priore di Cagliari e vicario generale della Sardegna Giacomo Montañes a cui succedettero successivamente altri vicari generali.
Ventiquattro anni dopo, nel capitolo generale dell’ordine, la Sardegna venne eletta a vicariato generale “assoluto” e il suo vicario facente parte del capitolo generale (dall’Archivio generale dell’ordine vol. I p. 594-5).
Nel 1601 il priore generale Enrico Silvio, per giustificare la mancata visita al Carmelo sardo scrisse in una relazione che vi erano solo cinque conventi più due abbandonati, ma il suo biografo Francesco Boersio, attribuì la mancata visita ai disagi del viaggio e fece l’elenco dei cinque conventi: Cagliari, Bosa (1570 circa), Chiaramonti inizio dell’insediamento 1580 circa, apertura ufficiale 1586, Mogoro 1609, Sassari (sant’Antonio fuor le mura detto poi Carmine vecchio – 1609) aggiungendo che ilo vicariato contava 80 religiosi.
A questi si aggiunsero poi Oristano (1636) Sassari intra muros (1639) e Alghero (1644).
Ospizi o grancie sorsero in seguito a Tresnuraghes (1699), Villanova Monteleone (1711), San Vero Milis (1724-1726), Neoneli (1733), ma in merito alla loro scomparsa è indispensabile fare opportuni approfondimenti (nota 29).
Anche a Nuràminis il Carmelo fu presente. Il merito fu di Efisio Corda, un ricco possidente che in tale paese fece costruire a proprie spese un convento con annessa chiesa nell’anno 1726.
Ultimata la costruzione, i padri carmelitani vi aprirono una scuola pubblica gratuita che fu frequentata dai bambini poveri del paese[ii].
Il 15 giugno 1641, con breve pontificio, venne istituita la Provincia Sarda dell’Ordine[iii]. Come primo provinciale ebbe il maestro Gavino Cattayna, persona di provate virtù, ma la rivalità tra le due case principali di Sassari (Carminbe) e di Cagliari gli impedì per alcuni anni di avere una sede fissa.
Risolvette la situazione il capitolo generale del 1648, ordinando che i provinciali e gli ufficiali venissero eletti e avessero sede alternativamente in ciascuna delle due regioni.
Questa soluzione venne definitivamente confermata da papa Clemente IX il 16 febbraio 1669 ( tanto risulta nell’Archivio generale dell’Ordine Carmelitano- Roma II Sardinia 2, commune 1641; bull. Carm. 2, 487-88; A.G.O.C. IIc, O, I, 27, f. 126r, per quanto riguarda l’istituzione della provincia sarda, Acta capitularum generalium, II-80 in merito all’Ordine del capitolo generale sull’alternanza; 2 Bullarium Carmelitanum II-711 sull’approvazione papale.
La provincia ebbe vita autonoma fino al 20 dicembre 1909, quando venne unita alla provincia romana.[iv].
Il priorato provinciale sardo, intitolato a Santa Teresa, produsse una serie di atti riguardanti i singoli conventi. Oggi, a causa della mancanza di pubblicazioni in lingua italiana sul Carmelo in Sardegna[2] e di un’insufficiente ricerca sugli scritti esistenti negli archivi sardi pubblici e privati[3], si ha una scarsa conoscenza della storia del Carmelo della provincia sarda nell’epoca presa in esame.
1
1765 Ottobre 24,
Un certo Leprati, per la regia segreteria di Stato e di Guerra, notifica al priore dei Carmelitani l’obbligo di denunciare ogni acquisto di beni immobili, al fine del pagamento delle decime.
Buss, Ms 941.
2
1766 Luglio, 7 Cagliari
Augustinus Angelus Tocco, esaminatore sinodale e priore della provincia di Santa Teresa, espone e modifica i decreti del capitolo provinciale dei Carmelitani della Sardegna.
S 5 ms 940.
3
1770 Agosto, 31 Cagliari
Frà Antoni Sanna, provinciale, firmagli statuti provinciali per il ristabilimento degli Statuti provinciali per il ristabilimento egli Studi in Sardegna preso i Carmelitani.
