L’impegno educativo di G. B. Manzella – di Giovanna Congia
La formazione dei giovani
P. Manzella non si occupa soltanto dell’educazione dei bambini, per i quali promuoverà più di 25 asili nella Sardegna,[1] ma curerà anche la formazione dei giovani, soprattutto nell’ambito dei Circoli Cattolici e dell’Associazione Cattolica, che in quegli anni andavano costituendosi in Sardegna e particolarmente a Sassari in contrapposizione ai Circoli laici e socialisti che, supportati da repubblicani, radicali e sezioni socialiste, andavano sorgendo specie nei grandi centri urbani dell’Isola.
A Sassari verranno fondati vari Circoli Cattolici, ma quelli più noti saranno soprattutto il Circolo “Silvio Pellico” e il Circolo “Robur e Virtus”; il primo promosso nel 1905 dall’Arcivescovo Parodi e diretto da un confratello del Manzella, P. Genta; il secondo, promosso e diretto dal conventuale P. De Ligia.
Il Circolo dei cosiddetti “Pellicani”, come viene ricordato dal socio Remo Branca, non era costituito da una schiera selezionata di ragazzi; anche se vi appartenevano, in genere, giovani studenti della borghesia cittadina.
Le riunioni erano fissate presso la Casa della Missione Vincenziana, dove P. Manzella era sempre alla porta, o “per entrare o per uscire”. Ed è così che spesso veniva invitato a tenere una “meditazione”.
Molti, dice R. Branca, ricorrevano a P. Manzella in mancanza di meglio. ” In mancanza di meglio, sicuro, perché al mio corto giudizio, per gli studenti eravamo ormai all’Università occorrevano predicatori brillanti, mentre Manzella era il predicatore alla mano, sempre pronto”.
“Una volta invitai io il Sig. Manzella, e, nella piccola Cappella, dopo aver esposto il SS. Sacramento, cominciò a parlare raccontandoci un’episodio personale, che a tutti parve il meno adatto per esser citato dall’altare; per cui fu spontanea la risata, e con noi rideva anche lui. Ricordo che pian piano si svelò il significato di questa sua parabola, e, poco dopo nessuno più rideva; il buon umore lasciò il posto alla meditazione e alla preghiera da lui trascinati là dove non sempre è facile trasferire i giovani con le belle parole degli oratori documentati”.
Forse, egli nella sua vivida intuizione aveva capito che gli studenti universitari s’aspettavano, come al solito, un parlatore di classe; ma il Signore si servì di Lui per umiliarci”.[2]
Nonostante fosse un uomo che apparentemente non possedeva eleganza di stile “senza lettere” come si dice, presto riusciva con le sue trovate a conquistare i ragazzi: con la sua abilità e pazienza metteva i giovani in condizioni di uscire dalle difficoltà, che spesso, come succede alla maggior parte dei ragazzi turbano la loro serenità. “Ci portava a riflettere e trovare l’ostacolo dentro noi stessi, mai negli altri; ci impegnava a distanza di anni a tornar alle cose dette con chiarezza e convinzione”.[3]
Possedeva l’arte di saper educare i giovani alla responsabilità delle proprie azioni, alla sensibilità e disponibilità verso gli altri, soprattutto verso i più bisognosi,
“Scegli i poveri più ingrati, quelli che ti odiano perché vorrebbero te al loro posto”;
“Senti, non dire mai al povero pazienza, prova tu a metterti al suo posto e dimmi che effetto ti farebbe”;
“Abbi pazienza tu nell’ascoltarlo, nel metterti a soffrire un pò insieme a lui” [4]
Questi ricordi sono anche di un’altro giovane universitario, lo scultore Ettore Usai, il quale cercava con impegno di mettere in pratica i consigli del P. Manzella nella visita ai poveri della città sassarese.
Circa l’interessamento di P. Manzella per la formazione giovanile restano alcuni appunti riguardanti una conversazione tenuta probabilmente nel 1905 ai giovani della “Silvio Pellico”, dal titolo “Risposta a tre domande”.
Egli aveva cercato di rispondere ad alcuni quesiti concernenti le cause del malessere economico della Sardegna, consigliandone i possibili rimedi. Innanzitutto, mette in evidenza l’importanza dell’istituzione del circolo “Silvio Pellico”, e la sua finalità, facendo notare ai giovani la differenza dalle analoghe associazioni laiche estranee alla religione e prive, secondo lui, di quella purezza d’intenti che deve caratterizzare sia questo Circolo sia anche tutte le associazioni cattoliche.
“L’unico scopo deve essere l’Amore a Dio e l’Amore al prossimo ossia il bene della società in genere; ed essendo il Circolo formato di giovani studenti di buona volontà può servirsi dell’energia giovanile ad ardite imprese, dello studio di cui hanno armato la mente a condurli a termine con sapienza e prudenza, della buona volontà, finalmente per tenersi fermi a loro posto e affrontare le difficoltà che necessariamente accompagnano qualunque opera, specialmente buona e che parte dall’Amore a Gesù Cristo”. [5]
Egli continua il discorso per individuare le cause possibili del malessere economico nella nostra terra e consigliarne i rimedi.
Tra le prime se ne elencano cinque: una certa vergogna e mancanza di buona volontà di lavorare, ritenendo peraltro nobile il non far nulla; disinteresse circa il profitto da trarre dalla fertilità del terreno; la diffusione dell’usura; la mancanza di manifatture e fabbriche di ogni genere; la deficienza di strade e ferrovie.
Alla prima causa, che é un vizio lasciatoci da secoli specie da governanti spagnoli, dice P. Manzella, di depravazione sociale, il rimedio non può essere che la sola istruzione attraverso la diffusione di scuole serali, la maturazione di ideali etici, ma soprattutto l’esempio di quanti, mettendo da parte il rispetto umano, vorranno provvedere al benessere proprio, della famiglia e della società.
Alla poca cura di usufruire della fertilità del terreno, una “terapia” contro la mentalità atavica, sosteneva il missionario, sarebbe quella di trovare contadini disponibili a sperimentare nuove tecniche. Per l’usura proponeva come rimedio la fondazione di casse rurali.
Anche la mancanza di attività artigianali e industriali sarebbe dovuta, a suo parere, alla non disponibilità di investimenti da parte di imprenditori continentali nell’isola, che invece privilegiano altri centri commerciali. Per questo urgeva stimolare l’iniziativa locale di ispirazione cattolica, come Società Operaie, Associazioni, Comitati, Cooperative, e Piccole Industrie per il lavoro femminile.
Un’altro quesito posto dai giovani del Circolo riguardava l’esistenza o meno, in Sardegna, di un’arte. “In Sardegna, rileva P. Manzella le gare poetiche, il cantare in versi, il disputare di scienza, d’arte e di storia alternativamente in canto e in poesia, mi dice che il popolo sardo possiede l’arte della poesia. Tradizioni e culture che devono essere rispettate e curate” [6]
E mentre si poneva la domanda circa il bene che si potrebbe fare con la poesia, allo stesso tempo forniva anche la risposta: “Il suono e la poesia ingentiliscono il cuore umano e lo muovono verso nobili sentimenti”; tutto ciò dimostra che ne intuiva la valenza sociale ed educativa e specialmente in direzione della crescita della gioventù.
