Toccata e fuga a Bologna di Ange de Clermont
Non è la prima volta che nel cuore dell’inverno, per raggiungere alcuni miei familiari, sono costretto a lasciare l’isola luminosa di Sardegna, per immergermi nelle brume di Treviglio, nella Bassa Padana, nella località in cui fu ambientato dal regista Olmi il film L’albero degli zoccoli. La nebbia che ti carezza il volto, il paesaggio che sfuma mi sono ormai familiari. Del resto, oltre a mia nipotina che cresce a vista d’occhio, ho delle amicizie trevigliesi che in un certo senso mi rendono gradevole la permanenza nella ridente cittadina di 26 mila abitanti e 26 banche e uno sterminato numero di piccole, medie e grandi industrie. Oltre agli affetti familiari e amicali a Treviglio ritrovo un caloroso ambiente cattolico nella giovane parrocchia di San Pietro e nella lettura del Popolo cattolico. Quest’anno poi, grazie al mio amico Mario, ho scoperto San Zeno con le vetrate calde e vivaci del pittore Longaretti e il suadente oratore parroco don Enrico.
Nei primi anni, a parte le visite alla Basilica di Caravaggio, qualche fuga a Bergamo e a Crema, il mio percorso quotidiana mi portava all’edicola, alla parrocchia e poi mi chiudevo in casa ad ascoltare le vivaci chiacchiere di mia nipotina. Solo quando il mio amico Fabio era disponibile visitavo le città vicine e Brescia, per pranzare con l’amico Luciano, all’ombra dell’Università Cattolica. L’anno scorso, su invito dell’amico bolognese Paolo, ci siamo spinti fino a Bologna, in un’ora di treno da Milano, per visitare l’allestimento del Museo Europeo degli studenti (Meus) e per degustare i tortellini che io preferisco in brodo.
Quest’anno, viste le nevicate, non intendevo muovermi da Treviglio: l’indisponibilità dell’amico trevigliese, impegnato in Sardegna con esami e tesi di laurea, avevano mortificato il programma che in genere la mia euforia congenita mi spinge a fare ogni volta che solco il mare. Per la verità non mi aiuta molto la vista e l’età che per quanto la definisca “giovane anzianità” comincia a pesarmi.
Un bel giorno mi telefona l’amico di Bologna e m’invita a prendere i treni per recarmi nella città. Mi assicura che non ci sarà la neve come a Treviglio, prendo il coraggio a due mani, grazie all’innocente incoraggiamento di mia nipotina appena quattrenne e, per quanto brontolando, il giorno fissato mia figlia mi accompagna fino alla carrozza del treno per Milano e con mille raccomandazioni mi lascia partire per Bologna. Restava il cambio-treno per Bologna a Milano. Arrivo al binario 18 e mi avventuro tra gli altri binari chiedendo a destra e a manca da quale binario parta la frecciarossa per Bologna. Mi dicono al binario 21, ma non mi fido visto che la freccia rossa è diretta a Napoli e così interpello altre tre persone, prima di salire nella corrozza 10 chiedo ancora conferme e avuto l’assenso vado a cercare la poltrona 27, ma questa era bella e occupata. Sto per far sloggiare l’intruso, ma questi gentilmente mi chiede il biglietto e mi spiega che la mia poltrona e la 12, strabuzzo gli occhi e vedo che ha ragione. Torno indietro e trovo la 12 occupata da due avvenenti signorine: l’una bionda e l’altra, quella che occupava la mia poltrona, bruna. Presento il biglietto e lei sorridendo si alza e mi cede il posto. Prendo il cellulare e avverto l’amico bolognose: “Sono nella carrozza 10, poltrona 12, vedi di farti trovare al punto giusto.”
Il treno corre in mezzo alla neve ad una velocità tale che sembra fermo. Gli alberi che sfumano mi dicono che comunque è in movimento. Alle 11,00 sono a Bologna , per mia fortuna come previsto si ferma e non faccio a tempo a scendere che sento l’amico “Oh, Angelino, ce l’hai fatta!” Felice come un eroe del Polo Nord, lascio la stazione e noto subito che la città è innevata, l’amico mi aveva pietosamente nascosto l’evento. Prendiamo il tram e scendiamo al centro. Visitiamo varie strutture universitarie e la chiese adiacenti. Giunta l’ora del pranzo l’amico mi conduce presso uno dei tanti ristoranti e naturalmente i tortellini in brodo la fanno da padrone. Segue un’insalata di frutta e quindi troviamo serenità presso un’altra accogliente struttura culturale.
Si chiacchiera del più e del meno, invito l’amico a leggersi un mio pezzo sulla morte apparecchiata su un sito del mio paese e poi passiamo il tempo parlando di cose solite come se ci si vedesse tutti i giorni. Discutiamo sui nostri avanzati Mac, cerco di convincerlo a gestirsi un sito, ma non mi ascolta, perché ha tanto da fare che a mala pena riesce a sbrigare la posta giornaliera. Per le 16 e 40 siamo alla stazione: carrozza 10 e finalmente poltrona 27. Appena il tempo per un abbraccio caloroso e un sorriso e addio Bologna e amico.
Nel frattempo la neve non se ne sta con le mani in mano e comincia a scendere ininterrottamente fino a Milano, dove ritrovo il binario giusto per il rientro a Treviglio: per quanto di scarsa vista questa volta riesco a leggere vicino al numero del binario le scritte gialle che indicano le fermate del treno diretto a Verona. Salgo, dopo varie richieste a viaggiatori fettolosi. “A Treviglio il treno si ferma!” Tutti unanimi. Sono a cavallo e posso considerarmi a casa. La neve scende: Lambrate, Pioltello affogano nella neve, a Treviglio si è rifiutata di scendere. Puntuale arriva mia figlia, mi carica sulla sua auto. Entro in casa e mia nipotina fa: ” Hai visto nonno che sei andato e tornato!” Rispondo ormai consapevole d’aver visitato il Polo Nord e d’essermi condotto da solo così lontano. Insomma, non starò diventando un giramondo?
Squilla i cellulare: “Angelino, qui nevica senza fine!” E’ l’amico di Bologna che l’indomani mi manda per via email una foto degna della ritirata dalla Russia. La Stalingrado italiana era sotterrata da 20 centimentri di neve e l’amico in completo costume sovietico, manca la stella rossa sul colbacco, spala la neve davanti alla sua abitazione. L’ho scampata bella, rischiavo la prigionia della neve. Per l’anno prossimo sono ormai pronto, Bologna è a due passi da casa: vado e torno senza neve, naturalmente; quella la lascio all’amico che, da buon bolognese, è attrezzato a spalare.