I Sardi nuragici e la scrittura di Massimo Pittau
«I vinti non lasciano archivi!»
Sarà perché la mia opera «Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi» è uscita nel 1995 ed è ormai esaurita e l’altra mia opera «Storia dei Sardi Nuragici» è recente, dato che è uscita appena nel 2007 (Selargius, edit. Domus de Janas), sta di fatto che nessuno di coloro che in questi ultimi mesi sono entrati nella vivace discussione sulla eventuale “scrittura nuragica” ha mostrato di conoscere queste mie opere, nelle quali risulta un ampio ed impegnato capitolo sul tema «I Nuragici e la scrittura». Ed allora, per ovviare a questo silenzio, casuale oppure voluto, con questo mio odierno intervento riassumo quanto ho scritto in quel capitolo.
Premetto che intorno alla civiltà nuragica esiste un “luogo comune”, quello secondo cui essa sarebbe stata una “civiltà illetterata”. Questo luogo comune, che per me è un autentico “falso storico”, è stato determinato in primo luogo da una implicita, strana ed assurda supposizione e pretesa: che i Nuragici, intesi come un popolo “tutto particolare” da ogni e qualsiasi punto di vista, si fossero dovuti creare un loro alfabeto pur’esso tutto particolare, ossia un loro sistema di scrittura originale e “nazionale”. Senonché non si è considerato che in effetti neppure quei geniali e civili popoli dell’antichità che sono stati i Greci, gli Etruschi ed i Romani, si sono creati ex novo un loro proprio alfabeto nazionale, dato che – come molti sanno – i Greci hanno preso l’alfabeto dai Fenici, gli Etruschi dai Greci ed i Romani dagli Etruschi. Gli stessi Fenici non si sono creati dal nulla il loro alfabeto, ma è del tutto certo che se lo sono creati sul modello di altri alfabeti di popoli del vicino Oriente, Sumeri ed Egizi in testa. Perché mai attendersi e pretendere dunque che i Nuragici si creassero un loro “alfabeto nuragico nazionale”, quando in effetti nessun altro popolo antico può vantarsi di essersi creato tutto da sé e dal nulla questo strumento di cultura, il quale di certo costituisce una delle più grandi ed insieme delle più difficili invenzioni dell’umanità? Invenzione molto difficile, a creare la quale hanno contribuito vari popoli antichi e numerose generazioni di uomini.
In secondo luogo è un fatto che in Sardegna sono state finora trovate almeno le seguenti iscrizioni: due iscrizioni in alfabeto geroglifico egizio [foto 1 e 2], alcune forse in alfabeto minoico incise su due dei noti talenti di rame [foto 3 e 4)], numerose in alfabeto fenicio, alcune in alfabeto iberico [foto 5], alcune in alfabeto greco, quattro in alfabeto etrusco [foto 6 e 7]; ebbene tutte queste iscrizioni dimostrano in maniera evidente e certa che fra i Sardi Nuragici c’erano individui che le sapevano leggere e molto probabilmente anche scrivere.
D’altronde, in termini generali, è a priori da ritenersi illogico e inverosimile che il popolo nuragico, che era stato per lunghi periodi a contatto immediato con altri popoli che conoscevano e usavano la scrittura, quali i Cretesi, i Ciprioti, gli Egizi, i Fenici, i Greci, i Lidi ed infine gli Etruschi, non conoscesse né usasse per nulla la scrittura. In termini più particolari, è illogico e inverosimile ritenere che in quel torno di secoli, mentre tutti i popoli circostanti avevano l’usanza di incidere sui loro vasi od oggetti d’uso scritte con la denominazione dell’autore o del possessore o dell’offerente o con la dedica ad una divinità oppure con l’indicazione della quantità della merce contenuta nelle anfore, ecc., solamente i Nuragici ignorassero del tutto questa usanza. Sarebbe esattamente come se nell’epoca attuale si supponesse che fra gli stati emergenti del terzo mondo ne esista qualcuno che non conosce ancora né adopera la scrittura!