“Io non conosco altri paesi dove si facciano come da noi gare poetiche e canzoni. Si facciano poesie e canti popolari che inneggino ai tempi nuovi, e scuotano i nostri giovani; li sveglino e li spingano all’azione, al bene, a Dio”[7]
P. Manzella indica ai giovani che partecipano all’incontro i mezzi per far crescere il Circolo Silvio Pellico sempre più ricco di valori morali, sociali e religiosi, di cui devono godere una sempre più larga parte di giovani, conquistati a questi ideali.
Allo scopo propone un “piccolo metodo”: fare nei pressi di S. Giuseppe o altrove, in un luogo idoneo, una casa per i poveri; quella casa che ospiterà la famiglia che andrà ad abitarvi, sarà come una “reclame” per attirare altri giovani di buona volontà ad aggregarsi. Così, la crescita del Circolo farà scomparire il rispetto umano, che viene superato per il grande numero di aderenti.
In effetti, questa condizione indurrà la gente ad avere fiducia e ciò che all’inizio sembrava impossibile col tempo verrà come una conseguenza naturale.
Nelle conversazioni ai giovani P.Manzella spesso cerca di rispondere alle loro domande sia sui problemi socio-economici sia su altre questioni di carattere letterario.
Nelle sue risposte vi é la chiarezza e l’immediatezza dell’uomo pratico, che non ama teorizzare, per cui lo stile da lui seguito nelle conversazioni ai giovani era quello di stimolarli alle domande alle quali rispondeva spesso in modo puntuale e organico.[8]
Ma la sua preoccupazione costante per l’educazione dei giovani emerge anche dalle sue lettere ai parroci.
Il 13 Ottobre 1911 risponde al parroco di Bitti che gli chiedeva missionari per la predicazione quaresimale: P. Manzella, in qualità di superiore della Missione, é costretto, suo malgrado, a rispondere negativamente. L’unico missionario, che potrebbe inviargli, é purtroppo convalescente per le febbri malariche; suggerisce tuttavia al parroco di rivolgersi anche ad altri religiosi.
Ritiene tuttavia che per risvegliare la fede negli abitanti di Bitti non vi sia altro mezzo che la cura dei giovani: i vecchi si convertono difficilmente in Sardegna, perciò bisogna contare sui giovani!
E’ necessario istituire degli oratori, dove i giovani possono incontrarsi sia nei giorni feriali sia in quelli festivi; siano avviati ai giochi, alla musica, alle rappresentazioni teatrali per essere stimolati e orientati a più alti livelli di pensiero.
Profittando di tutte queste attività, sarà più agevole istruirli anche sul piano religioso. Con l’istruzione potrà venire su una nuova generazione.
“E’ ovvio che si tratta di un lavoro duro, ma sicuramente proficuo e utile”.[9]
Il suggerimento di P. Manzella al parroco di Bitti richiama l’esperienza educativa-pedagogica più che positiva del metodo di Don Bosco, da lui attuata con la fondazione degli Oratori; i quali hanno avuto un grande sviluppo durante la vita dello stesso Don Bosco. Anche oggi, nei centri, nei quali lavorano i Salesiani, l’azione svolta dagli animatori degli Oratori per la formazione della gioventù si rivela sempre attuale e feconda di bene. [10]
Un’altro campo, dove P. Manzella ha lavorato e dove ha particolarmente manifestato il suo impegno educativo-pedagogico verso i giovani, é stato il Seminario Turritano.
Incaricato della direzione spirituale dei seminaristi fu per loro, padre, guida, ed educatore stimato.
Le testimonianze di alcuni suoi discepoli del clero sassarese ancora oggi ripropongono alla memoria il suo stile educativo e soprattutto il valore e la profondità dei suoi insegnamenti.
Don Giovanni Sanna in una commemorazione tenuta in onore del suo maestro, “Sig. Manzella”, così si esprime: “per me e per quanti mi furono compagni nei primi anni di seminario, Sig. Manzella fu senz’altro una guida sicura e saggia che, con una vita intemerata e con i principi dell’ ascetica vincenziana, seppe insegnare l’amore al sacrificio, alla sana disciplina delle virtù e alla preghiera”[11]
Nei frequenti incontri con i ragazzi, il missionario, sapeva trasmettere una certa “forza interiore” col dono dell’ascolto, della comprensione e del consiglio.
La sua camera era sempre aperta, ma più che altro era aperto il suo cuore; un cuore che sapeva amare, comprendere, dissipare i dubbi e sostenere nelle varie prove tutti e ciascuno in particolare.
Il suo intervento sui giovani era amorevole e forte insieme; mirava, infatti, ad educare a una libera e consapevole adesione personale al progetto di Dio su ciascuno e a vivere con entusiasmo il proprio ideale.
Un’altro discepolo, Don Giuseppe Chelo, riporta un’altra testimonianza, sottolineando un’altra caratteristica del suo maestro: “A Lui, come a un padre esponevamo le nostre debolezze, i nostri dubbi, le piccole angosce, e Lui con le sue parole semplici e penetranti sapeva appagare i nostri animi turbati, e ci riportava a vivere la vita con gioia”. “Con parole dolci “ammorbidiva” le asperità del nostro carattere, moderava i nostri desideri di primeggiare, bloccava le nascenti prepotenze in contrasto con l’umiltà e la carità, dando l’apporto più valido alla nostra formazione”[12]
E, continuando, dice ancora che P.Manzella, da profondo conoscitore di anime e da esperto in psicologia infantile, sapeva che dai paesi, i seminaristi, insieme alla ingenuità, portavano il solito bagaglio di irrequietezza e vivacità, e non era raro il caso i cui le ricreazioni diventassero chiassose, le discussioni eccessivamente animate non solo da parole, ma talvolta anche da atteggiamenti disdicevoli e da scherzi offensivi.
Tali comportamenti richiedevano indubbiamente un’intervento educativo prudente e deciso insieme. E P. Manzella ogni sera con la sua proverbiale pazienza invitava i ragazzi a rientrare i se stessi, a rivedere le diverse azioni della giornata, e rivolgeva a tutti avvertimenti salutari per un sano comportamento sia nell’ambiente del seminario, sia nei contatti con l’esterno.
Le sue parole persuasive e paterne lasciavano tracce indelebili nell’animo di ciascuno. P. Manzella, seguendo attentamente la condotta di ciascuno sapeva evidenziare l’efficacia delle doti naturali, sempre utili e valide per creare delle personalità armoniche, ricche di valori culturali, morali, umani e cristiani.
