Categoria : storia

Fuoriusciti garibaldini e mazziniani in Sardegna di Paolo Amat di San Filippo

images-1Il 1850 è un anno importante per lo sviluppo della Sardegna. Con Cavour Capo del Governo approdarono nell’Isola molti patrioti che avevano preso parte ai moti mazziniani e garibaldini scoppiati in varie pari della Penisola, repressi dalla restaurazione. Molti personaggi, che avevano rivestito anche incarichi importanti nelle istituzioni liberali e mazziniane che erano state stroncate dalla reazione conservatrice, facevano parte, come lo stesso Cavour, della Fratellanza Massonica, per cui la loro trasferta in Sardegna godeva di un certo appoggio governativo.

Era il momento in cui nell’Isola stava decollando l’industria mineraria; Giovanni Antonio Sanna stava cercando di ottenere la concessione della miniera di Montevecchio, e la banca Nicolay stava acquisendo la miniera di Monteponi.

Già nel1849 il modenese Enrico Misley, fervente carbonaro amico di Ciro Menotti, fortemente appoggiato da Torino, aveva chiesto di poter tagliare, in Sardegna, 100.000 quercie, ma la sua richiesta era stata bocciata per intervento di Alberto La Marmora.

La richiesta invece del romagnolo conte Pietro Beltrami fu accettata in considerazione dei suoi meriti patriottici. Il Beltrami, nato nel 1812 a Bagnacavallo, già da studente si era distinto come attivo propagandista liberale tra i colleghi dell’Università di Bologna. Diciannovenne si era arruolato nelle truppe rivoluzionarie del generale Zucchi, partecipando alla sfortunata battaglia di Rimini del 25 marzo 1831. Proscritto e poi graziato, aveva partecipato ai moti di Romagna del 1846, a seguito dei quali era stato costretto ad emigrare in Francia, dove si era occupato di bonifiche nel delta del Rodano. Rientrato in Patria a seguito dell’amnistia concessa da Pio IX nel 1848, aveva partecipato alla I Guerra d’Indipendenza. A Venezia col generale Giovanni Durando, dopo la sconfitta di Custoza si era ritirato a Torino dove era entrato in stretto rapporto col Cavour. Il suo operato in Sardegna è stato molto criticato al punto che lui venne definito “l’Attila delle foreste sarde”. Egli in verità disboscò indiscriminatamente molte parti dell’Isola, ma a sua discolpa bisogna considerare che molti Comuni dell’Isola, che dopo il riscatto dei feudi avevano ricevuto in demanio estese foreste, erano stati ben lieti di raggranellare qualche soldo dalla vendita del legname di queste, sia per ottenerne carbone che traversine ferroviarie, stante il boom dello sviluppo ferroviario dell’Europa in quel periodo.

Altro patriota che approdò nell’Isola fu Patrizio Gennari, nato a Moresco, in provincia d’Ascoli Piceno, il 24 novembre 1820, da Giuseppe e Rosa Amurri.

Laureato in Medicina all’Università di Bologna il 1 luglio 1842, fu, nel 1844, Professore di Botanica e Materia Medica nell’Università di Macerata e, nel 1846, membro del Collegio Medico-Chirurgico di quell’Università.

Nel 1848 prese parte, come volontario, alla I Guerra d’Indipendenza.

Presentandosi come milite, fu, per acclamazione, eletto sergente furiere. Durante la Campagna fu promosso sergente maggiore e venne annotato fra i cinque distinti per valore nella relativa pubblicazione del Ministero della Guerra e, dopo i fatti di Cornuda, Treviso, Vicenza, dove riportò una ferita allo zigomo sinistro, avendo dichiarato di non voler servire nelle truppe di linea, ottenuto il congedo definitivo il 15 ottobre 1848, fu nominato sottotenente nella Milizia Cittadina.

Fu membro del Comitato di Pubblica Sicurezza a Macerata, con funzioni politiche e amministrative (voto popolare confermato con Decreto Ministeriale) e rappresentante del Popolo all’Assemblea Costituente Romana (doppia elezione nei Collegi di Fermo e Macerata nel 1849).

imagesCollaboratore del Professore di Botanica dell’Università di Genova per la sistemazione dell’erbario, nel 1850, nel 1853 fu nominato Assistente presso quell’Orto Botanico.