A mio fermo giudizio, pertanto, non è mai esistita una “scrittura propriamente ed esclusivamente nuragica”, come d’altronde non è mai esistita una “scrittura propriamente ed esclusivamente fenicia o greca od etrusca o romana”.
Secondo me, i Sardi Nuragici per scrivere i loro messaggi nella loro lingua nuragica hanno scelto e adoperato di volta in volta, col trascorrere del tempo, uno degli alfabeti che adoperavano i popoli coi quali essi avevano più stretti rapporti. E precisamente essi hanno optato e adoperato prima l’alfabeto fenicio, dopo quello greco e infine quello latino.
* * *
Sembra che proprio la Sardegna sia la terra che ha conservato il più alto numero di iscrizioni fenicie o – chiamamole molto meglio – fenicio-puniche, ossia lasciate non dagli originari Fenici che abitavano nella lontanissima Fenicia, l’odierno Libano, ma dai loro connazionali che si erano trasferiti nella costa dell’Africa centro-settentrionale, dove avevano fondato la grande città di Cartagine (è quasi incredibile che molti non facciano questa facile ma importantissima distinzione!). Orbene, delle iscrizioni fenicio-puniche rinvenute in Sardegna non è da escludersi che alcune, nonostante la loro scrittura sicuramente fenicia, in realtà portino un messaggio in lingua nuragica. Ad es., siccome la nota iscrizione fenicia di Nora non ha trovato sinora una traduzione neppure lontanamente condivisa dai semitisti, non è inverosimile che questa divergenza di opinioni sia la conseguenza del fatto che l’iscrizione in realtà porti un messaggio in lingua nuragica. A questa supposizione siamo spinti anche dal fatto che nell’iscrizione figura certamente anche il nome della Sardegna o dei Sardi (SHRDN) [foto 8].
La medesima considerazione è da farsi rispetto ad alcune altre iscrizioni in alfabeto fenicio, per le quali esiste fra gli interpreti forte divergenza di opinioni.
A questo proposito è bene precisare che tutti gli alfabeti costituiscono non un “fatto naturale o connaturale” con la rispettiva lingua, ma sono semplicemente un “fatto artificiale e convenzionale” rispetto ad essa, per cui un alfabeto può divergere o staccarsi dalla rispettiva e originaria lingua. Ad es. in una carta medioevale che si trova a Marsiglia il messaggio che porta è sicuramente sardo medioevale, ma l’alfabeto adoperato è quello greco-bizantino.
Col passare del tempo, nel periodo in cui l’atrito fra i Sardi e i Cartaginesi divenne più forte ed i primi, attorno al 539-534 a. C., inflissero a questi, guidati da Malco, una pesante sconfitta, e durante il quale periodo si stabili un’alleanza fra i Sardi (o Serdaioi) e Sibari, la più potente città della Magna Grecia (come testimonia una iscrizione greca trovata nel 1960 ad Olimpia, purtroppo ignorata o trascurata dagli odierni storici della Sardegna [foto 9]), i Sardi optarono per l’alfabeto greco. Lo dimostra in primo luogo proprio questa importante iscrizione, la quale, esposta come era nel famoso santuario di Zeus Olimpio, evidentemente era pubblicizzata non soltanto per i Greci tutti, ma anche per i Sardi Nuragici che avessero visitato il santuario.
Dimostrano ancora la opzione e l’uso dell’alfabeto greco da parte dei Sardi Nuragici alcune iscrizioni che si trovano in due massi esterni e laterali dell’ingresso del nuraghe Rampinu di Onifai/Orosei, costituite quasi certamente da due abbreviazioni o sigle ITSN e TS e da un vocabolo TINHBEI, il quale non è assolutamente spiegabile col lessico della lingua greca [foto 10, 11, 12]. Lo dimostra un’altra sigla, pure in caratteri greci, BE, incisa profondamente in un masso dell’ingresso sopraelevato volto a nord-est del Nuraxi di Barumini; il beta è a serpentina lineare di tipo corinzio-megarico e come tale riporta ai primi tempi della colonizzazione greca nel Tirreno (sec. VIII-VI a. C.) [foto 13], Ma lo dimostrano soprattutto una quindicina di monete che riportano la leggenda SER(DAIOI), SERD(AIOI) oppure l’altra SARDOI in caratteri greci [foto 14 e 15]. Ed è del tutto evidente e sicuro che si tratta di monete coniate dai Sardi e non certo dai Greci e tanto meno dai Cartaginesi.
