Laicità nella città terrena di Enrico Dal Covolo
Il volume di studi classici e cristiani raccolti in occasione del settantesimo compleanno del professor Luigi Franco Pizzolato si articola in quattro sezioni, che comprendono – o meglio abbracciano, come è precisato nella Presentazione del volume – la letteratura classica e la letteratura cristiana antica. Così l’àmbito degli studi rimane circoscritto all’antichità, ma non per questo vengono a mancare il dialogo e il confronto con il momento presente.
Mi concentro senz’altro sulla seconda sezione del libro, cioè sugli Studi martirologici e ignaziani, che include cinque saggi (La visione della Chiesa in Ignazio d’Antiochia; A proposito dell’epistolario di Ignazio d’Antiochia; Cristianesimo e mondo in tre “Passiones” dell’età degli Antonini; Note alla “Passio Perpetuae et Felicitatis”; Due note ignaziane).
Partiamo anzitutto della vexata quaestio sull’autenticità dell’epistolario ignaziano. Essa è affrontata con straordinaria acribia nel secondo dei cinque studi che ho elencato. Vi è riprodotto il testo della recensione pubblicata nel 1971 (senza titolo, ovviamente) al volume di Reinoud Weijenborg, Les Lettres d’Ignace d’Antioche. Étude de critique littéraire et de théologie. Mis en français par Barthélemy Héroux (E. J. Brill, Leiden, 1969): recensione apparsa nel settimo volume della “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa”. Nella sua monografia, lo studioso fiammingo sosteneva che la cosiddetta “recensione media” dell’epistolario ignaziano – quella che conserva le sette lettere considerate autentiche dalla maggior parte degli studiosi – dipendesse dalla “recensione lunga”, che invece raccoglie ben tredici lettere.
Ebbene, piuttosto che stroncare semplicemente tale ipotesi, nella sua recensione Pizzolato riprende in maniera complessiva la questione ignaziana, affrontando numerosi aspetti di metodo scientifico e di contenuto storico-letterario. E giunge ad auspicare, infine, che “la questione ignaziana venga ulteriormente approfondita per via linguistica”, piuttosto che attraverso un calcolo evanescente delle probabilità, come faceva invece l’autore in questione.
Così, con esemplare onestà, Pizzolato riapre la strada alla considerazione privilegiata della recensio media, su cui si allinea ancor oggi la critica ignaziana più accreditata.
Sull’ecclesiologia di Ignazio si concentrano, invece, gli altri due studi dedicati all’Antiocheno. Nella Visione della Chiesa in Ignazio d’Antiochia – studio pubblicato nel 1967 nel terzo volume della “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa” – Pizzolato si muove dalla locuzione katholikè ekklesìa (che, come è noto, compare per la prima volta nella letteratura cristiana in Smirnesi, 8, 2) per chiarirne il significato. A suo parere, l’accezione dell’attributo katholikè in un senso puramente spaziale è molto riduttiva. In verità la katholikè appare nel realismo ignaziano “l’unica Chiesa storicamente e visibilmente esistente, di cui si può dire che ha a tal punto la pienezza da coincidere con la katholikè ekklesìa escatologica, e da porsi, assieme a questa, al vertice sommo della clymax della Chiesa” (p. 92).
Le Due note ignaziane, pubblicate nel 1994 in Paideia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, si riferiscono l’una al Comportamento di Ignazio a Filadelfia, l’altra a Ignazio e il ricordo di Antiochia. In entrambi i casi, si può rilevare una caratteristica peculiare degli studi di Pizzolato: anche quando – come in questi due esempi – sono affrontate questioni particolari, a prima vista di minore rilievo, di fatto vengono spalancati gli ampi scenari delle dispute dottrinali e delle dinamiche ecclesiali che stanno dietro ai fatti in esame. Ne risulta scongiurato ogni rischio di mero archeologismo, mentre il magistero della storia ne esce sollecitato in massimo grado.
