La lingua sarda secondo il prof. Mario Alinei -di Massimo Pittau
Debbo riconoscerlo: nella mia qualifica di già professore ordinario di Linguistica Sarda nell’Università di Sassari e soprattutto di autore che finora ha scritto e pubblicato più di tutti gli altri linguisti intorno alla «Lingua Sarda» – ormai molto più dello stesso Max Leopold Wagner – incombeva su di me l’obbligo di esprimere un parere pubblico intorno al capitolo che il prof. Mario Alinei ha dedicato alla nostra lingua, nella sua molto discussa opera “Origine delle lingue d’Europa” – II. Continuità dal Mesolitico all’età del ferro nelle principali aree etnolinguistiche (Bologna 2000, cap. XVI). Se non ho espresso il mio parere sul capitolo dell’Alinei dipende dal fatto che, a lettura finita del capitolo, ho tratto la conclusione che quanto vi risulta scritto è un “disastro”. E questo è dipeso – a mio modesto avviso – dalla circostanza che l’Alinei si è infilato nell’argomento con una notevole disinformazione sia sulla preistoria, protostoria e storia della Sardegna, sia sugli ultimi 50 anni di studi linguistici sul sardo.
Avevo dunque deciso di sorvolare e di tacere. Senonché vado constatando che le tesi dell’Alinei sono state fatte proprie da alcuni intellettuali sardi – che però non sono affatto specialisti di linguistica sarda né di linguistica in generale – i quali le stanno mettendo in circolazione, sia pure non in scritti scientifici. Ed allora ho preso la decisione di esprimere pubblicamente il mio parere sulle tesi dell’Alinei, al quale io formulo le seguenti obiezioni di fondo.
1) Siccome l’Alinei è stato sempre un linguista, io gli contesto il fatto che egli abbia la competenza sufficiente per immischiarsi e discutere di questioni archeologiche, che partono addirittura dal Mesolitico (VII millennio a. C.) o anche dal Neolitico (pag. 642). Per il vero egli si rifà continuamente e solamente a un archeologo sardo, del quale però molti Sardi sanno che ha preso grossi abbagli, l’uno più grande dell’altro.
2) Anche io obietto all’Alinei che in realtà la linguistica storica non ha alcuna possibilità di andare tanto indietro nei secoli. In miei recenti interventi, che ho anche messo in circolazione in vari siti internet, ho segnalato che, rispetto agli studi sul sostrato linguistico prelatino della Sardegna, l’unica cosa quasi certa che possiamo dichiarare in termini cronologici è che un trentina di nomi di piante o fitonimi di chiara “matrice mediterranea” sono ascrivibili alla lingua o alle lingue che parlavano i “Prenuragici”. Ma questi non risultano, sul piano strettamente linguistico, tanto antichi nel tempo, posto che tra gli archeologi la data di inizio della costruzione dei nuraghi non viene riportata oltre il XVI sec. a. C.
3) L’Alinei paga il suo tributo a un “luogo comune”, che in Sardegna va avanti solamente per motivi sciovinistici, secondo cui «i Barbaricini non furono mai romanizzati» (pag. 650). Ma come è possibile che un linguista di professione sostenga una tesi di questo genere? Nei villaggi più isolati della Barbagia si parlano tuttora “dialetti neolatini” e non soltanto rispetto ai fonemi /k/, /g/ (velari), ma anche e soprattutto rispetto alla “struttura grammaticale” e al “lessico”, i quali sono campi molto più importanti e più significativi della fonetica. L’Alinei evidentemente non conosce la mia opera – molto fortunata – che si trova in tutti gli Istituti di Lingue Neolatine d’Europa, Grammatica del Sardo-Nuorese – il più conservativo dei parlari neolatini (Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986). Anche nel lessico di questi dialetti latino-barbaricini i relitti prelatini sono scarsissimi. Nella mia recente opera La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari) sono riuscito a raggranellarne solamente 350 circa. E analoghi risultati ho ottenuto nello studio di circa 20.000 toponimi della Sardegna centrale, quali risulteranno in una mia ampia opera di imminente pubblicazione: l’82,5% dei toponimi sono neolatini e solamente il 12,5% sono prelatini.
