I nomi del fenicottero sardo di Massimo Pittau
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), nella sua famosa opera Naturalis historia (30, 146), parlando della Sardegna dice testualmente: praeter haec sunt notabilia animalium ad hoc volumem pertnentium gromphena avem in Sardinia narrant grui similem, ignota iam etiam Sardis, ut existimo «oltre a questi sono notevoli fra animali similari di questa dimensione la gronfena, uccello della Sardegna che dicono essere simile alla gru, ormai ignota agli stessi Sardi, come ritengo».
Lo storico moderno Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano (ristampa a cura di A. Mastino, Nùoro 1999, II vol. pg. 244), giustamente ha affermato che il naturalista latino aveva presente il testo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus (§ 100), che parla di grandi uccelli esistenti in Sardegna prima dell’arrivo dei Greci nell’Isola e che egli ha proposto di identificare coi fenicotteri.
Io aggiungo che Plinio asserisce che questi uccelli erano ormai sconosciuti agli stessi Sardi, probabilmente per la ragione che non tutti i numerosi Sardi che ormai vivevano a Roma e dai quali il naturalista latino non avrà mancato di chiedere informazioni, conoscevano i fenicotteri. D’altronde tuttora conoscono de visu i fenicotteri solamente i relativamente pochi Sardi che vivono vicino agli stagni costieri dell’Isola, mentre gli altri li conoscono soltanto per fotografie o per riprese cinematografiche o televisive.
A. Ernout e A. Meillet, autori del Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine (IV édit., IV tirage, Paris 1985, pg. 283), parlando dell’appellativo lat. gromph(a)ena, scrivono «Sans doute grec: grómphaina ?», cioè con un punto interrogativo finale, che dimostra il loro dubbio su questa connessione, dato che l’appellativo greco significa, non «fenicottero», bensì «scrofa, vecchia scrofa».
Ed io intervengo oggi per eliminare il dubbio dei due pur illustri linguisti: è noto che i suini grufolano o scavano il terreno alla ricerca di cibo, radici, tuberi e insetti. Ebbene anche i fenicotteri in un certo senso “grufolano”, dato che col loro lungo becco ricurvo scavano il fondo degli stagni, anch’essi alla ricerca di cibo.
Però la questione non è finita: sempre il naturalista latino, nella medesima opera Naturalis historia (I, 26, 23; 26, 40) col vocabolo gromphaena indica anche una pianta male identificata, una specie di amaranto orientale (Amarantus tricolor L.). Ma con quale rapporto, si chiede Jacques André, Les nomes de plantes dans la Rome antique (Paris 1985, pg.113) col greco grómphaina «scrofa, vecchia scrofa»?
Anche qui intervengo per eliminare il dubbio di quest’altro illustre linguista e botanico francese: quando i fenicotteri si levano in volo, le loro ali mettono in mostra proprio un colore amaranto, cioè “rosso intenso con sfumature violacee”. E per questo motivo i fenicotteri sono chiamati in Sardegna, con vocabolo collettivo, genti arrúbia, zente rúbia o ruja cioè «gente rossa». D’altronde anche il greco phoinikópteros significa “dalle piume rosse”; fatto che pure il nome scientifico dell’uccello mette in vivenza: Phoenicopterus roseus.
Nella lingua sarda al singolare il fenicottero si dice mangone, mangoni, mengoni (log. e camp.), che potrebbe derivare da margone, malgone «smergo» (uccello acquatico) (M.P.). Siccome però questa etimologia è dubbiosa, procedo oggi a prospettarne un’altra: potrebbe derivare dallo spagn. flamenco «fenicottero» (letteralmente “fiammante”) interpretato dai Sardi, per paretimologia, fra’ Mengo, cioè frate Domenico. [Cfr. mengu, (Nùoro) meng(r)o «individuo rozzo, strano, balordo», che deriva dal pisano menco, mengo «maldestro, impacciato, inetto», a sua volta da Ménico, accorciativo di Domenico, col significato di «minchione» (M.P.)].
Massimo Pittau