S 5 ms 930
4
1778 Febbraio, 27 Cagliari
Frà Carlos Catta, definitore generale e priore provinciale, detta disposizioni sulla celebrazione delle messe da osservarsi preso tutti i conventi dei Carmelitani della Sardegna.
S 5 ms 935
5
1784 Settembre, 12 Sassari
Frà Alberto Maria Solinas Nurra, priore provinciale dei Carmelitani di Sardegna, comunica alcuni provvedimenti per il richiamo all’osservanza della disciplina regolare dell’Ordine ai priori e ai frati dei sette conventi della provincia.
S 5 ms 1154-35
Nei 270 anni di autonomia, i priori della provincia sarda non mancarono di assistere spiritualmente e materialmente la popolazione isolana martoriata da ricorrenti epidemie mortali, affamata da terribili carestie, esposta alla prepotenza del baronaggio, alla furia sanguinaria dei banditi e alla pericolosità delle incursioni barbaresche.
La figura di Gavino Cattayna è un modello di carmelitano zelante. Nato a Sassari nel 1609, entrato nell’Ordine Carmelitano, fu ben presto eletto priore della provincia Sardegna. In tale veste si prodigò, con la collaborazione degli altri Carmelitani, ad alleviare le sofferenze dei sardi durante l’epidemia di peste che in Sardegna dal 1652 al 1656 decimò l’intera popolazione. Divenuto vescovo di Bosa il 4 febbraio 1665 radunò in quella città il sinodo diocesano. Il 9 agosto 1671 venne nominato arcivescovo di Sassari[v] dove celebrò subito il sinodo diocesano.
I Carmelitani che diventarono degni e zelanti pastori diocesani furono parecchi. Tra questi basterebbe ricordare Giuseppe Maria Pilo (1761-1786) vescovo di Ales, il Solinas Nurra di Galtellì Nuoro (1803-1817), Alberto Maria De Martis di Banari (1867-0802), vescovo di Nuoro e il Giordani vescovo di Ales.
Dalla documentazione notarile riguardante i Carmelitani, giacente presso l’Università di Sassari, risulta che la popolazione sarda fu in genere molto generosa verso questi religiosi. Non mancarono però comportamenti di segno opposto, tanto è vero che fin dai primi anni del Seicento i religiosi dovettero in diverse circostanze intervenire energicamente per tutelarsi contro le violazioni dei loro diritti. Questi comportamenti illeciti vennero, anche se non troppo spesso, da privati o dagli stessi feudatari, quando, per esempio, non vollero restituire quanto sottratto illegalmente ai frati.
Altre volte furono i consigli civici a pretendere di far gravare anche sul clero imposte non dovute.
Persino gli ufficiali regi compirono degli abusi quando ostacolarono la libera vendita dei cereali di proprietà degli ecclesiastici. Non mancarono i casi di familiari o parenti di donatori di beni immobili o rendite a favore dei carmelitani che ostacolarono il passaggio dei lasciti ai frati.
Altre difficoltà sorsero quando nel 1720 al dominio spagnolo succedette in Sardegna il dominio piemontese. Anche i Carmelitani, come gli altri ordini religiosi ed il clero secolare, furono coinvolti, seppure molto parzialmente, nel contrasto tra il potere civile e le autorità ecclesiastiche.
Il nuovo re Vittorio Amedeo II infatti, rivendicò alla corona la piena e assoluta sovranità contro l’interferenza e l’invadenza delle autorità ecclesiastiche (nota 33).
Altri contrasti, tra i due poteri subentrarono quando la giustizia civile colpiva l’autore del reato e le autorità religiose, dichiararono lo stato di dipendenza dalla chiesa (vero o falso che fosse) di costui, ne rivendicava l’immunità.
Secondo il viceré Pallavicino di Sant-Rēmy l’abuso era tale che in alcuni paesi vi erano più persone soggette alla giurisdizione ecclesiastica che a quella civile.