Con il suo modo di fare, semplice, spontaneo e fiducioso, stimolava i ragazzi ad aprirsi e a rivelare se stessi; fu così che P. Manzella si rendeva personalmente conto del vissuto dei suoi allievi e li incoraggiava. Faceva leva soprattutto su quelle doti che sono ritenute fondamentali e indispensabili nella vita degli uomini, e cioè: “lealtà, sincerità, fedeltà alla parola adatta, discrezione, rispetto nelle conversazioni e carità verso tutti”[13]
A P. Manzella, dunque, spetta il merito di avere posseduto ed espresso un originale e delicato modo di entrare in relazione con l’altro, per cui riusciva a stabilire una vera comunicazione interpersonale. Riusciva ad instaurare un rapporto di entropatia che, secondo il filosofo tedesco Husserl, consiste nella capacità di accedere all’altro e di comprenderlo, in modo da raggiungere quasi una perfetta intesa spirituale. (Einfuhlung)[14]
Dalle testimonianze riportate appare chiaro che P. Manzella ha messo in essere, con i suoi discepoli, un processo educativo mirato alla formazione di un Io consapevolmente soggetto, capace, di dare un senso alla vita, di vivere secondo lo spirito inteso come coscienza che agisce nel corpo e per esso nel mondo naturale, così come viene affermato anche oggi dal pedagogista Piero Bertolini in uno dei suoi saggi. [15]
Altro punto fondamentale da considerare é questo: risulta che P. Manzella nella sua opera educativa non imponeva mai i suoi punti di vista, nè condannava a priori nessuno, ma con un metodo (che richiama la maieutica di Socrate), invitava i discepoli a rientrare i se stessi, a fare un lavoro quasi di introspezione sincera per riconoscere i propri limiti, le colpe, i difetti e diventare così capaci di collaborare per migliorare ogni giorno il loro comportamento e, quindi, la loro formazione.
II
La Formazione delle giovani
Padre Manzella, già all’inizio del ‘900, subito dopo il suo arrivo a Sassari, avvertiva l’esigenza, tutta “pragmatica” di introdurre in Sardegna telai e macchine filatrici, propagare la piccola industria e farne un cespite di rendita per i suoi abitanti.
Ma, come era naturale, per realizzare questo intento occorrevano persone disponibili e responsabili. In realtà solo negli ultimi dieci anni di vita (1927/37) furono dedicati da P. Manzella per realizzare quella che può considerarsi l’ultima sua opera in ordine di tempo: La Fondazione dell’Istituto delle Suore del Getsemani che aveva come sua finalità esplicita, secondo il progetto originario del fondatore, la promozione umana, spirituale e civile delle popolazioni sarde, curando la catechesi parrocchiale e l’educazione dell’infanzia e della gioventù.
In effetti, nella sua intuizione l’istituto doveva diventare praticamente lo strumento più idoneo per assicurare la continuazione del suo progetto formativo e professionale nel campo delle piccole industrie e dell’artigianato a favore delle giovani. [16]
Egli, creando l’Istituto delle suore del Getsemani, insieme con le finalità religiose assegnava alle suore il compito di istruire e formare le fanciulle alla vita familiare, insegnando loro tutti i lavori femminili, i compiti familiari e, attraverso le attività della piccola industria, prepararle a svolgere un lavoro utile a vantaggio delle future madri perché diventassero capaci di migliorare le condizioni di vita familiare.
Vent’anni dopo il suo arrivo in Sardegna, in una lettera al fratello Don Ezechiele, ritorna sullo stesso tema sottolineando ancora una volta la grande lacuna: “qui in Sardegna non vi sono industrie se non in misura modestissima, sicché occorrerà farne fiorire qualcuna”. (lettera del 26-06/1927).
Nel Settembre 1927, trovandosi ad Aggius per predicare le Sacre missioni, P. Manzella rimaneva colpito da un gran movimento di gente, che partecipava all’inaugurazione di una scuola di arte tessile per dare inizio alle piccole industrie, proprio come egli stesso aveva pensato di fare.
Anzi, aspirava ad un progetto ancora più vasto: “Con l’opera che io sto per compiere, afferma chiaramente, oltre alla tessitura, cercherò di introdurre altre industrie consone ai luoghi e più adatte allo smercio a seconda dei tempi”[17]
Il missionario, conoscendo bene l’isola (il cui territorio spesso attraversava anche a piedi) e i vari prodotti locali, si rendeva conto che il commercio di esportazione era limitato soltanto al bestiame, formaggio, olio e sughero; per quanto concerneva il resto la Sardegna era costretta ad importarlo dalla penisola, con grave danno alla economia isolana.
Questa é la ragione per la quale P. Manzella si chiede perché anche la Sardegna non dovrebbe esportare i suoi prodotti, frutto delle piccole industrie.
Attraverso la realizzazione di questo progetto, si sarebbe potuto attuare seriamente la sua idea che mirava in primo luogo, ad occupare le giovani lavoratrici sarde nelle piccole industrie, a destinare il ricavato in opere di beneficenza, e, in secondo luogo a mandare le stesse lavoratrici, a gruppi di otto o dieci per volta, nei vari paesi dell’isola per insegnare ad altre ragazze quello che loro avevano già appreso, e a creare di lì a poco le premesse per l’installazione di nuove industrie: in questo modo tutta la Sardegna avrebbe risentito gli effetti benefici di quest’opera.
A questo riguardo egli stesso tende a precisare: “la piccola industria propagata nei paesi dell’isola darà un nuovo benessere alle nostre popolazioni; le donne sarde non sapranno soltanto fare Sas fainas de domo, (le faccende domestiche) ma eserciteranno il loro contributo al mantenimento della casa, e, alla morte del marito, non affideranno più il loro bambini ai pubblici istituti, ma li sosterranno con la propria industria”. [18]
La “piccola industria”, che riguardava soprattutto il lavoro femminile, fu una felice intuizione di P. Manzella per almeno tre aspetti intenzionali:
a) far maturare la donna all’interno della Chiesa come protagonista ed artefice del moderno apostolato, con il superamento di una visione di subalternità;
b) favorire l’autofinanziamento delle iniziative apostoliche;
c) elevare il tenore di vita delle popolazioni in cui avrebbero operato le lavoratrici, insegnando alle ragazze un lavoro manuale.
Possiamo dire che P. Manzella, pensando e realizzando questa iniziativa, può essere considerato come un autentico precursore della rinascita dell’isola sotto il punto di vista economico, umano, sociale e morale, perché il suo intento, come animatore, era quello di “fare promozione umana”.
L’esecuzione del piano, secondo lui, doveva essere affidato ad un’istituto religioso di nuova fondazione, dove le persone avrebbero lavorato senza fini di lucro, per cui preciserà: “il personale addetto all’opera non potrà essere che consacrato a Dio. Se si pagherà il personale non si potrà risparmiare nulla per i poveri e l’opera perderebbe il suo fine principale che é quello di fare la carità col lavoro; mentre con persone consacrate l’opera potrà lanciarsi da un confine all’altro dell’isola e in breve tempo”. [19]
A distanza di qualche anno dall’apertura della Casa S. Teresa (6 giugno 1927), egli sottolinea ancora una volta le finalità dell’opera, e mette in evidenza come la piccola industria si va già diffondendo nei villaggi della Sardegna, quasi a prolungare e continuare l’opera fondata nella Casa di Sassari.
A Sassari l’opera di nuova fondazione dell’Istituto ebbe inizio con sole tre donne, le quali già avevano un loro mestiere, ma bisognava pensare al modo di occupare le giovani che presto sarebbero arrivate.
