Giovanni Paolo II: impressioni di un piccolo intellettuale di provincia
Quando nell’ottobre del 1978 il cardinale polacco Carol Woytyla fu eletto papa, assumendo il nome di Giovanni Paolo II, avevo 41 anni e prestavo servizio come contrattista quadriennale presso la Facoltà di Magisteto dell’Università di Sassari, dopo essermi messo in aspettativa senza stipendio dal Liceo Scinetifico dove ero professore straordinario di Lettere. Avevo lasciato alle spalle il periodo di “professore democratico” che per tanti versi significava appartenere all’area politica di quella che sarà poi detta del compromesso storico.
A maggio tuttavia con l’uccisione di Aldo Moro, con altri amici, eravamo stati colpiti a fondo per come andavano mettendosi gli avvenimenti. I fatti delittuosi dei brigatisti rossi mi fecero decisamente allontanare dalla posizione di professore democratico verso posizioni più conservatrici. Sul piano religioso condividevo quel disordinato modernismo che andava diffondendosi dopo il Concilio Vaticano II. Un modernismo che andava sviluppandosi sul versante del soggettivismo etico nell’ambito della morale cristiana. Lo dimostra soprattutto la deriva alla quale andarono incontro molti sacerdoti sia regolari sia diocesani. Gettarono l’abito alla ortiche quasi centomila sacerdoti, per i più svariati motivi: affettivi, ideologici, contestazione verso la Chiesa, per la sua presunta arretrattezza. Le comunità di base, la rottura palese o riservata delle forme liturgiche della Messa, la critica feroce al celibato, la contestazione della morale matrimoniale della Chiesa per il divieto dei contraccettivi. Si aggiunga anche lo scardinamento e la deriva di molte associazioni cattoliche in città quali la FUCI, il Movimento Laureati Cattolici, l’indebolimento dell’Azione Cattolica. Forse gli unici gruppi che continuavano a resistere erano gli scout. All’Università avevo vissuto da esercitazionista le intemperanze del Movimento Studentesco con la costante umiliazione dei professori, l’inserimento quasi violento degli studenti negli organi collegiali dello stesso ateneo e la contrapposizione settaria dei professori autonomi contro gli altri più anziani e legati alle gerarchie del tradizionale modo di gestire le facoltà. Si aggiunga, a tutto questo, l’esplosione dell’università di massa e con la legge Misasi la possibilità dell’iscrizione in qualsiasi facoltà dei maturati. In breve i geometri e i ragionieri potevano iscriversi a magistero in materie letterarie e più in là anche quelli dell’istituto professionale e alberghiero. Per concludere, era successo di più e di tutto, nello scardinamento della tradizione culturale e morale. Da sottolineare l’abolizione generazionale del lei o del voi passando al tu. ‘Tu e tumbaru’ dicono a Sassari.
In mezzo a questa baraonda che aveva messo in forse tutte le certezze, eccoti diventare papa un cardinale polacco, sconosciuto ai più. L’esitazione all’applauso di Piazza San Pietro da parte della folla, ebbe un’eco nell’animo e nella mente di tutti. Che cosa poteva dire alla Chiesa e al mondo questo papa che veniva da un paese dittatoriale e in cui la Chiesa sicuramente si era fermata ad Eboli?
-Ci sarà sicuramente un bel giro di vite-mi dissi- in mezzo al nostro piacevole caos.-
Per almeno due o tre anni giudicai l’uomo come un papa della restaurazione cattolica postconciliare. Certo era un papa dai gesti biblici, era un papa imponente e e colto che aveva sostituito il plurale maiestatico degli altri papi scrivendo e parlando in prima persona, ma aveva scritto anche qualche libro sul rispetto della morale matrimoniale tradizionale difficile da accettare. Un papa polacco non poteva portare la chiesa verso il duemila, vista l’arretrattezza della sua nazione e in genere dei paesi a cui il Partito Comunista Sovietico aveva messo la mordacchia di una visione del mondo materialistica e governata da militari e da ideologi marxisti, servi di quel regime. in Italia i comunisti erano alla ricerca del compromesso storico, ma chi poteva fidarsi di loro? Avevano decisamente scristianizzato le regioni rosse e i loro capi con il loro conclamato ateismo ne davano e, purtroppo, ne danno ancora oggi la chiara testimonianza. A Bologna si sposano in chiesa soltanto il 37% dei coniugi, gli altri preferiscono il comune. Le chiese sono deserte e da anni non viene consacrato nessun sacerdote. Gli stessi cattolici si definiscono cattaldulti, il che la dice lunga sull’ossequio al papa.
Passarono alcuni anni e il papa polacco si diede letteralmente a rievangelizzare il mondo, a mettere i valori al loro posto, a bloccare l’agevole abbandono dei preti e le facili dispense, a conciliare l’umanità integrale dell’uomo con la fede. Ma ciò di cui mi accorsi troppo tardi fu la scossa sismica che diede all’impero sovietico, ormai ridotto ad una situazione ideologica ed economica allo sbando. I carri armati così rapidi nell’affossare le primavere cominciarono a fare cilecca e la Polonia fu la nazione portabandiera della democrazia e della solidarietà.
I sovietici non ci misero molto a spedire un folle dei lupi grigi per sparargli senza esitazione, ma gli obiuettivi umani non sono quelli di Dio e Giovanni Paolo II si salvò da questa aggressione a da quelle di altri mali che lo spinsero al ricovero al Gemelli per ben dieci volte. Dopo questi fatti, tutti i cavilli che mi frullavano in testa si trasformarono in una grande ammirazione per il papa del quale ammirai le fatiche instancabili per evangelizzare le nazioni, la capacità di curare con grande affetto le nuove generazioni e la capacità di mostrarsi nella sua menomazione dovuta alla malattia e alla conseguente sofferenza. Qualcuno nella mia Università ha organizzato un convegno per definirlo Magno: non vi partecipai per pudore e lo trovai fuori luogo, ma sostanzialmente Giovanni Paolo II è stato un papa di grande statura in tutti i versi da cui lo si voglia studiare. A me, povero intellettuale di provincia, non restò che soccombere di fronte ad una così gigantesca figura di uomo e di santo.
Ai vari Kung, ai proprugnatori della teologia della liberazione e ai loro superstiti seguaci, ai grandi maleducati del Nicaragua che arrivarono a chiudergli il microfono, per fargli ascoltare come in un pollaio eterocomdandato i loro insulti; alle fasulle comunità di base e agl’ingrugniti seguaci del rimbambito vescovo francese non resta che arrendersi all’evidenza della santità di quest’uomo ed eventualmente scegliere, a loro piacimento, la via del pentimento di San Pietro o le orme del più grande traditore della storia quale fu Giuda. L’augurio è che Beato Giovanni Polo II li spinga a più ortodossi consigli!
Angelino Tedde