Infine, altro motivo di attrito era l’abuso del diritto d’asilo nelle strutture e negli edifici religiosi che, esercitava un’azione disastrosa sul fenomeno della latitanza e del banditismo[vi]. Dopo lunghe trattative, finalmente nel 1726, anche per l’interessamento del cardinale sardo Agostino Pipia, si raggiunse un concordato in base al quale il re Vittorio Amedeo II venne riconosciuto il diritto di proporre i nuovi arcivescovi, vescovi e abati e per le sedi sarde resesi vacanti, gli attriti però continuarono per tutto il ‘700 soprattutto quando il re per continuare a incassare le decime ritardava per diversi anni di proporre i nuovi titolari.
Altri disagi soprattutto economici, derivarono ai religiosi quando nel 1803 il re ottenne dal Pio VII (per non sopprimere il convento e non appropriarsi dei tesori delle chiese, come si faceva altrove, in Europa[vii]), di avere altri contributi straordinari sui beni del clero.
In pratica i piemontesi, mentre continuavano a teorizzare il rifiorimento della Sardegna, secondo loro seicentescamente spagnoleggiante, con il loro atteggiamento illuministico si servirono del loro velleitario razionalismo per ricavare da un’isola povera di risorse il massimo vantaggio possibile.
Il risultato fu che il numero dei religiosi, composto da 152 unità alla fine del Seicento, cominciò a decrescere fin dai primi anni della dominazione dei Savoia.
La Rivoluzione Francese minò la vita dell’Ordine e ne accentuò la decadenza, specialmente quando a causa della stessa rivoluzione, i Savoia, dopo che ebbero perso i loro domini nella terraferma, dovettero rifugiarsi in Sardegna, difesa dalle navi inglesi.
Nel primo cinquantennio dell’Ottocento lo Stato, non solo continuò la politica di appropriazione dei beni ecclesiastici del secolo precedente, ma finì con l’attingere ai beni della chiesa quasi fosse una riserva propria.
Non avendo una efficiente burocrazia a livello periferico arrivò persino a servirsi della capillare presenza della chiesa per fare arrivare ordini e direttive anche ai sudditi delle più remote località dell’interno.
Nel 1841 pochi anni prima della soppressione degli ordini religiosi, i Carmelitani, benché gli effettivi fossero notevolmente ridotti rispetto a cento anni prima erano ancora abbastanza numerosi; infatti, la provincia Sardegna contava ancora sette conventi con 92 religiosi.
Nel 1855 furono soppressi diversi ordini religiosi regolari[viii], i restanti ordini religiosi furono soppressi tra il 1866 e il 1867.
Non si deve credere tuttavia che tutti i religiosi fossero immediatamente e forzosamente allontanati dai loro conventi. Questo successe solo nei conventi più piccoli, dove frati o monaci vennero trasferiti nei conventi più grandi.
Nella maggior parte dei casi ai religiosi venne lasciata in uso non solo la chiesa, ma anche una parte del convento, mentre il rimanente venne utilizzato come sedi di uffici e istituzioni statali.
Al clero comunque, come risarcimento per la perdita delle decime, venne assegnato un sussidio, anche se in misura modesta.
Purtroppo lo Stato non sempre mantenne le promesse e spesso fu la popolazione a sopperire alle mancanze delle istituzioni. Non ebbero sorte migliore archivi e biblioteche conventuali, andati per lo più miseramente dispersi, e persino alcune chiese importanti per l’arte e la storia dell’Isola vennero lasciati in abbandono fino alla oro totale rovina[ix].
Ciò che non era riuscito ai governi illuministici del Settecento, riuscì a quelli risorgimentali dell’Ottocento: con le comunità dichiarate sciolte, le proprietà incamerate dallo Stato, gli irrisori vitalizi corrisposti in ritardo convinsero la stragrande maggioranza dei religiosi ad abbandonare i conventi.
Nel 1856 vi erano nell’Isola 36 sacerdoti in sette conventi; nel 1872 rimanevano i due soli conventi di Cagliari e Sassari che continuavano una vita grama e stentata con pochissimi professi.