“Sono giovani che vivranno del lavoro e hanno bisogno di occupazioni proporzionate alle loro capacità”. E P. Manzella fa presente: “…. per quest’ultimo fine procurai alla Casa una sarta da uomo, una da signora, una per le donne dei villaggi, una per biancheria”.[20]
Si fece pure l’acquisto di una macchina da scrivere (Remington), e intanto la dattilografa era già in grado di prendere lavori di dattilografia. Si comprò anche una macchina per lavori di maglieria.
All’inizio i lavori sono sempre difficili, ma come avviene in ogni cosa umana, perseverando con la pazienza e il coraggio egli é certo che col tempo si riuscirà bene in tutto.
Questo conferma che P. Manzella non solo propugna la piccola industria artigiana femminile, ma vuole che questo tipo di industria sia fornito di mezzi moderni per potere eseguire un maggior numero di lavori in minor tempo. [21]
Nonostante i 73 anni compiuti visitò diverse città dell’Italia settentrionale per avere informazioni precise sulle macchine da filare e sui telai più avanzati. In un articolo pubblicato sul bollettino “La Carità”, (Agosto 1928), il missionario descrive le visite compiute a Lecco e a Milano, a Morbengo in Valtellina, alla ricerca di nuovissime macchine da filare, e a Chieri, città della tessitura, per visitare lo stabilimento dei fratelli Vergnano, dove ammirò i modernissimi telai, che pensava di sostituire a quelli vecchi e pesanti ancora in uso nei villaggi della Sardegna.
Dopo questo viaggio per la Casa S. Teresa, che già era fornita di una macchina da scrivere (Remigton), per eseguire i lavori di dattilografia, di una macchina per lavori di maglieria e di due macchine da cucire, acquistò subito alcune macchine da filare, cucire, ricamare, e macchine per preparare le ostie per tutte le Chiese di Sassari, (attività, quest’ultima cui si dedicano tuttora le suore della Casa).
Già nei primi decenni di vita dell’Istituto (vivente P. Manzella) le suore, secondo la volontà del Fondatore, crearono nei vari paesi dell’Isola scuole di ricamo, di maglieria e di cucito e continuarono negli anni successivi alla sua morte.
Tabella 1 Corso di taglio, cucito, e ricamo.
PAESE ANNO ESPERTA DEL CORSO
Torralba 1945 / 1944 suor Rosa Meloni
” per alcuni anni suor Luigia Solinas
Tissi 1944 / 1945 suor Domenica Mannu
Siligo 1953 / 1957 ” ” “
Cossoine 1959 / 1965 ” ” “
Torralba 1966 / 1986 ” ” “
Cossoine 1970 / 1971 suor Giuseppina Piredda
Soleminis 1973 / 1974 ” ” “
Sindia 1974 / 1977 ” ” “
Ittireddu 1948 / 1950 suor Antonina Piras
Ittireddu 1950 / 1953 suor Giuseppina Piredda
S. Andrea Frius 1949 / 1954 suor Natalina Ibba
Banari 1949 / 1955 suor Maria Pais
Seneghe 1955 / 1958 suor Maria Pais
Quartu S. Elena 1959 / 1967 suor Antonietta Ragaglia
Iglesias 1967 / 1971 ” ” “
Giave 1952 / 1953 suor Vitalia Sechi
Tabella 2. Corso di Maglieria
PAESE ANNO ESPERTA DEL CORSO
Suelli 1951 / 1958 suor Natalina Ibba
Castelsardo 1966 / 1969 suor Antonina Piras
Seneghe 1969 / ” ” “
Torralba 1942 / 1950 suor Iolanda Sini
(Sr. Iolanda Sini a Terralba in tempo di guerra, insegnava a filare la lana e a confezionare maglioni e sciarpe per i militari, ai quali offrivano spesso anche dei pasti caldi, zucchero e caffé frutto della rinuncia delle suore)
P. Manzella, proponeva loro, oltre all’evangelizzazione e alle scuole di ricamo anche opere di attualità come ricreatori festivi per ragazze, biblioteche fornite di libri formativi ( ” non romanzi”, teneva a precisare), gestite dalle suore e le invitava anche a curare la diffusione di libri istruttivi e utili per la formazione spirituale della gioventù. Manifestava, come é evidente, una apertura al sociale veramente apprezzabile per quei tempi, per cui non c’é da stupirsi se scriveva: << qualunque opera buona si manifesti necessaria, la potete fare>>. [22]
Sin dal 1920 pensò di dar vita anche ad una Pia Associazione di donne che aiutassero i parroci nell’insegnamento del catechismo, che fossero disposte a dirigere Oratori e a compiere altre opere a beneficio del prossimo. In una bozza di regolamento di questa istituzione, intitolata Una lacuna da riempire nella chiesa di Dio”, l’Associazione viene definita ” Società Cooperative di Lavoro Femminile”, perché le associate non siano considerate delle vere e proprie religiose. Fra tutte le finalità educative, elencate nel regolamento, P. Manzella all’articolo 10 scrive: “Le Associate potranno unire alle riunioni qualche opera; per esempio: tenere una camera per raccogliere ragazze pericolanti; dare alloggio e curare qualche malata; insegnare catechismo in casa, in Chiesa e per le case; raccogliere la Domenica in casa o fuori ragazzi per ricrearsi e copiare buoni libri da imprestare etc.”[23]
Anche nel mandare avanti la formazione di questo gruppo, l’ansia di P. Manzella era quella di promuovere il bene sociale e culturale di ciascuno, unendo insieme teoria e pratica, per cui le linee pedagogiche e gli obiettivi che emergono da queste ed altre opere da lui realizzate si possono intravedere nella formazione della persona umana, (in questo caso della donna, confinata spesso nelle sole faccende domestiche); nel miglioramento economico e morale della famiglia e della società; nell’elevazione culturale della Sardegna abbandonata e sfruttata per secoli; nell’offerta di stimoli e mezzi per sviluppare tante attitudini e potenzialità che, col suo spiccato intuito psicologico, aveva subito colto nell’animo dei sardi; nello sforzo costante per colmare le numerose lacune esistenti nel campo dell’istruzione e della produzione; nel tentativo di migliorare i metodi di lavoro allora ancora molto arretrati.
Tutto questo con metodi semplici e allo stesso tempo originali, sia per la mancanza di grandi mezzi, sia per la caratteristica semplicità mista alla acutezza di ingegno creativo, che ha caratterizzato P. Manzella.
Per la realizzazione si appellava al Volontariato “persone non stipendiate”. Le prime sarebbero state le sue stesse suore. In un secondo momento, adottando, forse senza che se ne rendesse perfettamente conto, il metodo del mutuo insegnamento del P. G. Girard, per cui alcune giovani già formate, avrebbero addestrato altre giovani ancora, raggiungendole nei loro paesi. Dalle testimonianze delle prime suore impegnate nelle piccole industrie, in particolare nei corsi di taglio, cucito, ricamo, maglieria, risulta che oltre a dare una formazione professionale, queste “piccole scuole” erano come dei centri dove si creava un luogo di cultura, sempre secondo la formula educativa della semplicità tutta Manzelliana.