4) L’Alinei ignora il fatto, storicamente accertato, dell’esistenza del tracciato di una strada romana che attraversava, da nord a sud, non solo la Barbagia, ma anche tutto il Centro montano dell’Isola, con mansioni a Caput Tyrsi (Sant’Efis di Orune), Mamoiada (dal lat. mansio manubiata «stazione controllata»), Fonni (Sorabile), Austis (da Forum Augusti), Meana (da lat. Mediana) e Valentia (presso Nuragus). Di questi toponimi il più significativo è di certo Austis (mediev. Augustis), dato che ci assicura che proprio all’epoca di Augusto – il quale aveva avocato a sé l’amministrazione della Provincia Sardinia – risale il periodo della massima pressione dei Romani sui Barbaricini.
Evidentemente l’Alinei ignora che resti archeologici romani esistono tuttora a Sant’Efis, Sorabile, Austis e ponti romani a Illorai, Oliena, Dorgali, Fonni, Gavoi; che iscrizioni latine sono state trovate in tutti questi villaggi del Centro montano: Benetutti, Bitti, Orune, Orotelli, Fonni, Austis, Sorgono, Meana, Laconi, Nurallao, Nuragus, Ortueri, Samugheo, Isili, Seulo, Ussassài, Ulassài.
Egli ignora che nel centro montano sono tuttora attestati questi cognomi e toponimi di chiara origine latina: Biteddi, Calvisi, Creschentina, Curreli, Lisini, Mameli, Marcheddine, Marongiu, Masuri, Monni, Pascasi, Prischiani, Serusi, Sisini, Useli, Valeri, Vavori, Verachi, Viriddi, Viseni, i quali sono evidentemente da riportare ai gentilizi o cognomina latini Vitellius, Calvisius, Cornelius o Currelius, Crescentinus-a, Lisinius, Mamelius, Marcellinus, Maronius, Masurius, Monnius, Paschasius, Priscianus, Selusius, Sisinius, *Uselius, Valerius, Favorius, Veracius, Virillius, Visenius (H. Solin et O. Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum Latinorum, Hildesheim-Zürich-New York 1988), tutti – meno uno – nella forma del vocativo.
La presenza di tutto questo abbondantissimo materiale linguistico latino nel centro montano l’Alinei non la nega, ma egli la riporta all’età neolitica (VI-IV millennio a. C.) come relitto di quella che egli chiama lingua “italide”.
Senonché in tutte le discipline scientifiche si ha il dovere e pure l’interesse a optare sempre per la soluzione più ovvia e più semplice o meno costosa dei problemi ed è immensamente meno costoso riportare la latinità linguistica della Barbagia all’epoca della conquista militare e politica della Sardegna da parte dei Romani (più precisamente, dalla fine della Repubblica ai primi decenni dell’Impero) che non ai millenni lontanissimi e nebulosi del Mesolitito e del Neolitico.
D’altronde, in codesta sua ipotesi, come spiegherebbe l’Alinei le iscrizioni latine, i resti archeologici e i ponti romani che si trovano in tutta la Barbagia, perfino nei suoi siti più isolati? Anche questi risalirebbero al Mesolitico e al Neolitico?
5) Secondo l’Alinei la divisione delle «aree linguistiche Gallurese-Sassarese, Nuorese-Logudorese e Campidanese è riconoscibile fin dal Neolitico» (pag. 665). Mi dichiaro esterrefatto. Come fa a dimostrarlo?
6) Egli parla di influenze linguistiche celtiche in Sardegna (pagg. 674-678), ma non ne presenta una sola convincente.
7) Egli presenta l’area sassarese come “centro di diffusione linguistica” (pagg. 680-681). Ma Sassari non lo è mai stato, come dimostra il fatto che tutti i paesi che gli stanno attorno, anche quelli vicinissimi, parlano il “logudorese” e nient’affatto il “sassarese”.