Nel 1895, con la secolarizzazione degli ordini, anche i Carmelitani dell’isola subirono un colpo durissimo, tanto che il 20 dicembre 1909 la Sacra Congregazione dei Religiosi univa la Sardegna alla provincia romana.
Nella nuova provincia, per merito della solerte attività dei padri Carmelitani, un po’ alla volta, risorse a nuova vita nei vari centri dell’isola la devozione verso la beata Vergine del Carmelo.
Nel 1993 assieme alla provincia romana anche la Sardegna è entrata a far parte della più vasta Provincia italiana.
Il Carmelo di Chiaramonti.
Erano trascorsi solo quattro anni dall’arrivo a Cagliari dei frati spagnoli Pietro e Felice ma la loro fama era arrivata nel nord Sardegna ed aveva aumentato la simpatia con cui era seguita l’Opera dell’Ordine Carmelitano.
Una testimonianza tangibile di tale devozione la si ebbe il 19 dicembre del 1563 quando a Osilo, con rogito del notaio Antonio Manunta, la nobildonna Quaderina Pilu fece il generoso atto di donazione di alcuni immobili a condizione che una parte fosse devoluta all’Ordine Carmelitano.
Il primo documento ufficiale della presenza dei carmelitani a Chiaramonti è però il rogito notarile del 22 ottobre 1586 che attesta l’accordo stipulato fra i prinzipales e la maggior parte della popolazione chiaramontese e i padri Carmelitani Mansuetu Savinu e Hieronimu Chinos per l’istituzione di un nuovo convento dei Carmelitani nei locali del convento abbandonato.
Pochi mesi dopo e precisamente il 10 aprile del 1587 il notaio Istefenu Sanna ratificava il testamento nel quale Andria Asole, un ricco proprietario del luogo, concedeva un generoso lascito per l’erezione del convento Carmelitano.
Durante i 280 anni intercorrenti dal 1587 al 1866 (anno in cui furono soppressi dal governo italiano gli ordini religiosi) la storia del convento dei Carmelitani di Chiaramonti è così densa di avvenimenti, donazioni, vendite, permute, testamenti, che anche una descrizione sommaria occuperebbe un intero volume : persino l’elenco completo di tutti gli atti notarili che li riguardano va oltre lo scopo di questo breve riassunto.
Tuttavia si può accennare brevemente ai più significativi di questi atti per sottolineare la generosità delle popolazioni di Nulvi, Laerru, Martis e Chiaramonti e il consenso con cui accettavano la loro presenza in quel particolare angolo dell’Anglona.
1
1603 ottobre, 28 Nulvi
Susanna de Batista vende un censo su due case ad Antonio Tedde – Franciscus Sgreho notaio.
S 5 ms 1032-83
2
1608 novembre, 10 Nulvi
Atti della causa vertente tra Elias Liberi, carmelitano, e Pere Juan Raggio.
S 5 ms 1033.24
3
1614 novembre, 5 Laerru
Dominigu Pisquedda e Anna Pisquedda vendono un censo ipotecario su una vigna a Joanne Maria Udas.
Notaio Franziscu Rogio
S 5 ms 1043-50
4
1618 marzo, 20 Chiaramonti
Franciscu Piris vende un censo ipotecario su una vigna a fra Tumasu Carta, priore del convento dei carmelitani. (rogito del notaio Belardinu de Accorerà)
S 5 ms 1031-3
5
1626 novembre, 11 Nulvi
Juan Franciscu Tedde, luogotenente d’Anglona emana sentenza di condanna al pagamento di un censo su una casa, dovuto da Miqueli Are, rappresentato dal procuratore Billanu Canu, al convento del Carmen.
S 5 ms 1035-9
6
1648 marzo, 16 Sassari
Gavi Petretto, delegato della curia di Ampurias, emette mandato per l’intimazione di pagamento di un debito da parte degli eredi di Baingio Baschu Budrone e degli eredi di Clemente Cano al convento del Carmen.