Si leggevano libri di formazione, il Vangelo e vite di Santi; si stimolavano le ragazze al dialogo le si aiutava così ad uscire dalla chiusura mentale in cui a quei tempi venivano lasciate le donne; si dava una formazione morale e religiosa.
Le ore di lavoro venivano intercalate da momenti di preghiera di dialogo, di ricreazione serena e gioiosa. Possiamo dire che erano si, piccole, “ma vere scuole di vita”.
In genere le giovani raggiungevano il numero di 15 / 20 per ogni corso; i gruppi erano distinti per fasce di età, per diversità di attitudini. Nell’insegnare si partiva dagli elementi base fino a rendere le giovani autonome nel lavoro.
L’apprendimento dava frutti soddisfacenti per le allieve che imparavano certe abilità, per le “maestre” che insegnavano e anche per la famiglia che ne coglievano l’utilità sotto tutti i punti di vista.
Si creava, in sostanza, un ambiente familiare, dove regnavano l’entusiasmo, l’interesse, l’impegno, la serietà e una sana emulazione.
III
La formazione delle Dame di Carità
L’opera di P. Manzella in Sardegna si è esplicata in diversi settori formativi; come abbiamo visto in precedenza, la sua attenzione si è rivolta ai fanciulli per una educazione a livello di scuola materna, istituendo a tal fine numerosi asili in tutta l’isola. Si è preoccupato della formazione dei giovani, e non ha mai trascurato di rivolgersi anche agli adulti, dedicandosi in particolare alla formazione delle Dame e Damine di Carità delle Conferenze di S. Vincenzo De’ Paoli, che egli stesso fece sorgere in modo capillare in quasi tutte le parrocchie da lui visitate durante le missioni al popolo.
P. Manzella per la formazione delle Dame e per il buon andamento delle numerose Conferenze, pubblica ogni mese il bollettino dal titolo “La Carità”.
Una delle prime cose di cui egli si preoccupa, è quella di sottolineare l’importanza e la necessità che le Dame visitino i poveri a domicilio, per conoscere le loro necessità e portarvi i dovuti rimedi entro i limiti del possibile.
“Questa visita forma il nerbo, la forza principale della conferenza. Finché la signora o signorina si limita ad ascoltare il racconto dei bisogni del povero, si commuove più o meno, ma poi finisce.
Se, invece, vede coi propri occhi il povero affamato, se ne visita il tugurio e ne osserva i disagi e la sporcizia, il suo cuore si commuove, si sente spinta a parlarne in Conferenza, a dare più abbondante l’offerta, e fare dei generosi sacrifici di tempo, di lavoro, di denaro”[24] Per questo non accetta che le Dame mandino la domestica per portare al povero i buoni o, peggio ancora, che i poveri siano fatti andare nelle case delle Dame per ricevere da loro soccorso. “No. E’ la signora che è obbligata alla visita a domicilio”. “La visita è visita ! “, dirà con fermezza il missionario vincenziano. Essendo la visita fatta ad una persona che è povera in tutti in sensi, materiale e morale, non è giusto che si vada vestiti con abiti di lusso, perché questo sarebbe fare un insulto al povero, e contribuirebbe a farlo sentire ancora più a disagio.
Ma l’abito che la Dama deve vestire sarà dimesso e semplice. La visita deve essere fissata possibilmente nello stesso giorno settimanale e alla stessa ora, affinché il povero possa contare su un soccorso certo. Ma nello stesso tempo con larghezza di vedute P. Manzella suggerisce alla Dama di recarsi nella famiglia povera anche in ore insolite, come per esempio l’ora dei pasti o anche per trovare in casa il capo famiglia.
Ricevuto l’incarico di visitare uno o più poveri, ogni socia, d’accordo con un’altra compagna, andrà insieme a fare la visita. Le due visitatrici si prepareranno anche psicologicamente, in modo da tenere un comportamento raccolto, chiedendo il permesso di poter entrare e tenendo un volto nè troppo triste nè troppo allegro, per evitare la soggezione che diminuirebbe la confidenza e la gioia frutto della visita.
Il buon missionario in pratica consiglia atteggiamenti che non siano una offesa al dolore e alla povertà che domina in quella casa, e secondo il detto di S. Paolo: “Bisogna piangere con chi piange e gioire con chi gioisce”, (Rom. 12,15) oppure, detto in senso pedagogico, secondo la Vanni Rovighi “Mettersi nei panni dell’altro”
P. Manzella esorta le Dame ad essere preparate, ad avere un cuore grande e tanto amore, non semplice sensibilità e pietismo. Se la Dama o Damina entra nella casa del povero distratta e spensierata non avrà che fredde parole e sterili esclamazioni abituali che non andranno al cuore e non allevieranno e non solleveranno neanche per un istante le pene del povero; mentre una buona preparazione favorirà un comportamento dimesso e quindi, un sollievo alle sofferenze del fratello.
Perciò visita vuol dire anche trattenersi, dare ascolto, discorrere interessarsi della situazione in cui il povero si trova, mettersi nei suoi panni, comprenderlo, e trovare un modo per promuovere la sua vita, cosicché, uscendo da quella casa, ogni Dama lasci di sè una buona impressione.
Trattando del povero P. Manzella traccia per le Dame l’identità del povero, il quale, proprio perché é povero, manca talvolta di educazione civile, morale e religiosa.
Non si tratta solo di povertà materiale, di bisogno per mancanza di lavoro: il povero va oltre queste esigenze, il cui soddisfacimento é pur necessario per la sopravvivenza; la vera povertà è un modo di vivere misero e meschino anche per mancanza di valori umani; solo attraverso un’ adeguata educazione il povero si eleva e si abitua alla consapevolezza e alla responsabilità delle sue azioni. Secondo P. Manzella il primo punto da prendere in considerazione è la moralità.
“Veda la signora o signorina che visita una famiglia povera come stanno; chieda notizie se ci son figli e figlie, guardi intorno se ci sono abbastanza letti; se questi dormono insieme per mancanza di comodità”[25]
Si parli subito in Conferenza e si proponga alle socie di provvedere a questi bisogni. Non aspetti che lo chieda la famiglia povera. Talvolta non ci si arriva a queste finezze della vita umana.
Per questi diseredati basta un tozzo di pane. “In tal caso la Conferenza faccia gli sforzi che può. Se non ha denari vada da qualche Signora. Cerchi un pagliericcio da una, un lenzuolo dall’altro, da un terzo una coperta e cosi via. Non li lasci a lungo in questo stato”[26]
Qualcuno dirà anche che il padre di quella famiglia non ha giudizio, sciupa tutto all’osteria; ma non per questo ci deve andare di mezzo la moralità; la povertà non è soltanto materiale; il povero stesso non si rende conto del danno grave che ne viene fuori.
In questo caso le Dame siano capaci di far rilevare con umiltà lo scandalo e l’immoralità.