A seguito di concorso per titoli nel 1857, resse, nell’Università di Cagliari, la cattedra di Storia Naturale.

Nel 1858 fu Preside del Collegio e della Scuola di Farmacia di quell’Ateneo, e direttore reggente del locale Museo di Storia Naturale.

Nel 1859 fu nominato direttore interinale di quel Museo d’Antichità.

Nello stesso anno divenne Professore effettivo di Storia Naturale e direttore del Museo di Storia Naturale.

Nel 1860 fu direttore della Scuola di Farmacia.

Nel 1863 fu nominato Professore di Botanica Mineralogica, e Zoonormia zoologica. Nel 1864 fu nominato direttore dell’Orto Botanico, nel 1865 direttore della Scuola di Farmacia. Nel 1868 fu nominato Professore Ordinario di Botanica, Mineralogia e Geologia dell’Università di Cagliari

Nel 1869 fu nuovamente nominato direttore della Scuola di Farmacia.

Fu Rettore Magnifico dell’Ateneo cagliaritano nel 1873 e nel 1874.

Nel 1874 fu Professore Incaricato nell’Istituto Tecnico di Cagliari e, nel 1875 fu nuovamente direttore della Scuola di Farmacia.

Membro dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Medico-Chirurgica di Genova, dell’Accademia degli Aspiranti Naturalisti di Napoli, di quella dei Fisiocratici di Siena, di quella di Scienze Naturali di Cherburg, della Reale Società Agraria ed Economica di Cagliari, della Società d’Agricoltura e Industria di Macerata, della Società di Storia Patria di Palermo, e dell’Accademia d’Agricoltura, Commercio e Arti di Verona , e della Società Scientifico-Letteraria di Faenza.

Decorato delle medaglie “Pugna strenua ad Vincentiam pugnata” (1849), e “Roma rivendicata ai suoi liberatori” (1871). Cavaliere della Corona d’Italia (1869) e Ufficiale dello stesso Ordine (1877).

Autore di molte note scientifiche, tenne gratuitamente corsi e incarichi vari, organizzò l’Orto Botanico cagliaritano e introdusse nell’Isola svariate nuove specie botaniche.

Queste notizie sono state desunte dal registro del personale dell’Università cagliaritana, nel quale sono annotate, di suo pugno.

Collocato a riposo il 1 dicembre 1893, morì, compianto, a Cagliari l’1 febbraio 1897.

Un altro patriota fu il bolognese Giuseppe Galletti. Già generale dei Carabinieri Pontifici ed ex ministro di Pio IX, fu Presidente della Costituente della Repubblica Romana.

Approdato in Sardegna, aspirava ad una Cattedra di Diritto all’Università di Sassari, ma l’allora ministro della Pubblica Istruzione don Cristoforo Mameli non accolse la sua richiesta in quanto il Galletti si era rifiutato di sottoporsi ad un esame di qualificazione.

Per intercessione del Cavour su Nicolay, nel 1851 fu nominato direttore della miniera di Monteponi, dove però rimase solamente 19 mesi. Giovanni Antonio Sanna lo nominò direttore della miniera di Montevecchio dove rimase per 10 anni.

Sostituito nella direzione dall’ingegner Giorgio Asproni, nel 1862, ritornò a Bologna. Fu deputato al Parlamento nella IX Legislatura. Morì nel 1873.

Giulio Keller. Nato a Raab, in Ungheria, dal nobile Erminio consigliere aulico dell’imperatore d’Austria-Ungheria, Il Keller studiò all’Accademia Mineraria di Schemnitz e, laureatosi in ingegneria, entrò nel Servizio Minerario dell’Impero Asburgico. Di sentimenti liberali, scoppiati i moti rivoluzionari capeggiati dal Kossuth , rinunziò ad una promettente carriera governativaper unirsi ai patrioti ungheresi. Capitanod’artiglieria nell’armata rivoluzionaria, ferito ad un braccio fu costretto a riparare in Turchia. Tornato in Patria a seguito dell’intervento russo, per benevolenza nei riguardi del padre fu condannato al servizio militare perpetuo, tuttavia, in un secondo tempo, gli fu permesso di emigrare a Torino. Conosciuto a Genova, Giovanni Antonio Sanna, al quale era stata appena accordato il permesso di ricerca e coltivazione dei filoni di Montevecchio, fu incaricato da questi di dirigere i lavori nella miniera. Il Keller, fatti arrivare minatori dalla Germania, iniziò, nonostante l’imperversare della malaria che falcidiava i minatori stranieri, un’attività che si mostrò subito prospera e promettente. Dopo tre anni di direzione fu chiamato alla direzione di Monteponi, in sostituzione di Giuseppe Galletti che passò alla direzione di Montevecchio.