Alla fine della loro indipendenza e ormai sotto la dominazione dei Romani, i Sardi Nuragici fecero uso anche dell’alfabeto latino per comunicare i loro messaggi in lingua nuragica. Lo dimostra una iscrizione in caratteri latini che si trova nell’architrave del nuraghe di Aidu entos di Bortigali, però purtroppo quasi completamente illeggibile, perché la pietra è stata corrosa dal tempo [foto 16 e 17].
A proposito di questa iscrizione è utile fare una importante premessa. In epigrafia, relativamente ad ogni e qualsiasi lingua scritta, vale questa importante norma metodologica: «una iscrizione è “contestuale” al supporto in cui risulta iscritta, salvo prova contraria». Ciò significa ed implica che un epigrafista ha il dovere e pure l’interesse a ritenere che una iscrizione I) appartiene realmente al suo supporto, II) è stata scritta da chi ha costruito od ordinato il supporto. Su un epigrafista che in un caso specifico neghi questa norma della “contestualità”, cade l’obbligo di dimostrare le ragioni della sua scelta contraria.
Ebbene, a favore della “contestualità” dell’iscrizione del nuraghe di Aidu entos, cioè del suo appartenere realmente al monumento in cui è stata scritta e da parte di chi lo ha costruito, interviene anche un’altra prova: dei vocaboli dell’iscrizione che risultano ancora leggibili due appartengono sicuramente alla lingua nuragica, NURAC e SESSAR, mentre tutti gli altri sono semplicemente frustoli di vocaboli. Inoltre il vocabolo NURAC dà la conferma e la sicurezza della contestualità della nostra iscrizione col nuraghe in cui risulta scritta. In questo caso si determina una particolare situazione ideale: è come se il nuraghe stesso come monumento scrivesse e parlasse di se stesso.
L’iscrizione dunque non è “allotria”, ossia estranea al monumento nuragico, come si è ritenuto e scritto, ma è connessa e attinente con questo.
Non è affatto legittimo inferire che l’iscrizione è in lingua latina perché è scritta in alfabeto latino e poi procedere ad effettuare la seguente ricostruzione e traduzione ILI(ENSIUM) IUR(A) IN NURAC SESSAR «diritti degli Ilienses sui nuraghi (o sul nuraghe) Sessar». Vi si oppongono quattro importanti e pesanti circostanze: I) I dati storici da noi ora posseduti localizzano gli Ilienses nei monti della Barbagia e non nel Marghine dove si trova il nostro nuraghe; II) Col gruppo di lettere ILI si possono ricostruire migliaia di vocaboli latini, nessuno dei quali è possibile privilegiare sugli altri; III) È del tutto inverosimile che nell’iscrizione sia stato abbreviato, e in misura così ampia, proprio il nome del popolo di cui l’iscrizione avrebbe pubblicizzato i diritti; è come se in un certificato legale risultasse abbreviato il cognome dell’intestatario! IV) Ammesso ma non concesso che sia esatta la lettura e la ricostruzione del testo, il contenuto concettuale della ricostruzione e traduzione «diritti degli Ilienses sul nuraghe Sessar», cioè su un piccolo nuraghe di irrilevante impegno architettonico e soprattutto di nessun valore funzionale, è francamente risibile<1>.
Dunque l’iscrizione incisa sull’architrave, addirittura sul “fastigio” di un edificio pubblico nuragico, col carattere di “grande iscrizione monumentale” – è stato precisato – e con lettere pur’esse “monumentali”, pur essendo scritta in alfabeto latino, conteneva un messaggio in lingua nuragica.