P. Manzella le esorta a fare questo tipo di osservazioni usando carità e prudenza. “Non prenda tono di comando, o la serietà di una superiora; ma lo faccia con carità, in modo da non offendere il povero. Compatirlo piuttosto e scusarlo nel miglior modo possibile”.[27]
Così il missionario suggerisce alle Dame di essere generose e attente nel procurare alle famiglie povere i mezzi necessari perché i membri vivano un pò di comodità, e nello stesso tempo prendano coscienza per prevenire uno stato di immoralità e abbiano la consapevolezza di comunicare quei valori umani e universali per elevare l’uomo alla sua dignità morale. [28]
“La signora ascolti con tranquillità d’animo il rimprovero che le può venire in quel momento dal povero. Saluta e con bella maniera se ne va”.[29]
Per una migliore formazione delle Dame e Damine di Carità P. Manzella si ferma a confrontare il modo di vivere di una Signorina benestante e quello della Damina.
La signorina, perché benestante, viene avviata agli studi in un istituto laico o religioso, per cui vive una vita comoda, studia poco perché, essendo di famiglia ricca, non ha bisogno di rompersi la testa; non si preoccupa di apprendere quanto le viene insegnato per formare meglio la sua personalità, come per esempio: il lavoro, la carità e il sacrificio. Tornando a casa sua vive da regina, si alza tardi, non si occupa d’altro che di vestir bene, alla moda, farsi le passeggiate, andare a teatro oppure fare conversazioni inutili per passare il tempo. P. Manzella vuol far notare che questo non è vivere, non è altro che una manifestazione di egoismo e di individualismo; è un non dar senso alla vita; una vita inutile e sprecata.
Osa definire questo modello di giovane, una giovane inferma più degli infermi dell’ospedale, e, perché malata di egoismo, é molto più grave di ogni altra malattia; per questo motivo non si trattiene dal dire ciò che sente. “Chi ti dà il diritto di non far niente? E, ripetendo le parole della sacra scrittura rivolte da Dio ad Adamo dopo il peccato, ammonisce: “Lavorerai il pane col sudore della tua fronte”.
La Damina è anch’essa una signorina, ma non conduce la vita come la signorina esemplificata. Essa ha un cuore e lo da’ a Gesù e al povero. Farà pure una passeggiata, ma non lascerà di farne altre per visitare il povero. Dio le ha dato un cuore e lo adopera per sè e per il bene degli altri. E P. Manzella la esorta a continuare con gioia la sua nobile missione, usando tutte le doti di cui Dio l’ha circondata per fare il bene. “Consoli il povero, carezzi i bambini, porti il latte agli ammalati, promuova ogni beneficenza, viva per gli altri, si renda utile a tutti, non vi sia miseria che essa conosca, che non ponga mano a sollevarla”. [30]
P. Manzella, ad imitazione di S. Vincenzo De’ Paoli, fondatore della Carità, stimola ed esorta le Dame a provvedere a tutti i bisogni, che si presentano secondo i tempi e i luoghi, e insiste sulle visite a domicilio perché esse vedano con i propri occhi, sentano i loro racconti, che talvolta sono anche noiosi e porgano sempre parole di conforto e li soccorrano con ciò che è stato assegnato dalla Conferenza dopo aver esposto e discusso tra le socie le diverse situazioni.
Con spirito di osservazione, che la Dama deve possedere per eccellenza deve in modo diretto e con accortezza saper guardare intorno per considerare sotto quale peso di sventura giacciono uomini e donne e, donandosi in modo disinteressato, deve dare “ali” a queste povere anime, perché possano sollevarsi senza restare schiacciate dal peso di una semplice rassegnazione.
Le anime provate da un lungo patire, se non sono rischiarate nella notte oscura del loro dolore dalla luce viva e calda della fede, spesso si lasciano andare all’amarezza, allo scoraggiamento, quando non si é alla bestemmia e alla disperazione.
Per evitare tanto tormento P. Manzella prepara le Dame attraverso la catechesi, incoraggiandole a vivere la fede che professano per poterla trasmettere a coloro che sono nel dolore sia fisico che morale: “Tocca a voi, anime buone e gentili, di adoperarvi perché ciò non sia, a portare luce e calore là dove il freddo e l’ombra raggelano nei cuori ogni buona speranza. Sappiate con la vostra fede e col vostro amore compiere il miracolo: trasformare quelle che il mondo chiama disgrazie e sventure in benedizioni e grazie”[31]
A questo riguardo, una relazione delle allieve Damine riporta la seguente raccomandazione: “Avvicinarvi ai poveri come se avvicinaste Gesù Cristo, di santificarvi per santificare esercitando così la Carità, come i primi cristiani, in un modo essenzialmente educativo”.[32]
Alle Dame di Carità di Bultei il Missionario consegna queste risoluzioni: ” Pensate bene di tutti. Parlate bene di tutti. Compatite tutti. Ecco la Carità “
“Non offendere e non offendersi, soffrire e non far soffrire, render bene per male: ecco la perfezione della Carità! Dare subito, dare molto, dare il cuore e col sorriso sulle labbra; dare sempre, oggi come ieri, domani come oggi, dare almeno metà di quello che si butta, che si sciupa, che si spende in cose inutili: ecco quello che si domanda. La perseveranza è a corona delle virtù; perciò sempre visitare i poveri, sempre intervenire alle Conferenze”.[33]
Padre Manzella ritiene di fondamentale importanza trascrivere sul bollettino alcuni esempi pratici presi dall’Abate Toublan, che le Dame, a loro volta, debbono insegnare alle mamme delle famiglie povere durante le visite. Innanzi tutto questi consigli riguardano: “l’Assetto della Casa”. Una casa ben ordinata, ben tenuta, rivela nella donna un occhio vigile, un cuore che ha palpiti generosi, un gusto squisito, una mano attiva, industre e possente. “Piace abitarla”.
Con tatto di vero educatore stimola ed esorta nello stesso tempo a fare di questa norma un habitus, ossia un modo di vivere.
L’ordine riguarda anche l’assegnare ad ogni oggetto il suo posto, ad ogni cosa il suo tempo e a ciascun membro della famiglia il proprio compito.
“Ad ognuno dei vostri figli, appena che saranno capaci distribuite una parte del lavoro di casa, la coltivazione di un angolo del giardino ecc., secondo l’età, le attitudini e il sesso. Dapprima non abbiate troppe esigenze. Ai rimproveri anteponete gli incoraggiamenti. In tal modo li verrete formando insensibilmente al buon gusto, impareranno ad aver cura di ogni cosa, prenderanno amore al lavoro e si affezioneranno alla casa paterna”.[34]
P. Manzella nel suo continuo peregrinare per paesi e villaggi viene a contatto con numerose famiglie e, trovando che molte madri preferivano fare tutto da sole per non veder le cose fatte in modo diverso dal loro, le educa con continua esortazioni a cambiare il loro comportamento, perché reca grave danno alla crescita dei propri figli.
Riconosce che il loro atteggiamento può bloccare la spontaneità e la creatività dei bambini, perciò, non avranno la possibilità di sviluppare e perfezionare quelle potenzialità e attitudini che essi portano in germe, non consentendo loro di essere autonomi e responsabili.