8) Infine, premesso che l’Alinei ha ignorato quanto io avevo sostenuto, circa l’etimologia dell’appellativo protosardo nuraghe in un mio intervento nel Convegno “Per Giovanni Flechia” (Ivrea 6/12/1992) (ripubblicato dopo nella mia opera Ulisse e Nausica in Sardegna, 1994; e adesso nel mio Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico, vol. II 858), chiedo all’egregio collega, se era in vena di umorismo quando ha scritto che l’appellativo nuraghe deriva da nura «nuora» (pag. 684)…
Rispondo in maniera essenziale e globale agli Amici che mi hanno fatto obiezioni per quanto io ho scritto sulla tesi che il prof. Mario Alinei ha formulato sulla lingua sarda.
1) Io non intendo entrare per nulla in questioni relative al Mesolitico e al Neolitico, per il fatto che questa non è la mia specializzazione scientifica e sull’argomento non saprei dire nulla di scientifico. Però mi permetto di dire che mi fanno sorridere coloro che, solo per aver letto alcuni libri o articoli, si sentono autorizzati a manifestare adesioni e a formulare giudizi sull’argomento.
2) Io non sono specialista in “linguistica indoeuropea” e pertanto neppure in questo campo oso entrare per dire il mio parere. Dico soltanto di constatare che il prof. Alinei è stato per l’appunto criticato da linguisti indoeuropeisti. Ed anche qui dico che mi fanno sorridere coloro che, non essendo linguisti e tanto meno linguisti indoeuropeisti, osano entrare con disinvoltura e sicurezza anche su questo argomento.
3) Io non oso entrare neppure sul tema delle lingue romanze o neolatine in generale (sul quale pure il prof. Alinei è stato contestato dallo specialista prof. Lorenzo Renzi), per il fatto che io sono specialista in una sola delle lingue neolatine, il sardo. Ebbene, credo di poter affermare, con cognizione di causa, che la tesi del prof. Alinei sulla lingua sarda è completamente errata. In una eventuale nuova edizione della sua opera il prof. Alinei dovrebbe, a mio parere, togliere del tutto quel capitolo XVI. A meno che non decida di rifarlo completamente, non senza essersi prima informato su quanto è stato scritto sulla lingua sarda nell’ultimo cinquantennio, dopo le ultime opere di Max Leopold Wagner, che sono degli anni Sessanta.
4) Anche il signor Jesùs Sanchis ha letto con molta disattenzione il mio articolo, arrivando a formulare giudizi alquanto avventati. Esempio: dice che esistono zone della Romania (cioè dell’antico Impero Romano), nelle quali c’è stata una forte presenza di Romani, ma gli odierni abitanti non parlano affatto una lingua neolatina. Lo sapevo bene, basti pensare alla Grecia. Ma in Sardegna e particolarmente in Barbagia abbiamo una situazione del tutto opposta: c’è stata sicuramente una forte presenza dei Romani, perché lo dimostrano chiarissimamente tutti i suddialetti dei paesi della Barbagia, che sono totalmente e profondamente neolatini. Veda, signor Sanchis, se Lei chiede a un Sardo quale sia il villaggio della Barbagia che sia “il più barbaricino degli altri”, indubitabilmente Le risponderà Orgosolo. Io qualche anno fa ho avuto modo di interessarmi in maniera particolare del dialetto orgolese e, con mio notevole stupore, ho constatato che esso è quasi del tutto identico a quello della vicina mia città natale, Nùoro, del quale ho già citato la mia fortunata opera: Grammatica del Sardo-Nuorese – il più conservativo dei parlari neolatini, Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986. È quasi incredibile: due soli lievissimi fenomeni fonetici differenziano il dialetto di Nùoro da quello di Orgosolo: noi Nuoresi diciamo deke «dieci», luke «luce», pake «pace», mentre gli Orgolesi dicono deqe, luqe, paqe (con la lettera /q/ stiamo ormai scrivendo il “colpo di glottide” barbaricino, che non è altro che un forte iato); noi Nuoresi diciamo fémina «donna», fizu «figlio», focu «foglia», mentre gli Orgolesi dicono émina, izu, oqu (con la caduta della /f/). Questi due lievi fenomeni fonetici del dialetto orgolese e anche di tutti i suddialetti della Barbagia di Ollolai, sono gli unici resti dell’antica lingua prelatina e protosarda. Essi sono tanto lievi, che non è affatto legittimo tentare di trarne tracce e motivi di origine e derivazione. Oltre a ciò, ovviamente, è da citare un centinaio di relitti lessicali, che esistono nei suddialetti barbaricini, come in quasi tutti gli altri sardi. E pure non pochi toponimi.