A questa tesi non si può opporre il fatto che i caratteri latini dell’iscrizione riportano all’età dell’Impero, per il fatto che è un altro “luogo comune” quello secondo cui i Sardi abbiamo finito di costruire i loro nuraghi già con l’arrivo dei Cartaginesi in Sardegna. Io ho avuto modo di scrivere – senza essere mai contestato – che i Sardi hanno continuato a costruire i nuraghi anche in epoca romana, come dimostra il fatto che in tutti i nuraghi scientificamente scavati ed esplorati sono stati trovati numerosissimi reperti di età romana; e anche dopo la nascita di Cristo, fino all’arrivo del cristianesimo in Sardegna, come ancora dimostrano reperti cristiani di età bizantina (ad es. croci astili e inoltre lucerne cristiane assieme con le migliaia di lucerne nuragiche, puniche e romane, trovate del nuraghe Lugherras = «lucerne» di Paulilatino) e come dimostrano soprattutto circa 300 nuraghi dedicati al nome di altrettanti santi cristiani<2>.
Un discorso analogo va fatto su una navicella nuragica di bronzo, una volta nell’Antiquarium Arborense di Oristano, da cui risulta trafugata, la quale portava l’iscrizione in caratteri latini SENP sul fondo e su un fianco. Come si fa ad accettare per buona questa favoletta: «oggetto, considerato prezioso, e tramandato di generazione in generazione, in una famiglia, sino a divenire proprietà di un ricco signore provinciale, in eta romana» e prospettare poi la ricostruzione del nome di costui con la formula bimembre di prenome e gentilizio romani? Perché mai ritenere “oggetto prezioso” e tramandare di generazione in generazione quella modestissima navicella nuragica? E perché “rovinare” l’ ”oggetto prezioso” incidendovi sopra il proprio prenome e gentilizio romani, addirittura ripetendo l’incisione sul fondo e sul fianco?
A mio giudizio invece, sempre ai sensi della spiegata norma della “contestualità”, la navicella nuragica dell’Antiquarium Arborense riportava una iscrizione nuragica, ma trascritta in alfabeto latino, iscrizione che probabilmente era la sigla di una formula di commiato, che i parenti facevano al caro defunto, formula incisa su un oggetto che indubitabilmente apparteneva alla ideologia funeraria dei Nuragici, come pure dei Greci, degli Etruschi e dei Latini, relativa alla “navicella di Caronte”, quella che traghettava i defunti verso l’aldilà.
E se è un fatto che questa navicella nuragica portava un’iscrizione nuragica ma trascritta in alfabeto latino, ciò dimostra che la “ideologia funeraria delle navicelle nuragiche” durava ancora in epoca romana e precisamente almeno fino all’ ”età tardo repubblicana”.
Un analogo discorso va fatto per i segni in scrittura latina che figuravano sulla stele di una tomba di gigante di Santa Teresa di Gallura, che, secondo una testimonianza scritta ed anche iconografica dei primi dell’Ottocento, portava i segni di lettere dell’alfabeto latino, tomba che purtroppo non è stata ancora rintracciata. Come è possibile accettare l’ipotesi che quelle lettere siano state incise molto più tardi come “iscrizione confinaria” sulla stele di un monumento nuragico che tutti sapevano essere una “tomba”? Come lo sapevano sino ad almeno un cinquantennio fa tutti i Sardi, come dimostrano numerose “tombe di gigante” chiamate tuttora Tumba ‘e gigante, Ghigantolu, Gigantinu, Monumentu, Molimentu, Munimentu?
E la medesima considerazione si deve fare nell’altra ipotesi che invece si trattasse di una iscrizione latina col valore di “epitafio”. Ma quanto numerosi e quanto gravi delitti ermeneutici o interpretativi si stanno commettendo in Sardegna con l’altra “favola” del «riuso delle tombe di giganti per deposizioni funerarie in età romana»! Ma forse che non è esistito e fortissimo presso tutti i popoli e in tutti i tempi il “tabù funerario” relativamente ai morti e alle loro tombe?