All’ordine, che è tanto utile, aggiunge la necessità di una minuziosa pulizia. “Questa è possibile dovunque e sempre”. E’ il lusso dei poveri e non deve mancare in alcuna casa di cristiani. “Come credere che si trovi bene in fatto di coscienza colei che non sa aver cura della sua casa”? Non è forse il disordine un segno del disordine o almeno del poco ordine interiore?[35]
Un suo manoscritto, rivolto alle Presidenti della Società della Carità di diversi paesi, rivela l’insistenza con la quale egli ritorna sull’esigenza di una vera e consapevole formazione dell’uomo come essere persona, perché sia in grado di comprendere l’altro da sè e aiutarlo a crescere per essere tutti cooperatori della società, di cui facciamo parte. In questo documento é evidente che coglie l’occasione per richiamare la loro attenzione su alcuni punti del regolamento; come:
1) l’intervento assiduo alle adunanze settimanali;
2) l’ordine stesso nelle adunanze, la preghiera, un pò di lettura sul modo di fare le opere di carità o sul regolamento o su altri libri;
3) la lettura del verbale, di ciò che si fece nell’adunanza precedente il conto di cassa, la rivista delle famiglie, la colletta;
4) visitare sempre le stesse famiglie, e non dare l’elemosina un pò per uno a tutti i poveri del villaggio; ma darle secondo il regolamento. Si ha molto? Si accettino molte famiglie; si ha poco, si accettino poche. Cessa il bisogno in una famiglia? Si sospenda il soccorso, o se ne ascrive un’altra.
5) La famiglia accettata appartiene alla società, ed un vincolo d’amicizia deve legare le visitatrici alla famiglia.
In questo modo il povero non è umiliato; si ottiene l’avvicinamento di povero e ricco, avvicinamento d’amore, di rispetto e di soccorso.
6) Sarebbe cosa buona per la fine dell’anno fare un riassunto delle opere fatte, simile a quello delle Signore e Signori di Sassari, questi rendiconti serviranno a riunirle fra di loro con legame di solidarietà e suscitare l’emulazione nel bene. Facciano del bene, sopportino a vicenda, sappiano tacere sulle piccole contese che possono sorgere in società. La Carità di Cristo sia nel nostro cuore e nelle opere nostre[36].
P. Manzella per un miglior andamento della società della Carità e per meglio formare le Dame e Damine non si serve soltanto del caso o dei consigli in maniera diretta e personale, ma si avvale di un sussidiario didattico, che egli stesso ha fatto stampare più volte: si tratta di un manuale pratico dove sono riportate tutte le norme che ogni socia deve osservare.
Il manuale, dopo una prefazione scritta dal P. Manzella, indirizzata alle persone caritatevoli, ed una breve sintesi della vita di S. Vincenzo, si suddivide in quattro parti.
La Carità asserisce il P. Manzella fa del bene all’uomo per amore dell’uomo. Attraverso sei motivazioni esalta l’urgenza di agire in modo collettivo e organizzato per una maggiore incisività.
P. Manzella suggerisce anche lo stile con cui deve essere condotta una conferenza: 1) amicizia sincera tra le socie, 2) silenzio durante l’adunanza, 3) rispetto e correttezza per le idee altrui, 4) silenzio fuori della Conferenza sugli argomenti trattati. [37]
IV
Le linee dell’azione di p. Manzella
Il p. Manzella arriva in Sardegna, ai primi del Novecento, dopo una educazione e formazione umana e culturale in Lombardia e in Piemonte che, non solo in quel momento, erano le regioni economicamente e culturalmente più avanzate d’Italia, con un modello agricolo consolidato e industriale in via di sviluppo; con una organizzazione civile e religiosa ricca di fermenti e alla vigilia del periodo più florido, per tanti versi, della economia italiana.
Nell’Isola, priva di strade, di mezzi di comunicazione efficienti, di strutture sociali scarse o deboli, attanagliata da un pauperismo persistente, con una situazione sanitaria fortemente carente, travagliata dalla malaria, dal tracoma e dalla tubercolosi, vede un immenso campo di lavoro non solo missionario, date le deboli strutture formative religiose, ma anche un ambiente bisognoso di promozione umana.
Il p. Manzella, é da sottolineare, proveniva da Cremona, allora in piena attività economica, città nella quale aveva operato Ferrante Aperti (1791-1858) prete fortemente impegnato nell’ambito della scuola elementare, ma anche primo fondatore delle scuole infantili in Italia.
Oltre che all’infanzia il missionario vincenziano si dedica alla formazione umana e sociale dei giovani di entrambi i sessi.
Esige che si costituiscano circoli cattolici, oratori, associazioni e che questi siano orientati a favorire beni comuni: lo studio e l’istituzione e contestualmente l’impegno sociale e lo spirito imprenditoriale, per favorire il bene della società. Il missionario ha sempre presente le tristi condizioni socio-economiche dell’Isola, tende ad elencarle e ad indicarne i rimedi.
Alla base della formazione giovanile dev’essere l’istituzione scolastica e serale e l’iniziativa con la sperimentazione di nuove tecniche. Le stesse gare poetiche potrebbero essere utili alla diffusione delle idee nuove per spingere i giovani all’azione.
Vorrebbe che i giovani si misurassero subito con l’impegno sociale favorendo addirittura la costruzione di case popolari per famiglie bisognose.
Si avverte nelle sue parole l’ansia di inculcare una cultura imprenditoriale, data l’indolenza e la mancanza di iniziative che gli sembra attanagliare molti adulti.
L’attività culturale, sportiva, teatrale e la base essenziale per orientare la gioventù all’operosità. L’iniziativa dei giovani deve trascinare tutti con l’esempio, compresi i giovani che hanno ideali laici e socialisti. Si era nei primi anni del novecento e a Sassari si moltiplicavano le iniziative sociali per opera dei Circoli laici e socialisti, i giovani cattolici non dovevano essere da meno sul piano sociale.
Gli echi della Rerum novarum e il ricordo dell’attivismo giovanile lombardo lo porta ad un’insonne animazione della gioventù per la quale diede strutture nuove e costante formazione cristiana e sociale.
I circoli di educazione cattolica, già operanti a Sassari per opera del giovane medico Antonino Biddau; i circoli democratici cristiani tra cui quella della Silvio Pellico e della Robur et Virtus costituiranno un vivaio dai quali verrà fuori la classe dirigente Sassarese del primo novecento, di matrice cattolica.
Anche i parroci dovevano darsi da fare per mettere oratori, polisportive e gruppi teatrali attraverso i quali i giovani potevano adeguatamente orientarsi oltre che su valori cristiani su quelli umani e civili.
Il p. Manzella non insistette solo sull’educazione dei bambini e dei giovani, ma si adoperò molto per la formazione costante delle donne sul campo sociale.
Il Vincenziano ha presente la situazione di povertà dei ceti più emarginati della città e dei centri rurali.
Si rende conto della promiscuità e della miseria che regna nei tuguri cittadini; della carenza di vestiario e di cibo; delle malattie endemiche (malaria, tracoma tubercolosi) che regnano nei quartieri urbani più degradati; della situazione precaria delle vedove e degli orfani (specie delle giovinette); del degrado materiale e morale in cui sono costrette a vivere i figli delle prostitute, degli alcolizzati e dei malati cronici; della disumanità che contraddistingue gli anziani, spesso lasciati morire in abitazioni più simili a grotte che a tuguri; dell’ignoranza in cui questi strati poveri sono costretti a vivere.