Infine, gli studi martirologici comprendono Cristianesimo e mondo in tre “Passiones” dell’età degli Antonini – saggio pubblicato nel 1976 in “Studia Patavina” – e le Note alla Passio Perpetuae et Felicitatis, comparse in “Vigiliae Christianae” nel 1980. Le Passiones dell’età antonina, qui considerate, sono il Martyrium Polycarpi, la Passio Sanctorum Scillitanorum e la cosiddetta recensio A del Martyrium Iustini. Per ragioni di tempo, e per introdurre già le mie “osservazioni complessive” e conclusive, evito il riferimento analitico a ciascuna delle quattro Passiones studiate, per sottolineare soltanto la puntuale “distinzione” con cui Pizzolato conclude l’analisi del Martyrium Iustini.
“Ancora una volta”, scrive l’autore, riferendosi al dibattito giudiziale tra il magistrato Giunio Rustico e il filosofo Giustino, “i valori umani e quelli della fede vengono distinti nei loro ambiti. Notare la distinzione è tanto più importante, quanto più la testimonianza senza scampo del martire avrebbe in certo senso favorito lo scontro frontale e la contrapposizione più netta e globale. Ed è altrettanto significativo rilevare che tale distinzione è operata per poter più correttamente guadagnare la congiunzione degli ambiti a livello esistenziale, e soprattutto a quel livello esistenziale, quale il martirio, che sollecita nell’esaustività dell’impegno la totale tensione delle forze umane” (p. 120).
Concludo questa rapida rivisitazione degli studi martirologici e ignaziani del volume con qualche cenno più complessivo sulla personalità umana e scientifica di Pizzolato.
Come è ripetuto anche nella Presentazione del nostro libro, Pizzolato – discepolo di Lazzati – resta legato a una “cordata virtuosa”, che trova in un mio confratello, il salesiano don Paolo Ubaldi (1872-1934), il punto di partenza ideale.
Per dieci anni, fino alla morte, Ubaldi resse la prima cattedra di letteratura cristiana antica in Italia, istituita nel 1924 da padre Agostino Gemelli in questa Università Cattolica: la medesima cattedra che – alcuni decenni più tardi – Pizzolato avrebbe raccolto in preziosa eredità.
A parte lo stesso Pizzolato, ben pochi hanno scritto dell’Ubaldi, ma certo il suo ruolo fu decisivo nel promuovere in Italia una rivalutazione dell’antica letteratura cristiana come disciplina autonoma, e nel bandire definitivamente il falso criterio di considerarla come un’appendice trascurabile delle letterature classiche.
Nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, alla cattedra di Ubaldi fu poi chiamato (anche se non in successione diretta) l’allievo prediletto, Giuseppe Lazzati. E nel 1948, a Torino, fu promosso l’altro allievo insigne dell’Ubaldi, don Michele Pellegrino, a coprire la neonata cattedra di Letteratura cristiana antica, la prima in una università di Stato italiana.
E proprio nei titoli delle miscellanee dedicate nel 1975 a Pellegrino e nel 1979 a Lazzati – rispettivamente Forma futuri e Paradoxos politeia – si può scorgere il programma di quella scuola di vita che trascorreva da una generazione all’altra, mentre fondava esistenzialmente il senso del recupero e del rinnovamento degli studi patristici. L’ascolto dei Padri era destinato a promuovere una forma di abitare la città terrena (politeia) che, lungi dal mortificare i valori umani, passati e presenti, li salvava con la forza del futuro. Epigono di questa cordata ideale è – appunto – Luigi Franco Pizzolato: e di seguito a Forma futuri e a Paradoxos politeia possiamo allineare oggi Plura sacra et mundi alia. Il modo paradossale, tipico del cristiano, di essere cittadino – tra i plura sacra e i mundi alia – mentre schiude già qui il futuro del Regno, fornisce i criteri fondamentali della comprensione della storia e dell’animazione cristiana delle realtà temporali. Dove la “distinzione” (che non è certo “divaricazione”, e men che meno “opposizione”) tra i valori umani e quelli della fede fonda la “sana laicità”, coniugandosi con una presenza attiva e solidale dei cristiani nella città terrena: una cittadinanza che è fermento, sale, luce, “anima del mondo”.
(©L’Osservatore Romano 4-5 aprile 2011)