Sarà stata dunque una iscrizione funeraria quella incisa in caratteri latini sulla stele della citata tomba di gigante, ma sarà stata una iscrizione in lingua nuragica relativa ad una “tomba collettiva” di un intero villaggio nuragico<3>.
Inoltre sono da citare, come esempi di messaggi nuragici scritti però in alfabeto latino, le due tabellae defixionis di piombo, rinvenute nel villaggio nuragico di Linn’arta di Orosei ed ora sistemate nel Museo Archeologico di Nùoro: le lettere sono sicuramente latine, ma dei vocaboli quasi nessuno si può spiegare col lessico latino, mentre almeno uno, ripetuto tre volte, è sicuramente nuragico, NURGO, il quale corrisponde sorprendentemente al toponimo odierno Nurgòe di Irgoli (villaggio confinante) e al medioevale Nurgoi (CSPS 190)<4> [foto 18].
Infine è probabilmente un sesto esempio di iscrizione nuragica scritta in caratteri latini, quella incisa in un masso che si trova nei pressi del piccolo nuraghe che è vicinissino alla chiesa parrocchiale di Suni (OR) (nuovo chiarissimo esempio di sincretismo nuragico-cristiano). Io ho pubblicato in due occasioni la fotografia di questa iscrizione, ma non ne ho mai approfondito lo studio né mi risulta che l’abbia fatto qualche altro studioso<5> [foto 19].
Torno alla mia conclusione ultima ed essenziale, anche per ribadirla: a mio fermo giudizio, non è mai esistita una “scrittura propriamente ed esclusivamente nuragica”, come del resto non è esistita una “scrittura propriamente ed esclusivamente fenicia o greca od etrusca o romana”. Per trascrivere i loro messaggi in lingua nuragica i Sardi hanno adoperato di volta in volta, col passare dei secoli, l’alfabeto fenicio, quello greco e quello latino.
A queto punto prevedo una logica domanda e obiezione da parte dei miei lettori: come mai dell’uso della scrittura da parte dei Sardi Nuragici esistono così pochi resti e così poco significativi? A questa logica e sensata domanda e obiezione si debbono dare due differenti risposte:
I) Se gli archeologi non hanno trovato nei monumenti e nei reperti nuragici iscrizioni in alfabeto fenicio o greco o latino, ciò è dipeso o dal fatto che non le hanno cercate con la dovuta cura (e tutti sappiamo che nei vari campi del sapere si trova soprattutto ciò che si cerca), oppure dal fatto che, avendole trovate, le hanno trascurate perché le hanno giudicate “iscrizioni pasticciate”<6>….
II) L’amico e compianto poeta e scrittore Francesco Masala ha sintetizzato e pubblicizzato in maniera icastica e magistrale quest’aspetto della storia dei nostri antenati Nuragici: «I vinti non lasciano archivi!». E ciò avviene – commento io – o perché i vincitori quasi sempre distruggono tanta parte dei documenti scritti dei popoli vinti oppure non hanno alcun interesse né cura a conservarli… E noi Sardi siamo stati vinti, ampiamente vinti dai Romani, i quali o hanno distrutto i documenti scritti dei nostri antenati oppure non si sono curati affatto di conservarli e tramandarli fino a noi…<7>.
D’altronde una storia perfettamente analoga è successa pure a danno di un altro popolo, parente stretto di quello nuragico, gli Etruschi: anche dei documenti scritti della civiltà etrusca sono arrivati fino a noi solamente scarsi e poco significativi frustoli. E ciò è avvenuto perché, vinti ampiamente gli Etruschi dai Romani, questi o hanno distrutto i documenti scritti dei vinti oppure non si sono curati di conservarli e tramandarli fino a noi. E doveva trattarsi anche di documenti di elevato livello letterario, come lascia intendere una acuta osservazione fatta dal collega ed amico Riccardo Ambrosini: nel periodo della migliore fioritura della letteratura in lingua latina (ultima Repubblica e primo Impero) non c’è un solo nome di scrittore in lingua latina che fosse nato in Etruria. E se ne deduce che dunque in quel periodo non soltanto il popolo etrusco, ma anche la sua intellighenzia continuava a scrivere e a leggere in lingua etrusca ed anche a comporre opere letterarie in questa lingua. D’altronde è un fatto che Varrone (L.L., V 55) cita un certo Volnio come autore di tragedie in lingua etrusca.
