Fra populismi di destra e diplomazie senza fiato di Paolo Pombeni
Ci sono tre argomenti che dominano la stampa europea dell’ultima quindicina di aprile a cui si aggiunge la sostanziale, fragorosa assenza di un altro. Gli argomenti all’attenzione dei media sono la questione libica, l’affermazione della destra populista nelle elezioni finlandesi ed infine la modesta evoluzione nella gestione delle ondate migratorie dal Nord-Africa. La fragorosa assenza riguarda il problema dell’Ungheria e della sua controversa nuova costituzione. Non vale dire che di questo si era già parlato nelle settimane precedenti. Infatti, anche sorvolando sul fatto che l’attenzione non era poi stata eccezionale, ciò che colpisce è la scarsa considerazione del “vulnus” che l’Ungheria sta portando ai trattati europei. Giustamente in molti hanno fatto notare che ai tempi della prima vittoria elettorale di Haider in Austria si era arrivati a comminare sanzioni a quel paese, mentre oggi non si vedono reazioni istituzionali a quanto accaduto a Budapest. Non vogliamo essere perfidi e pensare che nel caso austriaco era facile buttarla sul tema della presunta rinascita del “nazismo” (roba di cultura tedesca), mentre nel caso ungherese si doveva scendere ad un confronto diretto con un modo di impostare il costituzionalismo che si discosta in maniera decisa da quei parametri di “democrazia occidentale” a cui la UE è legata non solo per ragioni culturali profonde, ma anche per quel che prevede la sua legislazione. Prendere di petto gli ungheresi è stato considerato rischioso per la stabilità della penetrazione europea nell’area dei paesi ex vassalli dell’URSS e quindi in definitiva si è scelto di lasciare correre. Del resto era anche difficile vedere chi avrebbe potuto caricarsi l’onere di aprire le ostilità: non certo una Commissione e dei vertici UE di basso profilo come quelli attuali; non certo un parlamento europeo che fa fatica a guadagnarsi uno spazio significativo; non certo il Consiglio Europeo dove siedono capi di stato alle prese con molte grane interne ai rispettivi paesi proprio per la forza crescente del populismo (di destra, ma anche di sinistra). Dunque non essendoci alcuno che potesse farsi carico della faccenda ci si è voltati dall’altra parte. Potremmo dire che un appello agli ideali europei di questi tempi richiede una virtù eroica. Non è solo questione dello choc che percorre l’Unione di fronte a certi successi del populismo di destra come si è visto col caso della Finlandia, dove il balzo del partito dei “Veri Finlandesi” dal 4% al 19% , balzo che li ha resi determinanti per la formazione di un governo di coalizione, è stato interpretato come un’ulteriore virata dell’opinione pubblica in un paese che pure era considerato saldamente filo-europeo. Il fatto è che al momento l’Europa si trova a misurarsi con delle crisi e non si vede alcuna leadership sorgere da Bruxelles e dalle sue istituzioni. Le opinioni pubbliche sono spaventate da due eventi: da un lato la crisi finanziaria di alcuni stati che non si riesce a governare ed a bloccare (vedi le difficoltà in cui continua a dibattersi la Grecia nonostante le sostanziose iniezioni di denaro europeo); dal lato opposto l’arrivo di ondate migratorie dal Nord Africa che si cerca di scaricare sui paesi di primo approdo, ma che tutti intuiscono sia piuttosto difficile tenere confinate lì. Paradossalmente la stessa vicenda del conflitto sull’immigrazione fra Italia e Francia ha finito per mostrare che non è da illudersi che il problema possa essere circoscritto solo in alcuni paesi di frontiera. Sarkozy è riuscito a costringere Berlusconi a ridimensionare alcuni suoi disinvolti disegni, ma entrambi hanno poi chiamato in causa proprio la capacità regolatrice e di bilanciamento delle istituzioni dell’Unione. Che questo appello non suoni però rassicurante alle varie opinioni pubbliche è più che comprensibile se si guarda a come queste stanno recependo la gestione della crisi libica, dove la UE non è riuscita ad entrare direttamente in gioco e il suo surrogato, la NATO, spende energie e soldi nei bombardamenti senza che questi aprano la via, almeno per ora, ad una soluzione politica del conflitto. La conseguenza è che tanto in Italia quanto in Francia (ma non solo) si lascia spazio alla facile propaganda populista che vede nella crisi di equilibri sulla sponda sud del Mediterraneo solo un fattore che incrementa le ondate migratorie dall’Africa verso l’Europa. Al momento, ad essere percepita come criticità maggiore è ancora però la crisi finanziaria. Di qui l’acuirsi del tema della sostituzione di Trichet ai vertici della Banca Europea a fine giugno. In questo caso sembra stia prevalendo la logica di scegliere la persona giusta e capace senza porsi il problema degli “orgogli nazionali”: Mario Draghi infatti, è candidato favorito non in quanto “italiano”, ma in quanto tecnico di alto livello e banchiere di riconosciuto prestigio. Così andrebbe molto bene e c’è solo da sperare che si stia cambiando strada rispetto a quel che si era fatto nelle selezioni più recenti delle posizioni di vertice.
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