S 5 ms 1032-25
7
1665 dicembre, 28 Chiaramonti
I padri carmelitani concludono una permuta di case con Giorgio Arcai e Marta Porcu.
S 5 ms 1032-61
8
1674 aprile, 17 Chiaramonti
Il priore dei carmelitani Franciscu Lopez permuta una vigna con un censo su un terreno ceduto da Juane Austinu Satta.
S 5 ms 1032-91
9
1688 febbraio, 10 Martis
Maria Satta dispone una clausola testamentaria.
S 5 ms 1033-30
10
1694 settembre, 25 Castell’Aragonese
Il vicario generale di Ampiurias Andria Salvino de Alberti intima a Baingio Mudadu Faradeddu e Pedru Pablo Bau il pagamento dei censi arretrati al convento dei frati.
S 5 ms 1032-28
11
1716 febbraio, 8 Chiaramonti
Maria Satta Carcasone impegna i propri beni per il pagamento di un censo al convento del Carmen.
12
1720 novembre, 19 Nulvi
L’ufficiale di Nulvi Juan Satta ingiunge a Fancesco Delitala Pintus il pagamento di un debito ai carmelitani.
S 5 ms 1033-38
13
1721 agosto, 1 Sassari
Galcerini Fortesa, fa istanza all’economo dei carmelitani, invita Francisco Pintus e Gavino Pes Tedde (che il 12-12-1720 avendo ricevuto dal Governatore del capo di Sassari e Logudoro il decreto di restituzione ai carmelitani delle somme indebitamente percepite come appaltatori delle tasse, avevano risposto al priore dei carmelitani il 20-12-1720 essere solo loro dei procuratori ed essere di Thomas Tedde la responsabilità di appaltatore delle tasse) a rendere conto del mancato pagamento del debito al convento.
S 5 ms 1033-34
14
1734 giugno, 24 Chiaramonti
Pedro Tedde cede due terreni al convento del Carmen.
S 5 ms 1033-31.
15
1751 gennaio, 15 Chiaramonti
Juana Caxudu, Maria Satta, Juyme Canu, Jorge Satta e Antonio Satta costituiscono un censo ipotecario su una casa e un terreno a favore di fra Joseph Aayraldo, priore dei carmelitani. 8atti del notaio Franciscus Loriga Scarpa.
S 5 ms 1932-70
16
1758-59 Chiaramonti- Nulvi
Il vescovo di Ampurias emana un decreto di esecuzione del testamento di Lussia Tedde a favore dei padri carmelitani.
S 5 ms 1033-53
17
1759 Luglio, 24 Castell’Aragonese
Il delegato Bianco per decreto del rev. Cadello, intima ad Andres Satta, curatore della fu Lucia Tedde, il pagamento di elemosine ai carmelitani.
S 5 ms 1032-43
18
1769 Luglio, 11 Sassari
Agostinus Angelus Tocco provinciale carmelitano e delegato della Sacra Congregazione emana un decreto nei confronti del priore del convento di Chiaramonti.
S 5 ms 1032-23
19
1779 Dicembre, 2 Chiaramonti
I padri carmelitani vendono un terreno a Quirico Massa (atto del notaio Antonio Cossu Sequi)
S 5 ms 1032-95
20
1782 Giugno, 27 Nulvi
L’ufficiale reggente Francisco Serra ordina l’immissione in possesso dei terreni di Francisco Carcassona, aggiudicati con vendita all’asta al convento del Carmelo.
S 5 ms 1033-17
21
1783 Ottobre, 2 Chiaramonti
I carmelitani concludono accordi con Jorge Carcassona per l’estinzione di un debito dovuto al convento dal fu Francisco Carcassona.
S 5 ms 1033-6.
22
1790 Novembre, 25 Chiaramonti
I padri Carmelitani concludono la permuta di alcuni terreni con Perico Satta.
S 5 ms 1032-95.
23
1799 Chiaramoti
Elenco dei terreni del convento del Carmine.
S. 5 ms 585.
24
1800 Aprile, 10 Chiaramonti
Baingio Crabesu vende un censo di due case ai padri Carmelitani rogito del notaio Antonius Josephis Santoni.