Giulio Keller diresse Monteponi dall’ottobre 1852 al febbraio 1856; colpito da una grave forma di malaria si dedicò all’attività di consulente per molti imprenditori minerari e perfino per il Corpo Reale delle Miniere.

Nominato, nel 1865, direttore della miniera di Masua, la cui concessione era stata rilasciata alla società genovese Decamilli, costruì, a Funtanamare, una laveria dotata di 10 cassoni tedeschi e 44 crivelli sardi, e una fonderia dotata di sei forni a vento le cui soffianti erano mosse da una macchina a vapore da 12 HP.

Quella fonderia rimase in esercizio per 22 anni.

Associatosi con l’imprenditore iglesiente Angelo Nobilioni, diede inizio ai cantieri minerari di San Giorgio e San Giovanni, costruì la piccola laveria di Fontana Coperta, ed acquistò i cumuli di antiche scorie metallurgiche che si trovavano nei pressi di Domusnovas, scorie che in un secondo tempo, trattate nella fonderia di Domusnovas fecero la fortuna dell’amico Enrico Serpieri e in quella di Fluminimaggiore, dei suoi figli Attilio e Cimbro. Dalla moglie sarda Anna Caracoj il Keller ebbe: Giulietta, Camilla e Francesco.

Dopo trent’anni di vita di miniera, Giulio Keller morì a Cagliari il 5 luglio 1877.

Enrico Serpieri. Nato nel 1809 a Rimini da una famiglia di industriali e commercianti, sì iscrisse, a 18 anni, in Medicina a Bologna. Nel 1831 partecipò ai moti rivoluzionari militando nella “Legione Pallade”. Per evitare d’essere coinvolto nella repressione, si rifugiò a Marsiglia, ma espulso dalla Francia, riparò a San Marino, ospite dell’amico patriota Lorenzo Simoncini. Da questa Repubblica continuò a cospirare d’intesa con i patrioti di Rimini, utilizzando la vetreria di famiglia per gli incontri e le riunioni con gli adepti della Giovane Italia.

Nel 1833 il Serpieri osò schernire pubblicamente insultandoli, i volontari papalini che sfilavano, in città, scortati da soldati croati.

Sfaldatasi, in Romagna, la Giovane Italia, i patrioti romagnoli fondarono la “Legione Italica”, della quale, oltre al Serpieri, facevano parte il conte Pietro Beltrami e Giuseppe Galletti.

Dopo 10 anni di schermaglie con la polizia papalina, nel 1844 fu arrestato a Rimini, incarcerato a San Leo, e condannato, a Roma al carcere a vita. Egli aveva tre figli: Giambattista, Attilio e Cimbro.

Scarcerato per l’amnistia concessa da Pio IX, nel 1846, negli anni 1848-1849 fu deputato di Rimini nella Costituente Romana. Caduta la Repubblica Romana, riparò prima a San Marino, e poi, nel 1849 a Torino, dove lo sconfitto Piemonte accoglieva gli esuli, ma cercando di neutralizzare, allontanandoli, i repubblicani più accesi, per timore che potessero congiurare anche contro il regno sabaudo.

Nel 1850 il Serpieri sbarcò con i figli in Sardegna dove si occupò della miniera di Gibas, presso Porto Corallo della genovese “Società dell’Unione Miniere – Sulcis Sarrabus in Sardegna “.

Nel 1855 la miniera di Gibas, a seguito di un alluvione, si allagò, e il Serpieri finì sul lastrico. Rivoltosi all’amico conte Beltrami che aveva ottenuto il permesso di tagliare

i boschi in molte parti dell’Isola, fu assunto dall’ex patriota milanese Francesco Calvi, che operava a Macomer per conto del Beltrami, come sovraintendente alla produzione ed al commercio del carbone di legna dell’azienda. L’anno dopo, essendo giunto a Macomer il patriota cesenate avvocato Gaspare Finali, Enrico Serpieri riuscì a far assumere, con mansioni amministrative, anche il secondogenito Attilio.