Ebbene, questo carattere totalmente e profondamente latino di tutti i suddialetti barbaricini trova una sola possibile spiegazione: anche in Barbagia i Romani hanno vinto e stravinto e dominato.
E poi presento un elenco aggiornato dei ponti romani, intatti o deruti, che si trovano in Barbagia e nel centro montano: Illorai, Galtellì, Dorgali, Oliena, Fonni, Gavoi, Isili, Allai e chiedo al signor Sanchis: anche questi ponti risalgono al Neolitico? E risalgono al Neolitico pure le iscrizioni latine che sono state trovate in questi villaggi del Centro montano: Benetutti, Bitti, Orune, Orotelli, Fonni, Austis, Sorgono, Meana, Laconi, Nurallao, Nuragus, Ortueri, Samugheo, Isili, Seulo, Ussassài, Ulassài? Ma non sappiamo tutti che i Romani hanno derivato il loro alfabeto da quello greco (forse anche per tramite dell’etrusco) solamente verso il VI secolo a. C. (Lapis niger 575-550)?
Massimo Pittau replica al prof. Mario Alinei
Riconosco che ha una certa ragione il prof. Alinei ad esprimere il suo disappunto per il fatto che io ho mosso critiche a una sua opera che risale a 10 anni fa; ma io ne ho già spiegato l’esatto motivo: io intendevo sorvolare sul capitolo che egli ha dedicato alla lingua sarda – che respingo totalmente – ma poi ho deciso di intervenire sull’argomento per il motivo che vado constatando che le sue tesi sono attualmente messe in circolazione in Sardegna da alcuni personaggi, sia pure non specialisti in linguistica sarda e neppure in linguistica in generale. Si chieda il collega Alinei se potevo restare indifferente di fronte al fatto che uno di questi personaggi, in virtù delle sue tesi, ha scritto all’ONU per chiedere di togliere alla Regione Sarda il diritto di legiferare in Gallura in tema di lingua e qualche altro intende chiedere l’indipendenza della Gallura dalla Sardegna…
1) Venendo ai singoli punti da me tracciati e seguiti dal prof. Alinei, gli spiego e preciso che io non mi sono mai atteggiato ad “archeologo”: io infatti non ho mai fatto scavi, non ho mai interloquito in questioni propriamente “archeologiche”, però ho sempre seguito con attenzione ciò che gli archeologi andavano scrivendo intorno alla civiltà nuragica. Rispetto al problema fondamentale e cruciale della “destinazione o funzione dei nuraghi” io non ho fatto l’archeologo, mentre sono intervenuto facendo perno sulla sola razionalità o sul semplice buon senso. Non occorre essere archeologi né avere una profonda conoscenza delle cose militari per notare quanto sia anacronistico – per non dire umoristico – l’uso di parole e di espressioni tipiche dell’arte militare dei tempi moderni e contemporanei, che sono state invece riferite ai tempi della civiltà nuragica e con riferimento al Nuraxi di Barumini:
«proiettili, proiettili di grosso calibro, missili, missili incendiari, munizioni, batterie, batterie d’assedio, batterie di fortini, tecnica della batteria, bocche d’arco, bocche di lancio, bocche da tiro, cortine, cortine frontali, tiro incrociato delle feritoie, piazzola di tiro, centrale di comando delle operazioni di tiro, centrale di tiro e di comando»…
Ed io nella mia opera “La Sardegna Nuragica” (pg. 17), ho commentato: «Di fronte a questo sfoggio di aggiornata terminologia militare modernissima, l’unico dubbio che verrà al lettore sarà quello di sapere se i “proiettili” che adoperavano i Nuragici erano a testata nucleare oppure all’uranio impoverito».