Massimo Pittau
NOTE
<1> Questa ricostruzione e traduzione è di Lidio Gasperini, Ricerche epigrafiche in Sardegna, in AA. VV., Sardinia antiqua, Cagliari 1992; è l’epigrafista latino che, improvvisandosi epigrafista etrusco, prese una grossa cantonata circa l’iscrizione etrusca trovata ad Allai (OR) (cfr. volume 9 (tomo 2) della serie «L’Africa Romana» (Sassari 1992).
<2> Cfr. M. Pittau, La Sardegna Nuragica, II edizione, Cagliari 2006, Edizioni della Torre, §§ 35-38.
<3> La questione di queste tre iscrizioni latine su monumenti nuragici è esposta da Raimondo Zucca, Sufetes Africae et Sardiniae, Roma, Carrocci edit., 2004, pagg. 118-125). Io apprezzo ed ammiro la consueta cura dell’egregio collega, ma contesto alla radice le sue interpretazioni. Inoltre esprimo meraviglia per il fatto che egli abbia ignorato il mio studio L’iscrizione nuragica in lettere latine del nuraghe Aidu Entos, che compare nel mio libro «Ulisse e Nausica in Sardegna», Nùoro 1994, pagg. 189 e segg.
<4> Pubblicate la prima volta da R. Caprara in AA. VV., Sardegna centro-orientale – dal neolitico alla fine del mondo antico, Sassari 1978, pagg. 152-154, tavv. 1 e 2. Purtroppo si deve dubitare alla radice sia della lettura sia delle integrazioni proposte dal Caprara, posto che questi è un archeologo medioevale e non un epigrafista latino. Cfr. M. Pittau, La Lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Sassari 1981, pag. 277; A. Mastino e T. Pinna, Negromanzia, divinazione, malefici, ecc., in «Epigrafia romana in Sardegna», Atti del Convegno di S. Antioco del 14 e 15 luglio 2007, pag. 28, figg. 25-26, 27-28.
<5> M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico, Sassari 1984 (in vendita nella Libreria Koinè di Sassari), II pag. della copertina; M. Pittau, Ulisse e Nausica in Sardegna cit. pag. 205. Di recente ha pubblicato il disegno dell’iscrizione, fatto dal geometra Lello Fadda di Ghilarza, Attilio Mastino, Suni e il suo territorio, Suni 2003, pag. 101, definendola semplicemte “enigmatica”.
<6> Cfr. M. Pittau, I Nuragici e la scrittura, nel quotidiano di Cagliari «L’Unione Sarda» del 4 agosto 1982, pag. 3.
<7> Molto significativo è il fatto che in sette lunghi secoli di dominazione romana sulla Sardegna gli scrittori latini ci hanno tramandato questi soli 5 vocaboli sardiani o nuragici: mastruca «cappotto di pelli», mufron «muflone», musmo,-onis «asino o cavallo di piccola taglia», salpuga «lumacone nudo», gromphaena, gromphena uccello sardo (Plinio il Vecchio, N. H. 26, 40; 28, 151; 30, 146) non ancora individuato.
Commenti
Prima del “periodo Fenicio” i Nuragici non usavano la scrittura?
Lele
Settembre 26th, 2010
Gli etruschi sono i pelasghi. Molte inscrizione traducono attraverso la lingua albanese.
J.Hahn, T.Mommsen, Scheider, J.Bopp, N.Stillos, A .Kolia ecc
hanno scritto che gli albanesi sono i dischndenti diretti dei pelasghi antenati dei Greci e Romani . La loro lingua , che si e conservata quasi intatta e la lingua albanese d,oggi.
Novembre 5th, 2010