In questa nuova attività, che lo portava a percorrere vaste plaghe dell’Isola, il Serpieri ebbe la ventura di vedere le grandi distese d’antiche scorie metallurgiche abbancate presso Domusnovas.

Entrato in contatto con alcuni fonditori di Marsiglia che acquistavano in Sardegna piombo e carbone, propose all’officina Bouquet di associarglisi per riutilizzare quelle scorie. A titolo di prova ne inviò in Francia 949 tonnellate, che presentarono facile fusibilità e soddisfacente resa in piombo.

Venne, pertanto, costruita, nel 1858, una fonderia a Domusnovas. In questa le macchine funzionavano a vapore, i forni avevano una capacità di 1,5 m3 ed erano in grado di trattare circa 10 tonnellate di scorie al giorno, con una produzione giornaliera di 0,5 tonnellate di piombo d’opera, contro un consumo di combustibile pari al 20%.

Dei 9 forni ne funzionavano giornalmente 5 o 6, nella stagione calda la fonderia si fermava per non far correre, agli addetti, il rischio di beccarsi la malaria.

Affrancatosi dal Bouquet, grazie al sostegno finanziario di una banca di Marsiglia presso la quale il primogenito Giambattista, impiegato, si era guadagnato stima e credito, il Serpieri costruì una nuova fonderia a Fluminimaggiore, che fece gestire dai figli Attilio e Cimbro, che erano reduci dalla II Guerra d’Indipendenza.

Nel 1862 Enrico Serpieri produceva il 56% del piombo d’opera sardo.

Egli fu il primo presidente della Camera di Commercio fondata in quell’anno a Cagliari.

Nel 1866 Attilio e Cimbro Serpieri lasciarono Fluminimaggiore per arruolarsi come volontari con Garibaldi per l’imminente III Guerra d’Indipendenza.

Dopo la seconda disfatta di Custoza i due fratelli tornarono alla loro fonderia di Fluminimaggiore.

Accordatosi con i commercianti livornesi Modigliani, che avevano acquistato, in Sardegna, il Salto di Gessa, già feudo dei visconti Asquer, Enrico Serpieri iniziò la ricerca mineraria nella zona di Baueddu (Malacalzetta), di proprietà dei Modigliani.

Nel 1867 Attilio e Cimbro Serpieri non poterono rispondere alla chiamata di Garibaldi, infatti la malaria li aveva rapiti prematuramente.

Chiusa la fonderia di Fluminimaggiore, il Serpieri n’eresse un’altra a Funtanamare, sotto la direzione dell’amico Giulio Keller.

Enrico Serpieri morì a Cagliari l’8 novembre 1872 e fu sepolto nel cimitero monumentale di Bonaria; il suo monumento funebre è ornato da bassorilievi con scene delle Guerre d’Indipendenza. Un suo bellissimo ritratto giganteggia nella sala conferenze della Camera di Commercio di Cagliari.

Commenti

  1. Sono molto interessato alle attività svolte dal conte beltrami in sardegna in special modo a macomer. Anche io ritengo che a parte il disbscamento selvaggio il Beltrami abbia fatto anche del bene,introducendo quantomeno idee e tecniche nuove da seguire nell’allora poverissimo e asfitico panorama industriale sardo.