Questa mia fortunatissima opera – uno dei libri più letti in Sardegna (I ediz. 1977, V ristampa 1988, II ediz. 2006, ristampa imminente) – è basata solamente su argomenti di buon senso e inoltre su considerazioni di carattere storico. Ad es. ho fatto notare che Diodoro Siculo (IV 30, V 15, 2) definisce i nuraghi «templi degli dèi» e questo gli archeologi sardi lo ignorano.
In questa mia opera io non ho fatto l’”archeologo”, mentre ho fatto lo “storico”, proprio come fanno tutti i glottologi che si buttano nella direzione diacronica o storica della ricerca. Inoltre ho fatto esattamente il linguista, quando ho precisato che nella lingua italiana la custodia dei pugnali si chiama, non “faretrina”, bensì “fodero” o ”guaina”, mentre la “faretra” era la custodia delle frecce (pg. 16).
2) Scrive testualmente l’Alinei: «A mio avviso, non si dovrebbe giudicare un autore senza conoscere le sue opere principali». Ed io rispondo che almeno la sua “Origine delle lingue d’Europa” – II, ho dimostrato di conoscerla, mentre lui ha dimostrato di non conoscerne nessuna mia, dato che nessuna ne ha mai citato neppure in bibliografia.
3) La frase “i Barbaricini (cioè i Sardi mai romanizzati)” l’ha scritta tale e quale l’Alinei, senza nessuna attenuazione e non valgono per nulla le attenuazioni che egli ha tentato di aggiungere nella sua risposta. Ebbene, questa frase è contraddetta totalmente dalla linguistica, dalla storiografia e dalla archeologia.
4) Sì, l’Alinei l’ha scritto parecchie volte che in Sardegna c’è stata “una prima latinizzazione, che risale al Neolitico”, ma egli non l’ha dimostrata mai, proprio come non ha mai dimostrato una tale “prima latinizzazione” per l’intera Romània.
5) La distinzione linguistica fra Nuorese, Logudorese e Campidanese è fondata su chiare e accertate distinzioni diacroniche e geografiche del latino parlato a Roma e in Africa settentrionale, distinzioni che invece l’Alinei non ha per nulla fornito per il Neolitico. E sorvolo sul gallurese-sassarese, le cui prime attestazioni storiche risalgono appena al XIV secolo dopo Cristo. Come dimostra in maniera del tutto chiara il bellissimo «Condaghe di San Pietro di Silki», in epoca medioevale a Sassari si parlava il logudorese di forma arcaica, quasi del tutto uguale al Nuorese odierno.
6) I linguisti specialisti che hanno approfondito l’argomento del sostrato prelatino esistente in Sardegna sono Max Leopold Wagner, Johannes Hubschmid e Massimo Pittau: ebbene nessuno di questi ha mai parlato di un solo relitto celtico esistente in Sardegna.
7) L’Alinei ha accettato la mia obiezione sul fatto che Sassari non è mai stato un “centro di diffusione linguistica”, come dimostra il fatto che tutti i paesi che gli stanno attorno, anche quelli vicinissimi, parlano il “logudorese” e nient’affatto il “sassarese”. Io però sono caduto in una svista: esiste un paese vicino in cui si parla il sassarese, Sorso.
8) Dunque l’Alinei non diceva una barzelletta, ma esponeva una sua tesi seria, quando ha scritto che “nuraghe” deriva da “nura” «nuora».
E anche questa volta ha dimostrato di non avere letto quanto io ho scritto sulla etimologia di questo appellativo in tre miei scritti, che pure gli avevo segnalato. È l’Alinei dunque che si deve informare prima di intervenire e obiettare ad un suo collega.