S 5 ms 1173 c 25.
25
1831 Agosto, 27 Chiaramonti
Rafaele Floris, delegato di giustizia della Curia di Anglona, immette in possesso di due stanze ed una vigna Lorenzo Pinna priore dei Carmelitani. Atto notarile del notaio Narciso Cossu.
S 5 ms 1032-12.
26
1832 Ottobre, 1 Chiaramonti
Bacjisio Usai dispone un legato a favore dei padri Carmelitani.
S 5 ms 1032-52.
27
1838 Aprile, 4 Sassari
Giuseppe Maria Satta Serra rilascia ricevuta di pagamento al priore del convento del Carmelo fra Elia Carta.
S 5 ms 1032-55.
28
1838 Maggio, 26 Chiaramonti e Bosa
Elia Carta, priore dei Carmelitani di Chuaramonti, e Angelo Maria Mura, priore dei carmelitani di Bosa, redigono l’inventario dei beni di salvatore Masala Secci.
S 5 ms 1032-1.
[i] Nel corso dei secoli la pregevole statua della Vergine, detta la Madonna miracolosa per i continui benefici a lei attribuiti, ha ricevuto gli omaggi dei cagliaritani e dei paesi vicini. Oltre ad un eccezionale venerazione popolare, la Madonna ricevette i più tangibili attestati di devozione da parte delle classi più abbienti sotto forma di regalo di gioielli che col tempo finirono per coprirne l’abito spagnolesco. Gli stessi alti dignitari spagnoli in arrivo dalla Spagna, appena sbarcati al porto di Cagliari, si recavano al santuario della Miracolosa per recarvi l’espressione tangibile della devozione dei re spagnoli sotto forma di un corsetto finemente ricamato un abitato di raro velluto e un gioiello. E’ in caso del viceré marchese di Cammarassa che il 15 luglio 1668 si premurò di appendere personalmente sul simulacro la preziosa aquila d’Aragona a nome della regina Marianna d’Austria reggente di Spagna. Peccato che durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti americani abbiano distrutto la chiesa e la cappella.
[ii] Le date di fondazione sono tratte da: Emanuele Braga, O. Carm. Il Carmelo sardo, Iesi 1964, 23-30. Si tratta di un dattiloscritto che attualmente si trova presso l’Istitutum carmeliotanum di Roma. Alcuni brevi notizie storiche sulla provincia di Sardegna si trovano anche in Opielka «Historia provinciae sardiniae» -Analecta Ordinis Carmelitarum discalceatorum, 2 (1911-1913) 333-6, 334-6, 403-10. Altre notizie si possono avere consultando Ludovico Saggi, O. Carm. «Carmelitani in Sardegna», La chiesa del Carmine, Cagliari. Si tratta di un numero unico edito in occasione della consacrazione della chiesa del Carmine di Cagliari – Roma 1953, 26-29; riedito in Il Carmelo della provincia romana, Roma 1955, 39-40. Opielka 361-62 <<Il sacro Carmelo>> vedi atti capitolari della provincia di Sardegna, conservati nell’Archivio della provincia romana dei Carmelitani e nell’Archivio generale dell’ordine carmelitano- Roma.
[iii] Eretta fin dal 12 marzo 1569 vicariato generale.
[iv] Turtas,
[v] P. Gabriel Piras, Storia del culto mariano in Sardegna, p. 212.
[vi] C. Sole, La Sardegna Sabauda del Settecento, p.
[vii] R. Turtas, La Sardegna durante il periodo sabaudo, p. 157.
[viii] Non è stato possibile, all’autore di questo testo, nonostante le ricerche presso gli uffici parrocchiali delle sete località dove esistevano conventi Carmelitani, trovare dati che possano accertare che anche i carmelitani fossero tra questi.
[ix] R. Turtas, La Chiesa durante il periodo sabaudo, p. 166.
Dal volume di Antonio Ledda, Breve storia del Carmelo, Studium adp, Sassari 2007 cap. VII