    chicco ledda
    Ottobre 8th, 2009
  2. Tenca presente che, a seguito del riscatto dei feudi tutti i Comuni saedi erano stati dotati di demani propri, pr cui molti vendettero le loro foreste a imprenditori continentali, spesso indiscriminatamente, pur di far cassa. A ciò si aggiunse la concessione, da parte dello Stato, di ingenti superfici di terreno, spesso forestate, in remunerazione dei lavori per la realizzazione delle linee ferroviarie dell’Isola; E’ stato così per Beniamin Piercy a Badde ‘e Salighes e a Leone Gouin nell’entroterra Capoterra, Pula, Domus de Maria, Basso Sulcis , a Pantaleo. Nel salto di Gessa, già feudo degli Asquer, visconti di Fluminimsggiore e Gessa, i terreni ex feudali vennero venduti ai livornesi Modigliani (nonno e padre del celebre pittore, produttori e commercianti internazionali di carbone vegetale, s all’ingegnere minerario Ubaldo Millo.Per ritornare al conte Pietro Beltrami, da molti sardi denominato “l’Attila delle foreste sarde”, era una persona dotata di capitali, come dal resto il suo conterraneo ed amico Pietro Bastogi, capitali che non c’erano in Sardegna e che necessitavano per il suo sviluppo dopo la cosidetta “Unione perfetta ” con gli Stati della Terraferma. Questa soluzione, a mio avviso, aveva una motivazione meno gloriosa, infatti gli antichi feudatari erano stati retribuiti, alla bellameglio, con un pò di denaro contante e con molte cartelle di credito che, stanti le scarsissime risorse dell’Isola, non avrebbero mai potuto sanare il debito, mentre le risorse continentli lo potevano senza pericolo di una crisi finanziaria. Oltre alla richiesta internazionale di carbone vegetale, l’espansione delle ferrovie in Europa richiedeva una grande quantità di traversine.Qui in Sardegna sono state reperite traversine non solo di quercia, rovere e leccio, ma anche di castagno e persino di noce; molti paesi preferirono vendere le loro foreste a segantini toscani piuttosto dhe vederle bruciate per le beghe tra pastori locali.Purteoppo molto spesso noi sardi diamo le colpe della nostra arretratezza agli altri e non facciamo un serio esame di coscienza. Sulle vicissitudini foreste sarde le suggerisco di leggere il bellissimo libro sull’argomento del dottor Enea Beccu, già direttore generale dell’Azienda Foreste Demaniali della Sardegna, pubblicato un paio d’anni fa.

    Paolo Amat di San Filippo
    Ottobre 22nd, 2009
  3. Tenga presente che, a seguito del riscatto dei feudi, tutti i Comuni sardi erano stati dotati di demani propri, per cui molti vendettero le loro foreste a imprenditori continentali, spesso indiscriminatamente, pur di far cassa. A ciò si aggiunse la concessione, da parte dello Stato, di ingenti superfici di terreno, spesso forestate, a imprenditori continentali, in remunerazione dei lavori per la realizzazione delle linee ferroviarie dell’Isola. E’ stato così per Beniamin Piercy a Badde ‘e Salighes e per Leone Gouin nell’entroterra di Capoterra, Pula, Domus de Maria, Basso Sulcis , e a Pantaleo. Nel salto di Gessa, già feudo degli Asquer, visconti di Fluminimaggiore e Gessa, i terreni ex feudali vennero venduti ai livornesi Modigliani (nonno e padre del celebre pittore), produttori e commercianti internazionali di carbone vegetale, e all’ingegnere minerario Ubaldo Millo.Per ritornare al conte Pietro Beltrami, da molti sardi denominato “l’Attila delle foreste sarde”, era una persona dotata di capitali, come dal resto il suo conterraneo ed amico Pietro Bastogi, capitali che non c’erano in Sardegna e che necessitavano per il suo sviluppo dopo la cosidetta “Unione perfetta ” con gli Stati della Terraferma. Questa soluzione, a mio avviso, aveva una motivazione meno gloriosa, infatti gli antichi feudatari erano stati retribuiti, alla bellameglio, con un pò di denaro contante e con molte cartelle di credito che, stanti le scarsissime risorse dell’Isola, non avrebbero mai potuto sanare il debito, mentre le risorse continentali lo potevano senza pericolo di una crisi finanziaria. Oltre alla richiesta internazionale di carbone vegetale, l’espansione delle ferrovie in Europa richiedeva una grande quantità di traversine.Qui in Sardegna sono state reperite traversine non solo di quercia, rovere e leccio, ma anche di castagno e persino di noce; molti paesi preferirono vendere le loro foreste a segantini toscani piuttosto che vederle bruciate per le beghe tra pastori locali.Purtroppo molto spesso noi sardi diamo le colpe della nostra arretratezza agli altri e non facciamo un serio esame di coscienza. Sulle vicissitudini delle foreste sarde le suggerisco di leggere il bellissimo libro sull’argomento del dottor Enea Beccu, già direttore generale dell’Azienda Foreste Demaniali della Sardegna, pubblicato un paio d’anni fa.

    Paolo Amat di San Filippo
    Ottobre 22nd, 2009
  4. […] Cagliari, nel Cimitero monumentale di Bonaria, si trova la tomba di Enrico Serpieri (1809-1872), che fu segretario e deputato della Repubblica romana e, in seguito, primo presidente […]

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