Avverte l’energia e l’entusiasmo di giovinette di buona famiglia, di donne aristocratiche e borghesi dei centri urbani e rurali, di giovinette di famiglie contadine e pastorali e, da guida sicura ed entusiasta quale era, le esorta e le dirige a non compiere il bene per sentimentalismo o con comportamenti che potrebbero turbare e infastidire l’indigente, ma a prepararsi con una buona formazione all’aiuto dei poveri.
Per mezzo delle donne il p. Manzella aprirà in tutta l’Isola scuole materne, orfanotrofi, brefotrofi, istituti per portatori di handicap, ospizi per anziani autosufficienti e per malati cronici: tutte queste opere richiedevano operatrici per lo svolgimento delle varie mansioni; da quelle per la raccolta del danaro a quelle per i bisogni immediati degli indigenti; dalle educatrici degli orfanotrofi maschili e femminili, alle assistenti geriatriche; dalle componenti dei consigli di amministrazione per i vari enti a coloro che dovevano gestirli nella quotidianità. Le donne seppero rispondere a tutte le esigenze che l’insonne, e mai pago di operare, vincenziano man mano avvertiva. Schiere di dame onorarie della Carità, aristocratiche e borghesi, seppero rispondere generosamente alle sue esigenze finanziarie; gruppi agguerriti di dame attive gestirono le opere amministrando gli istituti e provvedendo all’organizzazione delle case; schiere di giovani sarde, lasciata la famiglia e vestendo l’abito delle figlie della Carità e delle suore del Getsemani per gestire quotidianamente e provvedere ai quotidiani bisogni dei poveri.
La direzione spirituale le conferenze, i colloqui, gli incontri di gruppo e il bollettino ” La Carità ” costituivano gli strumenti essenziali per la formazione costante all’attività sociali di queste donne.
Infine, il P. Manzella, si preoccupò della formazione alle attività artigiane delle donne che, all’epoca, svolgevano i lavori domestici nelle loro case. La situazione dell’arretratezza e della fatica in cui operavano lo spinse ad importare dal continente macchine più aggiornate ed efficienti per il lavoro artigiano femminile e spedì le suore nei piccoli centri per lo svolgimento dei corsi artigiani.
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Archivio Casa Madre Suore del Getsemani, (ACMSGSS)
[1] R. BRANCA, Manzella, Il Santo che ho conosciuto, Società Ed. Internazionale, Torino, 1952. pp. 30/31.
[3] Cfr. BRANCA R., cit. pp. 30-31.
[4] Cfr. R. BRANCA, Il Santo che ho conosciuto; in”Libertà” L. I. S., Sassari 1947, p. 12.
[5] ACMSS, Appunti di G.B. Manzella per la Conferenza Circolo Cattolico (Silvio Pellico), 1905, foglio A1,B2.
[6] Ivi, foglio A5.
[7] Ivi, foglio A6.
[8] ACMSS., Cfr., Appunti di G.B. Manzella per la Conferenza al Circolo “Silvio Pellico”, 1905, A6.
[9] ACMSGSS., Lettera al Parroco di Bitti, 13 Ottobre 1911.
[10] Per una informazione più ampia sull’oratoria di Don Bosco e sul suo sviluppo, Cfr. AA.VV. , Oratorio Salesiano tra società civile e comunità ecclesiale. Atti della Conferenza Nazionale CISI, 14/18 dicembre 1987, Roma 1987. ; Bonetti G., Cinque lustri di storia dell’oratorio Salesiano fondato dal Sac. G. Bosco, tip. Sales, Torino 1982; Braido P.; Don Bosco per i giovani, “L”Oratorio” una congregazione degli oratori, LAS, Roma 1988.
[11] Cfr.,G. SANNA, Il Sig. G.B. Manzella 45 anni dopo la morte, in “Liberà” 23 ottobre 1982.
[12] Cfr.G.CHELO, Sig. Manzella come lo ricordo, 40° della morte, in ” Libertà “, 23 ottobre 1983.
[13] Ivi.
[14] Cfr., P. BERTOLINI, L’esistere pedagogico, La Nuova Italia Ed., Scandicci, (Firenze) 1988, p.82.
[15] Cfr. P. BERTOLINI e MARCO DALLARI, Pedagogia al limite, La Nuova Italia Ed., Firenze 1988, p.134.
[16] Una fonte per conoscere in maniera più dettagliata il graduale sviluppo del nuovo istituto è il mensile “La Carità”, (Giugno, Settembre, Ottobre 1927); Cronistoria e Costituzioni della Comunità, in ACMSGSS.
[17] G. B. MANZELLA, Col lavoro La Carità, in “La Carità”, (9 Ottobre 1927), p. 66.
[18] ANONIMO, La Carità e le vacanze del Missionario, in “La Carità”, 8,9 ( Agosto/Settembre 1928), p. 57.
[19] G. B. MANZELLA, Col lavoro La Carità, in “La Carità”, 9,10 ( Sett. Ott. 1927), p. 66.
[20]Ivi, p. 62.
[21] F. SPANEDDA, il 20° anniversario del Sig. Manzella, in Commemorazioni in onore del Sig. Manzella, Moderna Ed., Sassari, 1964.
[22] Cfr., in ACMSGSS., Prime costituzioni della Comunità, 1927.
[23] Cfr., G.B. MANZELLA, Una lacuna da riempire nella chiesa di Dio, in ACMSS., Carlo Forte, (Giovedì Santo), 1920.
[24] MANZELLA G.B., Visita dei poveri a domicilio, in “La Carità” 1,9 (27 novembre 1923), p.2.
[25] MANZELLA G.B., Quali sono i bisogni dei poveri, in “La Carità” 1,10 (25 dicembre 1923), p.2.
[26] Ivi, p.4.
[27] Ivi, p.4.
[28] La Morale / da “mos” che significa “costume, modo di vivere,” richiama istintivamente l’idea di una tensione, di un impegno per allineare la propria condotta e la propria vita a un modello ideale di comportamento che le si impone come “norma”.
GUIDO GATTI, I Contenuti Morali della Catechesi /1, Ed. ELLE DI CI Leuman, Torino, 1987 p.12.
[29] Vedi nota cit. n° 45 p. 70.
[30] G.B. MANZELLA, Le Damine della Carità, in “La Carità” 1 (31 gennaio 1925) pp. 1-2.
[31] ANONIMO, La provvida sventura, in “La Carità”, 5,3 (marzo 1927), p. 22.
[32] Ivi, p. 27.
[33] ANONIMO, Dame di carità di Bultei, 5,11 (Novembre 1927), p.83
[34] ANONIMO, Consigli pratici alle madri cristiane, 7,6 (Giugno 1929), p. 4.
[35] Ivi, p. 9.
[36] ACMSS., Circolare alle presidenti della Società delle Dame.
[37] G.B. MANZELLA, Manuale pratico per fondare e dirigere la Società della Carità, Tip. Soc. Libertà, Sassari 1906 (1921).